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Il conte di ghiaccio
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E-book229 pagine3 ore

Il conte di ghiaccio

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1803
Lord Magnus, conte d'Arenville, è bello, ricco, scapolo... e tanto freddo da essersi meritato il soprannome di Ghiacciolo. Quando però un'adorabile bimbetta fa breccia nella sua gelida corazza, l'affascinante gentiluomo decide di volere dei figli propri e chiede alla cugina Laetitia di presentargli qualche candidata adatta al ruolo di moglie. Le cose tuttavia non vanno secondo i piani, perché Magnus trova sciocche e insopportabili tutte le debuttanti che gli vengono proposte, e solo Tallie, la giovane che si prende cura dei figli di Laetitia, riesce a suscitare il suo interesse. Innocente e sognatrice, lei accetta di sposarlo, ma saprà conquistare anche il suo cuore indurito?
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519640
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    Anteprima del libro

    Il conte di ghiaccio - Anne Gracie

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Tallie’s Knight

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2000 Anne Gracie

    Traduzione di Milani Maddalena

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-964-0

    Prologo

    Yorkshire, febbraio 1803

    «Milord, sono sicura che il signor Freddie...»

    «Il signor Freddie?» Lord d’Arenville interruppe la domestica con voce carica di disapprovazione.

    La donna arrossì e si passò nervosamente le mani sul grembiule inamidato.

    «Volevo dire... il reverendo Winstanley, milord. Non vi farà attendere molto, è solo che...»

    «Non ho bisogno di spiegazioni» la informò freddamente lord d’Arenville. «Sono certo che il reverendo Winstanley arriverà non appena gli sarà possibile. Aspetterò.»

    Nel suo gelido sguardo grigio era implicita la richiesta di essere lasciato solo e la domestica si affrettò ad accontentarlo.

    Magnus, lord d’Arenville, osservò il modesto salottino notandone le dimensioni ridotte e il vecchio mobilio. La stanza era illuminata a stento da una sola, piccola finestra. Vi si avvicinò e guardò fuori.

    Si sentì subito depresso alla vista del cimitero su cui si affacciava.

    Dio del cielo, che posto cupo, pensò sedendosi su un divano consunto e decisamente scomodo. Vivevano così tutti gli ecclesiastici o era il suo vecchio amico Freddie Winstanley a passarsela particolarmente male?

    Sospirò. Sentendosi inquieto e annoiato, aveva preso la repentina decisione di andare nello Yorkshire per far visita a Freddie, che non vedeva da anni. Ma ora che si trovava lì era costretto a domandarsi se presentarsi così senza preavviso fosse stata una buona idea.

    Un risolino appena udibile interruppe le sue meditazioni. Aggrottando la fronte, Magnus si guardò attorno.

    Non si vedeva nessuno, ma ben presto il risolino tornò a farsi sentire.

    Sempre più perplesso, chiese: «Chi va là?».

    Seguì un borbottio, seguito da un’altra risata, e lui si accorse che quei versi provenivano da dietro le tende, dalle quali sporgeva anche una piccola sagoma. Guardò con più attenzione e vide un viso dall’espressione birichina sbucare dalle pieghe del pesante velluto verde.

    Per un attimo fu incapace di reagire.

    Era un bambino, o meglio una bambina, decise dopo averne studiato le fattezze e l’abbigliamento. Aveva i capelli ricci e scuri e grandi occhi castani. Nonostante fosse ancora molto piccola, lo stava già fissando con lo sguardo impertinente che aveva visto negli occhi di molte adulte.

    Rivolse un’occhiata alla porta sperando che qualcuno venisse a togliergli dai piedi la marmocchia.

    «Ehi, signore.»

    Il saluto della piccola lo lasciò del tutto esterrefatto.

    Magnus sollevò le sopracciglia, incerto su come comportarsi. Era tenuto a rispondere, ma non aveva idea di come ci si rivolgesse a un bambino.

    «Molto lieto» le disse dopo un attimo di esitazione.

    La bimba dovette interpretare quel saluto come un invito, perché subito sgusciò fuori del nascondiglio per mettersi a correre verso di lui.

    Inorridito, restò come paralizzato, mentre la piccola andava a scontrarsi proprio contro la sua gamba.

    Sorridendo, lei vi si aggrappò posando due manine sudice sugli immacolati stivali di camoscio di Magnus, che strinse i denti sforzandosi di non reagire.

    «Su!» ordinò la creaturina alzando le braccia nella chiara aspettativa di essere ubbidita.

    Magnus assunse un’espressione, se possibile, ancora più accigliata e si augurò che la sua comprovata abilità ad allontanare da sé le attenzioni femminili indesiderate funzionasse anche con quella donnina in miniatura.

    Sperando di scoraggiarla, si sforzò di imprimere ai propri lineamenti un cipiglio davvero spaventoso, ma la bimba, per nulla intimorita, si limitò a tendere nuovamente le braccia verso l’alto.

    «Su!» Le sue dita paffute e appiccicose gli sfiorarono una manica. «Su!»

    «No, grazie» replicò Magnus in tono gelido.

    I grandi occhi scuri si spalancarono e la boccuccia rosea si piegò verso il basso in una smorfia di delusione. Il labbro inferiore iniziò a tremare. Era facile ravvisare tutti i segni premonitori di un pianto colossale, uno dei tipici sotterfugi femminili per costringere un uomo a capitolare. Così piccola e già così esperta in quell’arte!, pensò esasperato.

    Il visino tondo di lei si contrasse preparandosi alle lacrime.

    Santo Iddio, non aveva scelta. Gli sarebbe toccato prenderla in braccio. Di malavoglia tese le braccia e, afferrandola per la vita, la sollevò ad altezza sufficiente per poterla guardare negli occhi.

    Battendo i piedini nel vuoto e non ancora contenta dell’accresciuto livello di intimità, la piccola tese in avanti le mani.

    «Coccole!»

    Anche questa volta era riuscita a farsi capire perfettamente. Con estrema cautela Magnus la avvicinò un poco a sé, ma subito la bimba gli gettò le braccia attorno al collo e lo strinse con forza sorprendente. Nel giro di un istante gli si accomodò in braccio e si impegnò a disfargli il nodo del cravattino. Dopotutto il suo valletto aveva impiegato solo mezz’ora ad annodarlo in modo così perfetto.

    Iniziò a parlargli in un linguaggio farfugliante e sconnesso noto solo a lei, interrompendosi di tanto in tanto come per porgli una domanda cui ovviamente lui non sapeva rispondere.

    Poi, di colpo, si arrestò nel bel mezzo di chissà quale storia e appoggiò un ditino sulla fenditura verticale che gli solcava la guancia destra. «Che è quetto?» indagò.

    Magnus non seppe cosa rispondere. Una ruga? Una piega? Una lunga fossetta? Non si era mai posto il problema di definirla, dato che nessuno aveva mai osato fargliela notare. «È... mmh... la mia guancia.»

    Con la punta del dito la bambina tracciò il contorno di quel solco e anche di quello che percorreva l’altra gota. Poi, soddisfatta, tornò a raccontargli la sua storia incomprensibile.

    Piano piano, però, la sua parlata si fece più lenta e svogliata, e la testa iniziò a ciondolarle pesantemente.

    «Nanna...» fece appena in tempo a mormorare prima di abbandonarsi del tutto tra le braccia di Magnus e chiudere gli occhi.

    Si era addormentata.

    Per un attimo lui si irrigidì, incerto sul da farsi, quindi si rilassò. Si era sempre ritenuto un uomo forte, sia in termini fisici sia di potere, eppure mai in vita sua gli era stata affidata una tale responsabilità: sorreggere il peso di un bambino addormentato.

    Rimase lì seduto per una ventina di minuti, fino a quando un certo trambusto si levò nell’atrio. Poco dopo una giovane donna dall’espressione preoccupata apparve sulla soglia. Era la moglie di Freddie. Joan. Jane. O forse Jenny? Ne ricordava il volto dal giorno del matrimonio.

    La donna aprì la bocca per parlare. Fu allora che vide la bimba addormentata tra le braccia di Magnus.

    «Oh, grazie al cielo!» esclamò sollevata. Si girò quindi verso qualcuno in corridoio. «Martha, vai subito a dire al signor Freddie che l’abbiamo trovata!» Si rivolse a Magnus. «Sono desolata, lord d’Arenville. Pensavamo che si fosse nascosta in giardino ed eravamo tutti fuori a cercarla. Vi ha dato fastidio?»

    Lui indirizzò un pensiero fugace agli stivali macchiati e al cravattino stazzonato. Aveva il braccio intorpidito per non averlo potuto muovere e sospettava che la piccola gli avesse lasciato sulla giubba una chiazza con il suo nasino gocciolante. «Niente affatto» bisbigliò piano per non svegliarla. «È stato un piacere.»

    E, con sua immensa sorpresa, si rese conto solo allora di pensarlo davvero.

    1

    Londra, febbraio 1803

    «Voglio che mi aiuti a trovare una moglie, Tish.»

    «Ma certo, e alla moglie di chi saresti interessato, questa volta?» ribatté Laetitia ricorrendo all’ironia per nascondere la sorpresa di fronte a quella richiesta. Suo cugino Magnus non era tipo da chiedere aiuto.

    Lui la squadrò con i freddi occhi grigi. «Intendevo dire una sposa. Per me.»

    «Una sposa? Tu? Non posso davvero crederci, Magnus! Sono anni che non ti vedo scambiare più di due parole con una signorina perbene.»

    «È proprio per questo che ho bisogno della tua assistenza in questa faccenda. Voglio che il matrimonio sia celebrato il più presto possibile.»

    «Il più presto possibile? Santi numi, prevedo già che scompiglio si creerà tra le giovani in età da marito, quando si diffonderà la notizia!» Laetitia si rilassò contro lo schienale della poltrona e scrutò il cugino con un’aria di divertimento vagamente maligna. «L’inaccessibile lord d’Arenville alla ricerca disperata di una sposa?» I suoi occhi azzurri si strinsero in due fessure. «Posso chiedere che cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? Non che ci sia nulla di strano a volersi sposare. Anche tu hai bisogno di un erede, dopotutto. Ma tutta questa fretta... Non avrai problemi finanziari, per caso?»

    Magnus aggrottò le sopracciglia. «Non essere ridicola, Tish. È proprio come hai detto tu poco fa: ho deciso che voglio dei figli.»

    «Degli eredi, intendi» lo corresse la cugina. «Figli maschi. Non vorrai per caso infestarti la casa di femmine, vero?»

    Magnus non rispose. L’idea di avere delle figlie non gli dispiaceva affatto. Deliziose bambine dai grandi occhi sorridenti, che gli tiravano il cravattino mentre raccontavano lunghe, incomprensibili storie. Ma anche dei maschi sarebbero andati bene, si disse ripensando a Sam, il vivace figlio di Freddie.

    La necessità di procurarsi un erede gli era assai poco impellente, anche se lui, in effetti, incarnava l’ultimo rappresentante di una nobile dinastia. Fino al recente viaggio nello Yorkshire l’idea che il suo nome si estinguesse alla sua morte non gli aveva fatto né caldo né freddo.

    Ma in fondo era molto più semplice lasciar credere al mondo che lord d’Arenville desiderasse un erede, piuttosto che ammettere di aver permesso a una bimbetta alta un soldo di cacio di toccarlo nel profondo del cuore penetrando nell’armatura d’indifferenza in cui si era nascosto per anni.

    Si era più volte ripetuto di non aver bisogno di niente e di nessuno, aveva imparato a essere indipendente quando era ancora un ragazzino. Eppure il ricordo di quel corpicino morbido e fragile addormentato tra le sue braccia tornava spesso a tormentarlo.

    Era un vero peccato essere costretto a chiedere l’aiuto di Laetitia, che non gli era mai piaciuta. Per questo motivo aveva sempre limitato i contatti con lei a quanto imposto dalle regole della buona creanza. Ma qualcuno avrebbe pur dovuto presentargli una ragazza di buona famiglia, e non gli veniva in mente nessuno se non la cugina. Si affrettò a tornare al punto. «Allora, mi aiuterai, Tish?»

    «Che cosa hai in mente, di preciso? Di partecipare a ogni evento mondano possibile e immaginabile?» Lei si mise a ridere. «Scusa, ma non riesco proprio a vederti nelle vesti del corteggiatore impacciato!»

    Quella prospettiva quasi bastò a scoraggiarlo. «Pensavo di organizzare un ricevimento in campagna.»

    «Magnus!» Laetitia assunse un’aria inorridita. «Lo sai che la detesto, soprattutto in questa stagione.»

    «Non sarà per molto. Credo che una settimana dovrebbe bastare. Due al massimo.»

    «Una settimana!» strillò Laetitia. «Hai intenzione di scegliere e corteggiare la tua futura moglie in una settimana? Il bel mondo londinese ne sarà scandalizzato!»

    Magnus contrasse la mascella imponendosi la calma. Avrebbe tanto voluto piantare in asso la cugina e andarsene. Ma lei, che aveva innumerevoli contatti in società, era indispensabile per la riuscita del suo piano. «Allora, lo farai o no?» la incalzò ignorandone le rimostranze.

    Dall’espressione assorta sul bel volto di Laetitia si capiva che era intenta a calcolare se le convenisse o meno.

    Lui conosceva bene quell’espressione avendola vista tante volte, da piccolo, sul volto della propria madre. E altrettanto bene sapeva come affrontare la situazione.

    «Sarà davvero difficile per me liberarmi così all’improvviso» aveva iniziato a dire Laetitia nel frattempo. «Abbiamo già parecchi impegni...» Volse lo sguardo al grande specchio appeso sopra il caminetto. Nella cornice dorata erano infilati numerosi inviti. «E organizzare un soggiorno a Manningham per così tante persone...» sospirò. «Di sicuro ci sarà parecchio da fare. Inoltre non so cosa ne penserà George. Sarà anche molto costo...»

    «Coprirò io tutte le spese» la interruppe Magnus. «E ti ricompenserò adeguatamente per il disturbo. Stavo pensando a dei diamanti, che potresti sfoggiare al tuo ritorno a Londra.»

    Laetitia strinse compunta le labbra, evidentemente seccata da tanta franchezza, ma allo stesso tempo incapace di resistere. «Tuttavia...»

    «Collana, orecchini e un braccialetto» precisò lui fissandola con cinica indifferenza.

    «Oh, Magnus, come sei volgare!» lo rimproverò nella sceneggiata che, peraltro, si era aspettato. «Come puoi pensare che voglia farmi pagare per aiutare il mio caro cugino?»

    «Quindi non vuoi i diamanti?»

    «No, no, no, non ho detto questo! Ovviamente, se tu vuoi farmi un regalo non posso certo rifiutarlo.»

    «Bene, allora siamo d’accordo. Tu inviti una mezza dozzina di ragazze...»

    «E le loro madri» precisò Laetitia.

    Un sorriso sarcastico gli increspò le labbra. «Suppongo che non se ne possa fare a meno. Invita chi di dovere, dunque, e io farò la mia scelta.»

    Laetitia scosse il capo fingendosi scandalizzata. «Sei proprio un freddo calcolatore, mio caro. Non c’è da stupirsi che ti chiamino Il Ghiacc...»

    Le rivolse un’occhiata tale da indurla al silenzio, poi si alzò per congedarsi.

    «Come!» protestò lei. «Te ne vai già?»

    «Perché no? Siamo d’accordo, quindi...»

    «Ma quali ragazze vuoi che inviti?»

    Magnus la fissò come se gli avesse appena posto una domanda che non lo riguardava minimamente. «E che cosa ne so, io? Fa parte dei tuoi compiti, Tish» concluse avviandosi verso la porta.

    «Non posso crederci!» gli gridò dietro. «Vuoi che ti scelga io una moglie?»

    Lo sguardo di Magnus si velò di irritazione. «No, la sceglierò io. Tra le giovani selezionate da te. È chiaro, adesso?»

    Laetitia rimase a guardarlo, allibita. Suo cugino aveva intenzione di dedicare alla scelta di una sposa più o meno la stessa quantità di tempo e di attenzione che avrebbe impiegato per scegliere un cavallo. O forse anche di meno, dato che era un grande estimatore di purosangue. «Posso almeno chiederti se hai dei criteri particolari?»

    Magnus si bloccò di colpo e tornò a sedersi accanto alla cugina. A dire il vero non ci aveva pensato, ma bisognava ammettere che si trattava di una richiesta ragionevole. «Deve essere dotata di buonsenso. Di ottimo lignaggio, ovviamente. Moderatamente intelligente e di carattere remissivo. Vorrei dei bei denti e fianchi abbastanza larghi... adatti a portare in grembo un figlio e a partorire. Tutto qui.»

    Laetitia non represse un sorriso maligno. «Stiamo parlando di una donna o di una giumenta?»

    Magnus ignorò la battuta e si accinse nuovamente ad andarsene.

    «Non ti interessa nemmeno che sia graziosa?»

    «Non particolarmente. In linea di massima, sì, preferirei qualcuno dall’aspetto gradevole, ma non bella in modo troppo vistoso.» Un ghigno sarcastico gli comparve sulle labbra. «Ho conosciuto troppe belle donne sposate per non essere consapevole di quale tentazione rappresentino... per gli altri uomini.»

    Laetitia colse al volo quell’ironico riferimento a lei stessa e arrossì leggermente. Magnus era così arrogante che la tentazione di rifiutargli il proprio aiuto era forte. Ma una parure di diamanti valeva bene la pena di assecondarlo. In fondo, pensò, a caval donato non si guarda in bocca.

    Non si poteva certo dire lo stesso della futura lady d’Arenville.

    Il cavaliere nero si chinò e, afferratala per la vita, la issò sulla sella del destriero strappandola ai morsi famelici dei lupi che li avevano accerchiati.

    «Via, bestie infernali!» gridò loro con la sua profonda, virile voce. «Questo dolce boccone non è per voi!» Le sue braccia si strinsero attorno a lei, forti e rassicuranti. «Tieniti stretta, tesoro mio, e ti porterò in salvo» le sussurrò all’orecchio spronando il cavallo al galoppo. «E ora che ti ho finalmente tra le braccia, Tallie, amore mio, non ti lascerò mai più.» Premendosela contro il petto possente, avvicinò la bocca a quella di lei...

    «Miss? Miss Tallie? State bene?»

    Strappata da quel sogno a occhi aperti, Tallie sobbalzò sulla sedia facendo cadere dal tavolo i bottoni che era intenta a riordinare. Brooks, il maggiordomo di sua cugina, e la governante, la signora Wilmot, la osservavano con evidente preoccupazione.

    «Sto benissimo» assicurò loro. «Ero solo soprappensiero. Volevate parlarmi?»

    Brooks le porse un vassoio d’argento su cui era posata una lettera annunciando: «Dalla

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