La Rete del Killer
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Info su questo ebook
Dieci ragazze al loro PC
Cercarono un uomo in ogni dove
Una iniziò una chat con un killer
E poi ne rimasero nove...
All'alba del nuovo millennio, ogni giorno migliaia di persone si affacciano sul mondo della rete per la prima volta nella loro vita. Alcune sono alla ricerca dell'amore. Altre alla ricerca di possibili vittime.
Intrappolata nella Rete del Killer, la coraggiosa segretaria di un dipartimento di polizia, Jennifer Warren, mette all'opera la sua acuta intelligenza per fermare un genio del computer che seduce le donne col pretesto di una relazione sentimentale. Il killer sfida costantemente la polizia, inviando ogni volta una e-mail dal luogo del delitto con una filastrocca che descrive l'omicidio perpetrato. Ogni volta, la polizia arriva sul posto solo per trovare un cadavere e nessun indizio utile a fermare l'assassino, già svanito nel nulla.
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Recensioni su La Rete del Killer
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Anteprima del libro
La Rete del Killer - Matthew W. Grant
Capitolo 1
1973...
Il piccolo, sette anni, sedeva sul tappeto del soggiorno. Gli accumuli di sporcizia e i ciuffi di pelo felino testimoniavano che da mesi un aspirapolvere non veniva passato su quel tappeto. Lui però non ci faceva caso: nella sua vita non aveva mai conosciuto nulla di meglio. I suoi pantaloni scampanati a quadretti e la camicia con le terribili stampe a fiori e il collo sformato erano sporchi esattamente come il tappeto.
A pochi passi da lui, sfarfallava lo schermo di un vecchio televisore sgangherato con doppia antenna. Le immagini del programma erano incomprensibili a causa delle interferenze. La manopola del volume non era più al suo posto, ma la leva del controllo sembrava essere stata tirata fino al massimo. Ciononostante, non si udiva alcun suono.
Il piccolo fracassò con forza il suo camion contro una pila di giocattoli rotti. Gioì del fragore della distruzione. Poi pescò dal mucchio un soldatino senza un braccio. Se lo sbatté ripetutamente sulla testa. Sorrise.
Due gatti malconci saltarono su un fatiscente divano in tartan, uno di loro si affilò gli artigli sul tessuto spesso della fodera. Il suono familiare dei graffi non era però sufficiente a coprire un altro suono che il piccolo ben conosceva: il cigolio del letto nella stanza accanto.
La porta della stanza da letto si spalancò. Un uomo dall'aspetto sgradevole, la camicia aperta a mostrare il petto villoso, uscì dalla stanza allacciandosi i pantaloni.
La madre del piccolo, parzialmente svestita, comparve anch'essa sulla porta. La sua camicetta sgualcita e la gonna sbilenca distoglievano l'attenzione dai tacchi a spillo che indossava, tacchi che avrebbero potuto ormai essere consumati fino alla base considerate le volte che li aveva messi per fare il giro dell'isolato. Cerchi neri intorno alle palpebre facevano risaltare il blu dei suoi occhi.
Scostò dal viso una ciocca di capelli arruffati e contò una manciata di banconote da cinque dollari. «Ehi, questa è solo la metà di quanto avevamo pattuito!» disse, rivolgendosi all'uomo con tono di accusa.
«È tutto ciò che vali.» ribatté lui.
«Guarda che devo dare da mangiare al moccioso.» ribadì, additando il bambino seduto tranquillo sul tappeto, spettatore silenzioso di quella scena.
«Avresti dovuto investire in anticoncezionali, piuttosto. Ti sarebbe costato meno.»
Lei allungò la mano. «Il resto dei soldi...»
L'uomo si grattò i baffi e le scoppiò a ridere in faccia. «E cosa vorresti fare? Chiamare la polizia?» Sbuffò ancora qualcosa a dimostrazione che né lei, né la discussione, meritavano un minuto di più del suo tempo.
L'uomo lasciò l'appartamento senza voltarsi. Il bambino, seduto sul pavimento, alzò lo sguardo e fissò la madre.
«Brutto pezzo di merda buono a niente, cosa diavolo stai guardando?» lo apostrofò.
Il piccolo non diede alcun segno di risposta, né fisica né verbale. A dire il vero, a giudicare dallo sguardo spento sul suo viso, era impossibile capire se avesse perlomeno udito o compreso le parole della madre.
Nell'appartamento, cucina e soggiorno erano uniti in un unico ambiente. La donna si allontanò di pochi passi e si sedette al tavolo della cucina. Spostò una pila di vecchi quotidiani, piatti incrostati dagli avanzi di cene passate e scatole di cereali vuote, fino a trovare ciò che stava cercando. Guardò con avidità la bottiglia di liquore, vuota già per tre quarti. Svitò il tappo e ingollò un grosso sorso. Poi lo lasciò scivolare rumorosamente sul tavolo, senza darsi la pena di rimetterlo al suo posto.
Non si rese conto che il piccolo guardava verso la cucina, gli occhi fissi su uno sporco coltello da macellaio appoggiato sul piano di lavoro. Il bambino si alzò in piedi e vi si avvicinò. Lo afferrò, affascinato dai riflessi dipinti sulla lama metallica dalla luce del sole che penetrava dalla finestra, e stringendolo a sé si diresse calmo e silenzioso verso la madre.
Si posizionò quindi dietro di lei, tenendolo con entrambe le mani.
Lei afferrò la bottiglia aperta per mandare giù un altro sorso, poi si allungò a raccogliere un quotidiano su cui campeggiava un titolo dedicato al Presidente Nixon e al Watergate che aveva attirato la sua attenzione.
Il piccolo muoveva le braccia in perfetta sincronia coi movimenti della donna. Puntava ora il coltello verso la sua schiena.
Si scorgeva una rabbia silenziosa dietro i suoi occhi, mentre sistemava il manico del coltello e sollevava le braccia sopra alla sua testa. Uno dei gatti puzzolenti gli si strofinò contro la caviglia, ma era troppo assorto per accorgersene.
Sollevò il coltello e si sbilanciò verso la madre. Fece ancora un passo avanti, ma accidentalmente inciampò nella coda del gatto. Il miagolio acuto colse la donna di sorpresa e la fece girare.
A causa della torsione e della nuova posizione del suo corpo, la lama la raggiunse al braccio anziché alla schiena. Iniziò ad urlare non appena si sentì lacerare la pelle. Si alzò di scatto dalla sedia e con i polpacci la fece ricadere all'indietro. I suoi fianchi sbatterono contro il tavolo. La pila di piatti sporchi e la bottiglia si frantumarono sul pavimento. Immediatamente, i gatti tagliarono la corda e andarono a nascondersi nell'altra stanza, sotto il letto.
La donna lo fissò terrorizzata. D'istinto, strinse la ferita con l'altra mano. Il sangue le colava tra le dita fino a terra.
Il sangue gocciolava anche dal coltello che il bambino teneva tra le mani. Con un'espressione imperturbabile in volto, sollevò di nuovo il coltello e si gettò verso la madre.
Nello stesso istante, il cliente della donna rientrò di colpo nell'appartamento, inconsapevole di cosa stesse effettivamente accadendo lì dentro. «Ho dimenticato qui quel cazzo di orologio.» esordì, interrompendosi però di colpo di fronte al caos di quella scena. Poi continuò. «Ma che diamine...?»
Quell'attimo di distrazione permise alla donna di uscire proprio all'ultimo secondo dalla traiettoria della lama. Il bambino colpì lo schienale di una delle sedie con il coltello sporco di sangue, squarciando il rivestimento in vinile fino all'imbottitura in gommapiuma da quattro soldi. Con fatica, riuscì nuovamente ad estrarlo.
«Aiutami! Blocca questo coglione fuori di testa!» urlò d'impeto la madre all'uomo, ancora sotto shock.
Il piccolo liberò la lama dalla sedia nello stesso momento in cui l'uomo si precipitava su di lui. Agitò il coltello freneticamente.
La mano forte dell'uomo gli afferrò il polso. Bloccò il coltello a mezz'aria, a pochi centimetri dal suo stomaco. «Mancato!» gli disse.
Il volto del piccolo si contorse per la rabbia.
La madre si appoggiò al piano di lavoro della cucina stringendosi il braccio ferito.
L'uomo torse il polso del bambino fino a fargli cadere il coltello a terra.
La donna appoggiò la mano insanguinata alla parete del telefono e sollevò il ricevitore. Inserì il dito nell'incavo dello zero e compose il numero per chiamare l'operatore e chiedere aiuto.
L'uomo continuava a trattenere con forza il piccolo, che a sua volta urlava, scalciava e agitava le braccia come un animale in trappola.
Capitolo 2
1987...
Il giovane fissò il volto sorridente del Presidente Reagan nel ritratto appeso al muro. Si spostò di qualche passo per ammirare la cornice del diploma in Servizi Sociali. Più sotto, appoggiato su uno schedario in metallo, un rumoroso fax sputava fogli a casaccio.
Poco distante, seduta alla sua scrivania, una signora dall'aspetto gentile e alle soglie della pensione muoveva i fascicoli sul suo tavolo. Sopra di essi, era stampato il logo della DCYF: il Department of Children, Youth, and Families.
Il ragazzo picchiettò nervosamente sui tasti di una macchina da scrivere elettrica.
La consulente del DCYF esordì con ottimismo: «Ora c'è il mondo che ti aspetta, là fuori. La tua scheda è pulita. Ricominci da zero. Ho visto tanti bambini entrare e uscire di qui, purtroppo molti di loro alla fine tornano di nuovo nel sistema correttivo.» Poi, dopo un attimo di esitazione, gli sorrise e continuò. «Ma tu ti farai strada nella vita. Sono sicura che leggerò di te in qualche giornale, un giorno.»
Lui guardò fuori dalla finestra e alzò le spalle. Aveva una testa di capelli folti, ben fissati da una ingente quantità di lacca per capelli.
Lei abbassò lo sguardo per consultare il fascicolo che lo riguardava. Lesse ad alta voce i suoi risultati: «Voto medio di 4.0. Stella della squadra di atletica. Primo classificato al concorso di Informatica. Riconoscimento in Criminologia. Mille possibilità. Quale strada prenderai?»
Ci fu un silenzio imbarazzante, la consulente lo guardava con aria di attesa. Il ragazzo finalmente incrociò il suo sguardo. Sorrise. «So solo che voglio lasciare il mio segno nel mondo.»
Capitolo 3
1999...
I lampi si susseguivano fuori dalla finestra di Amy Renzine. Un tuono rimbombò in lontananza. Una brezza tesa e fresca improvvisamente fece oscillare la tenda a pochi passi dalla sedia.
Amy aggiustò il colletto della sua leggera camicia da notte rosa, poi andò a chiudere la finestra, giusto un attimo prima che la pioggia iniziasse a martellare il tetto.
Spinse il tasto skip sul suo lettore CD e tornò a scrivere sulla tastiera del suo computer. Iniziò a seguire la musica e canticchiare le strofe che raccontavano di qualcuno che sogna il vero amore e sente di conoscerlo ancora prima di averlo incontrato.
DING! La notifica dell'IM, il messaggio istantaneo, scampanellò dalle casse del computer. Azzerò il volume del lettore CD e si concentrò sulla conversazione apparsa nella finestra di chat sul monitor del computer.
ULUVME: Non hai cambiato idea? Vuoi ancora vedermi, stasera?
Amy digitò NO, poi cancellò le lettere. Picchiettò con l'unghia sul bordo della tastiera bianca. Quindi dovrei, si domandò, dovrei davvero incontrare un ragazzo conosciuto su Internet?
Si aprì un'altra finestra pop-up, accompagnata dal solito suono metallico. Amy alzò gli occhi al cielo, non appena scorse l'ID di MICROMAN. Pensò ad alta voce: «Ok, Amy, hai queste opzioni: puoi rimanere a casa da sola, di nuovo, oppure incontrare ULUVME, che di fatto sembra un tipo piuttosto interessante, oppure vederti con quest'altro, MICROMAN, un tizio di 68 anni calvo e senza denti!» Afferrò il mouse e cliccò sulla X in alto a destra nella finestra di chat di MICROMAN.
Amy aggiustò una ciocca dei suoi capelli biondo rame dietro l'orecchio. Le dita inquiete sulla tastiera. Poi parlò di nuovo ad alta voce tra sé e sé. «Hai 28 anni, Amy, non diventerai certo più giovane a rimanere qui seduta da sola con te stessa. Che cavolo...» Amy digitò il suo nome, indirizzo, e numero di telefono nella finestra della chat.
Era troppo nervosa per guardare il monitor in attesa della risposta. Voltò la testa verso la finestra della sua stanza, guardò la pioggia scorrere sui vetri e attese con pazienza la risposta del suo potenziale spasimante virtuale.
Lo scampanellio attirò di nuovo la sua attenzione.
ULUVME: Spero tu sia pronta. A tutto.
AMY378: LOL. Quale è il tuo vero nome?
Un altro fulmine squarciò il cielo. Un tuono fece tremare le finestre. Il PC crepitò con uno strano rumore elettrico. Lo schermo divenne nero.
Amy avvertì qualcosa in grembo e gridò, saltando in piedi. La sedia scivolò indietro di pochi centimetri e colpì il bordo del letto. «Stupido gatto!» sbottò, non appena si rese conto di cosa l'avesse spaventata. Il gatto ignorò il rimprovero e si strofinò contro le sue gambe, voleva essere preso in braccio. Amy obbedì.
Tornò a sedere alla sua scrivania e fissò il monitor. «Spero che questo affare si riavvii.» si lamentò. «Altrimenti non scoprirò mai che tipo è questo ULUVME.»
Un altro fulmine. Le luci di Amy si spensero.
Il gatto lanciò un lamento dall'oscurità.
Qualche ora più tardi, l'elettricità nella stanza di Amy era stata ripristinata, come dimostravano i bagliori che provenivano dal monitor del computer. Due mani sporche di sangue imbrattavano la sua tastiera bianca, digitando sui tasti con due sole dita. La mano destra si allungò ad afferrare il mouse e lo mosse leggermente. Cliccò con l'indice. Le casse emisero un bip, e un pop-up comparve sullo schermo: MESSAGGIO E-MAIL INVIATO.
Il gatto saltò sul letto, accanto al corpo esanime di Amy. I suoi occhi spenti fissavano il nulla.
L'assassino di Amy osservò la sua opera. Un sorriso di soddisfazione emerse nei suoi occhi, si fece strada attraverso gli zigomi e si fermò sulla sua bocca. Uscì dalla stanza e richiuse la porta.
Il gatto leccò il viso senza vita della ragazza.
Capitolo 4
L'agente Miguel DeRosa arrivò di corsa alla stazione di polizia. Si aggiustò con una mano la cravatta e contemporaneamente con l'altra mandò giù una grossa tazza di caffè. Fece attenzione a non rovesciare nulla sull'uniforme. Sapeva bene che il suo corpo atletico la riempiva a meraviglia, e non voleva che nulla gli rovinasse l'immagine.
Il suo collega, il detective Alan Baker, se ne stava in piedi accanto alla porta a guardare DeRosa correre per la stanza. A causa dei suoi modi pazienti, il