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Doppio singolo
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E-book251 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Per Paride Vasari, giovane scrittore reduce da un grande successo editoriale, non è un bel periodo. Cinzia, la donna della sua vita, lo ha lasciato per Massimo, l’unico amico che per via del suo non semplicissimo carattere ha mai avuto. Inoltre il suo secondo libro non ha avuto il successo sperato, quindi gli viene chiesto dal proprio editore di ritornare su quelle che sono state le corde del suo esordio, in modo da poter accontentare un pubblico sempre meno gestibile e poco avvezzo alle novità impreviste. Peccato però che la delusione amorosa abbia lasciato Paride senza idee, cosa decisamente problematica se ti guadagni da vivere scrivendo.

Tutto però cambia quando lo scrittore ha modo di sapere, proprio da Cinzia, che Massimo è finito in coma dopo un incidente automobilistico e che stava scrivendo un libro. Un libro che, guarda caso, ha tutte le caratteristiche necessarie per rilanciarlo nell’Olimpo dei successi editoriali. Nella mente di Paride nasce così un’idea: per vendicarsi di essere stato derubato del proprio grande amore, ruberà all’ex-amico il libro, ritornando a cavalcare l’onda del successo che stava perdendo.

Ma a un simile gesto seguiranno delle conseguenze totalmente inaspettate, tanto da sfociare nel sovrannaturale. Paride si troverà così ad affrontare la sfida più grande e importante della sua vita.

Fra gelosie, intrighi e colpi di scena, Doppio singolo offre al lettore una morbosa storia di ossessioni e scoperte, con un’ironia onnipresente che però non ne smorza la carica macabra. Perché non c’è cosa più terribile che lo scavare dentro di sé per scoprire quella che è la verità sul mondo che ci circonda e, soprattutto, su noi stessi.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2015
ISBN9788867823741
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    Doppio singolo - Giacomo Festi

    Giacomo Festi

    DOPPIO SINGOLO

    EDITRICE GDS

    Giacomo Festi

    Doppio singolo©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Collana ©OMBRE & MISTERI

    Illustrazione in copertina di © Lorenzo Lanfraconi

    Tutti i diritti riservati.

    Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.

    Alla dottoressa M.C. Lorenzini,

    lei sa perché

    L’amore si accende, muore, si spezza, ci spezza, si ravviva... ci ravviva.

    Forse l’amore non è eterno, ma ci rende eterni.

    Il blu è un colore caldo, di Julie Maroh

    L’unico uomo che non commetterà mai errori, è l’uomo che non farà mai niente

    Theodore Roosvelt

    Primo ricordo

    Quando Cinzia aveva conosciuto Massimo era una fresca notte d’estate. Forse fin troppo fresca. La calura estiva non era stata disagevole come negli anni scorsi, ma nonostante questo i telegiornali continuavano a creare il solito bombardamento mediatico sul caldo. Certe notti si riusciva persino a stare all’aperto senza lamentarsi di quanto si sudava e senza cercare di fare aria sventolando qualsiasi cosa potesse assomigliare a un ventaglio.

    Massimo era arrivato dopo quasi due anni di assenza, alla fine di quella che era stata una lunghissima e – a dir suo – estenuante odissea nei circoli teatrali londinesi. Paride ricordava di come fosse stato triste appena dopo la sua partenza, così come col tempo la ferita causata della sua mancanza era andata cicatrizzandosi. Poi però, un pomeriggio, il telefono aveva squillato e la sua voce aveva annunciato che sarebbe ritornato nella sua città natale per un bel po’ di tempo. Tempo durante il quale dovevano assolutamente ritrovarsi per recuperare i due anni perduti e raccontarsi le ultime novità.

    Quando aveva ricevuto quella telefonata, Paride era nel soggiorno di casa sua. Non appena aveva riagganciato si era disteso sulla prima sedia che aveva trovato e, con lo sguardo di uno che doveva aver appena ricevuto una beatificazione, aveva preso a fissare il soffitto. Cinzia era a poca distanza da lui che leggeva, sdraiata sul divano.

    «Che succede?», gli chiese, senza alzare lo sguardo.

    «Ha chiamato Massimo... cavolo! Erano due anni esatti che non lo sentivo.»

    Cinzia distolse lo sguardo da ciò che stava leggendo, incuriosita. «Massimo?», chiese. «Strano, non credo tu me l’abbia mai nominato.»

    «Due anni fa aveva ricevuto una parte importante in una compagnia teatrale londinese e quindi era partito. È stato prima che ci conoscessimo, credo di avertene parlato non appena ci siamo visti, ma poi non ho più tirato fuori l’argomento.»

    «Quindi è un attore?»

    «Beh, grossomodo sì. È stata la sua prima parte importante e l’ha tenuto occupato per molto. Stasera dovrebbe dirmi tutto... sono davvero ansioso di rivederlo.»

    «Ma non vi siete mai tenuti in contatto in questo arco di tempo?»

    «No.»

    «Ma come? Non dirmi che fra Skype, Facebook e altro non hai avuto modo di sentirlo...»

    «Diciamo che... Massimo era, anzi, è un tipo particolare. Dubito che due anni lo abbiano cambiato. Non ha Facebook e rifugge quasi del tutto la tecnologia. Mi aveva spiegato anche più volte il perché, ma le sue motivazioni cambiavano sempre.» Paride sorrise in maniera appena percettibile. Un sorriso quasi malinconico. «È molto contraddittorio e se non lo si conosce bene si può correre il rischio di prenderlo per un idiota. Magari lo è proprio... ma era anche quello un motivo per cui finivi per essere suo amico.»

    Cinzia rise. «Tu che giustifichi un idiota? Il mondo deve essere prossimo alla fine... ma mi piace vederti felice», disse con un sorriso.

    «Ultimamente lo sono spesso.»

    «Allora vuol dire che anch’io lo sono spesso, ultimamente.»

    «Vuoi rendermi ancora più felice?»

    Cinzia fece la faccia più buffa che le riusciva e prese a slacciarsi la camicetta.

    «Non intendevo quello. Vuoi venire con me da Massimo, stasera?»

    «Ah...», Cinzia si bloccò, stupita. Era arrivata a far scoprire le coppe di pizzo nero del reggiseno, ma non si coprì. «Oddio, non so proprio. Non vorrei rovinare il vostro incontro.»

    «Ma figurati. Dobbiamo trovarci in quel ristorante che ti piace tanto. Ci siamo andati il mese scorso.»

    «Oh, quello? Allora potrei proprio farci un pensierino.»

    Paride si alzò dalla sedia e si sedette vicino a Cinzia. Distese le braccia e unì le mani, facendo una faccia buffa che ricordava quella di un bambino piangente. «Hai detto che ti piace vedermi felice...»

    Cinzia non aveva mai potuto resistere a quella faccia. L’aveva sempre fatta ridere fin dalla prima volta, anche se Paride non ricordava in che occasione avesse esordito con quella trovata. Sapeva solo che era un qualcosa che aveva sempre effetto e quindi la sfruttava ogni volta che ne aveva occasione, sicuro del successo. Pure quella volta riuscì nel proprio intento. La sua compagna prese a ridere, rischiando di sputargli addosso, fino a doversi tenere la pancia con le mani.

    «Ti prego... smettila...», fece lei.

    Paride si avvicinò a lei, fino a che la sua risata non divenne sorda dalla foga. «Però tu mi prometti di venire?», insistette.

    Lei non disse nulla. Oramai era perfettamente piegata su sé stessa. Il suo corpo aveva dei continui spasmi. Si limitò ad alzare debolmente un braccio e ad acconsentire unendo le punte del pollice e dell’indice. A quel punto Paride tornò serio.

    Ci volle molto prima che si riprendesse. Un paio di volte riprese a ridere anche solo a incrociare il suo sguardo. Quando quegli attacchi di risa la prendevano era difficile farla smettere, poteva andare avanti per ore e Paride non avrebbe fatto nulla per fermarla. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso manco in quelle situazioni.

    «Va bene... vengo...», disse lei, concludendo con due rumorosi ansimi che facevano presagire il termine di quella sessione. «Però così sembrerò leggermente un’intrusa.»

    «E perché mai? Ti ho invitata io.»

    «Sì, ma sai com’è... una donna sola in mezzo a due omaccioni come voi...»

    «Cercheremo di trattenerci.»

    «Tu forse sì, ma il tuo amico?»

    «Non appena saprà che sei la mia ragazza non oserà nemmeno guardarti.»

    «Non gli hai detto che vuoi portare anche me?»

    «Non gli ho detto nulla. Non gli ho parlato nemmeno del libro, voglio che lo sappia una volta che siamo lì. Sono curioso di vedere che faccia farà.»

    «Basta che non sia come quella che hai fatto prima...», disse Cinzia. Poi le si gonfiarono le guance, cosa che succedeva sempre quando cercava di trattenersi dal ridere. «Oddio, non ancora... anche solo a pensarci... no, sto calma!»

    Mentre Cinzia cercava di regolare la propria respirazione e di trovare un non ben specificato equilibrio, Paride allungò lo sguardo, cercando di vedere cosa stava leggendo. Era una graphic novel dalla copertina brossurata che sembrava molto vecchia.

    «Il cavaliere oscuro colpisce ancora... Perché leggi quella merda?»

    «Ehi, è roba tua. Non prendertela con me. E poi non sei te quello a cui piace Frank Miller e il suo Batman, o sbaglio?»

    «Sì, certo. Però mi piacciono Anno uno, Il ritorno del cavaliere oscuro e All Star: Batman e Robin. Questo però è veramente una stronzata col botto. Ed è pure disegnato di merda.» Allungò un mano e lo afferrò, portandoselo a poca distanza dal volto per osservarlo meglio. «Ricordo ancora quando lo avevo preso... però ero certo di averlo venduto a Gigi qualche anno fa. Strano, vorrà dire che dovrò chiedergli se è interessato.»

    «Oddio no, Gigi no! Ti prego!» Cinzia sembrava essersi ripresa del tutto. «Veramente, non lo sopporto quell’idiota!»

    «Suvvia, che ti avrà mai fatto?»

    «È l’unica persona al mondo che sa essere più critica di te!»

    «Come più critico di me?»

    «Sì!» Cinzia gli fece una linguaccia scherzosa. «Siete due insopportabili saputelli.»

    Paride si voltò di scatto, facendo sbattere le mani sul divano. Cinzia si ritrasse dallo spavento e lui prese ad avanzare lentamente, come una tigre che tendeva un agguato a una preda. Lei lo guardava con un sopracciglio inarcato, curiosa di vedere quale sarebbe stata la sua prossima mossa, fino a che lui non portò avanti le mani e prese a farle il solletico sulla pancia.

    «Allora, chi sarebbe un saputello?», fece Paride, con tono di sfida.

    «No, ti prego, pietà!», implorò Cinzia.

    La pietà arrivò pochi minuti dopo, quando ambedue si ritrovarono esausti sul pavimento. Paride sentiva una leggera pressione alle braccia, più per la fatica di tenere ferma Cinzia (la quale ora giaceva ansimante affianco a lui) che per altro.

    «Così impari, stronzetta.»

    «... uff... sei cattivo...»

    Paride si alzò, portando una mano alla camicia di lei. Prese a slacciarle lentamente i pochi bottoni ancora a posto e, non appena ebbe finito, le fece scorrere la punta dell’indice lungo l’ombelico.

    «Cattivo io? Non hai ancora visto nulla...», asserì con un sorriso.

    Capitolo uno: rivedersi

    Una cosa che rilassava sempre Paride era ascoltare musica quando guidava. Certo, era un privilegio legato solo agli artisti che lui riteneva meritevoli, ma quando era al volante accendeva sempre la radio. Diceva che quello riusciva a garantirgli una particolare manualità anche nelle manovre più difficili e che gli manteneva attiva la mente, sgombra da pensieri inutili tranne che da quelli necessari per effettuare un tragitto sicuro. Asseriva anche che era per questo che non aveva mai ricevuto una multa (tranne una, quando aveva parcheggiato in una zona a orario ridotto, il cui cartello era però coperto da un ramo) e, sempre grazie al potere delle sette note, che non aveva sulla coscienza nessun pedone innocente.

    Quella mattina però stava guidando con la radio spenta. E dire che la propria macchina era munita di un impianto stereo costosissimo, oltre che da una sfilza di cd che aveva trasferito appositamente da casa sua alla vettura. Folkstone, Radiohead, Ratti della Sabina, Rammstein, Vinicio Capossela, AC-DC, Musica Per Bambini, Kreator... aveva un disco per ogni occasione e per ogni umore. Una volta che si sentiva particolarmente triste aveva persino messo a tutto volume il brano For My Fallen Angel dei My Dying Bride, col risultato che tutti gli appiedati che lo avevano sentito avevano preso a guardarlo male dal marciapiede.

    Quella mattina però non voleva ascoltare nulla. E questo significava solo una cosa: che non era felice ma nemmeno triste. Era spaventato. Spaventato come non lo era da anni.

    Tutto quello per una telefonata.

    Era buffo che proprio lui, che non poteva definirsi un maniaco dei cellulari o della tecnologia in generale, facesse tutte quelle corse per una chiamata. Anzi, invece di mettersi il telefonino in tasca lo aveva appoggiato sul sedile del passeggero, in modo da poterlo prendere subito in mano casomai quella persona lo chiamasse nuovamente.

    La sua guida quella mattina era scattosa, poco fluida. Non aveva guidato così manco durante l’esame di pratica per la patente. A metà strada rischiò addirittura di fare un incidente perché, per un attimo, aveva dato una rapida occhiata al cellulare, come se si aspettasse che suonasse nuovamente da un momento all’altro, non notando così la jeep che gli stava venendo contro. Non appena se ne accorse Paride fece scattare le mani sudaticce sul volante della sua Renault, ma la presa non era salda e riuscì a fare ben poco. Fortunatamente il guidatore della jeep doveva avere i riflessi più scattanti di lui, perché riuscì a curvare appena in tempo per evitarlo, clacsonando a più non posso. Dallo specchietto retrovisore Paride riuscì a notare che dalla vettura era avanzata fuori la mano del guidatore, che gli rivolgeva un poco signorile dito medio.

    Il mondo mi ama, pensò Paride

    Non si era accorto che dalla paura aveva mollato la presa sui pedali e che quindi il motore si era spento. Intorno a lui il traffico sembrava bloccato e molte persone avevano preso a suonare il clacson per incitarlo a partire. Alcuni si erano addirittura sporti fuori dal finestrino a avevano preso a insultarlo.

    Con la mano ancora tremante fece girare la chiave, ma gli ci vollero ben tre tentativi prima che la sua macchina partisse.

    Dopo quindici minuti di guida arrivò finalmente all’ospedale.

    Persino parcheggiare fu un’impresa. Aveva paura di non riuscire a calcolare bene la distanza fra il cofano e il muretto che gli stava davanti, creando così il secondo incidente della giornata. Cercò di parcheggiare con lentezza estenuante, avanzando con la prima marcia.

    Una volta compiuta l’operazione scese dalla macchina, dirigendosi verso l’entrata. Dovette però ritornare indietro perché aveva dimenticato il cellulare sul sedile. Prima di aprire la portiera si fermo a guardare la sua Renault, come se si aspettasse che quel maledetto manufatto dell’odierna tecnologia che aveva lasciato lì dentro si trasformasse in un mostro e lo aggredisse, uscendo grazie ai suoi artigli in grado di dilaniare sedili e lamiere di metallo. Restò a guardare la macchina per molto, aspettandosi chissà cosa, quando invece non successe nulla. Non sapeva nemmeno lui perché si era fermato, ma qualcosa sembrava bloccargli le gambe.

    Con passo lento si avvicinò, posò le mani sul cofano e fece cinque lunghi respiri. Gli ultimi due lo fecero sussultare, come se qualcosa gli stesse esplodendo dentro, ma alla fine riuscì ad aprire la portiera e a prendere il cellulare.

    Nell’avviarsi nuovamente verso l’entrata diede una scaramantica occhiata al display. Non c’era nessuna chiamata persa e nessun nuovo messaggio. In compenso vide che erano le dieci e mezza di mattina.

    Non appena entrò fu subito investito dall’odore dell’ospedale. Non era un odore ben specifico, era proprio da... ospedale. Paride non sapeva proprio come poterlo definire. Nonostante fosse sempre stato un mago con le parole, quella era una delle cose che non era mai stato in grado di descrivere. Gli ospedali avevano dentro di loro un odore da ospedali. Punto. Non c’era null’altro da dire.

    A disorientarlo non era solo quel particolare aroma. Al loro interno gli ospedali ribollivano di suoni quotidiani, come il rumore dei passi delle persone o il chiacchiericcio delle stesse, amplificati però da non si sa quale aura malefica. Come se tutta la sofferenza e il dolore perpetuato al loro interno influisse sulla percezione di quegli elementi, coinvolgendoli nella loro negatività. Quindi se la notizia che lo aveva condotto lì aveva saputo agitarlo in quella maniera, l’intero contesto bastava a demolirlo psicologicamente. Respirava a fatica e la salivazione gli si stava rapidamente azzerando.

    Andò a un distributore di bibite posto proprio in linea d’aria con l’entrata e prese una Coca-Cola. Quando si faceva prendere dall’ansia bere qualcosa di zuccherato e freddo lo aiutava sempre. Trangugiò la bibita con delle lunghe sorsate e, non appena finì, strinse la lattina fra le mani e la gettò in un cestino. Fatto ciò, fermò la prima infermiera che gli passò davanti.

    «Mi scusi», fece, «potrebbe dirmi dove si trova la signorina Cinzia Anselmi? Sono stato chiamato da lei questa mattina.»

    L’infermiera era una giovane donna abbastanza in carne. Aveva un viso ovale ma non brutto da vedere. Stranamente però, nonostante la silhouette decisamente generosa di curve, aveva poco seno. Il suo sguardo spento si spostò sulle cartelle cliniche che teneva in mano, poi fece segno a Paride di seguirlo, conducendolo al banco informativo dell’ospedale. Fu proprio lei a chiedere al suo collega dove si trovasse Cinzia, per poi prendere Paride per mano e portarlo davanti a un ascensore.

    «La signorina si trova in ortopedia, al secondo piano. Vuole che la accompagni?»

    Lo disse come se non fosse una domanda. Sembrava che con quei suoi occhi vuoti lo implorasse di passare un po’ più di tempo con lei. Quelle erano proprio il tipo di persone che inquietavano Paride. Almeno una volta al mese gliene capitava una, ma non era ancora riuscito ad abituarsene.

    «Sì, grazie...»

    Entrò con l’infermiera nell’ascensore, lasciando che fosse lei a schiacciare i tasti. Quando si chiusero le porte tutti i rumori improvvisamente cessarono, peccato però che non scomparve anche l’odore ospedaliero della struttura. Sembrava di essere in una sorta di utero materno nel quale gli unici suoni presenti fossero quelli emessi dalla respirazione di chi vi stava all’interno. Paride notò che l’infermiera a intervalli regolari spostava lo sguardo verso di lui, osservandolo con una strana luce negli occhi e respirando con maggior foga. In quei momenti sapeva diventare quasi spaventosa.

    «L’ho riconosciuta, sa?», disse. «Lei è lo scrittore.»

    Le pareti laterali dell’ascensore erano costituite da due specchi e Paride poté vedersi riflesso. Era un uomo di altezza media e con un taglio di capelli decisamente demodé. Due anni prima, in concomitanza con la pubblicazione in forma cartacea del suo primo libro, aveva deciso di farsi la riga da una parte, sicuro che questo avrebbe potuto rendere più credibile la sua immagina di scrittore. Per il resto aveva un corporatura scomoda, nel senso che non poteva definirsi né magro né grasso. Era quella strana via di mezzo dove il grasso si concentrava in special modo sulla faccia, rendendola stranamente tonda, mentre il resto del corpo si presentava come un complesso di carne e ossa massiccio ma non proporzionato. Sembrava che da quando si era tagliato i capelli in quella maniera il tempo si fosse fermato, perché non ricordava di essere più andato da un parrucchiere, eppure non erano cresciuti manco di un millimetro. Non c’era da stupirsi quindi che l’infermiera l’avesse riconosciuto subito.

    «Sì, sono io», disse Paride senza enfasi, cercando di nascondere l’agitazione con un sorriso sforzato.

    L’infermiera fece un risolino idiota, distogliendo da lui lo sguardo per un attimo.

    «Ho finito ieri sera il suo ultimo libro», lo informò. «Mi è davvero piaciuto molto.»

    «Credo sia una dei pochi a pensarla così.»

    «Non è ai livelli de Il rumoroso silenzio, ma è un bel libro», insistette l’infermiera, stavolta con un accenno di agitazione nella voce. «Sta scrivendo qualcos’altro?»

    «Diciamo che sto raccogliendo le idee.»

    La cabina mobile ebbe uno scossone, segno che erano arrivati al piano desiderato, e le porte si aprirono. Paride ringraziò di potersi

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