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Il gioiello proibito: Harmony History
Il gioiello proibito: Harmony History
Il gioiello proibito: Harmony History
E-book221 pagine3 ore

Il gioiello proibito: Harmony History

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Info su questo ebook

India, 1796
Il Maggiore Nicholas Herriard deve scortare la giovane Anusha Laurens dal Rajasthan fino a Calcutta, dove l'aspetta il padre, un aristocratico inglese. Durante il lungo viaggio sotto il rovente sole dell'India, l'istintiva simpatia che i due giovani provano l'uno per l'altra si trasforma in un'irresistibile passione che mette a dura prova il senso del dovere di Nicholas. Costretto a mantenere le distanze da Anusha, il giovane ufficiale vede dunque come una liberazione l'arrivo a Calcutta, dove si propone di rivelare i propri sentimenti all'amata e chiedere la sua mano. Ma una lettera appena giunta dall'Inghilterra stravolge tutti i suoi piani...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2019
ISBN9788858997482
Il gioiello proibito: Harmony History
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il gioiello proibito - Louise Allen

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Forbidden Jewel of India

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2013 Melanie Hilton

    Traduzione di Angela Medi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-748-2

    1

    Palazzo di Kalatwah, Rajasthan, India

    Luci e ombre si allungavano, alternate, sulle lastre del bianco pavimento di marmo, rilassando la vista dopo miglia di strade polverose.

    Camminando, il Maggiore Nicholas Herriard ruotò le spalle per allentare la tensione. La fatica fisica del lungo viaggio iniziava a svanire. Un bagno, un massaggio, un cambio d’abiti e si sarebbe sentito di nuovo un essere umano.

    Rumore di passi di corsa, e un indistinto, acuto grattare di artigli sul marmo. Con la familiarità di una lunga pratica, si girò verso il passaggio laterale, ingobbito per affrontare un attacco, mentre estraeva il coltello nascosto nello stivale.

    Una mangusta emerse dall’apertura, si arrestò di colpo e fece un verso, ogni pelo del corpo dritto per l’irritazione, la coda sollevata all’indietro come una spazzola.

    «Idiota di un animale» disse Nick in hindi.

    Il tamburellare di passi di corsa divenne più forte. Una ragazza emerse da uno degli ingressi secondari dello zenana e si fermò, con la larga gonna scarlatta che le ondeggiava attorno. No, non una ragazza, ma una donna, con il capo scoperto e priva di scorta.

    Lei non avrebbe dovuto trovarsi là, fuori dai quartieri delle donne. E neanche lui avrebbe dovuto trovarsi là, a fissarla con il corpo pronto all’azione e un’arma in mano.

    «Potete mettere giù il vostro pugnale» disse lei.

    A Nick occorse un istante per comprendere che stava parlando in inglese, con appena un leggero accento.

    «Tavi e io siamo disarmati. A parte i denti» aggiunse, mostrandogli i suoi, bianchi e regolari tra le labbra incurvate in un sorriso leggermente ironico.

    Continuando a emettere versi, la mangusta, il cui collare era incrostato di gemme, si avvolse attorno ai suoi piedi nudi, dipinti con l’hennè.

    Nick tornò a riporre il pugnale nel fodero e, nel risollevarsi, unì le palme delle mani. «Namaste.»

    «Namaste.» Sopra le palme unite, due occhi grigio scuro lo stavano studiando.

    Occhi grigi? E pelle come miele dorato, e capelli che rivelavano strisce color mogano e marrone intenso, nella massa che le ricadeva pesante sulla schiena. A quanto sembrava, l’oggetto della sua missione lo aveva trovato.

    Lei non appariva turbata nel trovarsi da sola, senza velo, con un uomo estraneo, ma stava là e lo fissava. La lunga gonna rossa era appesantita da ornamenti argentati e dorati; il choli attillato rivelava non solo curve deliziose e braccia elegantemente arrotondate, coperte di bracciali d’argento e d’oro, ma anche una sconcertante porzione di pelle dorata, sullo stomaco nudo.

    «Io dovrei andare. Scusatemi per avervi disturbato» disse Nick in inglese, chiedendosi se fosse il più agitato tra i due.

    «Non mi avete disturbato» replicò lei con semplicità, nella stessa lingua. Si girò e si diresse verso l’apertura da cui era apparsa poco prima. «Mere pichhe aye, Tavi» chiamò, mentre le gonne sparivano alla vista.

    La mangusta la seguì obbediente, e il leggero ticchettare dei suoi artigli svanì assieme ai passi della donna.

    «Diavolo» disse il maggiore nel corridoio deserto. «È sicuramente la figlia di suo padre.»

    All’improvviso, un semplice incarico era divenuto qualcosa di completamente diverso.

    Nick raddrizzò le spalle e si avviò in direzione delle proprie stanze. Un maggiore della Compagnia delle Indie Orientali non si faceva sconvolgere da una giovane donna dalla lingua aguzza, anche se bellissima. Doveva lavarsi e poi chiedere udienza al raja. Dopodiché, tutto quel che aveva da fare era portare Miss Anusha Laurens in salvo attraverso mezza India, e tra le braccia di suo padre.

    «Paravi! Presto!»

    «Parla in hindi» la rimproverò Paravi, quando Anusha entrò nella sua camera in un turbinio di gonne e veli svolazzanti.

    «Maf kijiye» si scusò Anusha. «Ho appena parlato con un inglese e la mia mente sta ancora traducendo.»

    «Un angrezi? Com’è possibile che tu abbia parlato con un uomo, e per di più un angrezi?» Paravi, la paffuta e indolente terza moglie di suo zio, sollevò un sopracciglio squisitamente depilato.

    «Lui era nel corridoio quando io stavo cercando Tavi. Molto grande, con capelli d’oro chiaro e nell’uniforme dei soldati della Compagnia. Un ufficiale, penso... Aveva parecchio oro sulla giacca. Vieni a vederlo.»

    «Perché tanta curiosità? È tanto bello questo grande angrezi

    «Non so» confessò Anusha. «Non ne avevo più visto uno da vicino da quando ho lasciato la casa di mio padre.»

    Era curiosa. E c’era qualcos’altro. Una fitta di nostalgia, nel profondo, al ricordo di un’altra voce maschile che parlava inglese, un altro grande uomo che la sollevava tra le braccia, rideva con lei, giocava con lei. Lo stesso che aveva respinto lei e sua madre, rammentò, mentre i ricordi si venavano d’amarezza.

    «Lui è diverso dagli uomini che conosco, così non posso decidere se sia bello o no. I suoi capelli sono pallidi e legati indietro, e i suoi occhi verdi, e lui è alto.» Agitò le mani per darne un’idea. «È grande dappertutto, spalle larghe, gambe lunghe.»

    «È molto bianco? Non ho mai visto un angrezi, prima, se non da molto lontano.»

    «Il suo volto e le mani sono dorate, ma la pelle di tutti gli europei diventa scura al sole, lo sai. Forse il resto di lui è bianco.»

    Fantasticare sul corpo dell’inglese le provocò un fremito non del tutto spiacevole, che quell’uomo non meritava. Ma ogni novità era sempre benvenuta nel ristretto ambiente dello zenana, perfino se la novità portava con sé ricordi spiacevoli del mondo al di fuori del palazzo.

    «Dove è andato adesso?» Paravi si alzò dal cumulo di cuscini su cui era seduta. «Mi piacerebbe vedere l’uomo che ti fa venire quell’espressione.»

    «Nell’ala dei visitatori... dove altro potrebbe essere andato?» Anusha cercò di non essere brusca. «Era molto impolverato, non potrebbe ottenere udienza da mio zio in quello stato.» Si diede una piccola scossa per scacciare le sciocche fantasie. «Vieni con me alla Terrazza del Tramonto.»

    Fece strada attraverso il familiare labirinto di corridoi, sale e gallerie che riempivano l’ala occidentale del palazzo.

    «Il tuo dupatta» sibilò l’amica, mentre lasciavano i quartieri delle donne.

    Anusha schioccò la lingua, irritata, ma prese la striscia di mussola color ciliegia e se la drappeggiò in modo da coprire la parte inferiore del volto. Si sporse dalla balaustra interna della terrazza e guardò nella corte in basso. «Eccolo là» mormorò.

    Di sotto, sul confine di un giardino attraversato da ruscelletti d’acqua alla maniera persiana, il grosso angrezi stava parlando con uno snello indiano che lei non riconobbe. Il suo valletto, senza dubbio. L’uomo indicò verso una porta.

    «Gli sta dicendo dove si trovano i bagni» mormorò Paravi, da dietro il suo dupatta di mussola dorata. «È la tua occasione di vedere se gli inglesi sono bianchi dappertutto.»

    «Questo è ridicolo. E sfrontato.» Udì Paravi ridere piano e si stizzì. «E a ogni modo, non sono affatto interessata.» Solo curiosa.

    I due uomini erano spariti nelle stanze degli ospiti prospicienti il giardino.

    «Forse farei meglio a controllare se l’acqua è stata riscaldata e se qualcuno è presente ad assisterlo.»

    Paravi appoggiò un’anca arrotondata contro il parapetto e guardò uno stormo di parrocchetti che stridevano sopra di lei. «Quest’uomo deve essere importante, non pensi? È della Compagnia delle Indie Orientali e quella gente adesso ha potere nell’intero paese, così ha detto il mio signore. Mi chiedo se sarà lui il Ministro Residente, qui.»

    «Perché dovrebbe servirci un Ministro Residente?» La testa pallida riapparve, quando l’uomo riemerse dalla porta delle stanze degli ospiti. «Anche se suppongo che potremmo essere in una buona posizione per l’espansione degli inglesi... come diceva mia madre. Una posizione strategica.»

    «Tuo padre è ancora un buon amico del mio signore. Loro si scambiano lettere. Lui è un uomo influente nella Compagnia e forse pensa che noi meritiamo un Ministro Residente.»

    Sir George non aveva più visito lo stato del Kalatwah dal giorno in cui, dieci anni prima, aveva rimandato indietro la sua figlia dodicenne e la madre di lei, spodestate dalla sua casa e dal suo cuore dall’arrivo di una moglie inglese. Lui spediva del denaro che, quando Anusha si rifiutava di spenderlo, lo zio aggiungeva alla sua dote.

    Lo zio sosteneva che era una sciocca, che Sir George non aveva avuto altra scelta e che era un uomo onorevole e un buon alleato. Ma quelli erano discorsi da uomini, da politici, e non tenevano conto minimamente dell’amore che aveva spezzato il cuore di una donna, che pure era consapevole della necessità di una simile decisione.

    Anusha sapeva che suo padre scriveva allo zio. C’era stato un messaggio un anno prima, quando sua madre era morta. Lei non l’aveva letto, come non aveva letto gli altri. Nel momento in cui aveva visto il nome di suo padre, aveva gettato la missiva nel braciere ed era rimasta a osservare mentre finiva in cenere.

    Dal lampo negli occhi neri sopra il velo, capì che Paravi le stava dimostrando la sua simpatia. Non era quello che voleva. Nessuno doveva sentirsi dispiaciuto per lei. Non era forse, a ventidue anni, la coccolata nipote del Raja del Kalatwah? Non le era forse consentito rifiutare ogni richiesta per la sua mano? Non veniva rifornita con larghezza di abiti e gioielli e servi e tutti i lussi che voleva? Non aveva tutto ciò che desiderava?

    A parte sapere a cosa apparteneva, le disse la petulante vocina nella sua testa: la voce che, per qualche motivo, parlava sempre in inglese. A parte sapere chi era e perché lo era e cosa avrebbe fatto per il resto della sua vita.

    «L’angrezi sta andando nella casa dei bagni.» Paravi arretrò di un passo dal parapetto. «Quello è un bell’abito. I suoi capelli sono lunghi, adesso che li ha sciolti» aggiunse. «Che colore! È come quello dello stallone che il mio signore spedì in dono al Maharaja di Altaphur.»

    «Probabilmente ha la stessa alta opinione di se stesso che aveva quell’animale» disse Anusha. «Ma almeno lui si lava. Lo sai che molti di loro non lo fanno? Pensano che sia poco sano! Mio padre diceva che in Europa non si lavano i capelli: li incipriano!»

    «Uh! Va’ a vedere e fammi sapere tutto di lui.» Paravi le diede una piccola spinta. «Io sono curiosa, ma al mio signore non piacerebbe che guardassi un angrezi senza vestiti.»

    Il raja avrebbe avuto da ridire anche se sua nipote fosse stata scoperta a fare lo stesso, rifletté Anusha mentre correva per la stretta scala e lungo il corridoio.

    Non era del tutto sicura del motivo per cui voleva avvicinarsi a quello straniero. Non per desiderio di attirare la sua attenzione, a dispetto del fremito che era di certo una normale reazione femminile a un uomo giovane. Non voleva che quegli occhi verdi la studiassero, perché sembravano vedere troppo.

    C’era stato un lampo in quegli occhi quando si erano incontrati. Riconoscimento e qualcosa di molto più elementare e mascolino.

    Anusha lasciò i sandali sulla porta e si sporse oltre l’angolo della casa dei bagni. L’inglese era già nudo, a faccia in giù su un lenzuolo di lino steso sulla panca di marmo, il corpo scintillante d’acqua. Poggiava la fronte sulle mani unite mentre una delle ragazze, Maya, gli impastava la mistura di polvere di basun, succo di lime e rosso d’uovo nei capelli. Savita era china sui suoi piedi e li massaggiava con olio. Tra la testa e i talloni c’era un bel po’ d’uomo da osservare, in un’interessante varietà di colori.

    Con un cenno d’avvertimento alle due ragazze, Anusha avanzò.

    Il collo dell’inglese era del colore del viso e delle mani. Le spalle, la schiena e le braccia erano color oro pallido. Le gambe erano ancora più chiare e la pelle dietro le ginocchia era quasi bianca, di una tonalità rosata. Il punto dove doveva abitualmente indossare la cintura era molto evidente, perché il suo sedere era pallido come il retro delle ginocchia.

    Gambe e braccia erano scurite da una peluria castana, ispida e molto più scura della testa bionda. Anche il suo petto era così?

    Ora Anusha si trovava giusto accanto alla panca. Come sarebbe stato toccare la sua pelle? Afferrò il barattolo dell’olio e se ne versò un poco sulle mani, che poi piazzò sulle spalle dell’uomo. Percepì i muscoli tendersi, la pelle sussultare al contatto col liquido freddo. Quando lui si rilassò di nuovo, lei fece scivolare lentamente le mani fino alla vita.

    La pelle pallida era come ogni altra pelle, pensò. Invece i muscoli erano... sconvolgenti.

    Maya iniziò a sciacquargli i capelli, versando l’acqua da una brocca d’ottone. Savita si era spostata sui polpacci e stava impastando i lunghi muscoli. Anusha si scoprì bloccata, incapace per qualche ragione di sollevare le mani, troppo sconcertata dalla sensazione del corpo di un uomo per avventurarsi oltre.

    A quel punto lui parlò, e la vibrazione della sua voce profonda penetrò attraverso le mani di Anusha.

    «Posso sperare che tutte voi vi uniate a me nella mia camera?»

    Nick sentì il movimento nell’aria, il leggero battere di piedi nudi sul marmo. Un’altra ragazza: lo stavano davvero trattando come un ospite onorato, il che faceva ben presagire per la sua missione. Le forti, abili dita che gli massaggiavano la testa gli facevano venir voglia di fare le fusa.

    La nuova arrivata portò con sé un lieve aroma di gelsomino, che si mischiò con quello dell’olio di sandalo e con il lime dello champo. L’aveva già sentito prima, da qualche parte.

    Mani unte di olio non riscaldato si posarono sulla sua schiena, esitanti. A paragone delle altre due, questa serva era assieme poco abile e nervosa. Quindi, mentre le mani scendevano fino alla sua vita e là si fermavano, il suo cervello afferrò dove avesse già sentito quell’odore.

    «Posso sperare che tutte voi vi uniate a me nella mia camera?» disse, in inglese.

    Come si aspettava, le mani sulla sua testa e sui polpacci non interruppero il loro ritmo morbido, le dita alla sua vita divennero artigli.

    «Voi tre, tutte assieme: sarebbe davvero piacevole» aggiunse con deliberata provocazione.

    Ci fu un rapido ansito e gli artigli affondarono, prima che lei ritraesse le mani.

    «Che cosa interessante: qui, perfino le assistenti ai bagni parlano un buon inglese» aggiunse. Stava solo scherzando, per farle capire che l’aveva riconosciuta e aveva parlato intenzionalmente.

    Un leggerissimo sibilo, il mormorio di seta degli abiti, lo scorrere dell’aria sulla pelle, e lei se ne era andata.

    Nick si scoprì a respirare forte e si costrinse a rilassarsi. Si era eccitato solo perché si ritrovava nudo e oggetto di attenzioni femminili. La figlia di Sir George non aveva niente a che fare con quello.

    Liberò la mente e si abbandonò alle sensazioni che lo avvolgevano.

    «Ebbene?» Paravi batté le mani per chiamare le serve. «Berremo succo di melograno, mentre mi racconti tutto di lui.» Inclinò il capo e l’anello alla sua narice dondolò al movimento, facendo tintinnare i piccoli dischi d’oro.

    «È un maiale.» Anusha si lasciò cadere sulla pila di cuscini e si liberò con un gesto impaziente dello scialle. «Sapeva che ero io, anche se i suoi occhi erano chiusi, e mi ha deliberatamente provocato con allusioni indecenti. Quell’uomo deve avere occhi anche dietro la testa, oppure usare la magia.»

    «Così ti dava la schiena?» chiese

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