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Oreste
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Oreste
E-book96 pagine39 minuti

Oreste

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"Oreste" è una tragedia di Euripide, rappresentata nel 408 a.C. nel teatro di Dioniso. Essa mette in scena il tormento di Oreste, autore di un matricidio per vendicare il padre, e diviso tra momenti di follia e lucidità che producono in lui un effetto di rovinosa sofferenza. 

L'autore

Euripide (Atene, 485 a.C. – Pella, 407-406 a.C.) fu un drammaturgo greco antico. È considerato, insieme ad Eschilo e Sofocle, uno dei maggiori poeti tragici greci.

Traduzione a cura di Ettore Romagnoli (1871 - 1938), grecista e letterato italiano.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2015
ISBN9788899447922
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    Oreste - Euripide

    Oreste

    Oreste

    PERSONAGGI:

    ORESTE (figlio di Agamennone e Clitemnestra, fratello di Elèttra)

    ELÈTTRA (figlia di Agamennone e Clitemnestra, sorella di Oreste)

    ELENA (moglie di Menelào, sorella di Clitemnestra)

    MENELÀO (fratello di Agamennone)

    TÍNDARO (padre di Elena e Clitemnestra)

    PÍLADE (cugino e fidato amico di Oreste)

    ERMIÓNE (figlia di Menelao e Elena)

    APOLLO (dio delle arti e della medicina)

    ARALDO

    SCHIAVO FRIGIO

    CORO DI DONNE ARGIVE

    AMBIENTAZIONE:

    L'azione si svolge dinanzi alla reggia d'Argo.

    ELÈTTRA:

    Niuna parola v'è tanto terribile,

    nessuna traversía, nessuna doglia

    suscitata dai Numi, onde non debba

    reggere il peso la natura umana.

    Tantalo infatti, il fortunato - oltraggio

    non faccio al suo tristo destino - il figlio,

    come dicon, di Giove, in aria sta

    sempre sospeso, e temer deve il sasso

    che gli pende sul capo, e questa pena

    sconta, dicon, perché della celeste

    mensa, ei mortale, ebbe l'onore, e freno

    alla lingua non pose: vizio turpe

    quanto altro mai. Costui generò Pèlope,

    e da Pèlope Atreo nacque, per cui

    la Parca, quando gli tessea lo stame,

    la discordia filò, ché con Tieste

    venisse a lotta, col fratello suo.

    Ma che vo' questi orrori enumerando?

    Gli uccise i figli, e a banchettare Atrèo

    l'invitò. Poi d'Atrèo - quanto seguí

    non dico - nacque il celebre Agamènnone,

    se celebre esso è pur, Menelào nacque:

    èrope la cretese a lor fu madre.

    E Menelào sposò la donna, invisa

    ai Numi, Elena; e il principe Agamènnone,

    di Clitemnèstra il talamo, famoso

    fra gli Ellèni, salí: qui tre fanciulle,

    Ifigenía, Crisòtemi, ed Elèttra,

    che sono io stessa, ed un fanciullo, Oreste,

    nacquero a lui da quella sposa empissima,

    che nei lacci di rete inestricabile

    poi lo cinse e l'uccise; e per qual causa,

    dire a fanciulla non conviene: oscuro

    lascio tal punto, ad altri che l'indaghino.

    Or, d'ingiustizia incriminare Febo

    lecito è forse? A uccidere la madre

    onde pur nacque, Oreste egli convinse:

    opra a cui tutti dar lode non possono.

    Pure al Nume ubbidí, morte le inflisse.

    Ed io partecipai, quanto una donna

    potea, la strage; e Pílade con noi

    compié lo scempio. Ma dal morbo oppresso

    Oreste ora è, consunto; e sopra il letto

    piombato, giace: e della madre il sangue

    col delirio lo incalza: il nome esprimere

    delle Dive benigne onde atterrato

    fu nella lotta, non ardisco. Il sesto

    giorno questo è, da che la madre spenta

    purificata fu sul fuoco; e cibo

    non passò per le sue fauci, lavacro

    il corpo suo piú non toccò. Ravvolto

    nel suo mantello, allor che tregua ha il male,

    in senno torna, e piange, e dalle coltri

    talor s'avventa, in furïosi giri,

    come puledro libero dal giogo.

    Ed Argo, dove siamo, ha decretato

    che niuno in casa sua, che niuno all'are

    noi matricidi accolga, o ci favelli.

    E il giorno è questo designato, in cui

    Argo dovrà deliberar se spenti

    cader dovremo sotto i sassi, o infiggerci

    di nostra mano l'affilata spada

    dentro la gola. Un'unica speranza

    di non morir ci resta: è giunto in questa

    terra, da Troia, Menelào: nel porto

    di Nauplia venne la sua flotta, approdo

    fece a quei lidi, dopo un lungo errare

    per i flutti del mare. E mandò Elena

    calamitosa, in casa nostra, l'ore

    della notte cogliendo, affinché i figli

    di quei che cadder sotto Ilio, vedendola

    per via di giorno, non la lapidassero.

    Ed in casa ora ella è, che la sorella

    e la sciagura della stirpe lagrima.

    Eppur, qualche sollievo ha dei suoi mali,

    ché la fanciulla che lasciò, quand'ella

    a Troia s'involò, che Menelào

    da Sparta ad Argo addusse, e l'affidò,

    per educarla, alla mia madre, Ermíone,

    l'ha qui trovata, e se ne allegra, e i mali

    pone in oblio. Verso ogni strada or guardo,

    cerco se giunge Menelào: ché deboli

    le nostre forze son troppo, qualora

    ei non ci salvi. Manca ad una casa

    colpita da sciagura, ogni sostegno.

    (Dalla reggia esce Elena)

    ELENA:

    Figlia di Clitemnèstra e d'Agamènnone,

    tu che da tanto sei fanciulla, Elèttra,

    come, o infelice, matricida Oreste

    sciagurato con te divenne? Macchia

    se teco io parlo, non

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