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E-book320 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Matteo Ferri è un giovane investigatore dei Servizi per la sicurezza interna a cui viene affidato un caso particolare: l’apparente suicidio del fratello del deputato René Gautier, Paul, che era il direttore della filiale francese di un’importante fonderia italiana, la Fond-Tec. Mentre indaga sul caso, che in apparenza è molto semplice, Ferri porta alla luce diversi misteri, tra cui la presenza di alcuni traffici illeciti all’interno della fonderia, la scoperta di un materiale innovativo dalle infinite applicazioni e alcuni arcani dell’occulto che riguardano uno strano gruppo di amici. L’investigazione lo porterà a viaggiare tra Roma e Torino, da Parigi a Nizza, fino a Clermont-Ferrand. Non sarà solo, ma verrà aiutato da Ged Retter, un grande studioso con un’aura di mistero, il brigadiere francese Jean-Pierre Boyer e la conturbante dottoressa Christina Borla. Nel frattempo, una serie di omicidi perpetrati con lo stesso modus operandi sconvolge la città di Torino. Sono collegati alla morte di Paul Gautier o è un caso? In un’atmosfera cupa e pesante, sinistri personaggi si muovono nell’ombra per ostacolare Ferri e i suoi compagni.
LinguaItaliano
EditoreBookRoad
Data di uscita7 mag 2024
ISBN9788833226927
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    Anteprima del libro

    Ombre - Gian Luigi Bonino

    frontespizio

    Gian Luigi Bonino

    Ombre

    ISBN 978-88-3322-692-7

    © 2024 BookRoad, Milano

    BookRoad è un marchio di proprietà di Leone Editore

    www.bookroad.it

    Questa è un’opera basata su una storia vera. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono frutto dell’esperienza personale dell’autore e della sua rielaborazione letteraria. Qualsiasi altra somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    A tutti i miei amici.

    Capitolo I

    24 settembre 2019

    La vecchia Alfa Romeo color grigio chiaro si fermò con un preoccupante cigolio di freni davanti a una villetta di tre piani, nei pressi di via Dei Gracchi, nel quartiere Prati a Roma. Se non fosse stato per le telecamere all’ingresso della cancellata e per due antenne e una parabola sul tetto, poteva sembrare una delle tante palazzine liberty tipiche della zona. In realtà, era una sede dell’Agenzia dei Servizi Informazioni della Sicurezza interna.

    Il prefetto, dottor Antonio Giuliani, direttore dell’Agenzia, si rivolse all’autista.

    «Pino, per cortesia solleciti ancora la sostituzione di quest’auto, ha più di quindici anni, tra poco ci lascia a piedi, cade a pezzi.»

    «Già fatto, dottore, ho sollecitato diverse volte, ma mi hanno risposto che per quest’anno non c’è niente da fare, non ci sono soldi, dobbiamo tenerci questa.»

    «Non bastano le grane da risolvere, dobbiamo anche lottare contro la burocrazia interna. Proverò ancora a scrivere al ministero.»

    Il prefetto scese dall’auto, salì al terzo piano ed entrò nel suo ufficio.

    Il dottor Giuliani aveva alle spalle una brillante carriera da funzionario dello Stato. La direzione di questa sezione dei Servizi era l’ultimo incarico, in meno di un anno sarebbe andato in pensione.

    Da una tasca della giacca estrasse un sottile porta sigarette in metallo, prese una sigaretta e l’accese con un accendino d’argento con l’emblema della Repubblica, che teneva sulla scrivania, un regalo del Presidente della Repubblica, in occasione della sua nomina a prefetto, tanti anni prima.

    Sua moglie diceva che non doveva fumare, ma lui di tanto in tanto una sigaretta se la concedeva. Si sedette alla scrivania, prese il blocchetto con sopra gli appunti che si era annotato e li rilesse.

    Il sottosegretario, un politico che aveva conosciuto anni prima in una delle città di cui era stato prefetto e con cui aveva mantenuto discreti rapporti, lo aveva pregato di raggiungerlo presso il suo ufficio al ministero dello Sviluppo economico.

    Giuliani, più per cortesia che per altro, si era recato in mattinata.

    Il sottosegretario lo aveva accolto con cordialità e, terminate le formalità, gli illustrò il motivo della convocazione.

    «Deve perdonarmi, dottor Giuliani, se mi sono permesso di disturbarla, ho approfittato della nostra conoscenza, volevo parlare con lei di un caso che mi sta a cuore, seppure in modo non ufficiale. Vede, dottor Giuliani, René Gautier, un deputato francese del mio stesso orientamento politico, che ho conosciuto a Nizza, dove entrambi abbiamo un alloggio e dove ci rifugiamo appena abbiamo un po’ di tempo libero, mi ha contattato qualche giorno fa. Il fratello di questo mio amico, Paul Gautier, è stato trovato morto circa un mese fa, impiccato nella casa in cui abitava.»

    Il dottor Giuliani estrasse da una tasca un blocchetto e iniziò a prendere degli appunti.

    Il sottosegretario attese che fosse pronto e riprese il suo racconto. «La polizia e la magistratura locali hanno archiviato il caso come suicidio. Ora, il mio amico René non è affatto convinto che il fratello si sia suicidato e si è rivolto a me, non solo per l’amicizia che ci lega, ma per il fatto che Paul era il direttore di una grande fonderia nei pressi di Clermont-Ferrand, sede, come lei ben sa, della famosa fabbrica di pneumatici Michelin.» Fece una breve pausa e proseguì. «La fonderia è la Fond-Tec France, un’importante filiale di una ditta italiana, la Fond-Tec S.p.A. che ha sede a Collegno, nella cintura torinese. René ha incaricato un investigatore di fiducia per indagare a fondo sulla morte di suo fratello e mi ha chiesto se anche io potessi in qualche modo attivare un’indagine qui in Italia. Visto il ruolo che suo fratello occupava nella Fond-Tec, ha il sospetto che la sua morte in qualche modo sia legata alla ditta. Ecco il motivo per cui mi sono rivolto a lei.»

    Prima di rispondere, il dottor Giuliani restò in silenzio per qualche istante.

    «La sua, onorevole, è una richiesta che esula dalle nostre competenze, come lei sa l’Agenzia opera per la sicurezza interna. Questa, se ho capito bene, sarebbe un’indagine informale, tra l’altro di competenza della polizia investigativa, e sotto l’aspetto formale non vi è alcuna richiesta ufficiale da parte francese per aprire un’inchiesta.»

    «Lei ha perfettamente ragione, dottor Giuliani, in realtà io confidavo in una vostra ricerca d’informazioni sulle attività della Fond-Tec. Come sottosegretario, ho la delega al Commercio internazionale, pensavo di chiederle un’informativa sulle nostre ditte che hanno interessi all’estero e le eventuali ricadute sulla sicurezza nazionale, potrebbe essere una copertura per consentire di avviare un’indagine riservata. Nell’Agenzia che lei dirige vi sono gli agenti investigativi più capaci e riservati di cui disponiamo.»

    Giuliani rimase perplesso alle parole del sottosegretario e si sistemò la giacca.

    «Se la sua è una richiesta formale e in presenza di un’istanza scritta di un componente del Governo, vedrò come agire. Siamo al limite delle nostre competenze. Ma le prometto che qualche cosa sarà fatta.»

    «Non avevo dubbi che mi avrebbe aiutato, le raccomando discrezione e la ringrazio.»

    «Non sarà un’indagine semplice, avremo bisogno di molto tempo, partiamo da zero senza alcun elemento a disposizione, non le garantisco risultati a breve.»

    «Inizi al più presto possibile e mi tenga informato.»

    Il sottosegretario si alzò e lo congedò.

    Giuliani, seduto alla scrivania, continuava a rigirare tra le mani il blocchetto con gli appunti. Questo caso era una grossa seccatura. Non vi era una base da cui partire, le informazioni ricevute erano generiche. Tra l’altro, tutti i migliori uomini dell’Agenzia erano occupati in operazioni molto più importanti. Non aveva nessuno con un minimo d’esperienza a cui affidare un’indagine che, già immaginava, non avrebbe prodotto alcun risultato. Ormai si era impegnato ed era troppo tardi per tornare indietro. Decise di pensarci.

    Guardò l’ora, aveva un appuntamento a pranzo con alcuni colleghi funzionari.

    Uscì dall’Agenzia e si avviò a piedi verso il vicino ristorante, la Taverna de’ Gracchi, dove l’attendevano.

    Come sempre, essendo clienti abituali, furono sistemati nella saletta riservata alla destra dell’ingresso, dove potevano parlare in tranquillità, lontano da occhi indiscreti.

    Quelle riunioni conviviali si ripetevano con cadenza regolare e avevano lo scopo di scambiare informazioni riservate di lavoro, senza trascurare l’ottima cucina che il ristorante offriva.

    Dante, lo storico proprietario ormai in pensione, si affacciò alla saletta. La sua presenza al termine del pranzo era una consuetudine, lo invitarono a sedersi con loro e Dante accettò di buon grado.

    Sollecitato da tutti, iniziava a raccontare della sua grande passione, la squadra della Lazio. S’infervorava nel ricordare il grande ed eccentrico Chinaglia, artefice con una squadra di campioni della vittoria dello scudetto del 1974 sotto la guida di Maestrelli, il mitico allenatore di quel fantastico gruppo, che sovente era stato ospite del ristorante con i suoi giocatori.

    Terminato il simpatico siparietto, tutti si alzarono e si salutarono.

    Uscito dalla taverna, Giuliani si sentì chiamare.

    Giulio Mariani, un collega funzionario del ministero della Difesa lo raggiunse. «Aspettami, Antonio, faccio un pezzo di strada con te. Scusa, ma volevo chiederti di Matteo Ferri, il figlio del generale Ferri, ho saputo che da qualche mese è stato destinato alla tua Agenzia.»

    «Ferri? Certo, Matteo Ferri, ma tutti lo chiamano Teo. Non sapevo fosse il figlio del generale. Suo padre dovrebbe già essere in pensione da qualche anno. Adesso che me lo chiedi, lo ricordo molto bene, è un bel ragazzo atletico, ha il grado di tenente dei carabinieri e avrà quasi una trentina d’anni. È da poco tempo che è in Agenzia, l’abbiamo assegnato alle comunicazioni, un ruolo molto delicato.»

    «Ascolta, Antonio. Teo Ferri è un ottimo elemento, è stato addestrato nei gruppi di intervento speciale e ha partecipato ad alcune missioni all’estero, è destinato a fare carriera nell’Arma, cerca di valorizzarlo. Non te ne pentirai, e guarda che la mia è un’iniziativa personale, non è una raccomandazione. Suo padre non mi ha mai parlato del figlio. Io credo in quel ragazzo e tra qualche anno vorrei averlo al ministero della Difesa. Ti saluto.»

    Rientrato in sede, al terzo piano nel suo ufficio, Giuliani stava guardando dalla finestra. Tra gli alberi del piccolo giardino di fronte, s’intravedeva il Tevere e in lontananza la sagoma del Pincio sopra Piazza del Popolo. In realtà, non ammirava il panorama, ma era assorbito dai suoi pensieri. Con la linea interna chiamò la sua segretaria.

    «Per cortesia, Nadia, chiami il tenente Ferri e gli dica di venire nel mio ufficio.»

    Con l’auto che aveva noleggiato, Matteo Ferri percorse la strada provinciale delle Valli di Lanzo che, per dodici chilometri partendo dalla Venaria Reale, fiancheggia il muro di cinta del parco della Mandria. Al termine, sulla rotonda girò a sinistra e fece ancora un po’ di strada, sempre costeggiando il muro del parco.

    L’ingresso del golf Torino-La Mandria era segnalato da una targa a lato di un cancello. Un breve vialetto lo portò nel piazzale vicino alla club house, dove parcheggiò l’auto.

    All’interno, il locale era molto bello e ben arredato. Se ne ricavava subito un’impressione di raffinata eleganza. Chiese a un cameriere di poter parlare con il responsabile del campo. Un signore di mezza età si presentò poco dopo e con una certa diffidenza.

    «Buongiorno, cosa desidera?»

    Teo non ci fece caso, si presentò e gli mostrò la sua tessera di socio del Circolo Golf Acquasanta di Roma.

    Il responsabile cambiò subito atteggiamento e sorrise. «Cosa possiamo fare per lei?»

    «Sono a Torino per lavoro, volevo approfittare della giornata libera per visitare il vostro famoso circolo, noto a tutti gli appassionati di golf, e per fare diciotto buche, naturalmente pagando il green.»

    «Ben volentieri, siamo lieti di ospitarla. Devo procurarle qualche cosa?»

    «La ringrazio, ho con me la sacca dei ferri e l’abbigliamento, avrei necessità solo di un luogo per cambiarmi.»

    «Può usare uno dei nostri spogliatoi, oggi è martedì e non ci sono molti soci. Se si affretta, tra poco tre nostri tesserati partiranno dal percorso blu, cercavano un quarto per fare una sfida a coppie, chiedo se lei può aggregarsi.»

    «Ottimo, mi cambio e, se non hanno nulla in contrario, parto con loro.»

    Un quarto d’ora dopo si presentava alla partenza della prima buca, dove lo attendevano tre distinti signori in tenuta da golf. Aveva affittato il carrello per la sacca, anche due di loro lo avevano, mentre il terzo, quello che sembrava il più anziano, portava solo una leggera sacca a tracolla.

    «Signori, vi ringrazio dell’opportunità che mi offrite per provare questo percorso di diciotto buche in vostra compagnia, sono un mediocre golfista, ho un 18 di handicap.»

    Il più anziano dei tre gli sorrise. «Niente male, anche noi siamo al suo livello. Normalmente al martedì siamo sempre in quattro, ma all’ultimo momento il nostro quarto compagno ci ha avvertito che aveva degli impegni, fortunatamente è arrivato lei. Comunque, questa è solo una sfida tra gentiluomini. Chi perde paga l’aperitivo per tutti.»

    «Andata. Ma permettete che mi presenti, mi chiamo Matteo Ferri, Teo per tutti, collaboro con il ministero dello Sviluppo economico a Roma. Con chi ho il piacere di giocare?»

    Un signore distinto e longilineo di circa sessant’anni allungò la mano. «Notaio Paolo Bertani.»

    L’uomo accanto al notaio, anch’egli sulla sessantina, accese la seconda sigaretta. Doveva essere un accanito fumatore. «Avvocato Luciano Porcù, piacere.»

    Il più anziano dei tre si avvicinò a Teo. «Giovanni Bonotto, sono un semplice industriale.» Bonotto aveva un marcato accento piemontese. «Lei, monsù Ferri, che è molto giovane, farà coppia con me che sono il più vecchio. Possiamo iniziare.»

    Il cielo era grigio, tipico di una giornata autunnale, e una leggera foschia sul campo, dovuta all’umidità della notte, sfumava le sagome delle persone e i contorni del campo.

    A turno piazzarono la propria pallina sul tee e iniziarono il percorso.

    Teo notò che Bonotto nella piccola sacca portava pochi ferri. «Signor Bonotto, lei ha solo un legno 5, un paio di ferri e il put. Come mai?»

    «Se uno sa giocare, questi sono sufficienti. Non siamo mica in gara, neh.»

    In effetti, nonostante l’età, con il legno 5 e al primo colpo fece atterrare la pallina quasi a cento metri di distanza, dritta al centro del fairway.

    Al termine delle diciotto buche, Teo aveva lo score peggiore, perciò pagò gli aperitivi a tutti.

    «Tocca a me, sono andato male, l’unica scusa è che non conoscevo il percorso.»

    Bonotto gli diede una pacca sulla spalla. «Nessuna scusa, andiamo a prenderci l’aperitivo, neh

    Decisero di fermarsi alla club house per fare uno spuntino. Il proposito di un aperitivo leggero fu subito disatteso.

    Il notaio Bertani fu il primo a infrangere le sane intenzioni, seguito a ruota dall’avvocato Porcù, a cui si aggiunsero anche loro due.

    Finirono per mangiare dell’ottima battuta di carne cruda, condita dal notaio in persona, per proseguire con gli agnolotti del plin al sugo d’arrosto e due fette di morbido brasato, il tutto accompagnato da due generose bottiglie di Nebbiolo Borgogno di cinque anni.

    Terminato il pasto, si appartarono in una saletta riservata per il caffè e le immancabili grappe.

    Bonotto si accese mezzo toscano. «Qui ci lasciano fumare.»

    Teo si sporse verso il signor Giovanni. «Signor Bonotto, mi racconti qualcosa di lei, so che ha una grande azienda, una fonderia, sono interessato.»

    «Senta un po’, lei che viene da Roma e lavora per un ministero, non sarà mica uno delle tasse in incognito, neh

    «Non abbia timore, signor Bonotto, il mio è un noioso lavoro per raccogliere dati sulle aziende italiane che si occupano di importazione ed esportazione, è vero che sono anche un tenente dei carabinieri, ma non mi sono mai occupato di tasse.»

    «Stavo scherzando, signor Ferri, gioca troppo bene a golf per essere uno delle tasse.»

    «Le racconto in breve, per non annoiare i nostri amici che conoscono già tutti i segreti della ditta. Loro sono da sempre il notaio e l’avvocato miei e dell’azienda, ci conosciamo da tanti anni. Come lei saprà, la ditta è la Fond-Tec Spa.

    «La Fond-Tec, in realtà, fu fondata da mio fratello Piero. I miei genitori erano dei poveri immigrati veneti, arrivati a Torino nei primi anni Venti del secolo scorso. Si stabilirono in una cittadina della cintura di Torino, a Collegno. Ebbero cinque figli, tutti maschi, tutti nati qui in Piemonte.

    «Piero il primo nacque nel ’23, io sono l’ultimo nato. Era una testa calda, all’inizio della Seconda guerra mondiale si arruolò nella prima divisione di Paracadutisti, La Folgore, appena costituita. Aveva la passione del volo, gli piacevano gli aerei e i motori.

    «Fu per questi motivi che conobbe Vittore Catella, il senatore. Finita la guerra, si ritrovarono al campo volo di Collegno e Catella prese Piero in grande simpatia. Erano entrambi due teste matte. Uno, un vero signore elegante e istruito, un ingegnere decorato con due medaglie d’argento e tre di bronzo al valor militare, un pilota e un collaudatore eccezionale.

    «Pensi che aveva partecipato, come pilota di aerei, alla guerra d’Etiopia, alla guerra di Spagna e nel ’41 con gli aerei italiani al bombardamento di Gibilterra.

    «L’altro, mio fratello Piero, ottimo meccanico, aveva il brevetto di volo, ma soprattutto conosceva a memoria i motori degli aerei che Catella collaudava per conto della Fiat. E lui ci aiutò sempre, anche quando diventò presidente della Juventus e fu senatore per molti anni del Partito Liberale. A Catella dobbiamo una grande riconoscenza.

    «È grazie a lui che nacque la Fond-Tec. Piero aprì una piccola fonderia d’alluminio. All’inizio era solo una boita, come diciamo noi da queste parti. Poi, poco alla volta, arrivarono gli ordini dalla Fiat. Fondevamo le testate in alluminio dei motori a quattro tempi. Da quel momento in poi, la Fond-Tec non cessò mai d’ingrandirsi. Oggi abbiamo stabilimenti in Sud America e in Francia, fusione e pressofusione, sempre in alluminio. In ogni motore almeno una delle parti in alluminio arriva da una nostra azienda.

    «Piero è morto qualche anno fa, era un grande lavoratore, ma non è mai stato un buon manager, io già da quarant’anni ho preso le redini dell’azienda. Il cuore resta qui a Collegno, dove è nata la fonderia e dove ancora oggi ho il mio ufficio.»

    Finite le grappe, il notaio Bertani si alzò. «Abbiamo ancora tutto il pomeriggio, io ho degli appuntamenti in studio.»

    Porcù vuotò il suo bicchierino e prese una sigaretta. «Io domani ho un’udienza in Tribunale e devo ancora prepararmi.»

    Si alzò anche Bonotto e si avvicinò a Teo. «Allora andiamo, voglio passare in azienda. Signor Ferri, o devo dire tenente Ferri, è stato un piacere conoscerla, mi telefoni e venga a trovarmi quando vuole, le farò visitare la fonderia.»

    Sul piazzale l’attendeva l’autista con la vecchia Maserati, Bonotto salì in auto e, mentre si allontanava, salutò ancora con un cenno della mano.

    Dopo uno scambio di indirizzi, anche Porcù e Bertani salutarono, salirono in auto e si allontanarono.

    Teo, rimasto solo, indugiò un attimo prima di salire in auto. In quei tre c’era qualcosa di strano che non sapeva spiegarsi. Non ci pensò più, poi sorrise soddisfatto e si avviò verso Torino.

    Alla fine aveva raggiunto il suo scopo, aveva conosciuto il proprietario della Fond-Tec. Un primo passo per iniziare le indagini.

    Alcuni giorni prima, Ferri era stato convocato dal dottor Giuliani, direttore del dipartimento, nel suo ufficio al terzo piano.

    «Tenente Ferri, vorrei affidarle un caso che secondo me è una grossa seccatura. Però ho delle pressioni politiche. Si tratta della morte di un tale Paul Gautier, avvenuta da circa un mese in Francia, archiviata dalla polizia locale come suicidio. La cosa sarebbe finita lì, se il morto non fosse il fratello di un politico francese, amico di un nostro sottosegretario. Tra l’altro, questo Gautier era il direttore di una fonderia italiana nei pressi di Clermont-Ferrand. La fonderia è la Fond-Tec France, la più importante filiale della casa madre italiana, la Fond-Tec di Collegno nei pressi di Torino. Questi sono i motivi per i quali il sottosegretario mi ha chiesto di aprire un’indagine riservata. Indagine discreta, questo è il termine che ha usato.» Fece una breve pausa per riordinare le idee e proseguì. «Il politico francese è convinto che non si tratti di suicidio e che dietro a questa vicenda ci sia qualche cosa di poco chiaro, legato alla Fond-Tec. Visto che la ditta è italiana, ha pensato bene di informare il suo amico sottosegretario. Capisce, Ferri, che in questo momento l’unico in grado di seguire questo caso è lei da solo, non posso fornirle alcun supporto, ho tutti gli uomini impegnati.» Prese un fascicolo sulla scrivania e lo passò a Teo. «In questo dossier ci sono tutte le scarne informazioni di cui disponiamo. La polizia francese, se necessario, collaborerà, c’è anche il nome di un investigatore che lavora per il fratello del morto, potrà contattare anche lui. Le consiglierei di iniziare da Torino, il prefetto dottor Malabayla è informato del suo arrivo e aspetta una sua visita, le fornirà tutta l’assistenza possibile.»

    Teo Ferri rimase in silenzio a riflettere, si allungò e prese il dossier. «La ringrazio per l’incarico. Quale libertà di movimento posso avere?»

    «Lei, nell’ambito di questo caso, ha carta bianca. Risponderà solo a me, con prudenza e discrezione, ovviamente.»

    «Partirò per Torino tra due giorni.»

    «Vada, Ferri, e buon lavoro, prima ci togliamo questa grana meglio sarà.»

    Due giorni dopo, Teo Ferri saliva le due rampe dell’ampio scalone che porta al primo piano della prefettura in piazza Castello a Torino.

    L’accolse un usciere. «Prego, tenente, l’accompagno, il signor prefetto l’attende.»

    Quando entrò nell’ampio studio, arredato in sobrio stile sabaudo, il dottor Malabayla si alzò dalla scrivania e gli andò incontro.

    «Buongiorno, tenente, si accomodi.» E indicò due poltroncine poste vicino a un basso tavolino. «Gradisce un caffè?»

    «Volentieri, grazie.»

    Il prefetto fece una breve telefonata, poi andò a sedersi accanto Teo. «Il mio collega Giuliani, direttore del suo dipartimento, mi ha informato del caso che state seguendo, pregandomi di fornirle tutto l’aiuto possibile. Mi dica, da dove intende iniziare?»

    «Vorrei conoscere il proprietario della Fond-Tec, ma non so come muovermi per non destare sospetti.»

    «Il proprietario, come già saprà, è il signor Giovanni Bonotto. Un uomo di settantanove anni, ottima persona e manager lungimirante che si è fatto da solo. L’azienda grazie a lui è tra le più importanti a livello mondiale nel suo settore. Un fiore all’occhiello per l’industria italiana. Anche se Bonotto non ha mai voluto tradire le sue radici locali, mantenendo la sede qui in Piemonte.»

    «Se riesco a conoscerlo, poi vedrò come agire.»

    Un commesso entrò e servì i caffè posandoli sul tavolino in mezzo a loro.

    «Senta, tenente Ferri, sapevo che questo sarebbe stato il primo passo da compiere. Mi sono permesso di organizzarle un incontro che sembrerà casuale. Ho saputo dal suo direttore che lei è un eccellente giocatore di golf, questa è un’ottima opportunità.» Malabayla sorrise divertito.

    Teo cercò di nascondere lo stupore. «Non la seguo, è vero, gioco abbastanza bene, anche se è da un po’ di tempo che non pratico.»

    «Ascolti, tenente, domani alle 9.30 precise, come tutti i martedì, Bonotto sarà al Golf Club La Mandria insieme a due amici, l’avvocato Porcù e il notaio Bertani, per fare le solite diciotto buche. Ci sarà anche lei, sarà facile aggregarsi a loro. Poi vedrà come comportarsi.»

    «Scusi, signor prefetto, ma come fa a essere sicuro che proprio domani a quell’ora saranno al Golf?»

    «Perché ci vanno tutti i martedì a quell’ora, poi perché il quarto dovrei essere io.»

    «A parte la brutta figura che farò sul campo, detta così direi che posso provare.»

    Il dottor Malabayla rise. «Per darle un minimo di copertura e di credibilità, mi sono fatto spedire una tessera a suo nome di socio del Golf Club Acquasanta di Roma, che, ovviamente, non potrà usare per il futuro. Il mio autista l’accompagnerà in un negozio specializzato dove troverà una sacca completa e l’abbigliamento adatto, tutto da restituire in buone condizioni, mi raccomando.»

    Teo si alzò dalla poltrona. «Il suo aiuto è prezioso, non speravo in tutto questo.»

    «Se le fa piacere saperlo, le dico che ho grande stima di suo padre, il generale, abbiamo collaborato in molte occasioni. Buon lavoro, Ferri, e mi tenga al corrente.»

    «La ringrazio, dottor Malabayla, mi sa che ci vedremo ancora.»

    Capitolo II

    Ubaldo uscì dalla doccia, prese l’accappatoio e iniziò ad asciugarsi. Guardò l’ora, erano da poco passate le nove di sera. Aveva ancora un’ora di tempo. Si vestì con cura, indossò un paio di Dockers neri con righe bianche sottilissime, quasi invisibili, una camicia classica bianca, una giacca leggera scura e un paio di mocassini. Nonostante i cinquantacinque anni, ben portati, era ancora un uomo interessante. Un viso simpatico, un bel sorriso, gli occhi chiari e due radi baffetti, l’aria di uno che ci sapeva fare con le donne.

    Non era tranquillo, sapeva che a lui e ai suoi amici restava poco tempo, qualche settimana, forse pochi giorni, poi tutto sarebbe precipitato.

    Un vecchio amico

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