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Berlinguer e il sindacato: Il grande freddo '69-84
Berlinguer e il sindacato: Il grande freddo '69-84
Berlinguer e il sindacato: Il grande freddo '69-84
E-book197 pagine2 ore

Berlinguer e il sindacato: Il grande freddo '69-84

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Questo libro racconta un paradosso tutto italiano.
Negli anni Settanta brillò luminosa la stella elettorale del più importante partito operaio italiano, il PCI. Contemporaneamente i sindacati di nuovo uniti, conquistarono il centro della scena politica e sociale ottenendo grandi successi, non solo contrattuali ma anche sociali. Poteva essere la premessa di un grande cambiamento; al contrario, fu solo l'inizio di una lunga incomprensione. Il dialogo si fece tra sordi nel momento in cui il PCI di Enrico Berlinguer arrivò nell'area di governo perseguendo l’attuazione del compromesso storico, una strategia "totalizzante", come la definì Giorgio Napolitano, destinata a entrare inevitabilmente in rotta di collisione con le spinte autonomistiche e unitarie che ispiravano il sindacato.

LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2024
ISBN9791256060276
Berlinguer e il sindacato: Il grande freddo '69-84

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    Anteprima del libro

    Berlinguer e il sindacato - Antonio Maglie

    Antonio Maglie

    BERLINGUER E IL SINDACATO

    Il grande freddo ’69-84

    Storica

    © Arcadia edizioni

    I edizione maggio 2024

    Isbn 9791256060276

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Ogni individuo è isolato e debole

    la società è attiva

    previdente e forte

    i singoli fanno piccole cose

    lo Stato cose immense

    Alexis de Tocqueville

    Prefazione

    Il Berlinguer che preferisco

    Giorgio Benvenuto

    Avete in mano un bel libro. Forse vi aspettate la biografia di un personaggio importante e invece vi trovate anche la biografia di un Paese. Vi sono persone che hanno fatto la storia nella Prima Repubblica: Enrico Berlinguer è una di queste. L’ho conosciuto, l’ho frequentato, a volte l’ho apprezzato e in altre occasioni l’ho contrastato. Ne voglio parlare cercando di raccontare la mia esperienza. Erano tempi, quelli, in cui era difficile distinguere tra vita personale, vita professionale e vita pubblica. Il libro di Maglie è un racconto nel quale il lettore potrà cogliere rapidamente la storia del nostro Paese, in particolare di quei decenni della Repubblica (1960, 1970 e 1980) tra i più complessi per il movimento sindacale e i partiti politici. Allora, i sindacati erano tra i protagonisti di un processo articolato e faticoso di crescita di tutto il Paese. Certo, c’erano eccome i partiti, ma i sindacati – grazie alla loro attività unitaria – facevano storia in prima persona perché erano divenuti dei veri soggetti politici (la Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL e la FLM).

    La storia riguarda la fine dei governi centristi, il rigetto popolare del governo Tambroni che si reggeva con l’appoggio dei neofascisti del MSI di Almirante. È la nascita del centro-sinistra con i governi Fanfani e Moro che vedono i socialisti del PSI impegnati direttamente nel Governo del Paese. È l’epoca delle riforme. È l’epoca del cambiamento dell’Italia, sempre più europea, sempre meno bigotta e provinciale. Non è facile la politica del centro-sinistra. Ci sono molti ostacoli, tante resistenze, frequenti sabotaggi. Ma l’Italia cambia. La democrazia si rafforza. Le proteste si trasformano in proposte che in parte si realizzano. È importante la spinta che, prima, nasce tra gli studenti nelle scuole e nelle università e, poi, si estende tra gli operai nelle fabbriche, consentendo importanti innovazioni sul terreno istituzionale (l’entrata in funzione delle Regioni) e sul terreno dei diritti (parità uomo-donna, scuola dell’obbligo sino alla terza media, eliminazione delle zone salariali, Statuto dei lavoratori, riforma della giustizia nel lavoro, divorzio, ecc…).

    Lo scenario politico e sociale cambia. C’è la distensione, c’è la condanna dello stalinismo, c’è il concilio Vaticano secondo; c’è l’Europa, c’è il miracolo economico, ci sono le grandi lotte operaie (Natale in piazza a Milano, gli incidenti di piazza Statuto a Torino, l’Autunno caldo, i diritti civili). I sindacati diventano i protagonisti di un processo politico complesso e faticoso di crescita dell’Italia. In questo scenario conosco e incontro Enrico Berlinguer. È il 1966. Sono nella UIL, all’Ufficio organizzazione, come capoufficio. Avevo cominciato a lavorare nel 1955, mi ero laureato nel 1960 in Giurisprudenza con una tesi sulle Commissioni Interne discussa con il prof. Francesco Santoro Passarelli. Nel 1964 sono stato eletto nella segreteria nazionale della UILM come responsabile dell’organizzazione. La UIL mi manda in Sardegna. È in crisi il piano di Rinascita. La Confederazione si batte perché vengano superate le difficoltà di attuazione. Prendiamo delle iniziative e ci colleghiamo con la CISL e con la CGIL. I compagni della UIL (Cesare Poloni, Gavino Ruiu, Giacomo Pittalis) mi mettono in contatto con i partiti. Abbiamo diversi incontri anche con il PCI. Conosco così Enrico Berlinguer, che è stato nominato da poco vicesegretario regionale. Si deve predisporre un programma di iniziative, tra le quali c’è l’ipotesi di organizzare una serie di assemblee nelle scuole e nelle università della regione. Rimango affascinato da quella conoscenza. I miei compagni sardi mi hanno preparato all’incontro. Enrico è un comunista molto particolare. Il padre è un avvocato, è senatore socialista. È di Sassari. La sua famiglia ha una storia risorgimentale, mazziniana, laica. È cugino di Francesco Cossiga. È giovane. Ha 43 anni. Nel 1944, quando aveva poco più di venti anni, era il segretario della sezione giovanile del PCI di Sassari. Aveva organizzato una protesta per distribuire e garantire il pane ai poveri. I giovani comunisti assaltano i forni. Enrico Berlinguer è arrestato. Rimane per un mese in prigione. Il padre lo mette in contatto con Togliatti. Si intendono. Il PCI lo manda prima a Milano, poi a Roma con incarichi di prestigio.

    Nell’incontro che ho con lui non mi parla della sua vita, mi intrattiene invece per organizzare iniziative forti e concrete per rimettere in carreggiata il Piano per la rinascita della Sardegna. Ricordo che mi disse, soddisfatto per il lavoro che avremmo fatto assieme, che la ribellione di uno non porta a niente, quella di tanti cambia la storia. Aggiunse anche: "Tu conosci il francese. Ebbene ricorda un motto di Guglielmo il Taciturno: Point n’est besoin d’espérer pour entreprendre, ni de réussir pour persévérer". Successivamente, ho incontrato più volte Berlinguer verso la fine degli anni ’60, con Bruno Trentin e Piero Boni. Siamo stati assieme spesso durante e dopo l’Autunno caldo nel 1969 e nel 1970.

    La UILM e la FIM avevano vinto i congressi di categoria; per poco avevano invece perso i congressi confederali. Le riunioni con lui furono importanti. Evitammo che il contratto dei metalmeccanici venisse mediato dalle Confederazioni; riuscimmo a fare la manifestazione unitaria di piazza del Popolo a Roma senza far salire sul palco i segretari generali della UIL (Raffaele Vanni), della CISL (Bruno Storti) e della CGIL (Agostino Novella). Enrico Berlinguer ci ascoltava con molta attenzione. Era un grande ragionatore. Apprezzava molto le nostre proposte. Non aveva atteggiamenti didattici o retorici. Ci fu molto vicino con i suoi consigli e le sue osservazioni.

    Discutemmo invece a lungo del superamento delle commissioni interne, con la istituzione al loro posto dei delegati e dei consigli di fabbrica. Non fu facile. Berlinguer ci dette una mano. Non era però convinto. Era perplesso. Erano forti le resistenze nel PCI, nella CGIL e anche nella UIL. Erano decisamente contrari Novella e Amendola. Incerto e pieno di dubbi Longo. Le commissioni interne dovevano restare con le loro prerogative; i consigli di fabbrica evocavano l’occupazione delle fabbriche fallita nel 1919. Alla fine Berlinguer riuscì, dopo diverse riunioni alle Frattocchie, a far passare quei cambiamenti, sostenendo però che prima di renderli definitivi si sarebbe fatta una approfondita sperimentazione.

    Un altro momento difficile fu quello relativo alla battaglia per l’unità sindacale. La UILM nel 1972 venne considerata fuori dalla UIL con la costituzione di un altro sindacato la UILMD. La CGIL, il PCI, la FIOM assieme alla FIM-CISL ci dettero una mano che fece fallire la UILMD. Berlinguer mi telefonò più volte dandomi la sua solidarietà. L’Unità con Cardulli sostenne la nostra battaglia. Ciononostante, l’unità organica dei sindacati venne accantonata con la costituzione della Federazione Unitaria CGIL, CISL, UIL basata su una rigida parità dei propri organismi (il comitato direttivo era di 90 componenti divisi in parti uguali: 30 UIL, 30 CISL, 30 CGIL). Berlinguer, che nel frattempo aveva sostituito Longo come segretario generale del PCI, ebbe molti problemi per convincere Amendola, Novella e Scheda.

    I metalmeccanici costituiscono la FLM; è una federazione unitaria che realizza immediatamente l’unità organica (tessera unica FLM, bilancio unitario, uffici stralci di UILM, FIM E FIM; unici operatori). Berlinguer anche in questa occasione si schiera con noi. La FLM diviene così un vero sindacato unitario. Mi rimproverò invece, anzi, mi tirò le orecchie criticando il mio intervento all’assemblea di Genova perché avevo polemizzato con i parlamentari che si erano aumentati lo stipendio. Affermai: i deputati criticano le richieste salariali degli operai e tacciono sull’aumento della loro indennità. Contestò la mia critica dicendomi che l’attacco al Parlamento, così come lo avevo rivolto, era molto pericoloso, simile alla dura polemica che nel primo dopoguerra i fascisti facevano contro la democrazia dei partiti.

    I rapporti tra il movimento sindacale e il PCI furono positivi anche negli anni successivi. Ricordo nei primi anni ’70 le innumerevoli iniziative di convegni, di manifestazioni, di lavoro comune che realizzarono nella reciproca autonomia i sindacati e il partito. I problemi cominciano a porsi dopo le elezioni amministrative del 1975 e quelle politiche del 1976. Il PCI ottiene dei grandi risultati. La spinta politica e sociale era per l’alternativa; Enrico Berlinguer, suggestionato da ciò che era avvenuto in Cile con Pinochet, aveva teorizzato il compromesso storico con l’incontro tra DC e PCI. Nelle elezioni politiche anticipate, svoltesi nel 1976, democristiani e comunisti rastrellano il 75% dei voti.

    I socialisti e i socialdemocratici cambiano i propri gruppi dirigenti preoccupati di essere schiacciati dall’intesa tra i due partiti maggiori. Sono contrari al compromesso storico anche Luigi Macario e Pierre Carniti. Molto perplesso, anzi, per niente convinto è Bruno Trentin. I socialisti e i socialdemocratici superano le vecchie contrapposizioni e il 30 settembre 1976 appoggiano il cambio della segreteria generale della UIL sostituendo il repubblicano Raffaele Vanni con Giorgio Benvenuto. Tra lo stupore generale il PCI esprime molti dubbi e solleva diverse perplessità. Il direttore di Rinascita pubblica addirittura un articolo molto critico sulla mia nomina. Sul piano più generale entra in crisi lentamente ma inesorabilmente il rapporto tra Luciano Lama ed Enrico Berlinguer, tra il PCI e la Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Lama e la sua Confederazione in passato, per i governi, erano stati interlocutori particolari essendo considerati anche rappresentanti del PCI. Il principio leninista della cinghia di trasmissione uscito dalla porta rientra dalla finestra.

    Il PCI appoggia il governo Andreotti prima con l’astensione poi con il voto favorevole. La politica dell’austerità, che caratterizza la proposta comunista, crea molti problemi: il Paese, i giovani, spingono per l’alternativa, la contestazione è una costante generazionale. È vero, c’è la svolta nella Conferenza della Federazione CGIL-CISL-UIL all’Eur. Ma i risultati non si vedono, ci sono i sacrifici, mancano le riforme. Lama viene contestato all’Università di Roma. A dicembre del 1977 viene convocata a Roma dai metalmeccanici, d’intesa con la federazione unitaria CGIL-CISL-UIL, una manifestazione per chiedere una svolta nella politica economica e sociale. Il movimento sindacale vuole un Governo in grado di fare le riforme. La manifestazione dei metalmeccanici ha un enorme successo. Berlinguer non condivide la strategia. È irritato per una vignetta di Forattini su Repubblica dove è rappresentato come un ricco signore infastidito dal chiasso dei metalmeccanici. Arriva a dire con ironia che il segretario della FIOM, Galli, è un gallo senza cresta, perché si è fatto strumentalizzare dai segretari della UILM e della FIM.

    La situazione improvvisamente si aggrava. Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, il giorno dell’insediamento del nuovo Governo Andreotti, che si baserà sul consenso di tutti i partiti dell’arco costituzionale (fatta eccezione per i liberali). Veniamo chiamati a Palazzo Chigi. Si fa una riunione informale con i segretari generali dei partiti. La federazione CGIL-CISL-UIL proclama lo sciopero generale e convoca la manifestazione che si svolgerà, appena concluso il nostro vertice, a San Giovanni. Si decide di fare un veloce dibattito parlamentare con voto di fiducia al governo; Andreotti lancerà in tv un appello al Paese; partiti e sindacati unitariamente assumeranno una posizione inflessibile nei confronti delle Brigate Rosse. Con Berlinguer e gli altri partiti, la federazione CGIL, CISL, UIL costituisce la commissione di lavoro per contrastare il terrorismo. La presiede Ugo Pecchioli, comunista. Scelta positiva. Si realizzarono molte iniziative con una mobilitazione eccezionale. Venne predisposto un piano organico di assemblee in tutta Italia, soprattutto nelle medie e grandi fabbriche, vennero organizzate numerose riunioni, realizzati molti sondaggi. Un grande lavoro coinvolse tutta l’Italia e tutti i settori.

    Ricordo di quegli anni una vicenda particolarissima. Quando venne assassinato dalle Brigate Rosse Guido Rossa a Genova, nel 1979, Berlinguer, Ugo Pecchioli, Lama ne rivendicarono l’appartenenza al PCI. Mi inquietai molto. Guido Rossa era certo un comunista, ma era soprattutto un dirigente prestigioso della FLM. Telefonai a Luciano Lama e a Enrico Berlinguer per protestare. Mi chiamò subito dopo Pecchioli e mi disse che sbagliavo; avevano messo in risalto la sua appartenenza al PCI perché volevano far capire a tutti i comunisti, (in particolare alcuni di loro erano sensibili allo slogan né con le Brigate Rosse, né con lo Stato) che il partito era, invece, anch’esso nel mirino dei brigatisti. Ecco perché era stato necessario sottolineare la sua appartenenza al PCI. Ugo Pecchioli mi convinse: aveva ragione. Debbo dire che il Partito Comunista, i suoi dirigenti, Luciano Lama ed Enrico Berlinguer furono inesorabili nella battaglia contro il terrorismo. Il loro impegno fu determinante e decisivo per l’isolamento e la sconfitta delle Brigate Rosse.

    L’assassinio di Moro indebolisce la strategia del compromesso storico. Viene meno un interlocutore essenziale. Berlinguer è in crescente difficoltà. La situazione economica e sociale peggiora. Si determina una grande rottura sui temi dell’Europa. Il PCI, nel 1979, non condivide l’adesione al Sistema monetario europeo (SME), prima tappa del percorso che avrebbe portato al Trattato di Maastricht e alla nascita dell’Euro. Viene archiviato il compromesso storico. Sul piano internazionale si riapre il contrasto tra occidente e oriente. La divisione si accentua con la decisione di schierare in Europa, e anche in Italia, i missili Pershing e Cruise per contrapporli ai missili SS20 installati dall’Unione Sovietica. Craxi e il PSI si schierano con l’occidente assieme ai socialisti e ai socialdemocratici europei. Il PCI mette in mora la Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Viene bloccato platealmente il decreto-legge concordato nell’estate del 1980 dal governo Cossiga con i sindacati per l’istituzione di un fondo di solidarietà per il Mezzogiorno, alimentato con un contributo dei lavoratori dello 0,50%. Il PCI si oppone. Berlinguer, in un incontro con la Federazione CGIL CISL UIL, redarguisce Luciano Lama, accusandolo di pressapochismo, ricordandogli che, quando il partito è contro il governo, il sindacato in cui i comunisti militano non può fare intese sociali con quell’esecutivo. Subito dopo, Berlinguer passa all’attacco della FLM. La Fiat, improvvisamente, nella tarda estate dell’80, chiede il licenziamento di 14000 operai. La reazione dei lavoratori è molto forte. Berlinguer, che non è intervenuto nella vicenda dei 61 licenziati dell’anno prima (accusati di atteggiamenti violenti e di agnosticismo nella lotta

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