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La voce dalla terra
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E-book283 pagine4 ore

La voce dalla terra

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Info su questo ebook

«Porti Bello a fare una passeggiata a quest'ora?» chiese Monika perplessa.«Sì, solo un giretto.»«Di' a Janus di accompagnarti. Non voglio che esci da sola, okay? È quasi sera.»«Ma adesso non ho voglia di stare con Janus. È uno stupido!»Lilly Danielsen, 7 anni, dopo un litigio con il fratello maggiore esce di casa in compagnia soltanto del cane di famiglia. Arriva la sera e sua madre inizia a preoccuparsi quando non la vede rientrare: non è ancora tornata perché è arrabbiata oppure le è successo qualcosa? L'americano Mason Teilmann si sta godendo i propri giorni presso la polizia dello Jutland, un lavoro senza dubbio più rilassante rispetto a quando era un detective della omicidi a New Orleans, specializzato in crimini contro i minori. Anche se sua moglie cerca di aiutarlo ad andare avanti, Teilmann è ancora perseguitato dagli spettri del suo passato: quando gli viene assegnato il caso della scomparsa di Lilly Danielsen, finirà per aver bisogno di tutto il suo sangue freddo e la sua esperienza per affrontare i propri fantasmi e dare una risposta ai genitori della bambina. -
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2023
ISBN9788726782615
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    Anteprima del libro

    La voce dalla terra - Inger Gammelgaard Madsen

    La voce dalla terra

    Translated by Andrea Berardini

    Copyright ©2021, 2023 Inger Gammelgaard Madsen and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726782615

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Capitolo 1 – Scomparsa

    Monika posò gli occhiali da lettura sul tavolo. Si stiracchiò, intrecciò le mani dietro la nuca e si abbandonò contro lo schienale, sentendo uno schiocco fra le scapole. Per oggi aveva passato fin troppo tempo davanti al computer. Aveva deciso di preparare lo schema dei turni della clinica ostetrica da casa, dove poteva lavorare in pace, specie oggi che Thor aveva una riunione e sarebbe senz’altro rincasato più tardi del solito. Quando il suo studio legale vinceva una causa, capitava spesso che dopo il lavoro facesse un salto in città coi colleghi per festeggiare, concedendosi qualcosa di buono da mangiare e, ovviamente, da bere. Ogni tanto aveva partecipato anche lei, ma oggi aveva detto di no per potersi dedicare al lavoro e non lasciare di nuovo Lilly e Janus con la babysitter, come era successo fin troppe volte negli ultimi tempi.

    Il sole della sera attraversava i vetri delle finestre all’inglese, proiettando riquadri di luce sui pavimenti di legno grezzo. Avevano discusso a lungo sull’opportunità di laccarli, ma non erano riusciti a decidere fino a che punto conservare il vecchio stile della casa di campagna o modernizzarla; per il momento, quindi, era rimasto tutto com’era. Più semplice così, e al resto potevano pensarci in seguito. Almeno su questo si erano trovati d’accordo. D’altronde a Monika la casa iniziava a piacere, anche se, da cittadina incallita qual era, non aveva mai immaginato di poter apprezzare la campagna, con quell’odore di letame che a primavera arrivava dalle fattorie tutt’attorno e l’aria che, nel periodo del raccolto, era sempre piena di polvere. Ma ormai le toccava ammettere che Thor ci aveva visto giusto. Al contrario di lei, lui era cresciuto in campagna, e quando aveva scovato quella casa in vendita, in un paesino a dieci chilometri da Silkeborg, aveva insistito che ai bambini e soprattutto a Lilly avrebbe fatto bene passare più tempo all’aria aperta. Certo, avevano dovuto cambiare scuola; ma in fondo nessuno dei due era particolarmente legato ai vecchi compagni, dunque non era stato un problema. Janus aveva iniziato la terza e Lilly la prima elementare a Voel e la scuola era così vicina a casa che potevano tranquillamente andarci da soli, in bicicletta, cosicché Monika non era più costretta ad accompagnarli in auto per la preoccupazione del traffico e degli attraversamenti pericolosi. Inoltre, Lilly stava davvero molto meglio: dopo il trasloco non aveva più avuto attacchi di panico e lei era stata più che contenta di chiamare la psicologa infantile per comunicarle che non c’era bisogno di continuare la terapia.

    Monika alzò lo sguardo verso la finestra affacciata sul giardino. Bello stava abbaiando con una certa insistenza. Sicuramente i bambini si erano messi a giocare; per lo meno, poco prima aveva visto Janus salire in camera a prendere un pallone. Bello impazziva di gioia quando provava ad acchiapparlo. Anche il cane era una novità recente. Dopo il trasloco era parsa a tutti e due un’aggiunta quasi inevitabile alla famigliola, sempre per il bene dei bambini; Lilly in particolare gli si era molto affezionata e la cosa era reciproca. Forse dipendeva dal carattere pacato di lei. Janus era più irruente e chiassoso nel gioco, cosa che talvolta spaventava il cagnolino. La sera, quando Lilly andava a letto, Bello si rannicchiava sul suo cuscino, tra i suoi riccioli chiari, e la bambina ormai non riusciva più a prendere sonno senza il suo piccolo peluche in carne e ossa. All’inizio, Monika era stata contraria a lasciarlo salire sul letto, ma il legame profondo tra i due l’aveva convinta a cedere.

    Monika inforcò nuovamente gli occhiali e si rimise al lavoro. Per fortuna nascevano sempre più bambini; ma talvolta era complicato trovare il personale necessario, tant’è che le era successo di dover convocare alcune ostetriche anche nel giorno libero. La cosa non le piaceva affatto, anzi, la irritava, perché la faceva sembrare incapace di gestire il reparto quando la colpa, in realtà, era dei costanti tagli alla spesa. Loro avevano provato a far capire ai politici che, se negli ultimi dieci anni si era riusciti a dimezzare il tasso di mortalità neonatale, era perché le donne incinte venivano seguite sempre dalla stessa ostetrica; purtroppo, però, essendo costosa, la soluzione non era più sostenibile.

    Monika si accorse che le voci dei bambini erano più concitate, e anche Bello aveva iniziato ad abbaiare più forte. Si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra. I vecchi meli contorti erano coperti di fiori luminosi bianchi e rosa, e la siepe di faggio che circondava il grande prato era fitta di foglie verdi ancora inviolate. Oltre la siepe si stendevano a perdita d’occhio i gialli campi di colza, stagliati contro il cielo azzurro dove, nel giro di un’ora, sarebbe comparso un bel tramonto. Maggio era il suo mese preferito, anche se quell’anno non aveva fatto che regalare un temporale dopo l’altro. Ma oggi il sole splendeva, annunciando l’imminente arrivo dell’estate. Janus e Lilly stavano bisticciando sotto uno dei meli, mentre Bello gli saltellava attorno abbaiando. Monika sospirò; evidentemente c’era stato l’ennesimo screzio. Poi si allontanò dalla finestra, convinta che i bambini dovessero risolvere da sé i loro dissapori. Su questo punto, anche Thor era d’accordo: finché uno dei due non scoppiava a piangere, non c’era ragione di intervenire. Tornò a sedere e riprese il lavoro.

    Poco dopo la porta d’ingresso si spalancò e Bello le corse incontro, scodinzolando entusiasta. Monika si chinò ad accarezzarlo.

    «Che mi vuoi dire, piccolo?» gli chiese con la voce dolce e squillante che usava sempre con lui, dandogli una grattatina dietro le orecchie. Poi arrivò Lilly, che recuperò il guinzaglio appeso all’attaccapanni e gli lanciò un fischio. Bello, riconoscendo il segnale, si fiondò nell’ingresso; scodinzolava con tale allegria che per un soffio non finì a zampe all’aria. Lilly gli fissò il guinzaglio al collare.

    «Porti Bello a fare una passeggiata a quest’ora?» chiese Monika perplessa.

    «Sì, solo un giretto.»

    «Di’ a Janus di accompagnarti. Non voglio che esci da sola, okay? È quasi sera.»

    «Ma adesso non ho voglia di stare con Janus. È uno stupido!»

    «Va bene, ma promettimi che sarà una passeggiata breve. Fino in fondo alla strada lungo la siepe, e poi torni indietro.»

    «Sì, sì.»

    «E non dimenticare la giacca.»

    Monika si allungò per sbirciare: nell’ingresso, Lilly prese la giacca rossa dall’attaccapanni e se l’infilò in un unico movimento.

    «Non ti allontanare troppo, va bene Lilly?»

    «Okay.»

    Monika sentì la porta che si richiudeva, quindi calò il silenzio. Le restava qualche turno da definire, poi l’orario sarebbe stato pronto. Controllò l’ora: erano le 20.15. Al ritorno di Lilly, i bambini dovevano lavarsi i denti e andare a letto; in settimana, la regola era non oltre le 21. Thor non sarebbe tornato prima di mezzanotte. Di solito era lui che gli leggeva la storia della buonanotte: era più bravo a fare le voci, dicevano i bambini, e si lasciava sempre convincere a leggere un capitolo in più.

    Monika tornò alla finestra. Janus cercava di centrare il canestro che Thor aveva fissato al muro vicino alla tettoia dell’auto. Monika picchiettò sul vetro, ma lui non la sentì. Allora si infilò un maglione, uscì dalla portafinestra e lo raggiunse. Afferrò al volo la palla che per l’ennesima volta aveva colpito il muro invece del canestro e la lanciò al figlio che, colto di sorpresa, se la lasciò sfuggire. Solo in quel momento Monika si accorse che Thor non aveva abbassato il canestro come gli aveva detto di fare. Tante volte si dimenticava che Janus aveva solo nove anni e non era in grado di lanciare la palla così in alto. C’era il rischio che il bambino perdesse interesse per il gioco.

    «Perché stavate litigando, tu e tua sorella?» gli chiese. Janus raccolse la palla e provò di nuovo a fare canestro. Questa volta ci andò vicinissimo, ma il pallone colpì il bordo e rimbalzò all’indietro. Con uno scatto, Janus lo riprese prima che toccasse terra.

    «Niente, è solo che è una fifona.»

    Riprovò il tiro.

    «Non le avrai detto un’altra volta qualche cattiveria, vero Janus?»

    «No.»

    «Sei proprio sicuro? Mi è sembrata arrabbiata.»

    «Le ho detto solo che quando l’abbiamo trovata quella volta sembrava un baccalà con gli occhi di fuori.»

    Monika fissò sconcertata il figlio e lo prese per il braccio con cui reggeva la palla.

    «Janus… falla finita con quel pallone… Perché dici queste cose?»

    «Perché a volte è proprio stupida!»

    «Anche tu diventi veramente pesante quando ti ci metti, e sai benissimo che non le devi parlare così. Ci rimane male quando le ricordi quello che è successo. Non lo capisci?»

    Janus scagliò il pallone a terra con violenza e lo afferrò al volo, poi di nuovo lo scagliò a terra e lo riafferrò. Il sudore gli incollava alla fronte i ricci chiarissimi, quasi bianchi; aveva le sopracciglia aggrottate dalla collera, e in mezzo un solco.

    «Pensate sempre e solo a lei, non è giusto!» esclamò con voce venata di pianto, sferrando un calcio al pallone, che andò a finire sotto la siepe.

    «Non è vero che pensiamo solo a Lilly, tesoro, ma non è sempre facile per lei, e…»

    Monika fece per accarezzargli la guancia, ma lui si ritrasse.

    «Quando torna papà?» le chiese, guardandola con occhi velati di lacrime e carichi di rimprovero.

    «Ancora è presto, quando rientra sarete già a letto. Ma papà si affaccia sempre in camera vostra quando torna, lo farà di sicuro anche stasera. Ti va un gelato? Dev’esserne rimasto qualcuno in frigo.»

    «Un gelato con la cialda?» chiese Janus asciugandosi gli occhi.

    «Sì, un gelato con la cialda» sorrise Monika prendendolo per mano. «Vieni dentro, che tra poco tornano anche Lilly e Bello.»

    Monika controllò l’orologio a muro in cucina. Dove si era cacciata Lilly? Aveva promesso di non allontanarsi troppo, ma era già passata più di mezz’ora. Mentre Janus mangiava il suo gelato, aveva svuotato la lavastoviglie e rimesso a posto piatti e posate. Ora Janus era in camera sua che giocava a Fortnite; secondo i patti, per poter stare un po’ al computer la sera si era già infilato il pigiama e lavato i denti. Monika si affacciò alla finestra per controllare se per caso Lilly non fosse già tornata e stesse in giardino con Bello. Ma in giardino non c’era nessuno, e la siepe le impediva di vedere la strada. Fece capolino in camera di Janus, ma poi decise di non disturbarlo, si rimise il maglione e uscì a cercare Lilly.

    Si era alzato un po’ di vento, e un principio di tramonto bellissimo si stendeva in fondo ai campi gialli, ma di Lilly non c’era traccia. La strada asfaltata disegnava una curva all’altezza di un gruppo di alberi, qualche centinaio di metri più avanti. Monika raggiunse la curva; da lì si vedeva per diversi chilometri la strada che serpeggiava tra i campi di cereali e le rigogliose siepi frangivento delle fattorie.

    Le case erano distanti le une dalle altre, e Monika dubitava che Lilly fosse andata da quella parte. Il cuore adesso le batteva forte, e aveva i palmi delle mani sudaticci. Li sfregò nervosamente l’uno contro l’altro, poi tornò indietro e provò nella direzione opposta, verso la scuola. Arrivata lì, Monika capì che Lilly non poteva essere andata oltre: poco più avanti c’era un incrocio a T, da dove partiva la strada provinciale, e Lilly sapeva che non le era permesso andarci. Soprattutto non da sola. Davanti all’entrata della scuola, due ragazzini stavano chiacchierando in sella alle biciclette. Monika si avvicinò.

    «Ciao. Avete visto passare una bambina?»

    Entrambi fecero segno di no, continuando a masticare chewing-gum.

    «Siete sicuri? Ha sette anni, è alta più o meno così.» Indicò con la mano l’altezza di Lilly. «Ha i capelli biondi e ricci, lunghi fino alle spalle, e porta una giacca rossa col cappuccio. Gonna jeans e sandali bianchi. Con lei c’era anche un cagnolino bianco.» Monika si accorse che la voce le tremava e aveva un tono supplichevole come se così potesse costringerli a dire che in realtà l’avevano vista. A dire dov’era finita.

    «No, non abbiamo visto nessuno» rispose uno. Quando Monika si riavviò verso casa, i due ripresero a chiacchierare e sghignazzare.

    ‘Dove sei, Lilly?’ disse dentro di sé. Era tentata di chiamarla a voce alta, ma a che pro, se non si vedevano né lei né Bello?

    Quando rientrò in casa, Janus stava ancora a giocando; probabilmente non si era nemmeno accorto della sua assenza. Ormai era agitatissima. Ebbe l’impulso di andare a sgridare Janus per aver detto quelle cattiverie a Lilly, spingendola a uscire da sola. Tra l’altro, visto che Thor era a cena fuori, avevano in programma di passare la serata tutti e tre insieme, a giocare a Ludo. Ma non aveva senso prendersela con Janus. Non avrebbe mai dovuto permettere a Lilly di uscire a quell’ora. Avrebbe dovuto accompagnarla, convincerla a raccontarle per quale ragione avesse litigato col fratello, consolarla. Si affacciò in camera di Janus.

    «È tardi, va’ a letto» gli disse.

    Janus alzò gli occhi dal computer.

    «Di già? Dai, posso almeno finire questa battaglia?»

    «No, spegni quel computer e va’ a letto.» Monika entrò, abbassò la tenda avvolgibile facendo sprofondare la camera nel buio, poi si avvicinò al letto e scostò il piumone. Janus obbedì di malavoglia, spense il computer e si stese. Monika gli rimboccò il piumone.

    «Anche Lilly è già a letto?» chiese Janus.

    Monika annuì. «Manca poco.» Si sforzò di sorridere. «Ora chiudi gli occhi e dormi, buonanotte.» Si chinò a baciargli la fronte.

    Non appena chiuse la porta, fu travolta dal panico. Respirava con affanno. Da quando Lilly era uscita, era passato troppo tempo; di lì a poco avrebbe fatto buio, e Thor sarebbe stato via per ore. Monika iniziò a camminare avanti e indietro per la cucina. Era il caso di chiamare la polizia? Ripensò all’ultima volta che l’aveva chiamata e a tutto quello che era seguito. Che Lilly fosse andata da una compagna di classe? Non era da lei, certo, ma poteva darsi che con la sua assenza, allontanandosi più del solito, volesse punire Janus. Monika provò a ricordare quali ragazzine della scuola vivessero nelle vicinanze, ma a quanto ne sapeva lei abitavano tutte piuttosto lontano; era impossibile che fosse andata da loro. Solo una bambina, Sara, abitava in zona, ma non era mai stata tra le amicizie di Lilly; per di più, Monika non ricordava il cognome e non poteva controllare l’indirizzo esatto. Decise di chiamare Thor. Sentì un brusio di voci, una musica in sordina e un tintinnare di posate e stoviglie, poi Thor rispose.

    «Monika? È successo qualcosa?»

    Thor sapeva che lei non l’avrebbe mai disturbato durante una cena di lavoro solo per dirgli che sentiva la sua mancanza o che aveva finito di programmare i turni della clinica. Automaticamente, diede per scontato che era qualcosa di grave.

    «Lilly è scomparsa!» disse Monika col fiato corto, cercando di tenere a bada il pianto.

    «Cos’hai detto?»

    Monika non capì se non la sentiva per i rumori del ristorante o se la domanda fosse segno di spavento, e ripeté:

    «Lilly è scomparsa!»

    «In che senso è scomparsa? … Aspetta un attimo.» La voce di Thor si fece più distante, quindi il brusio del locale sparì e subentrò un altro rumore, come un sottofondo di auto che sfrecciavano via. Monika immaginò che fosse uscito per parlare indisturbato.

    «Cos’è successo, Monika?»

    «Lilly è uscita con Bello dopo cena e non è ancora tornata. Sono andata a cercarla, ma non l’ho trovata da nessuna parte. È scomparsa.»

    «Sta’ calma, tesoro. Respira. Quando è uscita?»

    «Quasi tre quarti d’ora fa. Stavo preparando i turni… avrei dovuto accompagnarla, ma…»

    «Sta’ calma» ripeté Thor. «Tra poco tornerà. Janus dov’è?»

    «È già a letto. Non gli ho detto niente.» Monika fu lì lì per aggiungere che era colpa sua, di Janus. Che aveva litigato con Lilly, che aveva riaperto la vecchia ferita, che l’aveva offesa per l’ennesima volta, ma all’ultimo momento si trattenne. «Che devo fare, Thor?» chiese disperata.

    «Chiamo un taxi e torno subito a casa. Se quando arrivo Lilly non è ancora rientrata, decideremo cosa fare. Nel frattempo sta’ calma, ok?»

    «Sì, ci provo» promise Monika, pur sapendo che non ci sarebbe riuscita. Era impossibile mantenere la calma. Ma Thor sarebbe tornato tra poco, e a quel punto almeno non sarebbe stata sola.

    Thor appese la giacca all’attaccapanni, posò le chiavi sul comò in corridoio ed entrò in soggiorno, dove la trovò rannicchiata su una poltrona. Monika tremava e aveva freddo. Sembrava tutto così normale. I rumori erano gli stessi di sempre, di quando Thor tornava dallo studio; anche il suo dopobarba era lo stesso di sempre. Ma di normale non c’era niente. Ormai era buio e Lilly era là fuori chissà dove. Siccome Thor ci aveva messo più del previsto, Monika aveva chiamato la polizia prima del suo ritorno; non doveva essere stato facile abbandonare anzitempo i festeggiamenti, e Monika si sentiva in colpa per avergli rovinato la serata. Ma Lilly era anche figlia sua, e lei doveva pur fare qualcosa. Il poliziotto con cui aveva parlato, però, le aveva semplicemente detto di aspettare ancora; probabile che la bambina sarebbe tornata presto. Forse si era solo persa in chiacchiere con un’amica. Persa in chiacchiere? Ma figurarsi. Monika non era riuscita a trattenere il panico e si era messa a urlare che era una bambina di appena sette anni, continuando a tenere d’occhio la porta di Janus per paura di svegliarlo. Doveva aver fatto la figura dell’isterica. Il poliziotto si era limitato a risponderle che ovviamente doveva richiamare nel caso in cui sua figlia non fosse rientrata entro un’ora. Dopo, Monika si era chiesta se l’avessero riconosciuta, poi si era ricordata che si trattava di un altro distretto; la volta precedente si era rivolta alla polizia dello Jylland orientale, ora invece rientravano nel distretto dello Jylland centroccidentale.

    Thor si accovacciò davanti alla poltrona e tentò invano di sollevarle le mani dal cuscino che stringeva al petto. Non aveva ancora capito bene che la figlia era scomparsa, Monika glielo leggeva negli occhi. O forse era davvero troppo presto per lasciarsi prendere dal panico? Stava per perdere il controllo come l’altra volta che non riuscivano a trovare Lilly? Era questo che pensava Thor? Che la sua reazione fosse eccessiva?

    «Dobbiamo trovarla, Thor. Dobbiamo cercarla!»

    «Se si è portata dietro Bello, ha seguito la strada. Non si infilerebbe mai tra i campi, c’è troppo fango dopo tutta la pioggia di questi giorni. Ci sono appena passato in macchina e ho dato un’occhiata. Non potrebbe essere da una compagna di scuola?»

    «L’unica che abita qui vicino è Sara, ma non so come faccia di cognome e…»

    Thor si alzò, sfilò il cellulare dalla tasca della giacca e compose un numero.

    «Chi chiami?»

    «I genitori di Sara.»

    Monika annuì. Certo, era ovvio. Perché non ci aveva pensato lei? Perché la sua mente era come paralizzata? Perché non riusciva a mantenere il sangue freddo e a comportarsi in maniera razionale?

    Thor scambiò qualche parola con la madre di Sara e Monika riuscì a capire che Lilly non era da loro. Poi Thor chiamò i genitori di altri compagni; ma nessuno l’aveva vista.

    «Non le è mai piaciuto giocare con loro. Perché di punto in bianco sarebbe dovuta andare da qualcuno a quest’ora?» disse Monika sulla difensiva, rimproverandosi di non aver pensato lei per prima a quell’eventualità. «Thor, che facciamo?»

    «Dobbiamo chiamare la polizia, non possiamo fare altro.»

    Stavolta si attivano, pensò Monika ascoltando la sua voce. Stavolta a telefonare sarà una persona tranquilla e padrona di sé, non una donna isterica. Thor chiamò dal suo cellulare e spiegò con tutta calma che Lilly Danielsen, la figlia di sette anni, era uscita per una passeggiata con il cane ma non era ancora rincasata, e ormai erano passate quasi tre ore.

    «Ci vorrà un po’, ma verranno a cercarla con i cani» spiegò Thor dopo aver posato il telefono.

    «Un po’? Quanto? Non possono semplicemente…»

    «Dobbiamo aspettare, Monika. Manderanno qualcuno. Dobbiamo fargli avere una foto di Lilly, così possono diramare una segnalazione.»

    Incapace di muoversi, Monika rimase rannicchiata sulla poltrona e passivamente guardò Thor che riprendeva in mano il telefono.

    «Questa è la più recente?» le chiese mostrandole una foto salvata sul cellulare. Era stata scattata qualche giorno prima in giardino. Lilly aveva un sorriso appena accennato: da poco le era caduto un dente da latte dell’arcata superiore e si vergognava, soprattutto perché Janus la prendeva in giro. Monika si limitò ad annuire. Thor inviò la foto alla polizia, riappoggiò il telefono sul tavolino e si accovacciò davanti a Monika, posandole le mani sulle cosce. Lei osservò le sue dita belle e pulite; l’unico lavoro manuale cui si erano dedicate era stato appendere il canestro da basket un po’ troppo in alto accanto alla tettoia.

    «Sarà il caso di svegliare Janus?» le chiese Thor.

    Monika scosse il capo, senza guardarlo. «Se tutto va bene, troveremo Lilly prima che si svegli. È inutile spaventarlo. Prima che uscisse, avevano litigato. Anzi, Lilly ha voluto fare una passeggiata con Bello perché Janus l’aveva presa in giro.» Non riferì a Thor cosa le aveva detto; non voleva riportare a galla il passato, specie in un momento come quello. Allora avevano rischiato di perderla per sempre, e ora tutta la situazione non le sembrava altro che un déjà vu.

    «Certo, hai ragione» disse Thor.

    Thor si alzò passandosi una mano tra i capelli folti e scuri. Era da lui che i bambini avevano preso i ricci, anche se erano biondi come la madre. Monika si accorse che anche lui era agitato: prima che le ficcasse nelle tasche dei pantaloni per nasconderle, vide che gli tremavano le mani. Indossava un completo color sabbia

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