Shanghai suite
Di AA. VV.
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Anteprima del libro
Shanghai suite - AA. VV.
Note
Shanghai suite
Bao Tian xiao
Zhang Tianyi
Liu Na’ou
Mu Shiying
Ye Lingfeng
Shi Zhecun
SHANGHAI SUITE
ASIASPHERE
Collana di narrative dell’Asia orientale e del Sudest asiatico
diretta da Gianluca Coci
Comitato scientifico
Alessandra Chiricosta, Vincenza D’Urso,
Barbara Leonesi, Andrea Maurizi,
Antonietta Pastore, Nicoletta Pesaro,
Silvia Pozzi, Paola Scrolavezza,
Antonia Soriente, Stefania Stafutti
Traduzioni dal cinese di Barbara Leonesi, Luca Pisano, Stefania Stafutti, Caterina Viglione.
Introduzione di Stefania Stafutti
© 2014 Atmosphere libri
www.atmospherelibri.it
ISBN: 978-88-6564-100-2 (cartaceo)
collana Asiasphere, maggio 2014
La vita cosmopolita di Shanghai, la Parigi d’Oriente, negli anni ’30 nei raccolti dei migliori scrittori cinesi del Primo Novecento.
Negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale, la Parigi d’Oriente
è la grande metropoli delle concessioni straniere, un crocevia vivacissimo di avventurieri, di artisti, di intellettuali impegnati, di belle donne, di imprenditori, di perditempo e di miliardari gigolò, ma è anche una città di miseria estrema, di ingiustizia e di ineguaglianza. I temi, il linguaggio, la sensibilità personale e artistica degli scrittori dell’epoca sono assai vicini a noi, più vicini di quanto non accada per gli autori della Cina contemporanea. L’ironia graffiante che percorre il racconto Il signor Hua Wei potrebbe essere applicata senza nessuna difficoltà a una serie di personaggi più o meno oscuri della scena italiana, professionisti
della politica senza arte né parte. Allo stesso modo gli scrittori di successo
, affamati di quattrini, che affollano inutilmente i nostri talk show sono buoni sodali de La sofferenza del Salsiccia. Entrambi i personaggi escono dalla penna di Zhang Tianyi (1906-1985), uno dei grandi della letteratura del Novecento. Lo scintillio fasullo dei locali alla moda, contrapposto alle vicende umane spesso drammatiche delle persone che li frequentano è un altro tema molto frequentato dagli scrittori dell’epoca, fra cui Mu Shiying (1912-1940, Cinque al nightclub). Li comprendiamo perfettamente quando volgono lo sguardo a una sessualità torbida e repressa (Mu Shiying in La donna di platino), o incerta e conclamata (Ye Lingfeng, 1905-1975, de La numero 7),così come quando mettono a nudo una disperazione esistenziale celata da un cinismo di facciata (Liu Na’ou, 1905-1940, di Scarti, o Bao Tianxiao,1875-1973, de La cortigiana malata) o, ancora, quando trasferiscono magistralmente nella scrittura le piccole frustrazioni innocue della quotidianità di mariti, impiegati, amanti, come nei racconti di Shi Zhecun. Questi autori appartengono al numero dei prediletti dal cielo, capaci di parlare al cuore e all’intelletto degli uomini, in qualunque tempo e a qualunque latitudine.
INDICE
Introduzione
Bao Tianxiao: La cortigiana malata
Zhang Tianyi: Le sofferenze del Salsiccia - Il signor Hua Wei
Liu Na’ou: Scarti - Scorrere
Mu Shiying: La donna di platino - Cinque al night club
Ye Lingfeng: La numero 7
Shi Zhecun: Pioggia in un tramonto primaverile - Gabbiani - La ballerina rococò
Gli autori: cenni biografici
Introduzione
Che cosa raccontare al lettore che si appresta a sfogliare queste pagine?
Non è una domanda retorica, perché il rischio di affastellare troppe informazioni è tutt’altro che remoto. C’è una quantità veramente straordinaria di studi sulla Shanghai dei primi decenni del XX secolo e, nel contempo, vi è una altrettanto straordinaria quantità di fonti originarie dalla quale trarre spunti, materiali, informazioni, suggerimenti.
Direi che, con qualche eccezione, la figura femminile è il filo conduttore principale di questa raccolta, e alle signorine di Shanghai
certamente verrà dedicato uno spazio: sono un piccolo esercito di utili guide nel ventre profondo della città, ma non verranno trattate come figure esotiche
, perché non così le guardano gli autori che abbiamo prescelto anche se, come vedremo, l’esotismo in qualche misura può essere evocato. Fin dall’inizio è bene chiarire comunque che, al di là delle apparenze e al di là – talvolta – delle stesse intenzioni degli scrittori, tutte le donne dei racconti, ma, direi, in generale, tutti i personaggi - perché neanche il Salsiccia o il signor Hua Wei fanno eccezione - si muovono in realtà su di uno sfondo per molti aspetti drammatico. Di questo sfondo è necessario dare ragione, almeno in termini generali, perché il fascino e la modernità di questi testi sta anche nel rapporto tra le storie minime
che essi raccontano con la grande Storia. Essi, inoltre, posseggono un altro tratto comune di modernità: l’occhieggiare, inquietante, del presagio di solitudine che caratterizza il rapporto dell’uomo con la metropoli moderna è un elemento colto con lucida consapevolezza. Spesso gli autori vi accennano quasi con garbo, come accade nelle riflessioni della non inconsolabile vedova Qin di Scarti,o nelle conversazioni telefoniche di Su Wen, civettuola ballerina rococò
, esposta pericolosamente sul baratro della propria vuota esistenza zeppa di cose, o, ancora, nei pensieri piccoli, nei desideri piccoli, nei piccoli gabbiani tracciati distrattamente sulla carta da Xiao Lu, piccolo impiegato di banca
. Ma a tratti questo garbo scompare e la pagina viene d’improvviso lacerata dalla disperazione dei "cinque al night club" e dei loro comprimari, le cui esistenze vengono spazzate via dall’irrompere della grande Storia in una quotidianità ammantata di un glamour di carta stagnola. Tutti questi personaggi sono cittadini plausibili di una Shanghai vera, che vale la pena di definire nei suoi contorni storici perché anche quando la Storia non irrompe violentemente nelle loro vite, è pure presente in modo ineludibile. Lo è, per esempio, nella toponomastica apparentemente assurda della città: il lettore troverà nomi di vie scritti in cinese, in francese, in inglese. Non è sciatteria del traduttore: tutt’altro. Nella toponomastica pare riassumersi assai bene la condizione ibrida e paradossale di Shanghai, città cinese ma sottratta ai cinesi [1], dove gli occidentali la facevano da padroni, senza che essa fosse a pieno titolo una colonia. I nomi delle vie sono, appunto, illuminanti: la toponomastica ufficiale, nella zona non direttamente governata dall’autorità cinese, era stabilita dalle autorità delle concessioni: ecco perché la strada principale della concessione francese poteva essere intitolata al Generale Joffre, eroe della Prima guerra mondiale. Al nome voluto dagli stranieri si sovrapponeva il nome originario, laddove esisteva, oppure un nome cinese più o meno storpiato, che richiamava foneticamente quello imposto dalle amministrazioni delle concessioni ma che mitigava quella sensazione di straniamento che una toponomastica aliena di certo alimentava nei nativi. Nel lessico quotidiano tutti i nomi erano plausibili e la scelta di uno o dell’altro avveniva in relazione alla funzione che la toponomastica assolveva ma anche ai diversi ambienti sociali – laddove la discriminante non era soltanto tra cinesi e non cinesi, ma anche tra cinesi ricchi e cinesi poveri, tra cinesi giovani o più anziani, tra cinesi esposti all’influenza delle comunità straniere e cinesi meno internazionali
. Nei racconti si è rispettata la scelta dell’autore e si è deciso di non appesantire il testo con indicazioni relative alla corrispondenza tra i nomi di allora e quelli in uso nella Shanghai dei nostri giorni. Esistono ampi repertori, oramai, per soddisfare queste curiosità e, nella maggior parte dei casi, la rete costituisce una risorsa più che sufficiente. Basterà qui consigliare al lettore curioso che approdi un giorno a Shanghai una visita accurata della città nella zona delle concessioni: spesso nascoste dietro il gigantesco paravento dei grattacieli, esistono ancora molte testimonianze architettoniche di quella Shanghai. A volte non occorre uno sguardo particolarmente allenato: nella concessione francese, ad esempio, sopravvivono almeno in parte alcuni dei parchi di allora, rimasti a lungo nella memoria dei locali per gli odiosi regolamenti che disciplinavano l’accesso:
Il parco francese Fuxing era vietato ai cani e a noi cinesi; se proprio volevamo entrare, dovevamo per forza indossare abiti di foggia occidentale, perché così potevamo essere scambiati per giapponesi. E adesso? Gli occidentali, chissà per quale ragione – forse per compassione – l’anno reso pubblico
[2].
La città è molto spesso co-protagonista a pieno titolo nella letteratura di questo periodo. Ciò accade in verità molto poco nei testi qui raccolti dove, in generale, essa è comprimaria senza diritto di parola se si eccettua, forse, l’intreccio di strade lungo le quali si dipana l’intreccio di ricordi e di pensieri più o meno bislacchi del protagonista di Pioggia in un tramonto primaverile. In generale, tuttavia, i racconti sono piuttosto foto di interni con Shanghai
, talvolta asfissianti, a sottolineare la prigionia dorata in cui si muovono le figure, le signorine di Shanghai
, ne La ballerina rococò o La cortigiana malata, piuttosto che i disperati habitués del night club. Talvolta sono interni gravidi di odori: ne La donna di platino è alla mescolanza di alcool, caffè, fenolo e acqua di colonia
che si affida il compito di connotare definitivamente uno stile di vita occidentalizzante.
Che in questi racconti Shanghai appaia quasi sempre solo come sfondo è un fatto del tutto casuale: la maggior parte degli autori che qui abbiamo scelto sovente ne hanno fatto, invece, un personaggio
a pieno titolo, una sorta di voce in contrappunto capace non solo di contenere, ma di accogliere e dare forma visibile e concreta ai sentimenti dei suoi abitanti. È una Shanghai trattata cinematograficamente
, che spesso scorre sotto gli occhi del lettore con lo stesso ritmo un una sequenza di fotogrammi. È, per esempio, il caso dei palazzi che volano via
sopra la testa del protagonista, nella corsa del mezzo pubblico braccato dai disordini di piazza. D’altra parte, Ye Lingfeng, Shi Zhecun, Liu Na’ou, Mu Shiying erano grandi appassionati di cinema, talvolta critici e autori cinematografici essi stessi: la loro città è tutt’uno con i suoi abitanti, soprattutto di notte, quando ne condivide i più intimi segreti. Gli shanghaiesi guardano Shanghai, che a sua volta restituisce lo sguardo:
"…. occhi sensuali e concupiscenti delle sale da ballo, occhi di mosca, come mascheroni bestiali di taotie, dai grandi magazzini, occhi ebbri e scanzonati dalla Corte della birra
, occhi consumati e ingannatori dai saloni di bellezza, occhi mobili, intimi e caldi dalle case di lusso, occhi ipocriti di dottrina dalle chiese, occhi triangolari, traditori e menzogneri dai cinematografi, occhi annebbiati e sonnolenti dai ristoranti. Occhi di pesca, occhi di lago, occhi azzurri, pupille su cui scorre il panorama della città: ritta in un angolo scuro della via, la prostituta scruta con occhi di topo (…) il giovane poliziotto indiano della pattuglia di ronda…"[3]
Indiani, giapponesi, occidentali: la città è marcata anche nell’arredo urbano da queste differenze, e neanche i cinesi di Shanghai disponevano di note in calce per decifrare insegne che non sempre comprendevano. In questa raccolta, i traduttori hanno perciò operato una serie di scelte, decidendo di non scendere nel dettaglio di spiegazioni troppo destinate agli addetti ai lavori. Cito solo un caso, a titolo di esempio: nel racconto dedicato alla numero 7
, compare il nome di una azienda reso come Nishikki Consolidata. Si sarebbe potuto tradurre Nippo-Cina Consolidata, questo il significato del breve acronimo. La scelta di ricorrere a una trascrizione giapponese deriva dalla volontà di riprodurre
, in qualche modo, una emozione. Si è voluto ricreare il senso di fastidio che un cinese doveva presumibilmente provare nel leggere un acronimo dove non solo il nome del Giappone veniva prima di quello della Cina, ma dove per trascrivere il nome di Cina si utilizzava una trascrizione fonetica invisa ai cinesi, che i giapponesi avevano scelto scientemente, sostituendola, con deliberato disprezzo, al nome storico della Cina; il loro intento era quello di eliminare ogni memoria del fatto che la Cina potesse essere considerata il paese di mezzo
, il centro del mondo – tale è, come è noto, il significato del nome nella sua lingua originale.
Nel contempo, proprio scegliendo un nome trascritto alla giapponese
si è voluta sottolineare l’alterità del personaggio di Ye Lingfeng rispetto ai fatti drammatici dei quali è protagonista: fuori accade il finimondo, ma lui spera contro ogni ragionevolezza che il mezzo pubblico prosegua la sua corsa, per continuare a fantasticare sulla lettrice di Tanizaki, sua compagna di viaggio non del tutto casuale. Ad un certo punto egli afferma di essersi trasformato in un qualunquista
. La scelta del termine qualunquista
per rendere il cinese persona del terzo tipo
(disan zhong ren) potrebbe a sua volta valere una nota, ma la nota, al contempo, non è essenziale per comprendere la dinamica del racconto e, soprattutto, la psicologia del protagonista. Vale piuttosto la pena di sottolineare come egli possa essere facilmente avvicinato a personaggi analoghi in letterature all’apparenza sideralmente lontane nel tempo e nello spazio. Lo scrittore che esercita ogni giorno, lungo il suo tragitto in bus, una sorta di onanismo intellettuale e lo stupendo personaggio de Una questione privata, il capolavoro di Fenoglio pubblicato postumo nel 1963 hanno, per esempio, elementi in comune. Il personaggio di Ye Lingfeng nulla possiede della tensione morale di Milton, eppure per entrambi la grande Storia si ferma, si piega e perde di importanza: a causa di un amore per il partigiano langarolo, a causa di un assai più estenuato capriccio amoroso per l’osservatore entomologico di bellezze femminili descritto da Ye. Se Milton possiede una carica passionale ed emotiva che ci conquista, il personaggio di Ye è tuttavia più lucido quando mette in evidenza il tratto psicologico che lo accomuna all’eroe di Fenoglio: egli dichiara onestamente e quasi provocatoriamente che il suo interesse per la numero 7
lo distoglie dai fatti cruciali della Storia ed ammette senza travagli interiori di essere diventato, appunto, un qualunquista. La definizione persona di terzo tipo
, che egli appunto utilizza certo non è trasparente per il lettore italiano e ci torneremo tra poco: ma, innanzitutto, al di là delle questioni traduttive, vorrei che il lettore percepisse la disparità di grandezza tra la Storia e la storia
del nostro personaggio, che appanna e banalizza la prima, proprio come accade in Fenoglio. Anche in Ye, personaggio e testo sono perfettamente calati nel dibattito intellettuale del tempo. Alcuni aspetti possono sfuggire al lettore moderno, oramai anche a quello cinese, se non specialista, ma ciò non intacca la fluidità del percorso narrativo né lo rende meno godibile o meno comprensibile.
L’uso della espressione persone di terzo tipo
(di san zhong ren) o, più precisamente, umanità del terzo tipo
(di san zhong renlei) non è certo casuale: alla fine del 1931 nei circoli letterari di Shanghai, vivacissimi e caratterizzati da un tasso altissimo di verve polemica e di litigiosità, infuriava il dibattito sul ruolo della letteratura. I marxisti la volevano al servizio del proletariato
e fortemente impegnata in senso sociale; essa avrebbe invece dovuto mantenere una propria autonomia secondo gli intellettuali di orientamento liberale. Il dibattito aveva, sostanzialmente, tre protagonisti: innanzitutto, la Lega degli scrittori di sinistra. Nata a Shanghai nel 1930 con una vocazione soprattutto patriottica – tant’è che ne furono membri, in una prima