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L'uomo che visse nello spazio
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L'uomo che visse nello spazio
E-book302 pagine3 ore

L'uomo che visse nello spazio

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Info su questo ebook

La vita ordinaria di Michael viene sconvolta da una serie di eventi che lo portano a bordo di un'astronave aliena, dove scopre di essere l'unico umano tra creature di mondi lontani.

Michael si ritrova coinvolto in una fuga disperata dai Protettori, esseri creati per mantenere l'ordine ma ora corrotti dal potere.

Mentre lotta per comprendere la sua nuova realtà, deve affrontare le proprie paure, scoprire alleati insperati e cercare una via di ritorno a casa, attraversando mondi e culture che sfidano l'immaginazione.

L'opera porta i lettori in un viaggio senza precedenti attraverso lo spazio e l'anima, ponendo interrogativi universali e offrendo spunti di riflessione sull'esistenza, la libertà e il nostro posto nell'universo.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2024
ISBN9791222736228
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    Anteprima del libro

    L'uomo che visse nello spazio - Michele Scalini

    Inspiegabili eventi

    In certe occasioni ci soffermiamo a pensare a quegli eventi che ci hanno condotto ad un determinato momento della nostra vita.

    E mentre ripensiamo alle nostre scelte, alle persone incontrate che riteniamo ci potrebbero aver influenzato magari non volontariamente, ci chiediamo come sarebbe andata se non avessimo preso certe decisioni o se non avessimo ascoltato quelle persone.

    Nonostante quanto detto, nel mio caso specifico non avevo ascoltato nessuno, né tanto meno avevo preso alcuna decisione o, almeno, non lo avevo fatto all’inizio.

    Tutto avvenne, diciamo per caso, senza che qualcuno o qualcosa mi avesse proposto una scelta.

    Tutto ciò che accadde in una ordinaria giornata di lavoro e quelli che accaddero nei giorni a seguire furono eventi dovuti al caso, anche se in parte, fui io stesso, con la mia innata curiosità, a cercare di capire cosa stesse accadendo.

    Ricordo che quel giorno era un normale mercoledì mattina.

    Mi svegliai presto, come ero solito fare.

    Finita la colazione uscii di casa e presi la macchina per andare a lavorare, come facevo ogni giorno da diversi anni.

    Dal cielo mattutino pensai subito che quella sarebbe stata una splendida giornata di giugno.

    Splendida giornata, riferita alle condizioni meteo non a tutto il resto, naturalmente.

    Come ogni mattina arrivai in ufficio circa venti minuti prima dell’orario di inizio delle attività.

    Era mia abitudine arrivare così presto a discapito di altri colleghi che arrivavano sempre puntuali al centesimo di secondo.

    Ovviamente non lo facevo per ingraziare i miei superiori, come molti avrebbero pensato, ma lo facevo per evitare il traffico mattutino e per concedermi una tazza di caffè prima di immergermi nel lavoro.

    Finito il mio consueto rituale mattutino, che comprendeva un caffè accompagnato da una sigaretta fumata all’aperto poco distante dal parcheggio dei dipendenti, entrai nuovamente nell’edificio e mi incamminai, intanto che salutavo alcuni colleghi, verso la mia postazione di lavoro.

    Raggiunta la mia scrivania, accesi il computer, sistemai le mie cose e mi accomodai sulla mia poltrona.

    Trovavo quella poltrona comoda solamente per la presenza dei braccioli.

    Infatti, il sedile e lo schienale non erano molto imbottiti, il che andava bene, ma dopo qualche ora che mi trovavo seduto lì sentivo il bisogno di alzarmi e muovermi.

    A volte, nelle mie riflessioni, mi chiedevo se fosse quello il reale motivo per cui sentivo il bisogno di alzarmi dalla mia postazione, ma poco importava.

    Sistematomi sulla poltrona, e con il computer avviato, pronto all’uso, appoggiai la mano destra al mouse e mossi il puntatore per aprire il programma della posta elettronica aziendale.

    Nel frattempo, avviai anche il programma per la posta personale.

    Avevo preso da pochi anni l’abitudine di controllare la mia posta personale durante il lavoro.

    Nonostante ricevessi solamente posta promozionale contenente prodotti che mai avrei accettato di acquistare, lo facevo per guadagnare più tempo per il dopo lavoro, così da averne di più per dedicarmi ai miei hobby.

    Dopo anni di duro lavoro, avevo imparato che il tempo libero non era mai abbastanza e che sentivo il bisogno di ritagliarne sempre il più possibile per goderne a pieno.

    Controllai la posta aziendale.

    Trovai un paio di comunicazioni da parte di alcuni clienti e una proveniente dal mio capo ufficio che mi chiedeva una relazione riguardo ad alcune attività che avevo svolto nel mese precedente.

    Sapevo di quella relazione e ci stavo lavorando, anzi l’avrei consegnata proprio quel giorno, ma a lui piaceva farmi sentire il suo fiato sul collo, pensava di intimorirmi.

    Ma non ci riusciva affatto.

    Anzi, in alcune occasioni, come quella che mi trovai a vivere quel giorno, quei suoi modi mi facevano solo sorridere.

    Così, cancellai la posta del capo ufficio, senza rispondere al messaggio della conferma di lettura e andai a leggere la posta dei clienti.

    Lessi con attenzione quanto contenuto in quella lettera.

    Non era niente di importante, come capitava spesso.

    Il cliente lamentava dei malfunzionamenti riguardo ad alcuni prodotti, che non aveva fornito la mia azienda e ai quali non potevamo rispondere.

    Ricordai che avevo più volte segnalato loro di contattare il servizio clienti dei fornitori stessi di quei prodotti, senza interpellare noi, visto che avremmo dovuto comportarci allo stesso modo facendo perdere tempo a noi e, soprattutto, a loro.

    Ma certe volte era come parlare al vento e dovevo rassegnarmi all’idea di ricevere quelle lamentele.

    Quel giorno, che era iniziato anche piuttosto bene, decisi di non rispondere a nessuno e cancellai definitivamente la posta.

    Presi, così, la relazione e decisi di rileggerla, prima di continuare a scrivere le mie note.

    La rilessi con calma e alla fine appoggiai le mani sulla tastiera e iniziai a scrivere la parte conclusiva del testo.

    Mi ero immerso del tutto in quella stesura che a malapena mi accorsi dei colleghi che erano appena arrivati e stavano prendendo posto intorno a me.

    Non diedi molto peso a loro, mi limitai a salutarli con educazione, sollevando le mani senza entrare in inutili conversazioni.

    «Hai visto l’email?» mi chiese il mio capo ufficio che era appena entrato nel mio ufficio senza neanche salutare.

    «Sto per finire… avrai la tua relazione per pranzo» risposi senza distogliere lo sguardo dalla tastiera.

    Lo sentii sbuffare dietro le mie spalle con soddisfazione, con quel suo modo di fare per farmi intendere che mi aveva in pugno e che poteva fare di me qualsiasi cosa egli volesse.

    Peccato per lui che non era così.

    Lavoravo da diversi anni, forse troppi, e avevo raggiunto quella fase in cui non ci si lasciava intimorire da superiori o situazioni difficili, anzi si affrontava il tutto con una scrollata di spalle, senza dar troppo peso a quelle sceneggiate che si potevano tranquillamente evitare.

    Prossimo alla fine della stesura di quel testo, spostai l’occhio verso l’orologio in basso a destra del monitor del computer, e vidi che era quasi l’ora di concedermi una pausa.

    Rimasi a fissare quell’orologio per alcuni istanti, quando allungai la mano verso il mio telefono, e verso il pacchetto di sigarette, decidendo che non era mai troppo tardi per concedersi una pausa.

    Così, mi alzai in piedi e lasciai l’ufficio senza dire niente agli altri colleghi che rimasero a lavorare.

    Attraversai il corridoio e mi ritrovai nella stanzina dove era stata alloggiata la macchinetta del caffè.

    Collegai il telefono alla macchinetta e scelsi un caffè espresso, che venne preparato all’istante e servitomi in un odioso bicchiere di carta.

    Bevuto il caffè, lasciai scivolare il bicchiere all’interno del cestino e lasciai lo stanzino per poi attraversare l’officina dirigendomi verso il punto dedicato ai fumatori, posto al di fuori dell’edificio.

    La traversata dell’officina fu accompagnata dallo sguardo di alcuni colleghi e saluti da parte di altri, colorati con battute ironiche, che mi facevano sorridere, ma da sempre trovavo banali e fuori luogo.

    Spesso rispondevo a tono senza dilungarmi troppo, mentre altre volte accennavo un timido sorriso per assecondarli, dipendeva dalla giornata.

    Uscito dall’edificio, presi il pacchetto di sigarette dalla tasca e, mentre mi incamminavo verso il punto fumo, ne presi una portandola alla bocca.

    Stavo per accendere quella sigaretta, quando percepii che qualcosa intorno a me non andava.

    I soliti rumori, che si udivano provenire dall’interno dell’edificio, non c’erano più.

    Neanche la piazzola asfaltata sotto i miei piedi c’era più, come non c’erano più le auto parcheggiate, né il piccolo prato che si trovava sul fianco del vialetto.

    Osservai con attenzione l’ambiente che mi circondava cercando di capire se stessi sognando oppure se stessi vivendo quell’evento realmente.

    Era uno spazio stretto e lungo, un corridoio per farla breve, con le pareti bianche che sembravano fatte di metallo.

    Allungai lo sguardo verso il fondo del corridoio e d’un tratto vidi delle figure muoversi.

    Spaventato da quella visione, feci un passo indietro e tutto scomparve proprio come era comparso.

    Quella strana visione scomparve e ritornarono i rumori, le auto parcheggiate, il vialetto asfaltato e il prato.

    Non riuscivo a comprendere quel che stava accadendo, né tanto meno ciò che era accaduto pochi istanti prima.

    Mi munii di coraggio e feci un passo avanti per vedere se fosse accaduto qualcosa.

    Poi feci un altro passo ancora.

    Non ottenendo risultati, tornai al punto di partenza e feci un passo di fianco.

    Tentai più volte, in varie direzioni, ma ciò che vidi pochi minuti prima non apparve più.

    «Hai perso qualcosa?» mi sentii chiedere da dietro le spalle.

    Mi voltai dietro di me e vidi un collega che stava accendendo una sigaretta mentre mi osservava incuriosito da quel comportamento insolito.

    Rimasi a fissarlo senza dire niente per alcuni istanti.

    «No, niente» risposi tornando indietro con lo sguardo.

    «Almeno… credo di non aver perso niente» feci in seguito.

    «Stai bene?» chiese lui avvicinandosi a me.

    «Hai uno sguardo strano… insolito» aggiunse mantenendo lo sguardo rivolto verso di me.

    «Sì, certo che sto bene!» risposi mentre accendevo la sigaretta che ancora avevo in bocca.

    «E tu? Come va il lavoro?» chiesi per cambiare discorso.

    In quel momento ero sovrappensiero e non mi resi conto di avergli fatto quella domanda.

    Lui colse la palla al balzo e iniziò ad eruttare dalla bocca un fiume di parole che mi travolsero senza lasciarmi una via di fuga.

    Mi raccontò tutto del suo lavoro, dalle telefonate coi clienti, alle sue attività principali e, purtroppo, anche dei suoi rapporti con il suo superiore.

    Da un primo momento mi pentii di avergli fatto quella domanda, ma mentre lui parlava senza sosta, smisi di ascoltarlo e la mia mente mi riportò agli eventi che si erano verificati prima del suo arrivo.

    Realizzai che mi trovavo in un corridoio, dalle pareti metalliche e leggermente ricurvo.

    Il punto in cui avevo visto qualcuno camminare, doveva essere una specie di stanza che si allargava alla fine di quel corridoio stesso.

    In quel momento era tutto così limpido e chiaro, nonostante non riuscissi a capire come fosse potuto accadere.

    «Mi stai ascoltando o stai pensando alle tue cose come al solito?» mi domandò interrompendo la sua narrazione.

    «Certo che ti sto ascoltando» dissi tornando in me.

    «Ora, scusami, devo tornare al mio lavoro» feci indicando la porta d’ingresso della nostra azienda.

    Spensi la sigaretta nell’apposito contenitore e me ne andai lasciandolo solo, senza che dicesse altro.

    Percorsi il tragitto che mi conduceva alla mia scrivania ripensando a quella visione.

    Era mia intenzione mantenerla limpida in testa pensando che avrei trovato altri dettagli che mi avrebbero permesso di capire di cosa si fosse trattato.

    «Michael! La relazione?» il mio superiore, che sicuramente mi stava cercando, mi venne incontro con quella domanda.

    «Arriva… arriva» risposi indifferente e disturbato da quei suoi modi da Gestapo.

    «Prima di andare! Ti ricordo che la pausa caffè è di dieci minuti, non mezz’ora come fai tu!» disse ad alta voce permettendo a tutti di udire le sue parole.

    Come facevo in situazioni simili, non diedi peso alle sue parole e continuai a camminare per poi raggiungere la mia scrivania.

    Non capivo perché doveva sempre ricordarmi le sue stupide regole.

    In fondo, ero uno dei pochi a rispettare le sue tempistiche e a dimostrargli una certa fiducia.

    Ma in quel momento avevo altro a cui pensare e non gli dedicai neanche uno sguardo, né tanto meno una risposta.

    Con quel ricordo ancora fresco nella mia memoria, decisi di scriverlo sul computer per poi inviarlo alla mia posta personale con l’idea di rileggerlo dopo il lavoro con calma e lontano dai miei colleghi.

    Trascorsi il resto della mattinata a compilare quella relazione per il mio superiore.

    Non fu affatto semplice lavorarci, la mia mente continuava a tornare a quella visione avvenuta ore prima.

    Tentai, quindi, di concentrarmi sul mio lavoro e lo terminai in meno di un’ora.

    Senza rileggerlo affatto, lo inviai al mio superiore e chiusi definitivamente quella faccenda permettendomi di far ritorno alle mie solite attività.

    Giunta l’ora di pranzo, presi le mie cose e lasciai la scrivania per dirigermi verso la mia auto che mi aspettava nel parcheggio.

    Uscito dall’edificio, indossai gli occhiali da sole e chiusi con delicatezza il portone dietro le mie spalle.

    Mi guardai intorno mentre mi dirigevo alla macchina e vidi altri colleghi che stavano uscendo per andare a pranzo dirigendosi alle proprie auto.

    Li ignorai per evitare di sentire le loro solite battute del caso.

    Quando mi trovai a pochi metri dalla macchina, mentre rovistavo nelle tasche dei pantaloni per trovare le chiavi, avvenne di nuovo quella visione.

    Senza poterlo spiegare, come accadde ore prima, mi ritrovai in un posto completamente diverso da quello in cui avrei dovuto trovarmi.

    Era una stanza con pareti metalliche bianche.

    Vidi che c’era un letto sulla mia destra, ma senza coperte o lenzuola, ma con un solo cuscino di forma cilindrica.

    Mentre sulla mia sinistra c’era una specie di porta, ma senza maniglia, aveva solo un pannello elettronico illuminato posto sul suo fianco, sulla parete.

    Allungai lo sguardo verso quel pannello e vidi che c’erano dei caratteri stampati che non avevo mai visto prima.

    Presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni e scattai una foto di quel pannello.

    Nel frattempo, udii dei rumori provenire dall’esterno di quella porta.

    Sembra un rumore di passi di qualcuno che si stava avvicinando.

    Spaventato da quei rumori, feci dei passi indietro e tornai ad avere di fronte ai miei occhi la mia auto nel parcheggio dell’azienda.

    Mi guardai intorno per qualche istante prima di accendere lo schermo del telefono per guardare quella foto fatta durante quell’esperienza.

    Osservai con attenzione quei caratteri che erano composti da tratti e punti.

    Vedendoli, mi venne alla mente il codice morse.

    Così, abbandonai l’idea di andare a pranzo e mi catapultai alla mia scrivania, al mio computer.

    Feci una ricerca in rete per trovare il codice morse e confrontai i vari caratteri immortalati sul mio telefono con quelli venuti fuori dalla ricerca.

    Con delusione mi accorsi che non trovai alcuna similitudine.

    Quelli della foto non somigliavano a nessuno di quelli trovati.

    Il mistero si infittiva.

    Come nell’altra occasione, presi appunti di quell’esperienza descrivendo ciò che avevo visto e inviai il tutto alla mia posta elettronica personale.

    Non contento, decisi di effettuare altre ricerche in rete.

    Andai sul più noto motore di ricerca e mi soffermai a pensare cosa avrei dovuto cercare.

    Non essendo sicuro di quello che avevo vissuto, non avevo idea di come descriverlo, non sapevo quali termini utilizzare per facilitare la ricerca.

    Rimasi parecchi minuti ad osservare il cursore che lampeggiava sul campo di inserimento del modulo di ricerca riflettendo sulle mie mosse, come se fossi di fronte ad una scacchiera.

    Alla fine, mi feci coraggio e appoggiai le mani sulla tastiera e scrissi ciò che volevo cercare, visioni misteriose.

    Il risultato della ricerca non fu d’aiuto.

    Comparvero solamente libri o racconti di fantascienza legati alle due parole che avevo inserito.

    Decisi di guardare meglio quel risultato, pensando che magari avrei trovato qualcosa di interessante o pertinente.

    Ma niente, purtroppo quelle due parole non mi furono di aiuto.

    «Ehi Michael… già tornato dal pranzo?» disse il collega che stava tornando alla sua scrivania.

    «Ehm sì… cioè no… ho delle cose da sistemare» risposi distratto.

    «Stai bene?» chiese mentre si sedeva.

    «Ti vedo più distaccato del solito» fece in seguito.

    «Si… tutto bene… grazie» risposi voltandomi verso di lui.

    «Anzi, no! Dimmi! Ti è mai capitato di vedere qualcosa di talmente reale, ma allo stesso tempo inspiegabile… come fosse un sogno?» chiesi al collega.

    «Si… mi è capitato» fece lui diventando serio.

    «Ogni volta che mia moglie prepara la cena. Resto sempre a chiedermi come possa riuscire a preparare quei piatti così impresentabili» fece sollevando lo sguardo verso il soffitto.

    «Già. Immagino» dissi tornando con lo sguardo sul monitor del computer deluso da un’affermazione tanto banale, quanto impertinente.

    Senza dare troppo nell’occhio passai l’intero pomeriggio sui motori di ricerca, ma senza trovare niente che mi aiutasse a capire ciò che avevo vissuto quel giorno.

    Tornato a casa, andai al mio computer e rilessi gli appunti di ciò che avevo vissuto.

    Rilessi quelle parole con estrema attenzione nella speranza che mi tornassero alla mente nuovi dettagli.

    Ma non fu come mi aspettavo.

    Ciò che avevo descritto era esattamente ciò che avevo vissuto e nonostante mi sforzassi di ricordare l’accaduto, non vidi nulla che mi fosse d’aiuto.

    Lasciai il computer e andai a sdraiarmi sul divano.

    Presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e aprii quella foto.

    Rimasi ad osservarla con attenzione per qualche ora, quando decisi che sarebbe stato meglio lasciar perdere.

    Pensai che fosse stato inutile cercare una spiegazione per ciò che io stesso non riuscivo a spiegare.

    Così, mi rassegnai e abbandonai il telefono sul divano.

    Mi alzai in piedi con l’idea di non pensarci più.

    Pensai che sarebbe stato inutile focalizzare i miei pensieri su quegli eventi che, magari, erano solo dovuti a fattori di stress o chissà che cosa e decisi di andare in cucina per preparare qualcosa per cena.

    Ma dove mi trovo?

    Il mattino seguente mi svegliai alla solita ora, grazie al lamento della sveglia che echeggiava le sue grida disperate per tutta la camera da letto.

    La silenziai premendo il tasto che si trovava sopra di essa e rimasi a fissare il soffitto per alcuni istanti, chiedendomi cosa sarebbe accaduto quel giorno e se si fossero ripetuti gli eventi di quello precedente.

    Presi il telefono, che si trovava sopra il mobile di fianco al letto, e diedi di nuovo un’occhiata alla foto con quegli strani caratteri.

    Trascorsi alcuni minuti ad osservare quella foto, quando decisi di alzarmi dal letto con l’idea di indagare più a fondo.

    Infatti, mi passò per la testa che sarei dovuto tornare nei precisi punti dove si scatenarono quegli eventi e agli stessi orari, nella speranza in un loro riproporsi.

    Così, mi vestii in fretta, presi le chiavi della macchina e uscii in strada per recarmi al lavoro senza neanche fare colazione.

    Arrivato in sede, parcheggiai la macchina e, per non dare troppo nell’occhio, andai alla macchinetta del caffè per poi recarmi al punto fumo come facevo ogni mattina.

    Finito di fumare, andai alla mia scrivania senza badare troppo agli altri colleghi che mi stavano salutando con le solite battute banali come facevano ogni volta.

    Quello, per me, era uno di quei giorni in cui potevo farne a meno di quelle battute.

    Tanto per educazione, ricambiai quei gesti con un sorriso distaccato, ma niente di più.

    Raggiunta la mia scrivania, mi accomodai sulla mia poltrona, accesi il computer e controllai la posta elettronica.

    Risposi ad alcuni messaggi ricevuti dai soliti clienti, controllai la posta personale, e aprii i programmi che normalmente usavo per svolgere il mio lavoro.

    Invano e con estremo disinteresse, tentai di riprendere in mano quelle attività che avevo sospeso giorni prima per scrivere quella stupida relazione.

    Purtroppo, la mia mente vagava altrove e il mio sguardo si muoveva continuamente verso l’orologio per controllare l’ora.

    Avevo intenzione di muovermi allo stesso orario del giorno precedente e vedere cosa sarebbe accaduto.

    Quando notai che mancavano un paio di minuti per l’orario a cui avevo pensato di muovermi presi telefono e pacchetto di sigarette e mi preparai per alzarmi dalla poltrona per recarmi fuori dall’edificio.

    Mentre mi alzavo in piedi, il telefono iniziò a vibrare annunciando l’arrivo di una telefonata.

    Guardai il display e vidi che un cliente mi stava chiamando.

    «Proprio adesso» borbottai guardando il display illuminato.

    Decisi di non rispondere e lo lasciai squillare a vuoto.

    Lasciai l’ufficio per dirigermi verso la macchinetta del caffè dove presi il mio solito espresso di metà mattinata.

    Cestinato il bicchiere, mossi i miei passi verso il punto fumo.

    Camminavo all’interno dell’edificio controllando l’orologio continuamente per assicurarmi che fossi in orario.

    Trovatomi fuori dall’edificio, rimasi deluso nel vedere altri colleghi là fuori anch’essi impegnati nella loro pausa.

    Rimasi immobile ad osservarli, turbato e contrariato.

    Avevo aspettato con ansia quel momento e quella gente stava rovinando tutto.

    Innervosito, presi una sigaretta dal pacchetto che tenevo in tasca e la portai alla bocca.

    Una volta accesa, mi allontanai di qualche passo da quella gente e mi misi a fumare guardandomi intorno come niente fosse.

    Passai tutto il tempo a fissare

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