Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il mondo in un ditale di terra
Il mondo in un ditale di terra
Il mondo in un ditale di terra
E-book179 pagine2 ore

Il mondo in un ditale di terra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L'e-book è composto da una serie di racconti, di fatti e di emozioni legati alla professione di medico psichiatra ed ai ricordi di una infanzia vissuta in un “ditale di terra”, Caronia, posto fra Messina e Cefalù.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2012
ISBN9788865370421
Il mondo in un ditale di terra

Correlato a Il mondo in un ditale di terra

Ebook correlati

Racconti per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il mondo in un ditale di terra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il mondo in un ditale di terra - Antonino Buono

    Antonino Buono, Il mondo in un ditale di terra

    Copyright© 2012 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via Verdi, 9/A – 38122 Trento

    www.edizionidelfaro.it – info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione: maggio 2007 – UNI Service

    Seconda edizione: gennaio 2012 – Printed in Italy

    ISBN

    978-88-6537-041-4 (Print)

    978-88-6537-042-1 (EPUB)

    978-88-6537-043-8 (Kindle)

    In copertina: Caronia (veduta), per gentile concessione di Maria Gerbino e Gino Calcavecchia

    a Lia, Michela

    e Siddharta (gatto saggio)

    Scrivere per non morire

    La pagina bianca diventa una tavolozza su cui ridisegnare i colori della vita: un sentire la necessità imperiosa di riscrivere ciò che si vede, si ode e si vive: scrivere come tentativo di magia che trasfiguri la realtà,cercando in essa e poi fissando sulla carta ipotetici segni nascosti, perché tutto assuma senso.

    Un tendere ad esorcizzare la paura del non senso, la paura che uomini, avvenimenti e cose costituiscano un vortice caotico senza cuore e senza fini.

    Gli eventi umani sono spesso crudeli ed ingiusti, ma la mente cerca delle spiegazioni rassicuranti perché il cuore, che non si rassegna, la spinge ad indagare.

    La mente può concepire il movimento degli astri come incessante, cieco e sordo e muto ai sentimenti, ma il cuore desidera vedere in quel movimento una intrinseca armonia e ti fa tendere l’orecchio in una notte stellata, nella speranza di potere udire dei suoni misteriosi ma rassicuranti che sappiano di amore.

    Non una natura sorda, ma solidale con le vicende umane. La speranza che sia tu a non capire e non che non ci sia nulla da capire.

    Un desiderare che esista un Mistero Intelligente che non vedi e non odi e che, all’improvviso, ti parli nella mente e nel cuore, rassicurandoti,

    E talora aspetti che ti parli e tendi l’orecchio e scruti, cercando dei segni attorno a te. E cerchi il sole ed immagini che se ne stia lassù per avvolgerti con il suo calore e con la sua luce. Cerchi di afferrare l’odore dell’erba e della terra dopo un temporale, sforzandoti di captare oscuri messaggi.

    Osservi le piante del terrazzo e ti sembra se ne stiano lì, fiduciose, ad assaporare la luce del giorno, il silenzio della notte, gli infiniti palpiti della Natura che è in esse ed attorno ad esse.

    Sospetti, a volte, che siano più consapevoli di te e più sagge perché, forse, sentono cose che tu non senti e sanno cose che tu non sai: tu, spesso, distratto dai mille rumori della vita.

    Cammini fra i pini ed i pioppi del giardino cercando di non schiacciare l’erba del prato, immaginando un abbraccio ideale con tutto ciò che ti circonda.

    Guardi il gatto accovacciato accanto al tronco di un pino, che osserva con apparente distrazione, dandoti l’illusione che capti i tuoi pensieri.Senti il desiderio di sederti accanto ad esso, sentendolo amico e di intrecciare un muto dialogo, sospettando che abbia una sorniona consapevolezza dei tanti misteri.

    Interroghi, muto, l’erba, le piante, le lucertole che si muovono veloci e spaventate per la tua presenza, le formiche indaffarate ed il gatto che ti sta accanto, chiedendo loro se, per caso, non siano a conoscenza di un qualcosa che tu non afferri.

    Scrivere per non morire: senti la necessità di fissare questi pensieri, queste sensazioni ed altri pensieri ed altre sensazioni sulla pagina bianca per paura che vadano via.

    Senti che ti sono indispensabili per non interrompere un filo fra te ed il mondo, che è il filo della vita.

    Hai la sensazione che, qualora si spegnesse, ti sentiresti sganciato dalla vita che palpita, una molecola errante nello spazio e ne moriresti.

    È una ricerca di dialogo con il Tutto ed un tentativo di dare un senso alla propria esistenza ed individualità, per esorcizzare la paura di essere inghiottiti in un Tutto senza forma, magma creatore instancabile di forme e di essenze che nascono e muoiono e si dissolvono senza la pietà di una spiegazione.

    Il mondo in un ditale di terra

    Il mondo in un ditale di terra

    Il piccolo cappuccio di metallo che le donne infilavano al dito per non pungersi spingendo l’ago da cucito, nei giochi infantili serviva anche a raccogliere poche gocce di acqua o alcuni granelli di terra.

    E il paese, Caronia, nella sua estensione, non era e non è che un ditale di terra ma, nonostante ciò, più che sufficiente a riprodurre in sé le grandi vicende della vita.

    Il ditale, le donne lo tenevano a portata di mano in una tasca delle lunghe vesti nere, perché c’era sempre qualcosa da rattoppare e la roba doveva durare il più a lungo possibile.

    Era un rattoppo continuo, con le camicie dei contadini che dopo anni di rattoppi somigliavano a dei mosaici variopinti, costruiti con pezze dai molteplici colori.

    Anche le scarpe non sfuggivano ai rattoppi a cui provvedeva con pazienza ed inventiva mastro Lucio, il calzolaio.

    E dopo tanto raffinato restauro, non potevano sottrarsi ad una accurata lucidatura a cui si provvedeva con altrettanta inventiva, ricorrendo ad una pezza inumidita e strofinata nella fuliggine del forno.

    Le scarpe, beninteso, venivano usate nei giorni di festa e la domenica per chi restava in paese.

    Esse erano un lusso per la campagna, per cui la maggior parte dei contadini usava al loro posto i scarpi u pilu: le scarpe con il pelo, che erano dei calzari simili a quelli dei romani, ricavati dalle cotenna del maiale, che venivano infilate ai piedi preventivamente fasciati con delle pezze. Il tutto era tenuto insieme da legacci.

    L’asino ed il mulo erano i mezzi di locomozione per raggiungere i campi, percorrendo strade malconce ma suggestive che si snodavano e si snodano fra uliveti, vitigni, spighe di grano e sullo sfondo il mare o la montagna.

    La strada da fare per raggiungere i campi, quasi mai era inferiore alle due ore per andare ed altrettante per tornare in paese.

    All’alba, era tutta una processione di uomini e bestie diretta ai campi ed all’imbrunire, la processione si svolgeva all’incontrario con le bestie cariche di legna e verdura dei campi.

    La strada più trafficava era via croce che di sera risuonava, come tante piccole campane in azione, per il ritmico sbattere degli zoccoli ferrati, di asini e muli, sui lastroni di pietra e mi sembrava osservando questa sorta di processione di uomini e bestie che, a parte i contadini, anche gli asini ed i muli fossero contenti di rincasare e manifestassero la loro contentezza sbattendo gli zoccoli più forte del necessario.

    A non tornare tutte le sere erano soprattutto i carbonari perché impegnati in montagna a controllare u fussuni fatto di tumuli di legna predisposti ad arte, che bruciavano lentamente da dentro, per ottenere il carbone.

    Una processione a parte era quella di enormi camion, alcuni credo eredità degli eserciti che si era affrontati in quelle zone nell’ultimo conflitto, che di sera tardi scendevano dalla montagna carichi di tronchi d’albero secolari o di sughero che, procedendo lentamente, riempivano il paese di un rombo continuo che, comunque non era avvertito come fastidioso, perché sapeva di lavoro e di futuro.

    Un mondo fatto di contadini e di donne vestite di nero, perché c’era sempre qualche anima santa a cui portare rispetto.

    Distanti da questo mondo eppure solidali, cerano l’Arciprete sempre indaffarato per le molte novene e feste, il medico condotto panciuto e saggio dispensatore laico di consigli non solo per la salute fisica, i tre maestri elementari di cui uno matematico per la sua passione per la matematica che lo teneva chiuso in casa a fare calcoli e libero pensatore perché si mormorava che non credesse nell’altro mondo.

    C’era anche il maresciallo dei carabinieri, il forestiero in divisa che non intimidiva nessuno perché quasi ogni famiglia aveva un figlio carabiniere lontano.

    Le ragazze spesso indossavano abiti molto colorati, americani, perché inviati da parenti americani.

    Molte famiglie avevano qualche parente in America che, subito dopo la guerra, aveva preso l’abitudine di mandare il pacco.

    Il pacco era quasi standard: conteneva immancabilmente camicette e gonne molto colorate, qualche giaccone e scarpe.

    Le scarpe americane per donne erano per lo più lucide e con il tacco molto alto per cui venivano subito presentate a mastro Lucio il calzolaio per un intervento di correzione del tacco, perché l’equazione era: tacco alto eguale figura da buttana .

    La riforma agraria e l’occupazione delle terre divennero, dopo pochi anni, temi di discussione ricorrente fra i contadini ed alimentarono sogni di benessere.

    Sarvaturi, comunista e carbonaio ne era il primo e più vivace propugnatore: aveva la loquela facile e periodicamente arringava in piazza i contadini.

    Nemici erano i forchettoni, ossia quasi tutti i democristiani, i benestanti e in genere tutti quelli che avevano il torto di non morire di fame.

    L’Arciprete era anch’egli un forchettone perché democristiano, con l’aggravante di essere prete ben pasciuto e di sottrarre voti al P.C.I. con il suo invitare, che poi era quasi un ordine, le donne di chiesa a votare per la D.C., loro ed i loro mariti.

    Uomo robusto, ma dalla parola non facile, aveva dalla sua un carattere accomodante e un sorriso sornione.

    Se per Sarvaturi il luogo di azione era piazza San Biagio (u chianu), per l’Arciprete era la Matrice.

    Nella Matrice teneva banco con le tante funzioni: le molte novene, il Natale e la Pasqua, la festa di Sant’Antonio da Padova, quella ru Signuruzzi ra Marina e in primis la festa di San Biagio.

    San Biagio era ed è il santo protettore di Caronia e veniva considerato un amico ed un confidente, anche se era russo.

    In Russia era stato vescovo e medico, un bravo medico si capisce, forse specializzato in malattie della gola.

    Di lui si raccontava da sempre che, secoli addietro e ormai da molto tempo in Paradiso, dando una occhiata giù, oltre le nuvole, notò Caronia e si invaghì del posto tanto da autonominarsi suo protettore.

    Per comunicare la sua decisione a Caronia, si fece vedere da più gente possibile seduto comodamente su di un grande scoglio, laggiù alla Marina.

    I paesani capirono ed accettarono l’offerta che non era una offerta, ma una decisione.

    Così San Biagio si alzò e se ne tornò in Paradiso, lasciando quaggiù lo scoglio che da allora si chiama a petra i San Brasi.

    Fu così che nacque una grande amicizia fra la gente ed il Santo e non c’è mai stato nessuno che se ne sia mai lamentato.

    Le funzioni religiose erano affollatissime e democristiani e comunisti riempivano la Chiesa.

    L’arciprete si trovava a proprio agio nelle Messe cantate e in tutti i riti in cui c’era da cantare. Non altrettanto nel fare le prediche che costituivano per lui un grosso problema, dovendo ogni volta cercare nell’archivio della propria mente la parola giusta da dire, e non sempre la ricerca era ragionevolmente rapida e fruttuosa.

    Quando proprio l’archivio si inceppava, faceva una smorfia ed un gesto come a dire cercatevela voi la parola! e passava ad altro.

    Don Saridu l’organista, a sua volta, si esibiva all’organo con perizia e quando taceva l’Arciprete, era lui a cantare

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1