Dietro le quinte
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Info su questo ebook
In questo percorso virtuale metafora e realtà si fondono dando vita a racconti entusiasmanti, in un viaggio onirico tra palcoscenico e quotidianità.
L’autore si lancia in un parallelismo tra realtà e finzione mettendo in scena sei storie di uomini e donne giunti nella stanza del terapeuta per risolvere i loro problemi. Questi diventeranno attori e personaggi, il terapeuta si trasformerà in Direttore-Capocomico e le quattro pareti dello studio prenderanno la forma di un palcoscenico allestito per le prove.
Come in una commedia pirandelliana, le molteplici identità dell’uomo arriveranno al cospetto del terapeuta, pronto a rimestarle e dare loro nuova forma.
Si vuole convincere il pubblico che il colloquio terapeutico non è ne più ne meno che la prova di una spettacolo. Rappresenta il momento in cui si può bloccare il tempo, provare e riprovare, sistemare il copione, accentuare un’espressione o ragionare sull’effetto di una battuta. Ci si prepara per la Prima, per la serata in cui si metterà in scena tutto questo che, inevitabilmente, è il mondo e la quotidianità. Non ci sono altri spettatori seduti sulle poltrone, poiché nello studio non vi sono altre persone se non tutte quelle che evochiamo nella nostra mente per rappresentare la scena. Tanto quanto il Capocomico-Direttore di Pirandello cerca di trovare la quadratura del cerchio e di aiutare i sei personaggi a rappresentare quelli che sono, allo stesso modo il Capocomico-Psicoterapeuta collabora con il cliente al fine di sistemare il copione, migliorarlo, renderlo più accattivante, eliminare gli elementi che bloccano il racconto, ripristinare gli stralci sfilacciati, prepararlo per la rappresentazione davanti al pubblico.
L’autore trascina il lettore in un viaggio confortevole alla scoperta della mente umana e lo porta sul palcoscenico, scostando un pò la tenda e facendogli vedere cosa c’è dietro le quinte.
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Anteprima del libro
Dietro le quinte - Marcello Candotto
PREMESSA
Ritengo che sia fondamentale iniziare l’esposizione descrivendo il motivo per cui ho deciso di realizzare questo lavoro.
Affascinato dall’espressione di tutte le arti ho sempre pensato che vi sia una forte assonanza tra l’uso mutevole dei significati veicolato dal cinema o dal teatro e il potere trasformante
proposto dalla psicoterapia. Entrambi si basano sul medesimo principio: contemplare la realtà come qualcosa di cangiante, alla pari di un racconto a più voci dove i significati e il senso che le persone attribuiscono a ciò che succede dà vita ad un turbinio di relazioni ed interazioni diverse, tutte altrettanto valide.
La differenza sta nell’uso, nell’intenzionalità e nella volontà di generare alcuni effetti piuttosto che altri (valore artistico e scenico, piuttosto che risposta ad una richiesta di cambiamento terapeutico). Laddove cambiano gli obiettivi, si innescano processi che percorrono strade diverse, pur utilizzando la medesima premessa epistemologica
.
Alla luce di questa similitudine, vi sono numerosi aspetti del fare psicoterapia
che possono essere ripresi e accostati ad alcune forme artistiche, così come, viceversa, molte espressioni teatrali o cinematografiche possono essere riversate nella psicoterapia. Tale passaggio era già stato compiuto in passato da un sociologo, Erving Goffmann, il quale aveva fatto sua la metafora teatrale per spiegare ed articolare gli atteggiamenti e le dinamiche umane.
La letteratura nel tempo ha portato numerosi esempi di questa vicinanza
fra arte e psicologia. Uno fra tanti, scelto in quanto estraneo rispetto al mondo accademico psicologico e in quanto uno dei precursori degli attuali paradigmi antropomorfici, è Luigi Pirandello. L’assonanza tra i due autori appena citati e la rappresentazione della realtà come una pièce
teatrale è il filo conduttore che lega le pagine successive.
Molte volte è accaduto di trovarmi in studio perfettamente
posizionato nel ruolo del professionista e osservare i clienti che avevo davanti a me alla stregua di personaggi. Caratterizzazioni di uomini e donne che, copione alla mano, cercano di dare il meglio di loro stessi nell’interpretazione del proprio ruolo.
Seguendo ancora una volta la via indicata dai maestri
citati in precedenza, sfogliavo storie, leggevo racconti, ascoltavo i dialoghi come recitati da una voce registrata.
Personaggi in cerca di un autore che per rendere viva la rappresentazione devono assumere un ruolo, trovare una coerenza, descrivere dei fatti, parlare di relazioni, giocare con i contesti. Veri personaggi teatrali che potrebbero benissimo vivere su un palcoscenico piuttosto che fuori, nel mondo.
Non c’è una differenza sostanziale fra queste due posizioni, eccetto il fatto che i primi sollazzano gli spettatori e nascono per divertire, i secondi percorrono l’universo reale e lasciano segni nel mondo quotidiano.
Una sottile linea che divide il reale dal fantastico, ma che permette delle scorribande ora qua ora là proprio perché entrambe fanno parte dell’essenza umana e, pertanto, sono intercambiabili.
In questo percorso virtuale l’immagine si è fatta via via più definita e l’uso della metafora teatrale si è palesata nella mia mente quando, riprendendo in mano uno specifico testo di Luigi Pirandello (Sei personaggi in cerca d’autore), ho pensato di costruire l’intero testo dando una veste nuova al racconto di alcuni casi
, riportandoli su un piano teatrale e scollandoli dalla loro presenza reale nel mondo. In poche parole l’intento era quello di ripercorrere la strada che aveva portato Pirandello a mettere in evidenza quegli aspetti che, solitamente, sono nascosti dietro alla scena. Differenziare l’attore dal personaggio e, allo stesso tempo, dare la vita al personaggio a prescindere dall’attore. Un’operazione artificiosa, al limite dell’assurdo, che crea una frattura nell’ordinaria rappresentazione del mondo.
Allo stesso modo, l’obiettivo che questo lavoro si pone è quello di ricalcare il contesto terapeutico utilizzando la metafora del teatro in tutte le sue forme. Nello specifico il tentativo è di riportare i racconti delle situazioni terapeutiche al testo di Pirandello, raccontandole come fossero dei personaggi, dei copioni, dei testi, delle scene da rappresentare, tenendo sempre come riferimento sullo sfondo la riflessione più articolata di Goffmann.
Pertanto, nella descrizione che si troverà proseguendo nella lettura non vi sarà un terapeuta, ma un Direttore-Capocomico. Non ci saranno pazienti o clienti o persone, ma esisteranno personaggi e copioni, ruoli e maschere. Non ci sarà uno studio, ma un teatro allestito per le prove; perché il colloquio terapeutico non è ne più ne meno che la prova di una spettacolo. Rappresenta il momento in cui si può bloccare il tempo, provare e riprovare, sistemare il copione, accentuare un’espressione o ragionare sull’effetto di una battuta. Ci si prepara per la Prima, per la serata in cui si metterà in scena tutto questo che, inevitabilmente, è il mondo e la quotidianità. Non ci sono altri spettatori seduti sulle poltrone, poiché nello studio non vi sono altre persone se non tutte quelle che evochiamo nella nostra mente e tra di noi per rappresentare la scena. Questi sono gli Attori, che ci aiuteranno ad interpretarla, sarà il Suggeritore che innescherà una battuta o un pensiero; sarà il Macchinista o lo Scenografo che ci permetterà di utilizzare al meglio il contesto.
Tanto quanto il Capocomico-Direttore di Pirandello cerca di trovare la quadratura del cerchio
e di aiutare i sei personaggi a rappresentare quelli che sono (poiché per questo sono stati creati dall’autore e necessitano solo di qualcuno che li faccia vivere
), allo stesso modo il Capocomico-Psicoterapeuta collaborerà con il cliente al fine di sistemare il copione
, migliorarlo, renderlo più accattivante, eliminare gli elementi che bloccano il racconto, ripristinare gli stralci sfilacciati, prepararlo per la rappresentazione davanti al pubblico.
Il lavoro sarà suddiviso in capitoli che rappresenteranno di volta in volta una situazione la quale ha per protagonista una persona. Si chiede sin d’ora di pazientare e di sopportare quelle allusioni, intercalari, espressioni che potrebbero apparire giudicanti
e poco terapeutiche
in quanto fanno parte della scena e della rappresentazione; sono parte del racconto e rendono la metafora completa e reale
.
Al termine dei singoli capitoli ci sarà una parte riservata ai commenti e alle riflessioni metodologiche. Questo per non spezzare il racconto in itinere, rompendo la cornice all’interno della quale sono calati i personaggi.
Nella speranza di essere stato esaustivo invito il lettore a prendere posto e a godersi lo spettacolo.
INTRODUZIONE
L’interazionismo nella pratica clinica
Le osservazioni che seguiranno prendono spunto dalla considerazione che ciò che viene definito come psicologia clinica e psicoterapia è un insieme di particolari pratiche relazionali mediate dal linguaggio e dalla comunicazione (processi semantici, ermeneutici e pragmatici, espliciti e impliciti), da atti e azioni.
Partendo da questa premessa, il percorso che si articolerà nelle pagine successive dapprima si occuperà di definire l’approccio interazionista in contesto clinico; poi, si offrirà un approfondimento mediante la descrizione del modello narrativo, il quale ci porterà sempre più vicino rispetto all’obiettivo che intendiamo raggiungere con questa presentazione. In seguito si illustrerà la metafora come strumento di cambiamento clinico, la quale darà modo di edificare un ponte tra la psicoterapia e quelle espressioni teatrali rappresentate da autori, già citati in precedenza, come Erving Goffman e Luigi Pirandello. Da qui prenderà avvio la rappresentazione delle singole situazioni. Il lettore è così accompagnato in un percorso virtuale che si dipana dalla definizione di psicoterapia alla rappresentazione della stessa mediante interazioni da palcoscenico
.
La psicologia clinica si pone tra i suoi obiettivi la rielaborazione di testi
problematici. Inoltre, la psicologia intesa come consulenza e terapia, è una pratica conoscitiva e operativa non separabile dall’universo di significati proprio dei suoi interlocutori (credenze, opinioni, aspettative, sentimenti, ragionamenti, linguaggio, ...).
Lo psicologo clinico e terapeuta assume così una posizione costruttivista, relativista e interazionista, rinunciando a tutto ciò che appare immutabile, oggettivo e reale.
Con il concetto di interazione
è possibile indicare l’influenza reciproca tra le parti di un qualsiasi sistema (fisico, linguistico, biologico, ...). Questo concetto ha un’ampia estensione e può essere usato per indicare varie forme di interazione (logiche, fisiche, strutturali, morfologiche, sintattiche o semantiche, ...). Interattivo è il rapporto tra testo e contesto, tra lettore e scrittore, tra due squadre di giocatori, etc...
Pertanto, con il concetto di interazione
ci riferiamo a diversi tipi di influenzamento reciproco tra le parti di un sistema. Da qui l’enunciato di interazione semiotica
che possiamo definire come una particolare forma di interazione, concernente le costruzioni di senso e di significato generate, utilizzate, subite dalle persone nei loro rapporti con sé stessi, gli altri e il mondo.
Il punto centrale di questo sistema interattivo sono le azioni degli individui, come fare e dire
, credere e pensare
, sentire e immaginare
. Si assume che le persone, interagendo con sé stesse, gli altri e il mondo tramite l’agire comunicativo e l’attribuzione di significati, costruiscano differenti configurazioni di ciò che è per loro reale da un punto di vista psicologico e sociale. Attraverso questa prospettiva non si ritiene necessario postulare teorie diverse da quelle che gli individui usano per generare le realtà che li ospita e che essi percepiscono.
L’interazionismo si può considerare come un modello pragmatico, una mappa di riferimento che segue una precisa epistemologia e compie rigorose scelte teoriche.
Esso pone l'accento sull’attribuzione di significati nella vita e nelle azioni umane, sottolineando la natura pluralistica della società, il relativismo culturale e sociale delle norme e la visione del sé come socialmente strutturato. L’interazionismo si occupa principalmente dell'interazione sociale che ha luogo nella vita quotidiana delle persone e si basa su quattro assunti: le persone pensano ed agiscono sulla base di significati che gli eventi hanno per loro, più o meno consapevoli; i significati sono costruiti attraverso l’interazione sociale e simbolica e sono comprensibili all’interno dei contesti personali o interpersonali che li strutturano; questi significati sono modificati e manipolati attraverso un processo interpretativo messo in atto da ogni persona quando entra in relazione con le definizioni di realtà generate dagli altri; le persone costruiscono la loro esperienza replicandola o variandola attraverso sistemi rappresentazionali di cui il linguaggio, la comunicazione, e l’agire sono gli elementi costitutivi.
Le persone, interagendo fra loro, o con sé stesse, possono essere viste quali produttrici di segni semanticamente interpretabili in quanto socialmente e storicamente situate.
Alla luce delle precedenti osservazioni si possono comprendere le scelte paradigmatiche, teoriche ed operative. Tale scenario è generato dalla confluenza di saperi e di pratiche cliniche che possiamo definire costruzionisti, sistemici e sociocognitivi. Saperi e pratiche riferiti ad un pragmatismo semiotico e strategico che il termine interazionismo
ben rappresenta e sintetizza.
Questo ampliamento segna il passaggio da una prospettiva positivista ad una che, sul piano teorico e dei modelli operativi, è definita appunto come interazionista e di cui è possibile evidenziare i seguenti enunciati-guida: 1) nelle configurazioni ed interpretazioni dell’agire umano non vi sono oggetti o fatti, ma solo entità o eventi, i quali vengono descritti dal linguaggio mediante attribuzioni di senso e significato; 2) le interpretazioni degli eventi dipendono dalle relazioni in atto, dal contesto, dai ruoli, dalle regole e dai giudizi di valore (personali, interpersonali e socialmente codificati); 3) ogni azione è un agire comunicativo costituito dal genere narrativo e discorsivo in cui le persone sono impegnate; 4) la rilevanza degli eventi psicologici è data non solo da ciò che accade alle persone, ma anche da cosa esse fanno o intendono fare; 5) un sistema interattivo è qualcosa di più della somma degli elementi che lo costituiscono; 6) nell’agire umano, tutto ciò che è creduto reale può diventarlo nelle conseguenze che produce; 7) ogni azione umana acquista un senso attraverso il tipo di relazione a cui dà vita ed il contesto che la ospita.
Questi presupposti segnano il passaggio da una scienza psicologica positivista interessata alla causa e allo stimolo, ad una psicologia interessata al segno e all’intenzionalità. Il passaggio dal dato
al significato
implica anche il passaggio da un pensiero dualistico e antinomico a un pensiero dialettico e sistemico.
La tradizione delle scienze psicologiche è figlia del positivismo. L’interazionismo, invece, rinuncia ad una posizione fondata sull’esistenza di una realtà ontologica.
L’attribuzione di senso e significato è ciò che rende comprensibile agli attori umani, più che le cause
, gran parte delle ragioni presenti nell’agire reciproco.
Pertanto, le persone agiscono in base ai significati che attribuiscono agli eventi e attraverso le regole che scoprono durante l’interazione. I significati, elaborati dagli attori mediante atti anticipatori ed interpretativi, sono il risultato di atti conoscitivi.
Per contesto interattivo
si intende una pluralità di situazioni in cui gli individui scoprono un ruolo, un’immagine di sé, un’identità, delle regole.
Le percezioni e l’esperienza che gli individui fanno di sé e degli altri sono anche l’effetto retroattivo delle sequenze di azioni intraprese nel tentativo di trovare soluzioni nell’adattamento attivo al mondo.
Lo psicologo clinico incontra una varietà di eventi che sono il risultato non solo delle azioni e delle attività mentali di colui che ascolta, ma anche delle categorie attraverso cui le persone le configurano. Gli psicoterapeuti si devono confrontare in genere con realtà costruite, il cui grado di fedeltà
e realismo
è dato dagli effetti che quelle realtà producono nell’esperienza soggettiva delle persone.
I fenomeni fisici e biologici operano indipendentemente da noi, mentre non avviene altrettanto rispetto a quelli che chiamiamo eventi psicologici. I primi sono dati
, i secondi costruiti
. Non possiamo considerare gli eventi psicologici come separati dai rispettivi attori, né dal contesto (attribuzioni di significato situazionale) o dai codici linguistici utilizzati e neppure dagli intenti ed effetti comunicativi.
Queste realtà inventate non sono solo simboliche o confinate nelle parole e nei discorsi, ma ciò che esse suscitano, come le cognizioni, le regole, i sentimenti e le istituzioni, genera ruoli, azioni e sentimenti che le confermano e le replicano.
Il linguaggio (non solo verbale) utilizzato dalle persone struttura il senso e il significato degli eventi che esse incontrano e a cui danno vita.
Le psicoterapie fanno parte di questa dimensione epistemica. Come ogni psicoterapeuta scopre da subito, il contesto della comprensione (e quindi del cambiamento) non corrisponde a quello della spiegazione. Il dato non esaurisce le possibilità semantiche. La stessa pratica della psicoterapia ha consentito di capire che le evidenze possono cambiare di significato in funzione delle nuove convinzioni e teorie su di sé o gli altri.
L’intervento del clinico postmoderno consiste nell’individuare gli strumenti più adeguati attraverso cui generare un cambiamento nei processi di costruzione della realtà. Il clinico attribuisce ai propri strumenti una funzione pragmatica capace di generare realtà alternative alle costruzione presentate