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Pollice verde cercasi
Pollice verde cercasi
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E-book343 pagine4 ore

Pollice verde cercasi

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Info su questo ebook

La cura per le piante e la solidarietà femminile sono i due ingredienti principali di una storia che parla di felicità e riscoperta di sé…
Måneby, Svezia. L'anziana Agnes, da anni dedita al proprio amato giardino, ha appena scoperto di avere una malattia debilitante. Leyla, madre del piccolo Hugo, ha lasciato Stoccolma per sfuggire al marito. L'orto di Agnes, arricchito dalla presenza di un cacatua multicolore, farà da sfondo a un'amicizia inaspettata...
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2024
ISBN9788726920277
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    Anteprima del libro

    Pollice verde cercasi - Annika Estassy

    Pollice verde cercasi

    Translated by Silvia Canavero

    Original title: Gröna fingrar sökes

    Original language: Swedish

    Cover image: Shutterstock

    Copyright © 2024 Annika Estassy and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726920277 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    A Gunni, con amore e riconoscenza

    «Puh, promettimiche non mi dimenticherai, mai. Neanche quando avrò cent'anni.»

    Puh rifletté un istante.

    «Io quanti anni avrò?»

    «Novantanove.»

    Puh annuì.

    «Prometto» disse.

    Da A.A. Milne, La strada di Winnie Puh

    Capitolo 1 

    Leyla amava le vacanze estive, questo però non significava che non le piacesse fare l'insegnante. Al contrario. Impazziva per i bambini, si trovava bene nella sua scuola e andava d'accordo con la dirigente. Insieme ai colleghi e alle colleghe, si impegnava a stimolare la voglia di sapere degli alunni e ad aiutarli a costruire la fiducia in loro stessi. Cosa si poteva desiderare di più da un lavoro?

    Era questo ciò che rispondeva a Johan ogni volta che lui questionava sulle riunioni serali che duravano più del dovuto e sulle telefonate con genitori preoccupati.

    Hugo invece non si lamentava mai. Hugo e Johan.

    Il figlio e il marito.

    Loro due erano tutto per lei.

    Leyla ebbe una fitta, a lei ormai ben nota, e fece una smorfia. Come una scossa che dalla tempia scendeva giù fino alla mascella. Il corpo ricordava…

    «Mamma, sbrigati, sono sudatissimo».

    La voce chiara del figlio la distolse dai suoi pensieri. Lei e Hugo dovevano trascorrere quel tiepido lunedì senza nuvole, il primo delle vacanze estive, alla spiaggetta cittadina di Långholm. In programma c'erano giochi e risate, non cupi pensieri su Johan.

    Sorrise al figlio: da quando erano usciti dalla metropolitana a Hornstull l'aveva tirata per mano, cercando di farla camminare più velocemente.

    «È proprio perché non voglio sudare che vado lenta. Astuta, no?» scherzò lei.

    Il figlio di sei anni rispose con un sospiro. Ma in fondo non era strano che Hugo avesse fretta di arrivare alla spiaggia: l'inverno era stato lungo, la primavera fredda e i raffreddori molti. La tetra atmosfera casalinga li aveva stancati ulteriormente e le energie erano in riserva. Si trattava di acchiappare l'estate prima che scomparisse di nuovo. «Guarda, mamma, ci sono anche Elli e Stella». Hugo inciampò mentre indicava l'ombrellone giallo canarino che ben conosceva, l'unico di quel colore in tutta la spiaggia.

    «Fai attenzione, tesoro. Non correre, cammina!».

    «Ma mamma, così ci mettiamo un sacco di tempo» rispose il figlio lasciandole la mano. Hugo avanzò impaziente tra i bagnanti che si erano sistemati sul prato fino ad arrivare al vivace ombrellone.

    Elli era una collega nonché migliore amica di Leyla, mentre la figlia Stella di otto anni era l'idolo di Hugo. Proprio quella mattina, le aveva fatto un disegno mentre canticchiava vecchi successi che il nonno materno Nasim gli aveva insegnato. Ogni volta che Leyla vedeva come i due bambini giocavano bene insieme, si domandava se la decisione di non dare a Hugo un fratellino o una sorellina fosse stata giusta. Non aveva mai detto a Johan della spirale che si era fatta inserire. Con tutta probabilità sarebbe andato su tutte le furie se avesse scoperto che la sua impossibilità di rimanere di nuovo incinta non dipendeva in alcun modo dai capricci di Madre Natura. Perché anche se Johan spesso biasimava Hugo, desiderava un altro figlio. Questa volta magari uno a cui piacesse il calcio e sopportasse il gioco pesante, non un sensibile sognatore.

    Come spesso accadeva quando il viso paonazzo e lo sguardo arrabbiato di Johan avevano la meglio sui suoi pensieri, le venne un crampo allo stomaco. Ma adesso Leyla ne aveva abbastanza, si rifiutava di trovarsi ancora nella stessa situazione. Enough is enough… Johan doveva cercare aiuto per i suoi attacchi di rabbia, gliel'avrebbe detto evitando di alzare la voce. Non avrebbe ripetuto quell'errore. Lo stomaco non smetteva di bruciarle e Leyla si rimproverò: quella era la giornata di Hugo e rischiava di rovinare la gita se avesse continuato a rimuginare sul suo matrimonio.

    «Perché non mi hai chiamata per dirmi che sareste venuti anche voi?» domandò Elli mentre, con movimenti goffi, si alzava e si toglieva la sabbia dalla schiena. Abbracciò Leyla e salutò con un cenno Hugo, già tutto intento a togliersi le scarpe. «Stella ha proprio chiesto di voi».

    «L'ho fatto, ma non eri raggiungibile. Dovresti cambiare operatore» rispose Leyla.

    Sentì che quella bugia le stava facendo venire le guance rosse e distolse lo sguardo. Era stata una stupida a non chiamare Elli: c'era il rischio che si insospettisse se Leyla avesse iniziato a evitarla. L'amica aveva un sesto senso quando si trattava di intuire quando c'era qualcosa che non funzionava, a prescindere che riguardasse la sua famiglia, i colleghi o gli alunni. Per tutto il secondo quadrimestre Leyla si era impegnata così tanto a mantenere le apparenze, che alla fine le facevano male le guance a causa di tutti quei sorrisi forzati.

    Si girò verso Stella che, presa da un attacco di timidezza, guardava furtiva Hugo senza osare avvicinarsi. «Gli spalmo la crema e poi potrete giocare. Non vedeva l'ora di stare un po' con te» disse lei accarezzandole la guancia, su cui il sole aveva già fatto affiorare le lentiggini.

    Tre minuti più tardi, il vento estivo aveva soffiato via tutta la timidezza e Hugo e Stella erano con le teste vicine a sussurrarsi segreti in alfabeto farfallino.

    «Non stare lì impalata» rise Elli. «Corri a sentire com'è l'acqua. Ma resta dov'è bassa».

    I bambini ci si stavano precipitando, con maschera e boccaglio.

    Leyla stese il vecchio plaid che si era portata, tirò fuori i teli da spiaggia e mise via la crema solare. Si guardò intorno: il bel tempo aveva indotto tanti, oltre a loro, a cercare l'acqua e un po' di fresco. La coda al chiosco dei gelati era già lunga. Salutò con un cenno alcuni genitori di suoi alunni, raccolse da terra una lattina di birra vuota, si diresse verso il cestino e ce la buttò.

    «Ti è diminuita» disse una volta tornata indietro e indicando la magnifica pancia di Elli, che metteva a dura prova le capacità elastiche del costume da bagno. «Non manca molto. Adesso ti lascia dormire la notte?».

    «Scherzi!» sbuffò Elli mentre si metteva a sedere. Si attorcigliò i capelli tinti con l’henné e li bloccò sotto il cappello di paglia. «Non so nemmeno io quale strano essere sto portando in grembo, ma una cosa è certa: è un nottambulo. Il Mostriciattolo non si agita mai così tanto come quando devo dormire. Se non altro ha smesso di rigirarsi, adesso dà solo calci e pugni alle costole».

    Leyla si sedette accanto all'amica ridendo e si tolse il copricostume. Il bikini che indossava era nuovo, rosso a pois. Si osservò la pancia, seguendo con il dito le smagliature grigie.

    Neanche Hugo era stato tranquillo in gravidanza, cosa difficile da credere vedendolo adesso: cauto e attento, assennato e timoroso. Solo insieme a Stella e Nasim emergeva il suo lato vivace.

    «Ah, che meraviglia le vacanze» sospirò Elli scrutando l'acqua nel punto in cui i bambini erano tutti indaffarati a schizzarsi. «Non sarei riuscita a lavorare un solo giorno di più. Perché ci si sottopone alla gravidanza, me lo puoi ricordare?».

    «Per avere una scusa per ingurgitare tutto il cioccolato possibile?».

    Le notevoli dimensioni dell'amica fecero sì che Leyla si sentisse senza curve, come uno di quei rettilinei norvegesi. La cosa migliore della sua gravidanza non era stato il cioccolato, ma il fatto che lei, con grande piacere di Johan, aveva avuto bisogno di reggiseni più grandi di un paio di misure.

    «Quindi pensi che sia ingrassata?» borbottò Elli cercando di trovare una posizione comoda per stare seduta.

    «Non direi che sei grassa. Assomigli piuttosto a una specie di astronave intergalattica».

    «Con un alieno che viaggia gratis a bordo». Elli si accarezzò la pancia. «A ogni modo, inizio a essere stanca, non mi dispiacerebbe se il Mostriciattolo uscisse a breve». Guardarono in silenzio Hugo e Stella che strisciavano in tondo sul fondale con le teste sott'acqua mentre giocavano ai pescatori di perle. Con entusiasmo, mostravano alle madri ogni ritrovamento, un sasso o una conchiglia, prima di infilarlo in un sacchettino di plastica. Da lì sarebbero poi pian piano stati trasferiti in un vaso di vetro con il tappo: ricordi estivi da tirare fuori nelle dure e lente giornate invernali… Leyla si morse il labbro e cercò di pensare a delle cose divertenti da fare con Hugo. L'inverno precedente aveva proposto a Johan di andare tutti e tre in auto a Legoland. Da quando Hugo aveva scoperto che esisteva un posto in cui tutto era costruito con i suoi mattoncini preferiti, sognava di poterci andare. Ma Johan pensava che fosse un'idea straordinariamente noiosa. E per di più costava un sacco di soldi. Non potevano mandare Hugo in colonia invece, aveva domandato. Così avrebbero finalmente avuto un po' di tempo per stare insieme, solo loro due. Il comune sovvenzionava cose del genere, no? Leyla si era rifiutata, col risultato che ne era nato ancora una volta un litigio. Se se lo fosse potuta permettere, ce l'avrebbe portato lei Hugo in Danimarca.

    Elli urlò ai bambini, che avevano l'acqua fino alle cosce, di non andare più in là. Grazie alle domeniche in piscina con Nasim, Hugo se la cavava a nuotare: per lo meno sapeva stare a galla, Stella no.

    «Come festeggerete la notte di mezza estate?» domandò Leyla.

    «Andremo nella casa di campagna dei miei, come al solito».

    «E perché ci andate allora? Detesti festeggiarla lì».

    «Lo so. Sarà un gran caos e mia sorella se la prenderà con me perché darò la colpa alla mia enorme gravidanza per non aiutare in cucina, con il cibo o i piatti. E la mamma mi farà mille domande su come penso di conciliare il lavoro da madre single con due figli, terrorizzata che le possa chiedere troppo spesso aiuto, mentre papà, come al solito, scomparirà dal vicino per assaggiare la nuova acquavite distillata apposta per la notte di mezza estate di quest'anno. Ma a Stella piace stare con i cugini e tanto io non riesco ad andare altrove».

    Leyla rise forte. «Noi andremo alla festa di Akalla, fuori Stoccolma: è così bello lì, con musica, il ballo intorno al bastone e giochi per i bambini».

    «Verrà anche Johan o pensa di starsene a casa a guardare lo sport in TV?» disse Elli senza guardarla. «Perché la palestra non è aperta nel giorno di mezza estate, vero?».

    «Certo che festeggiamo insieme. O cosa intendi dire?».

    Il nodo allo stomaco era tornato. Tirò fuori dalla borsa da spiaggia la bottiglietta dell'acqua e bevve qualche sorso.

    «Avete deciso cosa fare quest'estate?» proseguì Elli. «Farete quel viaggio in Danimarca?».

    Leyla scosse la testa. Si accarezzò la guancia, le faceva ancora un po' male.

    «Cos'è quel segno che hai sul viso?».

    «Che segno?». Leyla abbassò subito la mano. Si ricompose, tirò fuori dalla borsa gli occhiali da sole e la crema. «Meglio se ne spalmo un po' a Hugo».

    Elli guardò l'orologio. «L'hai fatto circa… nove minuti fa».

    «Sì, ma non bisogna sottovalutare il sole di giugno, e Hugo è bianco come un'aspirina».

    «Johan ti ha picchiata ancora?».

    Leyla fece finta di non aver sentito. Si alzò rapida e si diresse verso i bambini, entrò in acqua e prese il figlio, abbracciandolo forte.

    «L'ultimo che si tuffa è un'aringa marcia!» urlò poi e si buttò in acqua, ricordandosi all'ultimo secondo degli occhiali da sole, che riuscì a salvare dallo scomparire sott'acqua.

    I bambini la imitarono gridando. Subito dopo Leyla ripescò Stella, che stava tossendo e sputando: si era dimenticata di non aver ancora imparato a nuotare. La fece correre fuori, sulla spiaggia, mentre Hugo, con la maschera sulla fronte, dimenava le braccia come se fosse un gabbiano e cantava forte Estate, estate e sole, il mare, il vento e del caprifoglio l'odore.

    Leyla restò sul bagnasciuga mentre i bambini andavano verso i rispettivi teli da mare. Affondò i talloni nella sabbia e guardò il loro piccolo accampamento, vide Elli che, sempre molto goffa nei movimenti, abbandonava il suo posto sotto l'ombrellone e si dirigeva dondolando verso l'acqua, con la grazia di un ippopotamo. Oltre all'amica, forse anche altri avevano capito cos'era successo? Leyla si rimise gli occhiali da sole. Bisbigliavano di lei nella sala professori in sua assenza? E se qualcuno avesse chiamato i servizi sociali? Le si infiammò il viso al pensiero dei pettegolezzi e delle congetture dei colleghi.

    Dette le spalle alla spiaggia e fece qualche passo verso l'acqua, osservando un battello di turisti che stava passando. Ce n'erano tanti nella baia di Riddarfjärden: allegri passeggeri in escursione, coppie felici… O stavano recitando? Stavano mantenevano la facciata il più a lungo possibile? Mentivano con serenità su Facebook e Instagram finché il divorzio non diventava un dato di fatto?

    «Non ho voglia di parlarne» disse Leyla non appena sentì la mano di Elli sul suo braccio.

    «Parlare di cosa? Del fatto che Johan è uno stronzo, è sempre stato uno stronzo e che continuerà a esserlo? Che tu meriti molto di meglio e non di vivere con un pezzo di merda?».

    Leyla si sistemò i capelli umidi dietro le orecchie e sollevò le spalle. «Tutti i matrimoni hanno alti e bassi, lo sai».

    «Sul serio, Leyla. Intelligente come sei, è incredibile quanto tu sia stupida a volte. Ma lo capisco. Starò zitta anche se detesto che tu non ti fidi di me e ti rifiuti di dire le cose come stanno».

    Elli smise di parlare, ma quando Leyla gettò uno sguardo verso l'amica, capì dalla sua espressione preoccupata che aveva in mente qualcos'altro.

    «Conosco una pretessa che lavora anche in un centro di accoglienza per donne. Ti posso dare il suo numero di telefono, se vuoi. È tenuta al segreto professionale» disse Elli decisa.

    Leyla tirò su un sasso che aveva afferrato con le dita dei piedi e lo lanciò via.

    «Sai quante donne vengono maltrattate dai propri mariti, Leyla? Non hai fatto nulla di male e non hai niente di cui vergognarti».

    «Ma santo cielo, Elli, non puoi lasciar perdere e basta?». Leyla fece qualche passo avanzando nell'acqua. «Non c'è stato alcun maltrattamento. Abbiamo solo litigato, un normalissimo litigio. Smettila di accusarmi. Hai già dimenticato gli scontri che avevate tu e il padre di Stella? I tuoi vicini ne parlano ancora».

    «Proprio per questo» ribatté Elli dondolando verso di lei. «E non ti sto accusando. Voglio solo aiutarti».

    Leyla diede un pugno all'acqua. Gli occhi le bruciavano e aveva un ronzio nelle orecchie, o meglio nella testa, in profondità. Si morse la guancia finché non sentì il sapore del sangue.

    «Ma hai ragione: anche il padre di Stella è uno stronzo» proseguì Elli. «Solo che è un altro tipo di stronzo. E non siamo mai venuti alle mani. Non ha mai neanche alzato un dito su di me, per quanto pensasse che io fossi una terribile rompipalle».

    Leyla si chinò in avanti, fece la mano a coppetta e la riempì con dell'acqua; se la versò sulla nuca e sulle spalle, nel tentativo di rilassarne i muscoli contratti e di far passare il ronzio che persisteva. Un principio di mal di testa era in agguato dietro la fronte, pronto a esplodere e rovinarle il resto della giornata.

    Niente di cui vergognarti. Elli non aveva idea di cosa succedeva dentro quando si viene prese a schiaffi dal proprio partner. Non si era mai sentita invadere dalla vergogna così in fretta.

    «Non possiamo rinviare la questione e passare al prossimo punto all'ordine del giorno?» disse Leyla imitando la voce nasale della loro dirigente, nel tentativo di far sorridere Elli. «Stai vedendo un fantasma alla luce del sole, tesoro. Me la caverò, come sempre. E non fare quella smorfia, che poi resti così se il vento cambia».

    Capitolo 2 

    I mughetti erano finalmente sbocciati. Agnes affondò il naso nel mazzolino che aveva raccolto e ne inspirò il profumo. Di tutte le meraviglie che l'inizio dell'estate offriva, i mughetti erano in cima alla lista delle cose piacevoli. Che il sole non si fosse fatto vedere per una settimana e che la tramontana si rifiutasse di ammettere che l'inverno era finito non le importava. Era una bella giornata: era viva e aveva intenzione di continuare a esserlo ancora per un bel po'. Certo, la prognosi non era delle migliori, ma lei avrebbe di sicuro fatto vedere a quella canaglia di un cancro che i vecchi la sanno lunga. Aveva vagato su questa terra per settantanove anni e non era ancora arrivata a destinazione. Il giorno del suo ottantesimo compleanno avrebbe invitato tutte le persone che conosceva per una festa grandiosa.

    O almeno a bere un bicchiere della sua acquavite alla mela fatta in casa. Be', magari non proprio tutte le persone che conosceva, ma solo quelle che non la infastidivano.

    D'un tratto, quel grande banchetto si ridusse, nella sua fantasia, a un tranquillo caffè in compagnia. Sei mesi di proroga: non era poi una richiesta esagerata, no? Le stelle in cielo, Dio, Babbo Natale o qualunque entità fosse quella a cui si facevano arrivare i propri desideri gliel'avrebbe concessa, vero?

    Anges lasciò il boschetto di sorbi che i mughetti avevano scelto per crescere e proseguì verso il fiume. Stava iniziando a piovigginare, quindi si tirò su il cappuccio. Avrebbe avuto il pontile tutto per sé quel giorno, perché agli altri proprietari di Strandliden non piacevano i cambiamenti metereologici come a lei. Quelli tornavano a casa, nei loro appartamenti, non appena arrivavano un po' di freddo e umidità. Lei invece preferiva rimanere nella sua casetta col terreno e accendere il fuoco nella stufa in ghisa, quella che una volta aveva salvato dalla foga di ristrutturare di uno dei vicini.

    La panchina sul pontile era umida, ma l'impermeabile di Agnes era lungo abbastanza per tenerla asciutta. Si sedette con attenzione, infilò le mani nelle tasche e guardò il fiume che le scorreva davanti. Le aveva tenuto compagnia per una vita intera, il fiume. Conosceva i suoi segreti più reconditi, la consolava quando era triste e luccicava quando era felice. Ma il fiume aveva i suoi sbalzi d'umore e molte persone incaute si erano messe nei guai quando non avevano avuto il buon senso di mostrare rispetto per le forze che si nascondevano sotto sua la superficie. Una persona come Agnes, nata e cresciuta a Måneby, sapeva bene che non si doveva uscire sul fiume quando il livello dell'acqua si innalzava a causa del ghiaccio che si stava sciogliendo o di un temporale estivo. E neanche cercare di nuotare fino all'altra sponda era una buona idea: la forte corrente era molto insidiosa. Né bisognava andare a pattinarci quando era ghiacciato, a meno che il termometro non fosse rimasto fermo sui dieci gradi sotto lo zero per tre settimane di fila.

    Si portò ancora una volta i mughetti al viso, il loro profumo le ricordava molte cose. Quel giorno erano cinquant'anni che lei e Valdemar erano sposati. O lo sarebbero stati, se quell'ubriacone di Einar non avesse investito suo marito la sera in cui avrebbero festeggiato il sessantacinquesimo compleanno di Valdemar. E non importava che Einar, dopo aver scontato la sua pena, fosse diventato religioso e più santo di San Francesco: Valdemar non era comunque risorto.

    Einar l'aveva perdonato. Con Dio, invece, qualche volta era ancora arrabbiata.

    Perché aveva dovuto per forza portarle via Valdemar? C'era di sicuro una gran quantità di idioti tra cui avrebbe potuto scegliere, di quelli che non mancherebbero a nessuno anche se scomparissero. E siccome tanto a Dio non importava molto di lei, aveva semplicemente deciso di lasciare la Chiesa.

    «Ben ti sta, Dio» mormorò osservando l'acqua.

    Un cane che abbaiava e il richiamo irritato del suo padrone la portarono di nuovo alla realtà.

    «Qui ci si siede a poltrire. Non dovresti piuttosto approfittarne per eliminare il tarassaco dal prato?» sentì domandarle una voce fin troppo nota. «È molto più facile toglierlo quando il terreno è bagnato».

    Agnes strinse il mazzolino di fiori e continuò a guardare il fiume. «Grazie del consiglio, Göte».

    Si girò lentamente, squadrò il suo vicino di casa dalla testa ai piedi e inclinò la testa di lato. «A proposito… bel giacchino. Devo ammettere che a qualcuno il giallo fosforescente sta meglio che ad altri. Ma soprattutto, è oltremodo importante apparire come si deve quando si fa il giro di pattuglia nel quartiere, no?» disse lei sorridendo.

    Il suo sarcasmo non lo sfiorò. «Vero. E puoi essermi riconoscente per l'aiuto che do alla comunità. Se si pensa a tutti gli stranieri che il nostro paesino ha accolto, non si è mai abbastanza prudenti. Aspetta solo di trovarteli nell'orto con le tasche piene delle tue carote».

    L'uomo fischiò al pastore tedesco che era andato giù a riva per bere e che adesso gironzolava tra i ranuncoli d'acqua, sordo al richiamo del padrone.

    «Qui, Attack, c'è del lavoro che ci aspetta» ruggì Göte alla fine.

    Il cane lanciò uno sguardo stanco ad Agnes, che gli rispose con un cenno d'intesa. Controvoglia, Attack raggiunse a passi lenti Göte e si lasciò mettere il guinzaglio. Nonostante la sua stazza enorme, quel cane era il pastore tedesco più buono di Måneby. Tutti i tentativi del precedente padrone di farne un cane poliziotto di quelli tosti erano falliti, e quindi Göte era riuscito ad averlo praticamente gratis. Erano passati ormai due anni, ma Göte non aveva ancora perso la speranza, con il giusto addestramento, di trasformare Attack in un intimidatorio cane da guardia.

    Anges scosse la testa mentre seguiva con lo sguardo Göte e il povero Attack. Il suo vicino di casa era un idiota. Non c'era da stupirsi che sua moglie Mary alla fine si fosse stufata, avesse chiesto il divorzio e fatto coming out in quanto bisessuale. Si poteva dire quello che si voleva della vita in una piccola comunità come quella: di sicuro non era noiosa.

    Ebbe un brivido: la chemio l'aveva resa più sensibile all'umidità e al freddo. Era ora di rientrare al caldo della sua casetta. Arthur doveva essersi domandato dove fosse finita.

    Capitolo 3 

    Leyla aprì l'armadietto del bagno, prese la cipria e coprì le tracce dell'ultimo attacco di rabbia di Johan. Lo schiaffo era stato forte, ma il marito l’aveva colpita con il palmo della mano aperto, e quindi l'arrossamento sulla guancia sarebbe presto diminuito e il bruciore scomparso. Non avrebbe dovuto provocarlo, sapeva benissimo che lui detestava sentirsi sotto pressione e che poteva arrivare alle mani laddove le parole non fossero bastate. Ma fino all'inverno prima, di solito si era sfogato con i muri, le porte e i mobili; mai su di lei.

    Quando la mano di Johan aveva colpito la sua guancia per la prima volta – dopo che lei, in un indolente sabato di febbraio, l'aveva definito un cattivo esempio e gli aveva svuotato la birra nel lavandino – era ammutolita dallo stupore. Il cuore le batteva forte, in maniera incontrollata, faceva fatica a respirare, aveva iniziato a girarle la testa e si era dovuta sedere sul pavimento con la faccia tra le ginocchia. Lasciare sprofondare nella sua coscienza quello che era successo. Suo marito, lui che di solito era un cane che abbaiava ma non mordeva, le aveva dato un sonoro schiaffo. Cosa ci si aspettava che facesse? Doveva restituire il colpo? Chiamare papà Nasim? La polizia? La sua testa era come un buco nero, e alla fine non fece nulla di tutto ciò.

    Johan le aveva subito chiesto scusa, giurando che era stato un incidente, un momento di smarrimento, uno stupido riflesso che non era riuscito a controllare. Lei aveva creduto alle sue spiegazioni e ovviamente l'aveva perdonato. Aveva cercato di dimenticare e non aveva detto una sola parola di quello che era successo ad anima viva, neanche a Elli. Nessuno doveva impicciarsi dei loro problemi. E poi in parte l'errore era stato suo, perché Johan le aveva appena detto di darci un taglio. Un pochino, in effetti, era anche colpa sua.

    Dopo il primo schiaffo, Johan si era comportato in maniera esemplare per diverse settimane. Aveva smesso di bere birra in casa, le comprava dei tulipani tutti i venerdì e aiutava Hugo a fare costruzioni con il Lego. La vita sessuale aveva ritrovato nuovo slancio, era un amante premuroso. Leyla si sentiva più leggera – non tutto il male viene per nuocere – e non diede ascolto alle sue ansie. Si concesse di godere di quel cessate il fuoco. Bastava smettere di lamentarsi della loro situazione economica, della mania che aveva Johan di allenarsi tutto il tempo e del suo continuo bere birra, e tutto sarebbe di nuovo tornato a posto.

    Ma nonostante gli sforzi di lei e le promesse di Johan, lui l'aveva picchiata ancora, rinnovando le scuse. Ma quell'ultima volta no. Senza guardarla, Johan aveva preparato una borsa con dei vestiti e se n'era andato. Aveva sentito la porta di casa sbattere dietro di lui, e il silenzio che era calato subito dopo era stato assordante.

    Leyla appoggiò la fronte allo specchio. La rabbia le bruciava dietro le palpebre, il cuore stava esplodendo. Lui avrebbe potuto… lei

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