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Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa
Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa
Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa
E-book248 pagine3 ore

Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa

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Info su questo ebook

Siamo da qualche parte nel futuro.

Santa Meelano è una città grigia, perennemente avvolta dalle nebbie, circondata da una fascia di centri urbani con nomi curiosi come Collonium, Segratown e Vibrodrone.

Meecia è una ragazza di diciassette anni che vive con una zia intrattabile e frequenta uno scalcinato liceo pubblico. Ma è anche la Gatta di Ghisa, agente della Facoltà Fantasma, un gruppo di aspiranti rivoluzionari part time. Il loro nemico numero uno è la CoproTech, una multinazionale che ha interessi in ogni settore, dalle armi batteriologiche ai dentifrici.

Una notte, durante una missione sul campo, Meecia incontra Giona, un tizio che abita in un vagone ferroviario abbandonato e si guadagna da vivere assemblando scatole muggenti. Giona non è un uomo qualunque: è molto meno di un uomo qualunque. Eppure, tra milioni di individui che popolano Santa Meelano e dintorni, la CoproTech sta dando la caccia proprio a lui. Perché? Cosa lo rende tanto speciale, a parte il fatto che non sa allacciarsi le scarpe? E cosa c’entra il Nibbio Nebbioso, eroe mascherato di una famosa serie tivù?

È l’inizio di un’avventura che coinvolgerà mutanti slavi, rockstar in declino, scienziati pazzi ipocondriaci, dive delle previsioni del tempo, conigli assassini. E cambierà per sempre il volto di Santa Meelano.

Forse.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ott 2013
ISBN9788868554729
Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa

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    Anteprima del libro

    Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa - Daniele Gabrieli

    Daniele Gabrieli

    Le avventure del Nibbio Nebbioso e della Gatta di Ghisa

    >>> Dramatis personae >>>

    >>>Para Meecia Stelaxa>>> Ragazza adolescente e, in segreto, membro della Facoltà Fantasma con il nome in codice Gatta di Ghisa.

    >>>Lookaz>>> Membro della Facoltà Fantasma con il nome in codice Ragno Randagio.

    >>>Binaso e Quattrocchi>>> Criminali da strada.

    >>>Yang e Blanco Choombia>>> Gemelli, rispettivamente sindaco di Santa Meelano e leader dell’opposizione.

    >>>Murio Masteeno>>> Trafficante di oggetti d’antiquariato.

    >>>Giona Ganaxa>>> L’uomo più sfigato d’Europa.

    >>>Senior>>> Padre di Junior.

    >>>Junior>>> Figlio di Senior.

    >>>Madame Muffa>>> Zia di Meecia e parrucchiera per signora.

    >>>Artooro Peregus, detto il Gus>>> Volontario del servizio ambulanze.

    >>>La Volpe Voltaica>>> Superiore di Meecia nella Facoltà Fantasma, e non solo.

    >>>Cresta Cromata, Ala d’Azoto, Zanna di Zinco>>> Comitato Centrale della Facoltà Fantasma.

    >>>Helio>>> Compagno di classe di Meecia.

    >>>Reeno Pontiac>>> Ex membro di una rock band, oggi attore di serie tivù.

    >>>Tania Tris>>> Star delle previsioni del tempo e fidanzata di Reeno.

    >>>Albesto Pellegreen>>> Agente di Reeno e di Tania.

    >>>Pedro Garcia Caxaneega, detto il Dottore>>> Scienziato e dipendente della CoproTech.

    >>>Mercurio, Krakazoom, Brigitte_Bordeaux>>> Avventurieri del reame di Improbabylon.

    >>>L’Uomo d’Ottone, la Bambola di Tolla, il Nonno Bionico>>> Passanti.

    >>>La signora Senior>>> Moglie di Senior e madre di Junior.

    >>>Bilingue>>> Criminale poliglotta.

    >>>Tallio Two-Riddoo>>> Ristoratore.

    UUID: b90531d0-8628-11e4-a1aa-9df0ffa51115

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Table of contents

    FINE DELL’AREA URBANA DI SANTA MEELANO. ATTENZIONE: ACCEDENDO ALLA FASCIA ESTERNA ACCETTATE LEGALMENTE IL RISCHIO DI ALTERAZIONI GENETICHE E/O CONTAMINAZIONI CHIMICO - BIOLOGICHE E/O AGGRESSIONI CON ARMI BIANCHE E BALISTICHE. IL COMUNE DI SANTA MEELANO DECLINA OGNI puntini puntini puntini.

    I puntini sono, in realtà, fori di pallottola. Segni d’interpunzione simili sono sparsi per tutto il messaggio.

    Il cartello è sul lato destro della strada. Sul lato sinistro c’è un altro cartello, identico al primo per forma e dimensioni ma rivolto nel verso opposto. In mezzo, due carreggiate d’asfalto rugoso divise da una linea continua.

    Intorno, nebbia.

    Sulla media distanza il mondo sembra sintonizzato male, come una vecchia tivù che sta tirando gli ultimi. Strati di gradazioni del grigio disegnano ombre di oggetti misteriosi. Forse menhir, o condomini.

    Sulla lunga distanza l’universo si disintegra e si ricompone in un muro omogeneo di particelle grigiastre. Sola eccezione: in cielo, la macchia sbavata della Luna.

    In terra, all’improvviso, una cometa su ruote sfreccia sulla carreggiata di destra, seguita da una scia di fiamme azzurre. Lo spostamento d’aria è tale che il cartello crivellato trema.

    L’altro cartello, invece, non si muove. Sempre rivolto alla carreggiata di sinistra, dice:

    SANTA MEELANO.

    Qualcuno, a colpi di vernice spray, ha aggiunto:

    CASA DEL NIBBIO NEBBIOSO.

    >>> Avanti veloce: 5 minuti. >>>

    STATE ENTRANDO NELLA CITTA’ DI VIBRODRONE. ALMENO SIETE VACCINATI CONTRO IL TETANO?

    Questo è quanto si legge, inciso a caratteri cuneiformi, su un pezzo di lamiera affisso a un palo.

    Intorno, nebbia.

    A destra della strada è fermo un triciclo a motore, lucido come una pentola da televendita. Ai lati della ruota posteriore, sotto il bauletto portaoggetti, ci sono due reattori grandi come scaldabagni, nei quali bruciano ancora braci azzurre.

    Tra i colli oblunghi degli specchietti svetta un parabrezza di cristallo. Al suo interno brulica un alveare di dati digitali. All’esterno è spiaccicata una strage di moschini analogici.

    Sul sellino è poggiato un casco da moto, nero con pezzature bianche. La visiera è sollevata.

    Vicino allo scooter c’è una ragazza. Età apparente: quindici – venti.

    Ha la testa grossa e il corpo sottile: sembra un pupazzo pieghevole, gomma su filo di ferro. Capelli tigrati, color petrolio, a strisce diagonali bianco lattice; lunghi davanti, raccolti dietro in due cespi speculari.

    Braccia e schiena coperte di felpa leopardata, nera a chiazze chiare, aperta su un corpetto mimetico. Gambe contese tra pantaloni neri, pelle sintetica, e buchi bianchi, pelle umana. Anfibi pensati per un quarantatré di piede.

    Mani corazzate d’anelli. Al polso destro, un bracciale di silicone rigido. Sul bracciale, il rettangolo di un display. Sul display, numeri che cambiano di continuo.

    In vita, cintura con fibbia oversize riproducente muso di gatta imbronciata.

    In faccia, broncio.

    In testa, cerchietto d’acciaio dal quale spuntano due triangoli di metallo, che possono ricordare orecchie di tigre. O di lince. O, a scelta, di gatta.

    Una decina di metri più avanti c’è un uomo. Età apparente: venticinque – trenta.

    Ricci color ruggine, lunghi sulla nuca, raccolti con un giro di filo spinato. Barba caprina. Giacca militare tempestata di spillette d’alluminio, aperta su una maglietta fucsia. Cravatta di celluloide, jeans antracite martoriati di tagli, sandali infradito di sughero.

    Sullo zigomo destro, un ragno ottenuto tatuando otto zampe intorno a un neo dalle dimensioni preoccupanti.

    Una decina di centimetri più avanti c’è un carro armato monovolume. Gomme chiodate sospendono a mezzo metro dal suolo uno scatolone spigoloso. Tubi di scappamento formano due file d’altezza crescente sulle fiancate. Dal retro sporge uno spoiler incrostato di led. Il corpo del veicolo è così lungo che la parte anteriore scompare nella nebbia. E così largo che, parcheggiato sul bordo della strada, blocca un quarto di corsia.

    L’uomo col ragno in faccia, rivolto verso il macchinone, armeggia con la cerniera dei jeans. Risuona lo strider di denti della zip.

    Seguono alcuni secondi nei quali non succede niente.

    Dieci metri più indietro, la ragazza dai capelli tigrati allarga le braccia e, col tono di chi ha già caricato la molla dell’irritazione, dice:

    «Allora?»

    L’uomo le lancia un’occhiata da sopra una spalla. «Qual è il tuo vero nome?» chiede.

    «Meecia» sibila Meecia.

    «Meecia», ripete lui, «per favore, dammi un minuto». Torna a guardare il veicolo che ha di fronte. «Mica la faccio a comando. Non sono un barboncino».

    «Abbiamo fretta», ringhia Meecia, «brutta testa di…»

    «Lookaz» dice Lookaz. «È il mio nome. E questa gemma d'ingegneria automobilistica, qui davanti, si chiama Parkiderm. Sospensioni elettromagnetiche, paraurti di plastitanio, sistema CoproTech di guida sonar e radar, motore a propulsione ibrida, prezzo a partire da quarantamila euro, il Suv più inquinante in commercio. Ogni volta che qualcuno lo mette in moto, a un pappagallo dell’Amazzonia spuntano le branchie. Il Parkiderm è il mio nemico spirituale, ho giurato di pisciare su tutti quelli che incontro. Non ce ne andiamo di qui finché non ho mantenuto la promessa».

    «Torna sullo scooter. È un ordine».

    «Io non prendo ordini da nessuno. Specie da una bambina di sedici anni».

    «Ne ho diciassette! E l'hanno dato a me, il comando della missione!»

    «Solo perché sei figlia dei tuoi».

    Stupore e rabbia si danno un rapido cambio sul volto di Meecia. La bocca si spalanca, ma la sua voce viene coperta dall’eco di un barrito bitonale.

    «Oh, clacson» geme Lookaz, d’un tratto meno spavaldo.

    Tutte le luminarie del Parkiderm si accendono: freddi fari allo xenon, bordature di spie puntiformi, file di frecce rosso lava. Le portiere scattano e si sollevano ad ala di gabbiano o, volendo, a orecchie d’elefante.

    Da entrambi i lati escono scarpe da ginnastica gonfie di camere d’aria, che si deformano al contatto col suolo. Brache col cavallo al ginocchio. Canotte da basket bicolori. Doppie catene d’oro.

    Dal lato del passeggero sbarca un tizio con due nasi, congiunti alla radice ma divergenti in punta. Il braccio destro si biforca all’altezza del gomito in una coppia di avambracci, diseguali per diametro e lunghezza. Nelle tre mani, il tizio stringe tre coltelli: da sub, da pane e un bisturi. Porta un cappello da baseball.

    Dal posto di guida scende un tizio con una bandana in testa e, in faccia, quattro occhi: punta del mento, guancia destra, fronte, guancia sinistra. Battono le palpebre a turno, in senso orario.

    Dalla gola di Lookaz emerge, in un soffio, una sola parola: «Mutanti».

    «Baba babbaba baba!» sbraita Binaso.

    «Abbaba baba ba!» aggiunge Quattrocchi.

    «Mutanti», precisa Meecia, «albanesi».

    Ora, oltre al ragno, sulla faccia di Lookaz c’è il panico. Un istante dopo, non a caso, Lookaz mantiene copiosamente la sua promessa sul paraurti posteriore del Parkiderm. Richiude la zip in un lampo, ma è troppo tardi: sei occhi albanesi lo stanno fissando con espressioni aliene a qualunque standard di cordialità.

    «Amici!» esclama lui, ma fa un passo indietro. I due tizi, invece, avanzano. Meecia, pure.

    «Non temete», dice Lookaz, arretrando, «io sto dalla vostra parte! Con il popolo albanese, contro l’imperialismo della CoproTech! Di dove siete, di Tyrannia? La zona delle scorie radioattive? Presto, molto presto, il governo sarà costretto a far luce su quella storia… Hofirmato la petizione online! Due volte!»

    «Abbaba babababa?» chiede Binaso; palleggia i suoi tre coltelli tra le sue tre mani.

    «Baba abbababa baba» gli risponde Quattrocchi. Estrae di tasca un tirapugni placcato di platino.

    «Non ti capiscono, stupido» dice Meecia. «I mutalba parlano solo mutalba».

    «Razzismo!» tuona Lookaz, con sdegno baritonale. «Mutalba è considerato un termine offensivo dalla comunità dei mutanti albanesi!» Ai mutalba: «Visto? Io vi conosco! Vi rispetto! Vi amo!»

    L’ultima sillaba si riduce a un rantolo quando Quattrocchi lo afferra per la cravatta e tira, mentre Binaso gli punta una lama chirurgica al cuore, una da sub a un polmone e una da pane al pene. «Babababa bababa ba!» latra Quattrocchi, alzando un pugno dalle nocche di platino.

    «Togliti» ordina Meecia.

    Afferra Lookaz per il colletto e, anche lei, tira. La cravatta di celluloide sfugge di mano a Quattrocchi; Lookaz viene proiettato in seconda fila.

    Meecia divarica leggermente le gambe e inizia a spostare il peso da un piede all’altro. Stringe i pugni, alza la guardia e dice:

    «Fatevi sotto, coglioidi».

    I mutalba la guardano. Si guardano tra loro. Poi riguardano Meecia e sghignazzano.

    >>> Avanti veloce: 1 minuto. >>>

    Il cappello da baseball è riverso sull’asfalto.

    I tre coltelli sono sparsi ad altrettanti punti cardinali.

    Binaso è diretto alla volta del Parkiderm, con la massima velocità che gli consente una gamba zoppa. Ha la schiena curva e si copre tutti i nasi con tutte le mani.

    Quattrocchi è già mezzo infilato nel posto di guida. Si volta indietro: ha il cinquanta per cento degli occhi tumefatti e un’impronta numero quarantatré sulla canotta. Agita il pugno placcato e, minaccioso, grida: «Babbaba baba baba!»

    «Sì, bravo» risponde Meecia, a braccia incrociate. «Benvenuto in E–Talia».

    Le portiere a orecchie d’elefante si richiudono. Il Parkiderm vibra e bramisce. I tubi di scappamento tossiscono una cortina fumogena nera. Quando la visibilità torna da nulla a scarsa, il Parkiderm è diventato il rombo di un motore ibrido che si allontana nella nebbia.

    Lookaz raggiunge Meecia e le alita addosso una raffica di fonemi tronchi, finché non riesce a chiedere: «Ma come hai fatto?»

    «Baushido», risponde lei, «l’arte marziale dei monaci di Kan–Too. Mi alleno da quando avevo otto anni, è una tradizione di famiglia. I miei mi hanno sempre detto che la violenza è brutta, ma a volte la gente è peggio». Socchiude gli occhi. «A proposito».

    >>> Avanti veloce: 5 secondi. >>>

    Lookaz emette gemiti di dolore ad alta frequenza. Saltella su una gamba sola; l’altra è contratta, il piede stretto tra le mani.

    «Di chi sono figlia», dice Meecia, con freddezza bionica, «sono clacson miei».

    >>> Avanti veloce: 10 minuti. >>>

    «Ci siamo».

    I reattori sputano vampate azzurre sempre più rade, lo scooter riduce i giri fino a fermarsi. Meecia, pilota, e Lookaz, passeggero, smontano dal sellino. Lei ha in testa il casco pezzato; il broncio è velato dalla visiera, i triangoli del cerchietto sbucano da apposite fessure.

    Sullo sfondo c’è un muro grigio. Sul muro c’è una porta chiusa, un lastrone di metallo dal bordo bullonato. Sulla superficie della porta c’è un videocitofono. Qualcuno, a colpi di vernice spray, ha aggiunto orecchie, capelli e l’ovale di un viso; la telecamera, il pulsante e la griglia audio sono anche l’occhio, il naso e la bocca di un ciclope.

    Intorno alla porta, il grigio perde gradualmente consistenza fino a trasformarsi in nebbia.

    Meecia sgancia il sottogola e si sfila il casco. I cespi di capelli tigrati sferzano l’aria.

    Il bauletto portaoggetti dello scooter è chiuso da una tastiera numerica. Le dita corazzate d’anelli premono una sequenza di tasti e cercano di aprire il baule, che però si oppone.

    «Codice sbagliato?» chiede Lookaz.

    «Impossibile», risponde lei, «lo so a memoria, è il giorno dei miei diciott’anni. Questo piccolo bastardo s’è inceppato». Stringe i denti, apre una mano e la abbatte sulla serratura.

    Con un singulto meccanico, il coperchio scatta.

    «Mi piacerebbe, per una volta», dice Meecia, massaggiandosi il palmo, «trovare un problema che si risolve con le buone».

    A massaggio concluso, scarica il casco nel baule. In cambio estrae un altro oggetto, avvolto nella carta da pacco e nel nastro adesivo. È grande più o meno come la sua mano aperta.

    In quel momento, dalla felpa leopardata arriva lo squillo di un cellulare. Meecia tira fuori di tasca uno scarabeo egizio di plastica. Controlla la chiamata sul display, sbuffa e, senza rispondere, spegne il telefono. Lo ripone nell’ala destra della felpa e infila l’oggetto incartato nella sinistra. Chiude il baule dello scooter e si dirige verso la porta.

    Lookaz le si para davanti. «Aspetta! Siamo in incognito, mica possiamo andare lì dentro a volto scoperto! Ce l’ho io quello che serve». Pesca dal taschino della camicia due paia d’occhiali con la montatura di plastica.

    Meecia storce la bocca. «Occhiali? Va’ che non basta così poco per cambiare faccia. Non siamo nei fumetti!»

    «Questi non sono occhiali. Sono dispositivi di occultamento olografico. Proiettori portatili di schermature fotoniche. Alta tecnologia per un basso profilo!»

    «Fa’ vedere». Gliene sfila uno e lo esamina in controluce. Il sostegno delle lenti è intessuto di microcircuiti. «Dove li hai presi?»

    «Su E–Tanet. Sai, c’è quel sito di acquisti online… Come si chiama?»

    «O–Bey».

    «O–Bey! Ci trovi di tutto, ma proprio di tutto! Ieri, pensa, c’era perfino il guscio di una vecchia bomba atomica ucraina». Si friziona il mento lanoso. «Quasi quasi lo prendo… Magari ci faccio un tavolino. Sarebbe un gesto di condanna ironica contro l’uso del nucleare… E un bel mobile vintage». A Meecia: «Be’, ma cosa fai lì impalata? Provali!»

    Lei, con aria scettica, inforca gli occhiali. Se li sistema sul naso. Si guarda il torace, le braccia, le dita corazzate d’anelli. Alza le spalle.

    «E adesso? Io mi vedo uguale a prima».

    «Guardati allo specchio».

    La ragazza si guarda nel retrovisore dello scooter. La sua immagine riflessa ha una striscia nera davanti agli occhi. È una striscetta che corre parallela alle lenti, coprendo a malapena la zona oculare. Segue i movimenti della testa con un secondo di ritardo.

    Meecia guarda Lookaz. Anche lui ha messo gli occhiali, e anche lui ha gli occhi censurati.

    «Tutto qui?» chiede lei.

    «Sei tu?» chiede lui. «Ti riconosco dalla voce!»

    Per un attimo restano così, a fissarsi negli occhi senza vederli. Dopodiché Meecia emette un sospiro vibrante di perplessità, dribbla Lookaz e punta verso la porta.

    Un dito corazzato d’anelli si avvicina al naso del ciclope.

    >>> Avanti veloce: 1 minuto. >>>

    Con un tuono d’acciaio contro cemento, la porta si chiude.

    Pavimento di gomma gibbosa. Pareti d’intonaco, senza finestre. Soffitto striato di tubi al neon, incandescenti di luce bianca. Nell’aria, un lieve ronzio.

    La stanza è divisa a metà da un bancone di legno, con venature troppo regolari per essere legno vero. Tra il bordo e il soffitto è tesa una rete metallica. Le maglie romboidali sono abbastanza larghe da far passare i fotoni, l’ossigeno e poco altro. Nella rete, all’altezza del banco, c’è un varco rettangolare chiuso da una sportello girevole.

    Al di qua del bancone ci sono Lookaz e Meecia, coi loro occhi censurati.

    Al di là del bancone, i muri sono coperti di scaffali. Dai ripiani piovono matasse di cavi terminanti con grappoli di spinotti, ciabatte multipresa, terzetti di jack gialli rossi e neri, mouse meccanici e ottici, microfoni da karaoke, cuffie audio, auricolari e luci di Natale senza vita.

    Sempre al di là del bancone, appeso al soffitto con alcuni ganci, c’è un archibugio da pesca subacquea. A un’estremità ha un calcio finemente arabescato; all’altra, un rotolo di cavo collega la bocca dell’arma a un arpione di ferro battuto.

    Inoltre, assicurata per la tracolla ad altri ganci, c’è una specie di grossa pistola dal lungo caricatore. Al calcio è attaccato un foglietto che dice SPARACHIODI INDUSTRIALE – ARIA COMPRESSA – SEMIAUTOMATICA SEMINUOVA SEMISICURA – TRECENTO EURO TRATTABILI.

    Sulla parete di fondo c’è una porta di legno, lo stesso legno sospetto del bancone, alla quale è fissata una mappa. Un poligono irregolare, segnalato come SANTA MEELANO, è al centro di un altro poligono molto più grande, indicato nel suo complesso come FASCIA ESTERNA ma diviso in decine di quadratini più piccoli aventi nomi del tipo ROX ANUS, SEGRATOWN, COLLONIUM e VIBRODRONE.

    Sopra la porta, su una mensola, ci sono tre apparecchi radio. Un ghetto blaster con altoparlanti ipertrofici. Alla sua destra, un residuato liberty di legno, e forse stavolta è legno vero. Alla sinistra, un laptop connesso ad amplificatori di design. La Triade in Modulazione di Frequenza produce il suono ronzante che riempie la stanza.

    All’improvviso, il ronzio tace. Le valvole a vista del residuato liberty si accendono. Gli equalizzatori del ghetto blaster danzano. Il laptop si illumina di pixel. La Triade in FM parla con voce una, trina e umana.

    «…antacinque per cento dei voti. Per la quarta volta, Yang Choombia è il sindaco di Santa Meelano. Prime dichiarazioni del candidato sconfitto, Blanco Choombia».

    «Mio fratello sappia che lo seguirò da vicino. Molto vicino. Vicinissimo! È il vantaggio di essere gemelli siamesi. Capito, Yang? Avrai pure la maggioranza in Comune, ma io ho la metà del tuo corpo! Cosa credi di fare, senza sinistra?» Rumori di lotta. «Ahia! Brutto figlio di nostra…»

    Le luci della Triade si smorzano, la voce torna un ronzio. Risuona con forza un’altra voce, quella di Meecia:

    «Murio Masteeno?»

    Le risponde un terza voce, maschile, oltre la porta di pseudolegno:

    «Arrivo, arrivo… Con calma!»

    La

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