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Antiche fedi e moderne superstizioni
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Antiche fedi e moderne superstizioni
E-book107 pagine1 ora

Antiche fedi e moderne superstizioni

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Info su questo ebook

Una formidabile introduzione al Pensiero Tradizionale: ecco come si può definire questo splendido saggio che avvicina il lettore alla prospettiva tradizionale in modo preciso, circostanziato e garbato. I cicli della storia dell'uomo, la sua costituzione spirituale, le moderne credenze nell'evoluzione, i cambiamenti nelle religioni: ecco solo alcuni dei grandi temi che vengono discussi in termini insolitamente semplici e accessibili al non specialista. Veramente straordinaria è la capacità dell'Autore di accostarsi, sviluppare e offrire al lettore quella "sapienza senza tempo" che ha permeato - ad eccezione di quella moderna - tutte le civiltà e tutte le religioni.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2009
ISBN9788896720301
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    Anteprima del libro

    Antiche fedi e moderne superstizioni - Martin Lings

    I

    Il passato alla luce del presente

    Se gli antichi avessero saputo tutto ciò che gli scienziati moderni sanno, avrebbero cambiato il loro atteggiamento verso i loro predecessori?

    Questa domanda equivale per certi versi a un’altra: c’è davvero incompatibilità tra religione e scienza, dato che le opinioni dei nostri antenati erano basate principalmente sulla religione?

    Consideriamo un paio di ‘pietre d’inciampo’, per esaminarle alla luce della scienza e della religione e non all’oscurità di entrambe.

    Può la religione sostenere che gli avvenimenti della preistoria siano databili in base all’interpretazione letterale delle date menzionate nell’Antico Testamento, per cui l’epoca approssimativa della Creazione sarebbe all’incirca il 4000 a.C.? Difficilmente potrebbe avere una tale pretesa, poiché al Tuo sguardo mille anni sono come il giorno di ieri e non è affatto chiaro, quando si parla di giorni nei testi sacri, se questi siano giorni umani o se siano giorni divini, ciascuno costituito da ‘mille anni umani’, ossia da un periodo che non ha alcuna attinenza con il giorno umano.

    Può la scienza accettare che la terra sia stata creata circa 6000 anni fa? Certamente no, poiché prove di vario genere mostrano senza dubbio che a quel tempo la terra e l’uomo erano già vecchi.

    Se la scienza sembra qui rifiutare l’interpretazione letterale delle Scritture, non ne rifiuta lo spirito, poiché, prescindendo dalle prove archeologiche e geologiche, vi sono precisi motivi d’ordine spirituale per preferire di non insistere alla lettera sulla cronologia del Genesi. Ciò non significa che i nostri antenati medioevali, molti dei quali, se non la maggioranza, accettavano l’interpretazione letterale, fossero meno spirituali o meno intelligenti di noi, tutt’altro. Sebbene avessero quasi certamente, come vedremo in seguito, un senso del tempo più qualitativo del nostro, ossia un più intenso senso dei suoi ritmi, senza dubbio ne avevano un senso quantitativo minore. Non li disturbava, così come invece disturba noi, il fatto che ci fosse una sorta d’incongruenza spirituale nell’idea di una creazione a opera di un Dio onnipotente, creazione tanto dichiaratamente fallimentare che, in un lasso di tempo assai breve, il Creatore sentì il bisogno di annegare l’intero genere umano all’infuori d’una famiglia, per poter ricominciare tutto da capo. A prescindere dal problema del tempo, gli uomini del Medioevo – va detto a loro credito – erano comunque troppo presi dal rimorso e sopraffatti da un senso di responsabilità umana, per ragionare come noi. Se ciò che era successo appariva loro incongruente, per non dire mostruoso, tutto il biasimo ricadeva sull’uomo. Certamente questo modo di pensare è più vicino alla verità di quanto non lo siano alcuni filoni del pensiero moderno, ma non corrisponde alla verità intera, e noi che tendiamo a vedere il problema in maniera più ‘distaccata’, non possiamo fare a meno di notare che anche Dio ha le Sue responsabilità. Ciascuno dovrebbe comunque chiedersi con precisione quanto grande sia il proprio distacco, ricordando sempre che un uomo ozioso nella pianura ha una visione a volte migliore di certi aspetti di una montagna, rispetto a coloro che la stanno scalando in quel momento.

    Indipendentemente dalla nostra risposta al problema, resta il fatto che – nel caso della cronologia – ciò che supponiamo sia, o non sia, a gloria di Dio non si armonizza altrettanto bene alla prospettiva della cristianità medioevale come a quella del mondo antico, secondo cui, solo dopo aver concesso all’umanità molte migliaia d’anni di benessere spirituale, Dio permise che essa passasse attraverso un periodo di declino relativamente breve, o in altri termini, acconsentì che ‘cominciasse a invecchiare’. In ogni modo questa prospettiva più antica non può facilmente esser messa da parte. Il suo fondamento, costituito dalla tradizione delle Quattro Età del ciclo del tempo, che i Greci e i Romani chiamavano l’Età dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro, non è esclusivamente europeo, ma lo si ritrova tra gli indù in Asia e tra i nativi americani. Secondo l’Induismo, che possiede la dottrina più esplicita in merito, l’Età dell’Oro fu la più lunga di tutte, mentre le età successive si ridussero progressivamente a misura che si andavano deteriorando. Ma persino l’ultima e la più corta, l’Età Oscura, corrispondente all’Età del Ferro, nella quale noi ora viviamo, risale a 6000 anni fa. Quella che gli archeologici chiamano ‘Età del Bronzo’ non ha alcuna relazione con la terza età, e quella che chiamano ‘Età del Ferro’ a malapena coincide con una frazione della quarta Età.

    L’antica e universale tradizione delle Quattro Età non contraddice il libro del Genesi, ma, come le prove fornite dalla scienza, suggerisce un’interpretazione allegorica piuttosto che letterale; per esempio, che certi nomi indichino non soltanto veri e propri individui quanto intere ere della preistoria, e che in particolare il nome di Adamo possa esser usato, non solo per designare il primo uomo, ma l’intera famiglia dell’umanità primordiale, estesa per un periodo di molte migliaia d’anni.

    È necessario per la religione sostenere che in qualche momento del passato l’uomo fu creato in uno stato d’eccellenza mai più eguagliata, da cui sarebbe poi decaduto?

    Indubbiamente sì poiché, se anche la storia del giardino dell’Eden non può esser presa alla lettera, non può d’altra parte voler significare l’opposto di ciò che racconta.¹ Dopo tutto lo scopo dell’allegoria è trasmettere la verità, non il falso. Inoltre non sono solo l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam a parlare della perfezione dell’uomo primordiale e della sua susseguente caduta; la medesima verità, travestita sotto molte altre immagini, ci perviene dal passato preistorico di tutto il mondo. Le religioni sono infatti unanimi nell’insegnare non l’evoluzione, bensì l’involuzione.

    Questa dottrina religiosa è contraria ai fatti noti alla scienza? Per essere onesta con se stessa, la scienza deve mantenere la teoria dell’evoluzione?

    In risposta a quest’ultimo problema citiamo il geologo francese Paul Lemoine, curatore del quinto volume (sugli ‘Organismi viventi’) dell’ Encyclopédie Française, che nel riassumere gli articoli dei vari collaboratori scrisse: Questa esposizione dimostra che la teoria dell’evoluzione è impossibile. In realtà, al di là delle apparenze più nessuno ci crede… L’evoluzione è una sorta di dogma a cui i suoi preti non credono più, ma lo sostengono per la salvaguardia del loro gregge.

    Questo giudizio, quantunque sia indiscutibilmente esagerato nei modi – e cioè riguardo alla strisciante accusa d’ipocrisia dei ‘preti’ in questione – è significativo in più punti. Non c’è dubbio che molti scienziati abbiano trasferito i loro impulsi religiosi dalla religione all’evoluzionismo, con il risultato che il loro atteggiamento verso l’evoluzione è più settario che scientifico. Il biologo francese Louis Bounoure, dopo aver citato Yves Delage, un ex professore di zoologia della Sorbona che afferma: Ammetto apertamente che non si è mai conosciuta una specie che ne abbia prodotta un’altra, né vi sono in assoluto prove definitive che ciò sia mai successo. Ciò nondimeno, ritengo che l’evoluzione sia altrettanto certa, come se fosse stata provata oggettivamente, prosegue commentando: In breve, ciò che la scienza ci richiede è un atto di fede, e in effetti è sotto le sembianze d’una sorta di verità rivelata che l’evoluzione viene abitualmente proposta.² Tuttavia egli cita pure l’affermazione di un professore di paleontologia della Sorbona, Jean Pivetau, a riguardo dell’evoluzione, secondo cui la scienza dei fatti non può accettare nessuna delle diverse teorie che cercano di spiegare l’evoluzione. Anzi, si trova persino in contrasto con ciascuna di esse. Vi è in ciò qualcosa di deludente e d’inquietante

    La teoria di Darwin ebbe così grande successo grazie alla diffusa convinzione che l’europeo del diciannovesimo secolo rappresentasse la più elevata possibilità umana mai raggiunta. Questa convinzione costituì una sorta di contenitore speciale precostituito per la teoria degli antenati subumani dell’uomo, e fu accolta senza obiezioni dagli umanisti, come una convalida scientifica della loro fede nel ‘progresso’. Invano una sparuta minoranza di scienziati, durante gli ultimi cent’anni, ha sostenuto con insistenza che la teoria dell’evoluzione non ha base scientifica e che contrasta con molti fatti noti, richiedendo, senza successo, un atteggiamento più rigorosamente scientifico verso tutto il problema. Criticare l’evoluzionismo, per quanto giustamente, è stato tanto efficace quanto

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