Breve storia del Mossad
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Antonella Colonna Vilasi
Responsabile del Centro Studi sull’Intelligence - UNI, Ente di ricerca registrato presso il MIUR, MISE e la Commissione Europea, collabora in numerose riviste scientifiche, con articoli su Intelligence e Sicurezza. Insegna Intelligence in numerose agenzie ed università.
Collana editoriale: Studi di intelligence
Direttore: Prof. Antonella Colonna Vilasi, PhD
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Breve storia del Mossad - Antonella Colonna Vilasi
LE ORIGINI DELLA SICUREZZA
Per affrontare in maniera corretta un fenomeno, sia esso la nascita di uno Stato, di un paradigma di pensiero o di una qualsivoglia organizzazione, occorre delineare il contesto storico, in tutte le sue variabili e componenti, che ha prodotto le condizioni affinché tale fenomeno si sia potuto dare.
La questione ebraica non può ridursi al solo ‘900, ma sicuramente è questo il secolo in cui nodi culturali, politici, economici, sociali e bellici che riguardano il Popolo d’Israele, hanno assunto una fisionomia tale da esprimere la spinta collettiva per la creazione di uno Stato, del suo sviluppo, e del suo diventare elemento chiave nella geopolitica globale.
L’ideologia sionista è la cornice teorica entro cui l’idea della costituzione dello Stato d’Israele è nata ed ha (inizialmente con il congresso di Basilea del 1897) assunto poi forme concrete di organizzazione.
Il progetto di liberazione nazionale si è sviluppato non certo senza urti, poiché il sionismo ha dovuto operare su tre fronti:
1) all’interno del mondo ebraico;
2) sulla scena internazionale;
3) in Palestina.
Questa tripla offensiva si è affermata durante la presenza britannica in Palestina, a partire dal 1917, ed è giunta fino alla dichiarazione d’Indipendenza d’Israele, il 14 maggio 1948.
Durante quel periodo sono stati individuati principalmente tre filoni di intervento che in gran parte, nel corso degli anni, hanno avuto un riscontro attraverso un’abile e continua azione costruttiva:
1) estendere l’influenza del sionismo all’interno della comunità della diaspora, in particolare negli Stati Uniti (tattica chiamata conquista delle comunità
);
2) estendere e rafforzare le sue attività diplomatiche alla Società delle Nazioni (SDN) e alle grandi potenze, soprattutto nel mondo anglosassone;
3) infine, strutturare la comunità ebraica della Palestina dal punto di vista economico, sociale, militare e persino culturale.
Queste azioni combinate hanno avuto successo grazie ad un minuzioso lavoro preliminare: la lotta per la costituzione dello Stato ebraico ha portato ad una vittoria decisiva nel 1948 perché il piano di battaglia era stato concepito con cura, molto prima che la Gran Bretagna prendesse possesso della Palestina.
E’ proprio durante gli anni cruciali dal 1881 al 1917 che il sionismo si è organizzato internamente (nel mondo ebraico), esternamente (nel concerto delle nazioni) e a livello regionale (in Palestina). Quei decenni hanno segnato la nascita del sionismo
[1] .
Rispetto al terzo fronte, ossia quello dell’insediamento in Palestina, le prime realtà collettive, nate all'indomani della fuga dai progrom, dalla Russia, in seguito alla morte dello zar Alessandro II, praticano essenzialmente l'agricoltura. Successivamente prenderanno il nome di Kibbutz, e saranno la base del moderno Stato d’Israele, e acquisiranno un forte potere simbolico.
1.1 ED IN PRINCIPIO FU IL KIBBUTZ… : DAL COLONIALISMO AL NAZIONALISMO, SINO AL PIONIERISMO
Ed in principio il Kibbutz, (in lingua ebraica: קיבוץ) rappresenta una prima necessità di sentirsi popolo, fase pionieristica, punto iniziale che storicamente trova riscontri in molte forme di socialità autoidentificative iniziali.
L'associazionismo in forma di kibbutz risale all'inizio del XX secolo con la fondazione di Degania a sud del lago di Tiberiade, avvenuta nel 1909.
Prima pietra fondamentale, e concepito come incipit di un futuro Stato sovrano, il kibbutz era una realtà iniziatica, intrisa in quel periodo di forte ideologia, ma soprattutto basato sulla mission di trasformazione agricola di un territorio e di una agricoltura di pura sussistenza.
I concetti salienti che sottendono la formazione del kibbutz si possono così sintetizzare:
1) il kibbutz viene concepito ideologicamente come una struttura socio/economica basata sul principio di uguaglianza;
2) il principio è rivolto alla comunità, quindi il lavoro del singolo è rivolto alla comunità;
3) il lavoro individuale non viene monetizzato, ma quantificato in frutto di lavoro;
4) a livello di struttura le decisioni vengono prese nell'Assemblea Generale;
5) l'ordinamento interno riguardante l'educazione dei bambini, era fino a non molti anni fa piuttosto ferreo, in quanto non potevano nemmeno vivere assieme alla famiglia [2].
I coloni della "Prima Aliyà (1882-1903)
benché intendano realizzare la produttivizzazione
degli ebrei attraverso il lavoro agricolo, sono obbligati, a causa della mancanza di risorse, a porsi sotto la protezione finanziaria del barone Edmond de Rothschild, che li rinchiude in un sistema gerarchico e paternalista; molti di essi divengono capomastri o fattori che dirigono una manodopera araba più docile, più efficiente e a miglior mercato. Insidiosamente, viene messa in atto una struttura economica di tipo coloniale, in cui i nuovi immigranti amministrano gli sfruttamenti agricoli e nel lavoro impiegano degli indigeni
. (…)
L’arrivo di circa quarantamila immigranti provenienti dall’impero zarista, tra il 1904 e il 1914 (Seconda Aliyà) animati da idee socialiste, porta ad un deterioramento dei buoni rapporti con gli arabi. David Ben Gurion, il futuro fondatore dello Stato d’Israele e i suoi amici, sono infatti decisi, contrariamente ai loro predecessori, a stabilire in Palestina una società ebraica completamente indipendente. L’obiettivo richiede la costruzione di un’infrastruttura economica ebraica autonoma. Tentano di promuovere quindi l’impiego esclusivo di manodopera ebraica nelle colonie" [3].
Sono quest’ultimi che intorno al 1910 formano i Kibbutz, comunità collettive
in cui il lavoro è svolto unicamente da ebrei. E’ il nuovo paradosso del sionismo: a partire dal momento in cui si afferma come progetto nazionale, rompe i rapporti con l’organizzazione coloniale, e suscita proprio per questo l’ostilità sempre più forte degli arabi, ormai esclusi da un' economia ebraica autarchica.
E’ infatti significativo il fatto che l’antisionismo politico arabo appaia quasi contemporaneamente al separatismo economico. (…) Mettendosi volontariamente ai margini della società palestinese, gli immigranti della seconda alyah (entrata in Israele) hanno davvero intenzione di gettare le fondamenta di una nuova nazione, la nazione ebraica" [4].
La preminenza del carattere coloniale o nazionalista nelle diverse comunità rimarrà un tema aperto tra gli ebrei insediatisi in Palestina, oltre ad una differenza tra prima e seconda Aliyà.
"La prima ondata migratoria non aveva comportato alcun cambiamento di rilievo nell’esistenza di ebrei e palestinesi nella Palestina ottomana. La seconda coincise con la disgregazione dell’Impero ottomano e la sua sostituzione con un sistema politico moderno. (…)
I coloni cercavano di coniugare nazionalismo ebraico e socialismo, e discutevano tra loro quale dovesse avere la priorità. Il dibattito portò alla fondazione dei primi due partiti sionisti di Palestina e allo sviluppo di due diversi tipi e modalità di insediamento collettivo, di cui il più famoso fu il kibbutz. La maggior parte dei sionisti non era interessata all’agricoltura, né a vivere in campagna, tanto che preferì insediarsi nelle città della Palestina, dove il collettivismo non fu tanto praticato come stile di vita quanto come affiliazione a potenti organizzazioni sindacali.
All’indomani della prima Guerra mondiale, il sionismo continuava ad essere un progetto di tipo coloniale motivato da sentimenti nazionali. Gli insediamenti di tipo collettivista evidenziavano l’aspetto nazionale. I proprietari terrieri si rifacevano invece ad una versione riadattata di nazionalismo: aspiravano ad un ampio territorio ebraico ma propendevano per la limitazione del flusso migratorio. Atteggiamento che derivava dall’intenzione di impiegare manodopera palestinese, più che ebraica, perché i lavoratori ebrei avevano maggiore coscienza dei propri diritti" [5] .
Non mancarono scontri anche cruenti tra le diverse posizioni.
Coloro che si rifacevano alla prima Aliyà, con l’aiuto del barone di Rothschild e del Fondo Nazionale, fondarono nel 1907 una nuova città laica, diversa dalla concezione degli ebrei ortodossi di Gerusalemme così come dalle esperienze collettiviste dei Kibbutz, la moderna Tel Aviv.
" Tel Aviv diventò il centro dell’attività sionista assai più di Gerusalemme, ed essendo esclusivamente ebraica consentì alla dinamica leadership sionista di realizzare il sogno di un paese totalmente ebraico. (…)
Tel Aviv era un po’ l’antitesi dell’esistenza di tipo collettivista e socialisteggiante che si conduceva negli insediamenti di campagna. La sua importanza era dovuta al fatto che numerosi ebrei immigrati prima del 1905 erano più interessati a un impiego che alla terra. (…) Coloro che arrivarono dopo il 1905 erano intenzionati a fare dell’insediamento in campagna la punta avanzata del sionismo in Palestina. In quanto militanti del movimento socialista dell’Europa orientale, pensavano alla realizzazione di un sogno insieme nazionale e collettivo. Non c’era più posto per il genere di piantagioni coloniali realizzate anteriormente al 1905, né c’era speranza di sopravvivenza se si lasciava troppo spazio a iniziativa privata e individualismo. La risposta consistette in colonie di carattere collettivo ed eminentemente ebraiche. Di conseguenza, fu avviata una lotta decisa e violenta contro chi utilizzava manodopera araba" [6].
In definitiva quindi, il movimento sionista, rompe con l’impostazione colonialista, politicamente dal primo congresso del 1897, e poi a partire dal 1904 sul campo con la seconda Aliyà. " E’ da qui quindi che viene l’evoluzione verso uno sviluppo nazionale ed economico separato, da qui il rifiuto del salariato arabo, da qui infine la creazione, pragmatica, della kvutzà, del moshav e del kibbutz" [7].
Il kibbutz, a livello simbolico e ideale, è il punto di origine della nazione ebraica.
Una parte della storiografia israeliana di oggi, quella alla quale ci si riferisce con l’espressione nuovi storici
e di cui alcuni degli esponenti principali sono Gershon Shafir e Ilan Pappe, analizzano in maniera critica anche un altro concetto alla base del sionismo, dell’esperienza dei kibbutz, e come fonte di legittimazione dello Stato di Israele, quello del pionierismo.
Il pionierismo è la traduzione del sionismo in atti. Oggi, l’immagine del pioniere è un luogo comune perché rappresenta un popolo svilito che conquistava con la forza del lavoro il diritto all’esistenza nazionale. (…) I primi reportage hanno alimentato l’immagine di pionieri che redimono una
terra abbandonata", uno dei più potenti luoghi comuni del mondo sionista in materia di ricerca di legittimità" [8].
Se nella mente della dirigenza sionista vi era l’arrivo in massa in Palestina, dopo la prima Aliyà, fu chiaro che ciò non era avvenuto e si inizia a teorizzare quindi l’invio di un corpo d’elite per prepararne le basi:
Per gettare le basi dell’arrivo di un’immigrazione di massa, oggetto mitizzato dell’attesa collettiva, Ber Borochov suggerisce che un corpo d’élite,
disposto al sacrificio", si assuma questo incarico. Un pugno di pionieri preparerà il paese – spiega – e non un proletariato ebraico che non ha alcun motivo per venirci. (…) Così facendo Borochov teorizza quello che diventerà lo spirito pionieristico della seconda Aiylà, la chalutziut (da chalutz, pioniere)" [9].
Con Borochov anche Manachem Ussishkin enuncia pensieri simili in Il nostro programma (1905):
" Vi sviluppa l’idea di un Servizio civile che giovani volontari ebrei della diaspora devono fare in Eretz Israel per tre anni, mettendosi al servizio dello Yishuv onde aiutarlo a valorizzare il paese. Ussishskin getta così le basi di quello che diventerà, nello Stato indipendente, il corpo pioniere del Nachal, istituzione giovanile paramilitare che precede il Servizio militare propriamente detto" [10].
La cultura pionieristica sancisce una rottura col modello coloniale precedente (vecchio Yishuv) per creare qualcosa di completamente nuovo (il nuovo Yishuv) attraverso l'operato di un uomo nuovo
, un ebreo nuovo
.
Per il pugno di uomini e di donne che rimangono in Palestina prima del 1914, la sete di sacrificio è una realtà. (…) Come scrivono loro stessi nei loro taccuini e nelle loro lettere, vogliono forgiare un
ebreo nuovo (e per designarlo usano spesso il termine Ivri, vale a dire
ebreo"), rompendo con il giudeo della diaspora, come se il sionismo dovesse riallacciare i rapporti con un ebraismo antico trasformato in mito. L’ethos pionieristico al quale fanno riferimento rientra in una nuova religione civile che prende piede nel nuovo Yishuv. Deriva da li anche questa espressione, che sottolinea la rottura tra vecchio e nuovo mondo, tra chalukà e lavoro, in una parolo tra giudeo ed ebreo.
Il pioniere (chalutz in ebraico) è il modello dell’ uomo nuovo
, eroe comune alla cultura europea degli inizi del XX secolo. Questa tematica, centrale nel fascismo italiano e nel bolscevismo russo degli anni Venti, è parte di un’unica concezione antiborghese del mondo. Il sionismo pionieristico, che pretende di creare un ebreo libero, sano, lavoratore, libero dalla paura perché radicato nel suo focolare nazionale, Eretz Israel, non vi si sottrae. Lo spirito pionieristico non esclude neppure quello che il sionismo chiama hagshamà, vale a dire la realizzazione di sé. Non si tratta solamente di realizzazione personale
nel senso di uno sviluppo dell’individuo. La hagshamà vuole fare in modo, al contrario, di fare comunicare gli individui in un Noi collettivo
che non è altro che la nazione" [11].
1.2 NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE
Il sionismo si configura come un movimento europeo, sia per origini che per fondamenti culturali e relazioni diplomatiche.
"Con il suo rifiuto dell’anti-illuminismo della fine del secolo, il sionismo dell’Europa occidentale è indubbiamente il frutto culturale del Vecchio continente. Ciò è particolarmente chiaro nell’opera di Max Nordau, il quale ritiene