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Il conte di Carmagnola
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E-book275 pagine4 ore

Il conte di Carmagnola

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Info su questo ebook

Il Conte di Carmagnola 2013 Fondazione Mario Luzi- Editore ROMA.
Muovendo dall’anonima tragedia manzoniana, il Conte di Carmagnola di Giancarlo Guidotti porta alla luce, con uno stile raffinato e descrizioni particolareggiate, episodi affatto lontani nel tempo se letti sotto la lente della psicologia dei personaggi e delle dinamiche di potere intrinseche nelle azioni dei protagonisti. Gli uomini, in nome di un potere terreno, pretendono di sostituirsi a Dio, non animati dal sentimento di fratellanza che, dal Principio li unisce nel seme della medesima vita. ( Dalla prefazione di Mattia Leombruno, Presidente della Fondazione Mario Luzi.)
La cosiddetta “cultura del sospetto”, così diffusa nei nostri tempi, c’è sempre stata, e se adesso ci torniamo sopra per una riflessione non inutile, è dato da un libro e dal suo protagonista. Il Conte di carmagnola di Guidotti Giancarlo è non soltanto un romanzo su solida base storica scorrevole, coinvolgente e in certi punti commovente, ma fonte di riflessione, appunto, sul tema del sospetto, in forza del quale, si può processare, condannare e persino decretare la morte di una persona.....Guidotti ci accompagna lungo l’itinerario di Francesco Bussone facendosi incontrare luoghi e corti, donne e religiosi, guerrieri e cortigiani. Un mondo di indubbio fascino, con tante scelleratezze. Toccante il finale, con la morte della moglie del Conte: una delicatissima scena scritta con prosa elegante ed essenziale. (Giovanni Lugaresi)

LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2015
ISBN9781310545016
Il conte di Carmagnola
Autore

Giancarlo Guidotti

Giancarlo Guidotti was born in Piancastagnaio- Siena. Graduated in Modern Letters at the Rome University, living in Padua.He has numerous literary contests:International Competition “The Patarina”Rome 1972National Competition in Cosenza “Three Valleys 1988”Este National Competition Award 1990.He has collaborated with cultural Italian and foreign magazines. His wirks have been published in journals:The Literary Fair, Future of Europe. On Anthologies: Graffiti Club degli Editori 1977. Writers of World War II 1989. Broad national consensus of literary criticism (Book Fair Turin) and foreign (International Frankfurt Fair, and Pensee Universelle in Paris) has received a critical essay on “De Sanctis and French Naturalism 1989.In 2001 he published the novel with historical background a heel “ Ghino di Tacco called the Hawk”. Tells the story of a noble now outlawed already mentioned by Dante Alighieri and reported by Boccaccio in the Decameron the episode of the abduction of the Abbot of Cluny.In 2001 he published “The Hawks Amiata” Historical-critical essay on the powerful family of Palatine Aldobrandeschi.In 2003 he published “Strokes of Light”. Novel memories and experiences in memory of Tiziana Rossi, a 19 year old girl in love with life, died in a car crash.( Reviewed and presented by Rai-2003)In 2005 he published “Ezzelino the tyrant” published by University Cleup Padova. Second printing in 2006.In 2007 he won the International competition for fiction Atheste, first prize with the historical novel Ezzelino the Tyrant.In 2008 he won the International competition for research Atheste historic first prize with the book “Francesco Petrarca.” (Presented at the RAI program “Benjamin”).

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    Anteprima del libro

    Il conte di Carmagnola - Giancarlo Guidotti

    Il Conte di Carmagnola

    By Giancarlo Guidotti

    Published by Giancarlo Guidotti at Smashwords

    Copyright 2015 Giancarlo Guidotti

    Introduzione.

    Contrariamente a quanto avveniva in Europa, dove si assisteva al graduale aggregarsi dei piccoli stati nelle mani di un sovrano, in Italia nella prima metà del Quattrocento, le città, incapaci di unirsi in un progetto nazionale continuavano la lotta con le rivali, più o meno vicine, e la guerra sembrava divenuta condizione permanente di vita.

    La penisola italiana risultava spaccata in cinque stati (visconteo, veneziano, fiorentino, pontificio, angioino-aragonese) e in una miriade di piccoli Stati, in perenne contrasto tra loro, per motivi più o meno rilevanti che andavano dalla mera rettifica di un confine o alla vera e propria conquista di un intero territorio.

    Le milizie mercenarie, nate dopo il Mille dalla disgregazione feudale del mondo spagnolo, fiammingo e tedesco, fecero la fortuna di alcuni capitani quando scesero in Italia nel XIV secolo; per il fatto che alle autonomie comunali e signorili si rendeva necessaria la presenza di truppe armate, alle quali per motivi economici e politici, non conveniva reclutare e addestrare all’interno della popolazione urbana.

    Fu questo passaggio a spingere alcuni nobili dediti all’esercizio delle armi, che erano stati improvvisamente privati dei loro possedimenti, di mettersi al servizio dei vari potentati locali e di combattere al loro soldo.

    Già operanti in Europa, compaiono in Italia verso il 1340, le prime Compagnie di Ventura guidate da capitani stranieri come Giovanni da Montreal, detto Frà Moriale, Werner di Urslingen, chiamato Guarnieri, Corrado di Landau e l’inglese John Hawkwood, detto Giovanni Acuto.

    Queste sono in realtà delle bande che aggregano liberamente uomini d’arme pronti a concedere i propri servigi al migliore offerente. In pratica sono formate da tutti quegli individui, qualunque sia la loro origine, che non trovando un ruolo stabile nella società ricadono ben presto nella illegalità.

    Sono cavalieri senza terra, esuli, vagabondi, contadini, servi e schiavi fuggiaschi, disposti ad uccidere per sopravvivere.

    Quando non sono al soldo del re o di nobili, praticano il brigantaggio, imponendo taglie ai villaggi prosperosi e dando alle fiamme quelli poveri. Rapinano abbazie e monasteri, saccheggiano i granai dei contadini, uccidono e torturano coloro che tentano di nascondere i propri averi, senza risparmiare né religiosi né persone anziane.

    Uno dei capitani più famosi, Frà Moriale, così chiamato perché ex priore dei Cavalieri di S. Giovanni, si potrà permettere di chiedere la considerevole somma di 150.000 fiorini d’oro a Venezia per muovere guerra a Milano.

    Le Compagnie di Ventura dilagarono ovunque, divenendo un fenomeno di grande rilievo nella realtà europea di questo secolo. Gli stessi governanti se ne servirono per realizzare i loro scopi politici, ma cercheranno poi di liberarsene, anche se con difficoltà.

    Il mestiere delle armi si manifestò presto come una consistente fonte di reddito che riusciva ad appagare lo spirito di avventura degli uomini, consentendo così alla costituzione di entità che avrebbero condizionato per molto tempo la politica e la società del secolo xv, le Compagnie di Ventura.

    Tuttavia le compagnie costituite da stranieri ebbero vita breve in Italia e la causa forse è da ricercarsi nei capovolgimenti che sconvolsero l’Europa di quel periodo, a causa di una situazione politica e sociale estremamente tesa, come la ripresa della guerra dei Cento Anni, i conflitti politico-sociali della Svizzera contro il dominio degli Asburgo e le continue lotte fra gli Stati della Germania. Viene quindi da pensare che i gravi conflitti di quegli anni abbiano contribuito a far rientrare nei loro paesi d’origine condottieri e mercenari stranieri, per combattere a fianco o contro i rispettivi sovrani.

    I capitani di ventura presero il nome di condottieri, perché prestavano la loro azione dietro un compenso in denaro, andavano in condotta.

    Si formarono quindi, nel XV secolo, Compagnie di Ventura italiane, come qiella di Fortebraccio da Montone, Muzio Attendolo Sforza, Jacopo dal Verme, Niccolò Piccinino, Facino Cane, Francesco Bussone detto il Carmagnola, Bartolomeo Colleoni, Erasmo Gattamelata.

    Il primo condottiero italiano fu Alberico da Barbiano, il quale si mise in evidenza nell’aiuto che egli portò con la sua Compagnia di San Giorgio al pontefice Urbano VI, sconfiggendo la Compagnia di Bretoni, che sostenevano Clemente VII.

    Venne inaugurata una nuova era del soldato mercenario: da quel momento in poi le nuove compagnie non sarebbero più sorte per caso, da un’accozzaglia di gente straniera, ma solo ed esclusivamente grazie alle oculate scelte dei loro capitani. Ebbe così inizio un reclutamento mirato, selezionato, in cui l’addestramento dipendeva direttamente dal capitano, il quale forniva ai suoi uomini le armi e uno stipendio.

    La durata del contratto era denominata ferma, di solito seguita da un periodo d’aspettativa, durante il quale il condottiero rimaneva vincolato alla controparte, la quale aveva il diritto di prelazione per un altro ingaggio. Terminata la condotta, il condottiero era considerato libero, pur essendo in vigore la clausola che passando ad un nemico, non avrebbe dovuto combattere per il periodo di due anni, contro il precedente signore.

    Firenze fu tra le prime città stato ad organizzarsi in tal senso, con la creazione di speciali magistrati chiamati officiali di condotta, i quali controllavano la disciplina e l’armamento degli uomini.

    Se ci concentriamo sul lato meramente professionale, i capitani di ventura possono apparire come freddi calcolatori, uomini d’affari attenti, sagaci, avidi, forti di una spiccata professionalità anche se non sempre di onestà trasparente. Se al contrario ci lasciamo sedurre dall’aspetto vocazionale, allora scopriamo che essi riuscirono a conservare gelosamente brandelli di etica cavalleresca, rivelando spesso un culto del tutto antieconomico in favore della gloria.

    Questo periodo della storia venne sconvolto da un avvenimento grave, che coinvolse molto da vicino la penisola italiana, la caduta di Costantinopoli in mano turca. L’eco di un tale fatto risuonò in tutta Europa, condizionando da vicino, in modo determinante le economie delle nostre città marinare. A seguito di questo evento, Genova iniziò un lento e inarrestabile declino, Venezia al contrario cercò di rimarginare le ferite della perdita dei mercati orientali con una concreta azione di sviluppo sulla terraferma, grazie alla lungimiranza e all’impulso determinante che venne dato alla sua politica da parte del doge Francesco Foscari.

    Venezia non fu solo potenza marinara, ma diventò Stato continentale, conquistò il Veneto e il Friuli, raggiunse Brescia, Bergamo e, dopo la pace di Lodi, le terre dell’Adda fino a Crema. Inoltre controllò le coste della Dalmazia e della Morea, conquistando le isole, tra cui Candia e Creta, e a seguito di una tregua con il sultano, creò colonie di terra fino al mar Nero.

    Anche Milano sotto la signoria della famiglia Visconti giunse ad avere il controllo di un vasto territorio, fino alla Toscana, occupando le città di Lucca, Pisa e Siena, e fu solo l’accanita resistenza di Firenze che non gli permise di poter creare uno Stato omogeneo su tutta l’Alta Italia.

    I Visconti presto avrebbero dovuto fare i conti con Venezia, la quale dopo avere avuto il sopravvento sulle signorie dei Della Scala di Verona e i Carraresi di Padova, mirava ai territori milanesi.

    Dall’inevitabile conflitto che si venne delineando, emersero le figure dei vari capitani di ventura che con le loro imprese sarebbero divenuti determinanti nella soluzione dei contrasti tra quelle città. Il Carmagnola fu uno tra questi. Egli avrebbe condizionato la politica dei due grandi Stati dell’alta Italia, facendo pendere ora da una parte, ora dall’altra con alterna fortuna le sorti della guerra.

    Capitolo I

    Era una fredda mattina di fine marzo. Durante la notte la neve era caduta leggera e farinosa e il disegno del manto candido sul terreno mutava di continuo secondo i capricci del vento. I rami degli alberi si piegavano sotto il pesante carico e a metà del pomeriggio il cielo sembrava fare altrettanto sotto il fardello di nuvoloni scuri. Un uomo anziano procedeva lentamente, piegando le spalle al sopraggiungere delle folate di vento, mentre i fiocchi di neve, minuti come polvere, volteggiavano intorno a lui e davanti al suo cavallo. Era avvezzo al luogo, non avvertiva il freddo, perché protetto dal cappuccio e dal pesante mantello di lana che lo avvolgeva in tutta la persona.

    La neve si infittiva, fluttuava come i lembi di una sciarpa, richiudendosi alle sue spalle. Non più di tre o quattro volte aveva scambiato un saluto con altri esseri umani che viaggiavano nella direzione opposta. Era buio, nonostante non fosse un’ora tarda quando raggiunse la porta del monastero. Il suo cavallo non ce la faceva più, soffiava dalle narici vapore gelato, e sentiva sotto di se il contrarsi spasmodico dei suoi muscoli.

    Angelo, era questo il nome dell’anziano, fu ben lieto di smontare dalle spalle della sua giumenta, ed essere accolto dal tepore della stalla, illuminata dalle fiaccole poste sulla porta.

    Le giunture irrigidite, per la stanchezza della lunga cavalcata e quella tempesta glaciale, gli strapparono un gemito mentre scendeva dall’animale.

    Affidò le briglie a un garzone che si era fatto incontro.

    Venite! Venite. Come avete potuto mettervi in viaggio con un tempo simile? Era venuto ad accoglierlo la voce del portinaio, avvolto fino alla bocca dietro un pesante mantello.

    Avrei urgenza di parlare con il vostro priore, padre Lorenzo, rispose Angelo, scrollandosi con la mano la neve che si era accumulata sulle spalle. Devo recargli un messaggio urgente da parte della mia signora, la contessa Antonia Visconti.

    Troverete il priore in chiesa insieme agli altri confratelli per le funzioni sacre. Andate! Tra poco potrete parlargli. E senza aggiungere altro il vecchio monaco si ritirò nella portineria rintanandosi al tepore di uno scaldino che teneva stretto sotto il mantello.

    La chiesa che si innalzava dall’altra parte del muro di cinta del monastero, non era maestosa, assomigliava ai molti edifici sacri, di modeste dimensioni, che sparsi per tutta Italia erano sorti grazie alla benevolenza di signori e la pietà di cittadini, come atto di benevolenza nel voler glorificare la presenza di Dio sulla loro terra.

    Nell’attraversare il chiostro, l’umidità gli penetrò sino in fondo alle ossa. Benché la chiesa fosse fredda, fu con un sospiro di sollievo quando si fermò sotto quelle volte al riparo degli elementi, confortato dal calore dei ceri.

    Si sedette in un angolo quieto, si rannicchiò su se stesso per combattere il freddo di quel giorno. Avvolto nel mantello di lana, con il cappuccio calato sulla fronte, con gli occhi chiusi, muoveva a stento le labbra nell’unirsi alle preghiere dei presenti.

    Un monaco stava accendendo le candele nel coro dove si era raccolta tutta la comunità.

    Seguiva quei canti senza quasi rendersi conto di quanto dicessero le sue labbra, con la testa che gli ciondolava nel torpore che era sopraggiunto al timbro monotono delle voci del coro.

    Il suo sguardo si incontrò più di una volta con quello severo e impassibile del Cristo assiso sul trono. Ai suoi piedi vi erano figure con la testa china e le braccia levate, in attesa e nella speranza di divenire oggetto della divina misericordia.

    Intimorito da quella visione, e dall’improvviso tono inquisitorio del monaco che dal pulpito si sporgeva sugli astanti con un volto cupo. Incerto di trovarsi in un luogo amico o nella valle del giudizio, a stento riuscì a trattenere il pianto. In quell’istante gli parve di udire ancora la stessa voce e le visioni che lo avevano accompagnato nel ricordo della fanciullezza, quando, anche allora, durante una predica, il frate aveva tuonato dall’alto del pulpito: …e Dio rivolto all’angelo, disse, scendi sulla terra con la falce e mieti, perché matura è la messe degli uomini.

    Fece poi una lunghissima pausa. Gli astanti sembravano morti. L’unica cosa mobile era la fiamma che bruciava crepitando su un grosso cero di fronte all’immagine della Vergine.

    Il solo rumore che si poteva avvertire era il suo ansante respiro. È stato detto che quando i tempi saranno vicini giungerà da oriente la figura dell’Anticristo e allora per tutti coloro che non avranno creduto non vi sarà più tempo di salvezza, avranno di fronte a loro solo la collera di Dio. Tutto sarà travolto, l’universo intero sprofonderà nel nulla. L’Onnipotente, allora darà a ciascuno ciò che si merita. Vorrei usare misericordia verso di voi, ma non trovo nulla dentro il vostro animo che sia buono. Allontanatevi da me… Così parlerà. E tutti noi forse, saremmo precipitati nel fuoco eterno.

    Angelo ebbe un sobbalzo quando udì un’altra voce, ma questa gli proveniva dalle spalle. Volse lo sguardo e nella penombra riconobbe padre Lorenzo.

    Rasserenato per la vista di un volto amico, gli disse: Padre, la contessa Antonia mi ha incaricato di dirvi che veniate al più presto a trovarla, perché deve comunicarvi cose riguardanti il defunto sposo, il conte di Carmagnola. Non so di cosa si possa trattare, ma prima di partire mi ha riferito che voi siete già al corrente di tutto.

    Il monaco, per un istante stette in silenzio. Poi disse: Puoi rassicurare la tua signora che al più presto sarò da lei.

    Nonostante l’invito a trascorrere la notte presso il convento, contando di giungere a destinazione prima di notte, Angelo preferì riprendere il viaggio di ritorno, e avvolto nel suo mantello lasciò che le parole del predicatore gli tenessero compagnia per tutto il tempo che impiegò per giungere a casa.

    Nel tepore della stalla non si affrettò: Era piacevole trovarsi lì tra animali tranquilli e trattati con affettuosa cura. Si attardò a strigliare la sua giumenta, e mancò poco che non si addormentasse per la stanchezza del viaggio. Ma non era il momento di addormentarsi, non ancora. Uscì e si diresse verso la camera dove lo avrebbe atteso la contessa Antonia.

    II Capitolo

    L’indomani il religioso prese a camminare a passo svelto, sbattendo le palpebre e sbuffando per il vento che gli sferzava la faccia. Quando si aprì la porta, ansimava, piegato in due, stringendosi il fianco. Il vecchio servo della contessa, lo accolse con un sorriso, e trascinando una gamba lo precedé lungo il corridoio. Si voltava di tanto in tanto, facendo commenti sul tempo e i dolori che lo affliggevano senza dargli tregua. Raggiunsero l’ampia sala di ricevimento, la quale conservava solo nel ricordo lo splendore dell’arredo che il tempo aveva ormai reso opaco.

    Cosa posso fare per voi, padre? La voce del vecchio tremava, come le sue mani. Chiedi alla contessa che padre Lorenzo è arrivato. Il servo si grattò la testa, titubante: La signora contessa a quest’ora non vuole essere disturbata.

    Il monaco sembrò non avere colto quelle parole, perché cominciò a passeggiare lungo la stanza. Il vento si infilava in ogni fessura e gemeva contro la finestra. Il fumo del camino irritava gli occhi.

    Per un momento i suoi pensieri divagarono. Sollevata la testa incappucciata, guardò attraverso la finestra: Il Signore dà, il Signore toglie, mormorò. Si fece il segno della croce; il duro legno del crocifisso appeso al rosario che teneva stretto nel pugno gli urtò la punta del naso.

    Andò a sedersi sulla panca di lato al focolare. Allungò le mani dove rametti secchi stentavano a far prendere fuoco a ceppi di quercia umidi. Si alzò per attizzarlo con un ferro, smuovendo le braci, poi si rimise seduto.

    Intanto la serva si era recata nella camera della contessa, e la sua voce stridula risuonò nelle orecchie dell’anziana: Signora, è arrivato il religioso.

    Ad Antonia il cuore balzò in petto, la guardò infastidita. Si aggrappò alla sedia nel tentativo di alzarsi. Le vennero in aiuto due braccia vigorose. Inciampò, accecata dalla luce che invase violenta la stanza quando la serva spostò su un lato la tenda.

    Al sopraggiungere delle voci delle due donne, il monaco si diresse verso la contessa non appena questa ebbe oltrepassata la porta, porgendole il braccio perché vi potesse trovare sostegno.

    Signora contessa! Venite a sedere. Il tepore del fuoco vi farà stare meglio, le disse vedendola trascinare i piedi.

    Il monaco si assestò appoggiandosi allo schienale per osservare meglio la faccia dell’anziana signora. Sostenne il suo sguardo per un momento, poi ripiegò in avanti la testa fissando le fiamme che, scoppiettando, dipingevano ombre mobili sulla parete annerita del camino.

    Una donna portò alcune candele che sistemò in silenzio nei candelieri a muro, poi si ritirò.

    Sono vecchia, carissimo padre, vecchio come il mondo che peggiora di continuo. I vecchi ricordano e raccontano a se stessi e agli altri i ricordi, perché quel punto dell’orizzonte che è la morte, attira troppo i pensieri. I ricordi sono l’unica possibilità di aggrapparsi alla propria vita per potersi allontanare da quel pensiero che opprime e poterlo sfuggire, con la sensazione che quell’orizzonte non esista più.

    Dopo una breve pausa continuò: Il mondo, le cose e le persone sono ormai estranee alla mia persona, persino queste stanze a me tanto care. Ora tutto sembra distante, anche nello sforzo di intendere le vicende che restano nella mia testa. Non sono ricordi piacevoli, sono ricordi d’angoscia, ma non posso fare a meno, come se la loro scomparsa mi possano far sentire ancora più sola, senza nulla a cui potersi aggrappare per non andare più veloce verso quel punto dell’orizzonte.

    Rimase per qualche istante in silenzio, come nel tentativo di fermare le immagini che le erano apparse dentro la testa. Erano ombre che di continuo si mischiavano ed impallidivano. Ma le sensazioni che aveva provato, quelle no, quelle le sentiva ancora, mentre si inoltrava nei ricordi. Si era accorta che aveva cominciato a passare la mano sul suo viso, nel tentativo di cercare l’immagine di quando era più giovane. Le dita accarezzavano gli zigomi e poi scendevano sulla bocca. Come sorpresa davanti ad uno specchio, con un movimento veloce aveva intrecciato le mani sotto il mento. Nonostante l’età avanzata, la contessa Antonia era di piacevole aspetto, quei suoi occhi scuri rivelavano fermezza di carattere.

    Vedi come i ricordi possono rinnovare il dolore. Le gioie della mia vita di sposa finirono presto. Gente infida si erano uniti per colpire la grandezza del mio sposo, grandezza che tanto fastidio dava alla loro piccolezza.

    Notando la tempesta dell’animo che l’aveva pervasa, nel tentativo di allontanarla, il monaco le mostrò la bella campagna che si apriva oltre la finestra.

    Perché il destino ha permesso al mondo di rovesciarsi, questo non lo capisco. Chi era in basso è salito in alto e gli uomini sono stati snaturati: non è la natura che è cambiata, che sempre continua nel suo ordine, dall’inizio dei tempi, ma sono gli uomini. È questo disse sospirando, il segno della fine tante volte annunciata?

    Il suo volto era divenuto triste, poi mormorando, si alzò appoggiandosi al bastone, e senza nemmeno il disturbo di voltarsi, si diresse verso una vecchia cassapanca.

    Fece cenno al monaco con la testa: Venite! disse. Guardate con attenzione! Questi sono i documenti riguardanti i fatti della guerra di Maclodio.

    Dopo una breve pausa, continuò: È tutto ciò che siamo riusciti a recuperare.

    È tutto finito! Sapete della notizia? Anche l’ultimo Visconti si è presentato davanti all’eterno Giudice a rendere conto delle scelleratezze commesse.

    Scuotendo la testa, sibilò: Uomini ubriachi di ambizione e sete di potere.

    Padre Lorenzo annuì tossendo. Sapeva perché lo aveva fatto chiamare. Gli era stato fatto giurare di mantenere il segreto.

    Tradimento! Mio Dio. Sembrava che dalla bocca dei veneziani non potesse uscire che quella parola, tradimento. Il conte era stato accusato di essere un traditore, di essere in segreto accordo con il Duca di Milano. Lui! Come poteva rinnegare la parola data, lo aveva giurato sui vangeli nella basilica di San Marco, proseguì fissando il monaco con i suoi occhi grigi.

    Antonia gli si allontanò zoppicando. Chi mai porterà la colpa di quanto è avvenuto, se non quei signori di Venezia? Mentre parlava lo sdegno le stava attanagliando la gola: sono loro che hanno impedito la pace, loro! Con gli intrighi, con le loro false accuse. Il conte, mio marito, si preoccupava più del benessere degli Stati, che non di qualche miglio in più o in meno del territorio della Serenissima. Dio sa perché risparmiava i soldati vinti, perché cercava di ispirare fiducia al nemico, perché era convinto che fosse l’unica via per ottenere la pace. Tu sei sempre stato vicino alla nostra famiglia, dovrai scrivere una cronaca di quegli avvenimenti.

    Dovreste provare a perdonare, le sussurrò il religioso, ma la contessa si limitò a rispondergli con un’occhiata dura.

    Il buon cristiano…

    Padre Lorenzo!, lo interruppe, non lo farò mai. Non dimenticherò mai cosa ha fatto quella gente alla mia famiglia.

    Poi voltatasi, si avvicinò al focolare e proseguì: Come se tu fossi stato là, presente.

    Chiudendo gli occhi, il religioso fece un segno di assenso. Quando li riaprì non volse lo sguardo verso Antonia, ma fissò il fuoco.

    Spiegatemi bene quello che devo fare.

    La vecchia contessa, torcendosi le mani, gli spiegò la storia, quasi tutta.

    Entrò un servo con una brocca di vino. Antonia si schiarì la gola. Volgendosi vero padre Lorenzo, gli offrì una coppa. La sollevò al suo indirizzo e bevve.

    Ottimo. Bevete! Avete bisogno di rinvigorirvi. Bevve con voluttà, poi sorrise: Dovreste recarvi a fare visita al conte Gonzaga. Ho saputo che ultimamente si trovava da queste parti. Avrebbe dovuto avere fiducia in me, capite!

    Con un colpetto della mano tolse dal vestito un invisibile granello di polvere, raccolse le mani sul grembo, levò lo sguardo al soffitto per raccogliere i suoi pensieri, poi lo riportò sul monaco.

    Comunque troverete qualcuno che potrà rispondere alle vostre domande. Non abbiate paura a parlare, anche la loro famiglia ha conosciuto momenti tristi, legati come erano alla nostra causa.

    Era

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