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Una vita da... ovvero: le procellarie di Andrea
Una vita da... ovvero: le procellarie di Andrea
Una vita da... ovvero: le procellarie di Andrea
E-book251 pagine3 ore

Una vita da... ovvero: le procellarie di Andrea

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Info su questo ebook

Che vita è stata quella di Andrea? Ditelo, voi lettori, magari con un sostantivo o con un aggettivo. Nato da povere cose, Andrea ce l’avrebbe la forza ed i talenti, per riformare fino in fondo il suo paese. Ma chi sta ad ascoltarlo? E soprattutto: che può un uomo di fronte ad una massa di uomini, di fronte ad un intero paese che tenta di procedere verso la civilizzazione? Così, dopo una prima parte, in cui Andrea si misura con una serie di acuti fallimenti, sembrerebbe, dopo aver conosciuto Nicoletta, che la sua vita si trasformi. Egli si appropria di un certo potere, ma viene bruciato dal padre di lei, che lo scaraventa in politica. Qui Andrea conosce la disfatta, perché, egli si dice, questa Italia non sa e non vuole cambiare, perché la gente è in fondo colpevole e merita di vivere male. Egli si brucia e, da quel momento cade nella più acuta nevrosi, per cui insistentemente pensa al suicidio, da cui…
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita25 ott 2012
ISBN9788867520206
Una vita da... ovvero: le procellarie di Andrea

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    Anteprima del libro

    Una vita da... ovvero - Giancarlo Carioti

    UNA VITA DA...

    Ovvero: Le procellarie di Andrea

    Romanzo di Giancarlo Carioti

    Abel Books

    In copertina: Otto Dix (1920), Il venditore di fiammiferi, Stoccarda, Staatsgallerie.

    Proprietà letteraria riservata

    © 2012 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867520206

    Parte I: La Desolazione

    Capitolo I: Il Personaggio

    Chi sa perché non riusciva a seguire. Le immagini si succedevano in rapida sequenza, ma era come se gli sfuggisse il significato recondito di quelle banalità, che pure si sforzava di voler intendere; ed il film, dai!, non era mica male, solo che… era il mezzo, quel piccolo schermo che lo ottundeva, in fondo, la sua autogestione, come tutte le cose private che ti compri, per farne un piccolo feticcio, il tuo tesoro autogestito, in cui non passava, chi sa perché mai l’oggetto, ma una sua pantomimica retrospezione, dove tutto si faceva... ecco... piccolo, troppo, troppo piccolo e limitato, senza una sua dignitosa autonomia. Così l’oggetto perdeva lena e sequenza, diventando accatto, paccottiglia senza determinatezza. Ed il bello era che tutto ti scivolava sulla pelle, diventando, appunto, incomprensibile, maculato di un uso improprio in cui mancava la tessitura di idee, che diventavano labili e confuse, insino allo smarrimento.

    Poi si riscosse, Andrea, fece scattare il telecomando e spense il televisore. Non era ora di andare a letto? Le 10 e tre quarti, ma si corichiamoci, tanto domani! L’idea del giorno dopo lo sopraffece, un’altra giornata spenta all’Anagrafe, dove gli avevano dato per carità un posticino, a lui il letterato, ma anche filosofo si intende. Giacché Andrea racchiudeva nella sua specola grandi certezze. Non avrebbe saputo donde gli venissero, sapeva che era nato così, con un’immaginazione fertile, ed una fervida capacità di speculare sulle categorie più ardite, attivando talenti di straordinaria potenza, di cui però non si era accorto nessuno. Ecco la sua amarezza, essere ignorato, messo a nudo da una realtà nemica dell’innovazione, di cui egli si sentiva un vessillifero uno scrutatore profondo. Ma era così profondo? Si ripeté. Se la gente lo ignorava, se tutto passava liscio sul suo capo, sino al punto da essere rimosso dalla reciprocità, questo non era forse anche colpa sua? Ti manca la grinta, Andrea, si disse, non sai vendere la tua saponetta al migliore offerente. Ma lascia che finisca il mio romanzo, si disse, e poi ne vedremo delle belle. E si vedeva così inseguito da tutti gli editori, che si sarebbero contesi a suon di milioni la sua Vita da eroe, perché lui, Simone, il personaggio voglio dire, era un eroe moderno, nuovo, tagliato da una vita perfettamente funzionale alle sue idee, in una parola realizzato; e poi c’era il finale, Dio che bello il finale! Lui che lascia il mondo per una vita ascetica, dopo averlo salvato. Già perché questa era la sua personale ricerca di Dio. Questo Dio morto in occidente, ma che vanamente aveva cercato di trovare in India, dove si era recato a 18 anni, non per farsi uno spino a buon mercato, ma per ravvisarvi la presenza dell’onnipotente. Intendiamoci, qui e là lo aveva anche trovato, come per esempio a Madurai, dove il misticismo era contrassegnato da alte spessoralità, anche se investite in fondo in Dei Pagani; già perché mancava, Brahama compreso, l’idea di un Dio unico, creatore e facitore delle cose, ma soprattutto consolatore degli uomini e della vita, anche lì dove molti si sentivano abbandonati da lui. Lui no, perché sapeva che c’era una logica nel passaggio tra la vita e la morte, giacché anche questo conosceva Andrea, senza sapere perché, né come facesse a dirlo, ma ci si sarebbe giocato la camicia.

    E la giornata dopo venne e si sciorinò, come lui l’aveva immaginata, silenziosa, ripetitiva, noiosa da fare pena, ma soprattutto povera, di ogni cosa: di idee grandi, di mezzi suggestivi per realizzarle, di pratiche della trasformazione. Insomma una giornata da umano medio, per lui che sognava quello grande, dai tratti inconfondibili, dalla pratica creativa più profonda ed incisiva, dalla possanza da pantocratore. Avrebbe telefonato alla Simona, così per ingannare il tempo, no, non per scopare, che a questo si era abituato, ma per stare insieme, scambiandosi le proprie pene su quelle penose giornate, cui mancava il mordente della vita, che andava via, scivolava lene, apparentemente senza ferirti, lì dove solo il caso la rendeva acuminata e vibrante, forse anche mortale. Ma il caso aveva abbandonato Andrea, nel senso che non interagiva con gli eventi, lasciandolo solo e confuso, alla ricerca spasmodica di fatti che non venivano mai. I fatti: ecco il suo eterno problema; si sarebbe mozzata una mano per avere un fatto, uno solo, qualunque, mentre tutto e tutti lo abbandonavano, anche quei merdi di Franco e Cesare, tutti arciconvinti che la vita è solo job, anche se erano degli emarginati, alla deriva, alla ricerca continua di danaro e di status. Cesare faceva il cantante in un’orchestrina di povera gente che si esibiva in periferia e sognava anche lui in grande. Franco era rappresentante di commercio, e vendeva cucine; anche lui sognava, il colpaccio il coup de foudre. Ma lui no! Si disse, non era un sognatore, giacché egli aveva dei teoremi, delle ricette per cambiare il mondo. Roba per cui i suoi amici intellettuali, da Alberto a Marinella, ne sorridevano un po’ sotto i baffi, loro che non capivano niente e che si erano fermati ad Hegel e Marx, facendone un po’ il bolo gastrico, rimuginando. Non sapevano fare altro che digerire il già detto, senza neanche una categoria dell’innovazione, senza un’operazione decente di elaborazione di nuove categorie. E con loro i professoroni da Samperi a Vitetti, i loro maestri. Tutti a far critica, ma di nuova filosofia, di innovazioni concettuali, neanche l’ombra. Ecco perché se n’era uscito da quell’ambiente, e si aggirava come un coyote affamato alla ricerca dell’intenditore, di colui che l’avrebbe scoperto, e che l’avrebbe aiutato a cambiare il mondo. Ma perché non ne scriveva? Sì avrebbe dovuto farlo, accanto al romanzo; avrebbe dovuto scrivere la sua teoria, anzi le sue teorie, che ne aveva di cose da dire.

    Pronto, Simon, che fai? Sono Andrea.

    Ciao Andrew come è andata oggi?

    Al solito, uno schifo!

    Anche per me! Beh che facciamo, ci vediamo?

    Ma sì, passo da te verso le 4!

    Vabbeh a dopo!

    Ma prima di andare voleva tracciare uno schema del suo libro di teoretica, quello che lo avrebbe reso famoso, perché avrebbe sfondato ne era certo. Lo avrebbe sbattuto sul muso a Samperi e gli avrebbe detto:

    Toh leggi un po' qui!

    E ci lavorò di gran lena, al punto che stava dimenticando di andare da lei. Poi ci andò, ma non ne ebbe trasalimenti, e neanche sensazioni di pace e di equilibrio. Lei era, al solito nevrotica ed irascibile, anche se con lui fu disponibile ed un tantino equilibrata. Lui le sciorinò tutto del libro sulla teoria e lei se ne sentì contenta:

    Ma si scrivilo Andrew, tu che hai così tante idee!

    E’ che non trovo ancora quello che le apprezza.

    Secondo me, perché sei troppo avanti. Dovresti adeguarti di più alle mode culturali.

    Già, quelle che mi fanno ribrezzo e mi danno il disgusto!

    Ma intanto son loro quelle che contano. Prendiamo per esempio la tua economia. E’ troppo utopica e non sta in piedi. Chi la vorrebbe mai realizzare?

    Ma è quello che avverrà prima o poi!

    Sì, ma con gradualità, non con riforme crude, che dovrebbero rivoluzionare totalmente lo status quo.

    Poi continuò:

    Scusa, ma non puoi trovare una mediazione?

    Non ci riesco! disse lui grattandosi il mento, dove una barba ispida di due giorni abbozzava all’idea di un pizzetto demodé.

    Poi lo fecero l’amore, ma era oramai, per lui, una pietanza fredda e senza sugo. Non è che si annoiasse, ma neanche si divertiva, nel senso che non si divertiva più. Pure la ricordava Simona, due anni prima, ubertosa, morbida, calda come una stufa, poi sempre più lene ed indifferente, sin quasi all’atarassia, ed anche lui senza un briciolo di forza, non dico fisica, ma psichica, nel senso del penetrarla attraverso la sensibilità. Di chi la colpa? Ma di entrambi non c’è verso! Si alzò verso le 8 e si chiuse in bagno per risciacquarsi un po’. Vide allo specchio il suo volto emaciato e scontroso: le labbra sottili, il naso largo alla base, gli occhi grandi e traslucidi color castano, la mandibola piatta, la fronte spaziosa ricadente su folti sopracciglia ed i capelli a boccoli castani che gli davano un’aria vissuta e fatale. Meglio andare a casa a lavorare, si disse, sulla teoria si ripeté, prima di un’altra mattinata di noia all’anagrafe; ma sì, avrebbe chiamato quegli stronzi di Cesare e Francesco, i due arrivistelli. Lei non voleva farlo andare via, voleva mangiare e dormire con lui, ma egli si sciosò, scusandosi: si sentiva stanco, e non avrebbe nemmeno mangiato. Lei lo lasciò con il mugugno e gli sbatté la porta sul muso. Prese la sua carcassona, la sua lancia Delta che aveva comprata usata e che gli costava un pozzo di danaro quanto a consumi e se ne andò lentamente a casa, dove al contrario, si preparò una lauta cena a base di salame Ucraino, che la sua donna ad ore Natalia, gli aveva regalato. Chiamò Cesare, ma non c’era; pizzicò invece Francesco:

    Ciao Franci che fai?

    Solita vita, solite menate!

    Ci si vede?

    E perché no!

    Domani alle 4?

    Va bene!

    Passo da casa tua!

    OK! e riattaccò. Perché lo faceva se aveva tante riserve su di lui? Per cambiare, si disse, perché non voleva di nuovo stare con Simona, nel suo rapporto senza sugo, perché si era stufato un po’ di tutti, anche dei due saccentoni di Alberto e Marinella, che, se la intendevano? Può darsi, fanno bene a farsi qualche santa scopata, anche se si diceva che lei si fosse ripassato il Samperi; si sa per la carriera. Cosa non farebbe la gente, non dico per i soldi, ma per la fama! Anche lui non la cercava forse? Ed in cosa consisteva basilarmente il successo? Ci pensò un po’ su. Da un punto di vista binario, solo nel farsi ascoltare da un altro! E da un punto di vista plurale? Lo stesso si disse, nella misura in cui questo cerchiamo: una vita da protagonisti, in cui il vincente parla più degli altri e si fa ascoltare da tutti. Ecco la forma – base del potere e dell’amore contemporaneamente, perché, diciamoci la verità: l’amore è una forma di potere, affatto particolare, che coinvolge addirittura i sensi. Per esempio, quando aveva fatto l’amore per la prima volta con Simona, non era stato, anche, per potere? Potere su di lei, perché lei lo accettasse fino in fondo, dandogli tutto quello che aveva, e lui lo stesso si intende! E gli amici? Non c’era tra di loro questa sottile concorrenzialità, al di là degli affetti? E se fosse la malattia peculiare dell’uomo occidentale, del capitalista – base, questa competitività? Ciò lo indusse a lasciare i piatti sporchi nel lavello e a mettersi al lavoro. Sì, doveva scrivere ed alternare il romanzo con la scrittura scientifica. Ma Simona aveva in fondo ragione: doveva adeguarsi ai tempi, cercare una mediazione con i politici. Bella gente quelli! Lui avrebbe bisogno di loro, ma come si fa a contattarli? Decise di iscriversi in un partito della Sinistra. Avrebbe cominciato da 0, ma ce l’avrebbe fatta; non perché volesse fare carriera in politica, anzi al contrario, perché voleva utilizzarli lui i politici, farli diventare i suoi mallevadori. Hai già 36 anni! si disse, dovresti aver sfondato da un pezzo, ed invece, eccoti qui, solo con falsi amici, una donna che forse non ti ama più, un posticino da diseredato e neanche un briciolo di potere in mano. Hai bisogno di passare Andrea, ma cozzi la testa contro un muro di gomma, oltre cui è la realtà, la verità. Tu ne hai una parte, ma non sai fare a pezzi quel muro! E la gente non sa cambiare d’avvero…

    Scrisse più o meno sino all’1, quando si sentì troppo stanco per continuare, sicché smise ed andò a letto, col fermo proposito di lavorare almeno 4 ore al giorno, alternando le scritture; voleva terminare il romanzo in un mese, entro maggio, per portarlo ai grandi editori, ma senza potere, ci riuscirò? si chiese ed aggiunse speranzoso: Quando leggeranno gli cadranno gli occhi sul tavolo a quelli lì!

    Ma l’indomani l’aspettava un’altra giornata deludente e castrante. Non è che ce l’avesse con Francesco, ma le sue piccinerie, ecco, lo affievolivano, rendendolo torpido ed aspetico, per cui diveniva ingiurioso e nevrotico, diventando impossibile da gestire. Cosa vuoi me ne freghi dei tuoi lavorini e del tuo gusto di arrabattarti per fare un po’ di malve in più? pensava e si chiudeva in un mutismo accigliato e furibondo, che lo rendevano un mimo perfetto, perché egli, mentre l’altro parlava, mimava il suo sdegno, verso tutto, ma soprattutto verso la pusillanimità dell’altro. Al punto che alle 7 si congedò.

    Come non si mangia insieme? disse Francesco un po’ contrariato.

    E’ che domani devo alzarmi molto presto! Devo accompagnare il Direttore in Aeroporto alle 7! mentì lui; e se ne andò strisciando, silenzioso ed inerme, indignato e stralunato, ma con le idee chiare: voleva cambiare ambiente; voleva cambiare tutto, anche donna; voleva il successo!

    Uscì sotto il fardello di un acquazzone che devastava Milano in quel momento, ed era senza ombrello e senza macchina. Il cielo livido assumeva contorni bluastri, mentre saette zigzagavano dando un effetto giorno che illanguidiva le tetre facciate delle case milanesi, così avulse, bastarde, nate dalla bestemmia e dall’esecrazione; e gli intonaci anneriti crepitavano la loro obsolescenza e ghirigori di pioggia infradiciavano le scarpe, diventando ondulate, serpentinanti, a mulinello, a gorgo. I passanti accecati dalla furia del tempo ti sbattevano addosso, o ti ferivano con gli ombrelli che si rovesciavano, per via di uno strano vento a raffica, mugghiante da nord; egli ebbe come la sensazione del caos, mentre le macchine sgommavano nelle pozzanghere che subito si formavano lungo i cigli della strada, sollevando spruzzi a cascata, che finivano con l’inondarti. Sì, il caos, quello della folla bruta che come il rinoceronte di Ionesco carica il reciproco. Dove andavano in quelle condizioni? A cercare riparo da qualche parte, forse a casa, forse in un ufficio, forse dall’amante, ed era quella folla l’immagine della fralezza della condizione umana soqquadrata dal disagio che ottunde il normale, la sola condizione compatibile con l’essere vivente, nato per non avere stress di sorta. Forse per questo avevamo inventato la civiltà, per non avere disagi e garantire la normalità. Trovò riparo in un portone, ma lo trovò occupato da una donna Dai capelli acconciati con la lacca, alla pelliccetta corta che faceva intravedere generosamente le cosce, dagli stivali pretenziosi e volgarotti, si accorse doversi trattare di una prostituta e la cosa lo divertì:

    Tempaccio, Eh? fece.

    E già! rispose lei laconica.

    Come si chiama signorina? poi dopo una pausa: Io Andrea!

    Milena. disse lei con sussiego.

    E…che mestiere fa?

    La vita… rispose lei cruda.

    E…quanto prendi?

    Dipende! 30 per una svelta e 100 per una notte!

    Si fece rapidamente i conti, li aveva e per una notte.

    Ti va di stare insieme stasera?

    Lei lo squadrò dall’alto in basso che nemmeno l’aveva visto o osservato:

    E come no! fece, e poi: Sei un bel figo!

    Spiovve, e lui chiese Andiamo?

    Sì, fece eco lei, e poi: dove mi porti?

    A prendere la macchina e poi a mangiare in trattoria.

    OK. Andiamo pure!

    Perché? Si chiese, lui non andava mai a puttane! Cos’è gli piaceva così tanto? La guardò con attenzione, il bel naso un po’ all’insù, la bocca larga e un po’ volgare, i denti candidi, ma la fronte piccola e che si riempiva di rughe quando si concentrava, la mandibola cascante e due occhi insignificanti color nocciola. Non vedeva il corpo, ma doveva ancora essere giovane e sodo. Ma perché dunque? Per reazione! Contro chi? Simona? Anche, anche contro di lei ed il suo amore posticcio che sapeva di malaria, amaro come il chinino che la cura, ignobile per l’incuria e la mancanza di dedizione. Ma ce l’aveva con tutti, con Francesco tanto per cominciare che gli aveva fatto passare un pomeriggio alienante, ma anche con la vita che gli girava le spalle, con la gente che non capiva e non apprezzava. Manco lei, Milena apprezzava, allora, tant’è! Andiamo a letto con un pezzo di carne anonima, tanto lei non apprezza, lei non valuta, lo fa solo per danaro. Il danaro, l’eterna questione degli omuncoli e delle donnicciole, ma anche dei miliardari, dei capitalisti che lui voleva mandare in soffitta, con le sue teorie… del menga aveva detto una volta un certo Luciano, che non aveva capito niente, e gli aveva poi chiesto scusa, quando aveva capito, ma lui era un rivoluzionario, un barricadiero che non sapeva niente di riforme e voleva fa’ la revoluzzione, perché parlava un po’ romano. Uno dei tanti sordi poi rimasto esterrefatto. Il danaro, l’uso convenzionale dello scambio alienato, il feticcio che brutalizzava la merce, facendola sparire dal processo di circolazione, si disse riprendendo il suo Marx, che spesso gli tornava utile, perché non c’è verso non ci sarà mai l’avvento del mondo dello spirito e dell’idea, in un sistema dominato dallo scambio ed assunto dallo stato di necessità.

    Fu una notte penosa ed esaltante assieme, nella misura in cui all’inizio non si eresse. Lei fece di tutto per eccitarlo, ma vanamente. Si coricò supino sul dorso ad occhi sbarrati e fissava il lampadario della sua camera illuminato. Poi si disse: E’ solo merce, solo merda del capitale: fattela con spregio! ed avvenne la metamorfosi. Si eccitò da pazzi indurendosi spasmodicamente e la penetrò ininterrottamente per tutta la notte, ma senza riuscire ad avere un solo orgasmo, solo una reazione nevrotica vicina all’isterismo che lo rese possente come uno stantuffo. Lei apprezzò e godette molto, alla fine urlò e lo supplicò di venire e di bagnarla, ma non se ne fece nulla.

    Di’ un po’: non hai goduto? chiese lei incredula, con quell’erezione lì? Com’è possibile?

    Non ci son riuscito!

    E non ti fanno male le palle?

    Da pazzi! Anche tutti i muscoli della vescica!

    Ti faccio un pompino?

    No, dai andiamo, ho da fare stamani!

    Ma non andò a lavorare. Fece una telefonata e si diede per malato. Voleva andare al Partito dei Lavoratori ed iscriversi, voleva parlare col segretario e fargli capire che il suo reclutamento era un grosso affare per il Partito. Gli dissero che il Segretario non c’era e gli fissarono un appuntamento due giorni dopo, gli fecero sottoscrivere dei moduli, gli estorsero 50.000 lire ed un funzionario puntuto come un topo gli fece il lavaggio del cervello con un interrogatorio coi fiocchi, tramite cui volle sapere tutto dei suoi trascorsi politici. Intanto, gli dissero, si facesse vedere e frequentasse la Sezione, gli avrebbero dato dei compiti, magari anche in Federazione. Così cominciò la sua avventura politica, da cui, in pratica non ricavò un bel nulla. Solo una grande fatica ed una spremitura consistente, che gli fece dire cose terribili sulla vita del militante, che scrisse anche nei suoi libri. Il colloquio col Segretario di Federazione fu frustrante e burocratico. Ricominciarono gli interrogatori, ma di contenuti nemmeno l’ombra. Si sforzò Andrea di illustrare le sue teorie, ma il Segretario chiuse alle spicce:

    "Teorie... sì, sì, belle, belle. Ma la linea Politica lasciamola fare al Partito, giù a Roma. Intendiamoci, noi siamo

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