Storie della storia di Genova- fatti, personaggi, aneddoti, curiosità...: fatti, personaggi, aneddoti, curiosità…
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Storie della storia di Genova- fatti, personaggi, aneddoti, curiosità... - Marisa Celestina Traxino
FOTOGRAFICO
I GENOVESI ALLA PRIMA CROCIATA
Ritengo sia opportuno iniziare questo breve ciclo di Storie della storia di Genova con l’avvenimento che segnò in qualche modo l’apparizione della città sulla scena della grande storia internazionale. (Fig. 1 - Fig. 2)
Poche vicende sono state volta a volta osannate o vituperate come le Crociate. Anche se gli storici cercano di essere imparziali, sono inevitabilmente influenzati dall’epoca in cui vivono e sono quindi portati a giudicare gli avvenimenti del passato con la mentalità, le leggi e le convinzioni propri del periodo della loro esistenza. A questo proposito la narrazione delle Crociate è emblematica: all’inizio erano definite come pellegrinaggi armati, aventi per unico scopo quello di consentire ai cristiani la visita senza pericoli ai luoghi in cui visse Gesù. In seguito furono di volta in volta tacciate di spedizioni di fanatismo religioso, di vero e proprio brigantaggio o di sete di conquiste pre-coloniali.
Si potrebbe dire che le Crociate furono forse tutto questo, anche perché si protrassero per circa duecento anni e furono guidate da uomini fra loro diversissimi, mossi da interessi o ideali contrastanti.
La Prima Crociata, promossa da Papa Urbano II a Clermont il 27 Novembre 1095, è quella che ancora oggi affascina di più.
Urbano II, nel proclamarla, aveva probabilmente in mente tre scopi. Uno era quello di consentire viaggi tranquilli ai numerosi pellegrini che si recavano in Terrasanta e che, dopo la conquista della Palestina da parte dei Turchi Selgiukidi, incontravano pericoli e difficoltà di ogni genere.
Il secondo scopo era quello di distogliere i bellicosi signori medievali dalle continue lotte che si facevano l’un l’altro per i più futili motivi: le peggiori conseguenze di queste guerre le subivano, come sempre avviene, i più deboli e poveri, che vedevano i loro magri raccolti bruciati e le loro case distrutte dalle orde mercenarie assoldate dai contendenti.
L’ultimo e forse meno importante scopo era quello di soddisfare la richiesta di aiuto che era giunta alla Chiesa occidentale da parte dell’imperatore di Bisanzio Alessio Comneno, volta a cercare di salvare quanto era ancora possibile dell’impero romano d’oriente, assalito dagli infedeli arabi, turchi ed egiziani.
La proclamazione di Clermont ebbe un successo enorme; sulla spianata, dove il Papa aveva riunito i fedeli non si udiva che un grido Deus vult!
Per i signori intervenuti ad ascoltare il Papa, qualche vantaggio la Crociata lo presentava già in partenza: a parte l’indulgenza che si acquistava per i peccati commessi (e molti non avevano certo la coscienza immacolata), i partecipanti venivano esentati dal pagamento delle imposte e non potevano essere citati in giudizio per debiti.
Nei primi mesi del 1096 partì già una spedizione diretta da Pietro l’Eremita, una singolare figura di monaco che riuscì a trascinare dietro di sé una moltitudine di pellegrini, assai eterogenea, composta da qualche cavaliere e da molta gente umile che forse sperava di sfuggire in qualche modo alla vita di stenti che conduceva, per giungere alla Gerusalemme Celeste di cui aveva sentito tanto parlare.
Purtroppo la spedizione disordinata e indisciplinata condotta da Pietro ebbe un destino tragico, perché la maggior parte dei suoi componenti morì a seguito di attacchi nemici, ma soprattutto per gli stenti che dovette affrontare, senza che ne fosse minimamente preparata.
Nell’estate del 1096 iniziarono le partenze dei contingenti che formavano la Crociata ufficiale, quella a cui avevano aderito i grandi signori dell’epoca.
Un primo contingente era comandato dai nobili del Nord della Francia: di questa spedizione faceva parte anche il fratello cadetto del re di Francia, Ugo di Vermandois.
Un secondo contingente era composto da fiamminghi e lorenesi, al cui comando era il duca di Lorena Goffredo di Buglione, accompagnato dai suoi fratelli, Eustachio e Baldovino.
Un terzo contingente, il più numeroso e bene equipaggiato, era comandato dal Conte di Provenza Raimondo di Tolosa, che lasciò la sua ricca e fiorente contea, facendo voto che non sarebbe più tornato e avrebbe finito i suoi giorni in Terrasanta.
Infine, un quarto contingente era diretto dal normanno Boemondo di Taranto e da suo nipote Tancredi.
I vari comandanti erano spinti da sentimenti diversi e da necessità contrapposte. Mentre Goffredo di Buglione e Raimondo di Tolosa erano senz’altro animati da autentico zelo religioso, così non si può dire di Boemondo, Tancredi e Baldovino, che erano in gran parte spinti dal desiderio di conquistare possedimenti a scapito degli infedeli e dell’impero bizantino (Boemondo era sempre stato avversario strenuo dei Bizantini).
I Crociati partirono per vie diverse per ritrovarsi tutti a Costantinopoli, dove avrebbero preso insieme la via della Palestina. L’imperatore Alessio li accolse con qualche titubanza; quando aveva chiesto aiuto, aveva probabilmente pensato di ricevere un contingente di mercenari da porre sotto il comando dei suoi generali; l’apparizione di quella moltitudine di soldati, comandati da guerrieri di fama, lo aveva allarmato, per cui chiese ai capi crociati un giuramento con il quale si impegnavano a consegnare all’impero le città che avrebbero conquistato ai nemici. Dopo molte esitazioni, tutti giurarono meno Raimondo di Tolosa e Tancredi. L’imperatore, che riteneva Raimondo un uomo d’onore, li lasciò ugualmente partire; Tancredi, da parte sua, se n’era andato alla chetichella con un manipolo di armati che si congiunsero successivamente al resto della truppa.
Dopo le prime battaglie, un contingente comandato da Baldovino, fratello cadetto di Goffredo di Buglione, si allontanò dal resto dell’esercito per andare ad occupare la città armena di Edessa che eresse a Contea, costituendo così il primo stato franco in Terrasanta. Baldovino, ambizioso e privo di possedimenti in patria, si era così costituito un suo piccolo regno e per il momento allontanò da sé l’impegno a recarsi a Gerusalemme. (fig. 3)
L’esercito, dopo un viaggio durissimo, soprattutto per la mancanza di cibo ed acqua, arrivò dinanzi alla città di Antiochia, una delle più importanti e meglio difese dell’intera regione. I crociati erano sfiniti; lungo la strada avevano dovuto mangiare molti cavalli ed asini, costringendo la maggior parte dei cavalieri a combattere appiedati. Era necessario conquistare Antiochia nel più breve tempo possibile, ma l’esercito bizantino che avrebbe dovuto arrivare per aiutare i crociati a prendere la città non si vedeva.
A questo punto entrarono in scena i Genovesi. Infatti, alcune galee erano giunte nel porto di San Simeone, poco distante da Antiochia, e quando i comandanti appresero le difficoltà in cui si dibattevano i crociati, inviarono un consistente numero di marinai a dar man forte, fornendo loro anche del materiale utile per la costruzione delle macchine d’assedio.
L’arrivo dei marinai genovesi coincise con la proposta che Boemondo fece agli altri capi crociati. Visto che l’esercito bizantino non arrivava, lui si impegnava a conquistare la città nel giro di pochi giorni, a patto che lo nominassero principe di Antiochia. Sulle prime gli altri capi rifiutarono, ricordando il giuramento che avevano fatto all’imperatore, ma si arresero alla controproposta di Boemondo: se l’esercito bizantino fosse arrivato prima della conquista, la città sarebbe tornata all’impero, altrimenti avrebbe costituito il principato di Antiochia con a capo lo stesso Boemondo. L’astuto normanno, che era nel frattempo riuscito a corrompere uno dei difensori della città, penetrò nottetempo per primo in Antiochia, dando poi via libera agli altri crociati che invasero la città, prendendone possesso. Ma la situazione tornò a diventare difficile perché all’interno della città non c’erano tutti quei rifornimenti di cui i crociati avevano bisogno; inoltre, nel giro di tre giorni, un enorme esercito musulmano si presentò davanti alle mura di Antiochia ed i crociati da assedianti divennero assediati, senza ormai speranze di poter recuperare cibo fuori dalla città.
Il morale delle truppe era piombato nella più cupa disperazione, tanto che chi poteva, disertò, cercando di raggiungere la costa per imbarcarsi per l’Europa. Uno di questi fu il Conte Stefano di Blois, che aveva lasciato a malincuore la sua bella corte europea. Egli riuscì a raggiungere la costa e qui incontrò un avamposto dell’esercito bizantino al quale fece presente le condizioni disperate in cui si trovavano i suoi compagni. I bizantini, ritenendo ormai spacciato l’esercito crociato, tornarono indietro.
Per inciso, Stefano di Blois, tornato dalla moglie Adele, figlia di Guglielmo il Conquistatore e donna molto energica, venne accolto da lei con insulti e accuse di codardia; rispedito in Terrasanta, vi morì poco dopo combattendo eroicamente contro gli infedeli.
Intanto, in Antiochia si verificò un fatto sorprendente. Un membro della spedizione di Raimondo di Tolosa sosteneva di avere avuto numerose visioni con le quali Sant’Andrea prometteva la vittoria ai crociati se avessero brandito la Sacra Lancia (quella che aveva trapassato il costato di Gesù sulla Croce), sepolta nella città di Antiochia. In principio ci fu molto scetticismo, anche da parte del legato pontificio, Ademaro, secondo il quale la Sacra Lancia si trovava a Costantinopoli. Poi, di fronte all’entusiasmo dei soldati che aspettavano solo un segno dal cielo, ci si recò nel luogo indicato da Sant’Andrea ed effettivamente fu trovata, sepolta in una profonda buca, una lancia, che venne immediatamente brandita, risollevando alle stelle il morale dei crociati, anche se le condizioni dettate da Sant’Andrea per la vittoria prevedevano un ulteriore digiuno volontario.
A questo punto Boemondo preparò bene la scena e, di buon mattino, i musulmani, che aspettavano con pazienza la resa di quei poveri affamati, videro con stupore uscire dalla città una grande processione salmodiante, innanzi alla quale un sacerdote portava alta la Lancia. Malgrado ci fosse qualcuno che suggeriva di attaccare subito quei pazzi, il comandante dei musulmani volle aspettare che uscissero anche gli altri assediati. Improvvisamente, la processione si aprì e, dietro di essa, comparve l’intero esercito crociato in assetto di guerra.
I musulmani, presi completamente alla sprovvista, non ebbero neppure il tempo di impugnare le armi; fu una vittoria strepitosa, con l’intero campo nemico, traboccante di viveri, cavalli, cammelli e ogni ben di Dio, divenuto preda dei crociati che, dopo aver inseguito e praticamente annientato l’esercito assediante, poterono rientrare in città con un bottino enorme.
Boemondo compensò generosamente i genovesi intervenuti; a loro assegnò un intero quartiere della città con un fondaco, un pozzo e trenta case, nonché l’esenzione da ogni tipo di imposta per il commercio che intendevano esercitare.
I marinai genovesi tornarono ad imbarcarsi sulle loro galee; nel viaggio di ritorno trovarono il tempo di recarsi nella città di Mira, dove in un monastero si custodivano i resti di San Nicola. Però appresero che i baresi li avevano preceduti e, sapendo che i monaci custodivano anche le Ceneri di San Giovanni Battista, se ne impossessarono e le portarono a Genova dove vennero sistemate nella cattedrale e dove si trovano tuttora.
La felice conclusione dell’impresa di Antiochia, ispirò a due fratelli genovesi, Guglielmo e Primo Embriaco, il desiderio di armare privatamente due navi e di andare in Terrasanta a raggiungere l’esercito crociato che si apprestava ora ad assediare Gerusalemme.
Infatti, dopo molti tentennamenti, quel che rimaneva dell’esercito crociato, decimato anche da un’epidemia, probabilmente di tifo, lasciava la città di Antiochia e si dirigeva verso Gerusalemme. All’appello mancavano Boemondo, che voleva consolidare il suo nuovo acquisto, e Baldovino, occupato a difendere la sua Contea di Edessa.
Si trovarono quindi dinanzi alle mura di Gerusalemme, ai primi di Giugno del 1099, i superstiti degli eserciti comandati da Raimondo di Tolosa, Goffredo di Buglione e Tancredi.
Gerusalemme non era grande come Antiochia, ma era ben difesa e, soprattutto, lo stremato esercito crociato non aveva la possibilità di costruire alcuna macchina d’assedio perché gli assediati avevano distrutto tutte le foreste vicino alla città e mancavano inoltre gli strumenti adatti alla realizzazione di quanto occorreva.
Ci fu allora l’intervento decisivo dei genovesi. Le due galee, comandate dai fratelli Embriaci, erano giunte nel porto di Giaffa, poco distante da Gerusalemme. Fra l’altro si era saputo che un flotta egiziana incrociava al largo, pronta a catturare le navi cristiane. I fratelli Embriaci allora, venuti a conoscenza delle difficoltà dell’esercito crociato, smontarono le due galee e tutto l’equipaggio, con legname, chiodi e tutto l’occorrente per costruire, si diresse verso l’accampamento crociato, accolto con grande entusiasmo perché i genovesi erano ben conosciuti per la loro abilità di carpentieri e di maestri d’ascia.
Sotto la direzione di due provenzali, i genovesi realizzarono in pochi giorni due gigantesche torri ed una più piccola. Le torri raggiungevano l’altezza delle mura e al loro interno potevano sistemarsi numerosi balestrieri; esternamente, erano ricoperte da pelli di animali fresche, necessarie per neutralizzare il cosiddetto fuoco greco
, che si poteva spegnere solo con l’aceto.
Con il determinante apporto delle torri, la città venne conquistata nelle giornate del 15 e 16 Agosto 1099, con un vero e proprio bagno di sangue. Si è molto biasimata la ferocia dei crociati invasori, paragonandola alla riconquista della città avvenuta circa un secolo dopo da parte del Saladino, praticamente senza spargimento di sangue.
Bisogna però tenere presente che all’epoca una città conquistata con le armi in pugno era soggetta a subire stragi e saccheggi, mentre una città conquistata attraverso trattative era preservata da tanti orrori. E questo era il caso della riconquista da parte di Saladino, che impose ai cittadini un riscatto che consentì loro di salvare la vita.
I fratelli Embriaci ritornarono a Genova per il Natale del 1099, a bordo di una galea che avevano acquistato probabilmente con i proventi del bottino ricevuto.
L’impresa suscitò grande entusiasmo in città e la Repubblica decise di organizzare una spedizione ufficiale per la Terrasanta, anche per contrastare le iniziative dei pisani, il cui vescovo era stato nominato legato pontificio al posto di Ademaro, morto ad Antiochia per l’epidemia di tifo.
La flotta genovese si componeva di una trentina di navi, al comando dei fratelli Embriaci. Su una di queste navi si imbarcò un giovane di una ventina d’anni, il cui nome era Caffaro di Rustico. Sarà lui, il primo annalista della Repubblica, che narrerà con accenti entusiastici le imprese del suo eroe, Guglielmo Embriaco. Le navi dei genovesi approdarono nel porto di Laodicea e qui appresero due notizie assai importanti: la morte di Goffredo di Buglione e la prigionia di Boemondo.
Con la morte di Goffredo di Buglione, che non aveva avuto il titolo di re di Gerusalemme ma di Difensore del Santo Sepolcro, si poneva il problema della successione. Occorreva un capo energico e laico, perché si potesse fondare una dinastia ed evitare così lotte intestine. Venne allora proposto il fratello di Goffredo, quel Baldovino che era diventato conte di Edessa e che si mostrò ben lieto di diventare il primo re di Gerusalemme.
Baldovino ebbe un primo incontro con i Genovesi; poiché era un capo accorto e lungimirante, si rese conto che per conservare il regno che si era appena costituito era necessario occupare le città della costa, che erano in mano musulmana. E per questo compito le navi dei genovesi erano una manna dal Cielo.
Propose così ai due Embriaci di aiutarlo a conquistare i porti principali, cosa che non dispiaceva affatto ai genovesi, che avevano così l’occasione di possedere punti sicuri di approdo dove esercitare i loro commerci.
Baldovino infatti offrì loro un terzo del bottino di ogni città conquistata, oltre il possesso di un rione a loro riservato e l’esenzione da ogni tipo di imposta.
I fratelli Embriaci presero così parte alla conquista di numerosi porti, fra i quali quello di Cesarea. L’assalto di questa città viene descritto dal Caffaro con scene da film hollywoodiano. Il suo eroe, Guglielmo Embriaco, sale per primo sulla scala che raggiunge le mura: la scala si rompe sotto di lui e quelli che lo seguono cadono di sotto. Guglielmo prosegue però da solo e, giunto in cima, affronta i nemici, incitando i suoi a seguirlo.
Dopo la conquista di Cesarea e di altri porti del Libano e della Palestina, i genovesi tornarono in patria, portando con