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I peccati di Lunéville
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I peccati di Lunéville
E-book256 pagine3 ore

I peccati di Lunéville

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Info su questo ebook

… stregonerie e Santa Inquisizione sullo sfondo di un viaggio alla ricerca della verità. Lunéville come appuntamento, un processo, dubbi e misteri.

Nel chiaro scuro di un’epoca lontana quanto mai attuale, l’incalzare della follia umana.
Pagine di avvincente narrazione: testimonianze, amanti, scomparse, intrecci, frodi e menzogne nel teatro di una quotidianità minata da ombre e terribili oscurità…
LinguaItaliano
Data di uscita16 feb 2013
ISBN9788897733867
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    Anteprima del libro

    I peccati di Lunéville - Alessandro Bruno

    Mariapaola

    1

    Il carretto trainato dai muli varcò la soglia della piazza accolto dal boato della folla. La donna sembrò non accorgersi di nulla. Gli occhi erano vitrei mentre le labbra si muovevano di un movimento costante, recitando una cantilena appena percettibile. Era l’unica parte del corpo che sembrava essere ancora in vita; le membra erano immobili, come pure il grembo; sembrava che non respirasse.

    Il corpo era mosso da piccoli sussulti, dovuti alla strada sconnessa. Il sole a levante stava per dare i suoi primi raggi, ma ad illuminare il volto della donna erano le torce delle guardie disposte lungo il percorso. Man mano che avanzava verso il luogo del supplizio, la folla le si stringeva attorno come se la volesse inghiottire.

    Alla destra della pira, riconoscibile dal cappuccio nero, stava eretto il boia con la torcia in mano. Poco più in là sulla sinistra era posizionato il palco dove sedevano il Conte, signore delle terre di Belfort, con a fianco la sua signora, il Vescovo e i due frati della Santa Inquisizione che avevano emesso la sentenza di morte.

    Il fragore della folla cresceva, accompagnato da spintoni per potersi avvicinare al bordo della strada, in modo da vedere la donna in faccia; le minacce delle guardie non erano sufficienti per mantenere gli animi calmi.

    Il suo volto si mosse appena, colpito forse da una cipolla. Le mani legate dietro alla schiena cercarono un appoggio precario sul bordo del carretto.

    Alcuni bambini cominciarono a lanciare zucchine e uova; nonostante i segni di questi lanci fossero ben visibili, il corpo della donna rimase pressoché immobile, mentre gli occhi continuarono ad avere la stessa vacua espressione di quando aveva fatto il suo ingresso nella piazza. Le sue labbra continuarono a ripetere la cantilena. I capelli crespi e disordinati le coprirono parzialmente il volto.

    «Lo spettacolo si ripete», sussurrò uno dei due frati «sarà giusto trascorsa un’ora dall’alba, ma forse mi inganno. La piazza è gremita, con le solite facce, le solite maschere di gioia e di rabbia, quasi la volessero divorare quella poveretta».

    «Frate Cesare, questi uomini sono qui per onorare la volontà di nostro Signore. I loro occhi chiedono solo che il peccato lasci questo villaggio, insieme alla donna che lo ha condotto in mezzo a loro. Si è macchiata di cose abominevoli, deve pagare il suo prezzo. Che Dio abbia pietà di lei».

    «Come dici tu, fratello, questi uomini sono qui davvero per vedere il peccato allontanarsi da loro». Il suo tono non suonava affatto convinto.

    «Hai molta esperienza per la tua giovane età; il tuo cuore è puro. Tuttavia, permettimi di farti notare una cosa: la tua abilità nel vedere il demonio nelle azioni di queste miserabili streghe è ancora al di sotto delle tue capacità». Stava fissando il giovane inquisitore, cercando di coglierne i pensieri nascosti.

    Frate Cesare sorrise all’Inquisitore generale.

    «Ogni giorno prego perché il mio operato vada verso la verità». Abbassò il capo.

    Frate Roderico sorrise dentro di sé, il suo pupillo gli aveva fatto molto comodo negli anni passati e chissà per quanti anni ancora avrebbe potuto approfittare di lui. Tutto stava nel far credere a frate Cesare l’esatto contrario, ovvero che nonostante tutto frate Roderico restava quello dei due con la maggiore capacità di discernimento di fronte alle situazioni più delicate, e questo discernimento doveva avere comunque un’unica direzione: la condanna.

    Frate Cesare aveva imparato negli anni a conoscere sempre meglio il suo mentore, facendo attenzione a dare il giusto peso ad ogni parola che potesse nascondere indulgenza, se non addirittura il dubbio nei confronti della persona da condannare.

    Nei primi processi non si era mostrato abbastanza convinto riguardo le conclusioni a cui stavano conducendo i suoi interrogatori. Poi frate Roderico aveva deciso di prenderlo con sé, facendosi carico di colmare certe lacune che portavano alle sue incertezze.

    L’Inquisitore generale aveva apprezzato le capacità che frate Cesare aveva mostrato durante il corso di alcune indagini, nonché la ponderazione nello scegliere le domande durante gli interrogatori.

    Con il passare degli anni frate Roderico si era servito del suo vicario per fare in modo che i Feudatari e soprattutto i suoi superiori avessero di fronte un processo in cui la procedura seguita fosse la più convincente possibile per giustificare la condanna. Era così giunto all’apice della sua carriera e, nel giro di pochi anni da quando aveva incontrato frate Cesare, era stato nominato Maestro Inquisitore di Lorena.

    A quarantatré anni poteva ancora ambire alla posizione di Grande Inquisitore di Francia, motivo in più perché il suo compagno svolgesse per lui il lavoro nel migliore dei modi. In fondo per frate Roderico una semplice accusa di stregoneria era più che sufficiente per mettere al rogo chiunque.

    Frate Cesare invece andava avanti con tenacia verso la ricerca della verità, interrogando e controinterrogando i testimoni, l’accusato o l’accusata e tutte le persone informate sui fatti.

    Questo comportava dei rischi, ma anche dei vantaggi. Se un’indagine approfondita poteva far sì che in più di un Feudatario potesse far sorgere qualche ragionevole dubbio, la conclusione di un processo con sentenza di condanna era resa proprio credibile dall’accuratezza del procedimento che per frate Cesare non doveva trascurare nessuna direzione, compresa quella dell’innocenza, nonostante le svariate testimonianze.

    Tuttavia frate Cesare subiva il carisma di frate Roderico e questo si traduceva nell’accettare la sentenza emessa dal suo mentore. Negli undici anni in cui erano stati chiamati a collaborare, ovvero da quando frate Cesare, poco più che ventenne, era stato avvicinato da frate Roderico, ogni processo per stregoneria si era praticamente concluso con la condanna prescritta dal Santo Uffizio, ossia la morte sul rogo, con grandi onori e riconoscimenti per il contributo che entrambi avevano reso.

    Quello a cui stavano assistendo era l’epilogo del loro ultimo atto, un altro passo, pensava frate Roderico, verso il titolo di Grande Inquisitore di Francia.

    Sorrideva, osservando l’effervescenza collettiva che generava il passaggio della strega attraverso la folla. Si sentiva in pace, felice. Ancora una volta aveva fatto il suo dovere.

    La donna era ormai a pochi passi dalla pira, quando il guidatore arrestò il mulo. Il rumore assordante della folla si arrestò di colpo nell’istante in cui il Vescovo si levò in piedi.

    Fissò per un attimo la condannata: si era appoggiata al bordo del carretto con la testa leggermente chinata.

    Frate Cesare detestava tutto questo, avrebbe preferito qualcosa di meno plateale, ma si era sempre fatto scrupolo di parlarne con frate Roderico o, tanto meno, con i signori Feudatari, Vescovi e Governatori.

    Non solo non gli avrebbero dato ascolto, ma avrebbero potuto compromettere la sua posizione. Frate Cesare amava essere quello che era e quello che faceva; neanche lui voleva precludersi dei progressi nella sua carriera, anche se quello che più gli premeva era svolgere il compito che gli veniva affidato.

    «Popolo di Belfort...» disse il Vescovo. Il silenzio che si era venuto a creare sulla piazza aveva qualcosa di irreale rispetto a poco prima. Si percepiva il solo brusio emesso dalla cantilena che la donna aveva ripreso a recitare. «Sia onore e gloria a Nostro Signore, al suo Figlio Unigenito e al suo Santo Spirito, che ci ha permesso di avere qui con noi i due tra i frati francescani più illuminati che la Santa Inquisizione può vantare. Sia lodato nostro Signore che ha guidato i loro passi per estirpare un terribile flagello. Frate Roderico e frate Cesare sono riusciti a confermare il suo nome: demonio, stregoneria!»

    Urla di approvazione arrivarono da tutta la piazza; alcuni sputarono verso la condannata, altre beghine si segnarono alzando gli occhi al cielo ed altri ancora lanciarono sguardi di approvazione nei confronti dei due frati. Lentamente il Vescovo alzò la mano destra e di nuovo nella piazza scese il silenzio. «Che giustizia sia fatta. Che il boia dia esecuzione alla sentenza di morte!»

    A queste parole tra la folla si scatenò il delirio. I bambini lanciarono sassi in direzione di Charlotte, la fattucchiera guaritrice che in realtà era stato dimostrato essere una strega. Gli uomini alzarono i forconi all’unisono mentre le donne si segnarono nuovamente, benedicendo il cielo. Il pericolo che li affliggeva stava lasciando per sempre il loro villaggio.

    L’uomo che guidava il carretto, anch’egli con il volto coperto, trasse la donna e ne assicurò le braccia con una fune al palo che si ergeva alto sopra la pira. Guardò ancora un attimo la condannata, quindi si mise alla sua sinistra impugnando una torcia.

    Anche frate Cesare stava osservando la donna; frate Roderico se ne accorse.

    «Abbiamo fatto un buon lavoro» gli sussurrò senza guardarlo «come dice il Vescovo, devi saper vedere in lei il Maligno che ci confonde e ci ammalia. Quanto male è stato commesso qui! Non ti sembra di averlo percepito? Il popolo ci sarà ancora una volta riconoscente».

    Frate Cesare assentì con il capo.

    Il Conte si alzò e di nuovo ci fu silenzio nella piazza, a meno di qualche schiamazzo di ragazzini. Guardò la folla con distacco mentre le sue labbra si piegarono in un ghigno. Era il momento che tutti aspettavano.

    «Avanti, facciamola finita» sibilò al carnefice.

    La gente applaudì e cominciò ad acclamare il signore del villaggio e i due inquisitori.

    Le due torce si abbassarono intaccando i rami secchi, che presero fuoco. Lentamente il fumo avvolse la donna, inghiottendo la veste nera che indossava, dando così l’impressione che fosse sospesa nel vuoto. Quindi il fuoco cominciò a lambire i bordi della veste e ad intaccare i piedi.

    Fu a quel punto che Charlotte emise un grido che sovrastò il tumulto della piazza. Nemmeno le persone che si trovavano sul palco e nemmeno i carnefici che erano così vicini riuscirono a capire se quel grido fosse di dolore oppure di maledizione nei confronti di chi stava assistendo al supplizio.

    Charlotte rovesciò la testa all’indietro e svenne; le fiamme raggiunsero le ginocchia e il fumo nascose completamente la sua figura.

    2

    «Signori miei», disse il Vescovo «propongo un brindisi a frate Roderico per la sua solerzia e a frate Cesare per la costanza che ha dimostrato nella ricerca della verità. Il paese vi è grato. Ci avete liberato dalla minaccia del demonio, non lo dimenticheremo».

    I commensali imitarono il Vescovo alzando i calici e bevendo d’un fiato il vino rosso di Borgogna. La cena stava volgendo al termine e si stava facendo tardi, eppure gli schiamazzi di gioia e le danze di festa nel villaggio non sembravano perdere ritmo.

    «I suoi occhi mi hanno sempre messo paura» disse la giovane figlia del Conte «emettevano una luce maligna, l’ho sempre detto a nostro padre che quella donna aveva qualcosa che non andava».

    «Mia giovane signora», esclamò frate Roderico «il vostro intuito vi fa onore. Le prove raccolte grazie alle testimonianze spontanee del popolo ci hanno dato una grossa mano, tant’è che nemmeno il qui presente frate Cesare ha potuto avere molti dubbi quando ho emesso il verdetto di colpevolezza».

    «Ho udito che siete spesso scettico nei confronti delle denunce di stregoneria» disse la moglie del Conte rivolgendosi a frate Cesare. «Alcune volte avete chiesto di non partecipare all’istruttoria. Eppure frate Roderico ci ha confidato che ogni processo condotto insieme vi ha portato a sottoscrivere la sua sentenza. Sembra che siate esperto quando si tratta di riconoscere chi è colpevole, nonostante la vostra giovane età».

    «Frate Cesare conosce perfettamente cosa richiede l’incarico che ha accettato di ricoprire undici anni fa», disse il Vescovo «ho avuto modo di assistere all’interrogatorio. Le sue domande erano orientate a stabilire se la donna chiamata Charlotte fosse innocente o colpevole al di là di ogni dubbio possibile».

    «Cosa che peraltro era assolutamente fuori discussione» osservò frate Roderico con fermezza. «Come ho già detto, signore e signori, le prove non lasciavano adito ad altre conclusioni. Oltretutto, quando fu arrestata non era proprio nelle condizioni di poter negare l’evidenza».

    «Se penso a quello che stava facendo a quel bambino quando è stata catturata...»

    La figlia del Conte non finì la frase.

    «Le streghe bevono tendenzialmente il sangue dei neonati», osservò frate Cesare, che finora si era mantenuto al di fuori della conversazione, «anche se in questo caso si trattava già di un bambino più grande».

    L’Inquisitore generale di Lorena lo fissò con una leggera nota di apprensione, quasi temesse che il suo compagno si lasciasse sfuggire qualcosa di poco ortodosso di fronte al Vescovo. Era già accaduto in passato che esprimesse delle opinioni al limite della tolleranza clericale, tanto che era dovuto intervenire in prima persona per proteggerlo. Tuttavia non poteva negare che avesse bisogno di lui, in quanto frate Roderico non era bravo ad interrogare le persone accusate di stregoneria. Spesso si lasciava prendere dalla fretta di chiudere un caso, ricorrendo agli strumenti di tortura più che altro per sfinire la vittima. Frate Cesare invece era in grado di ottenere una confessione evitando di procurare dolore fisico.

    «Tutti sappiamo che il sangue è vita», continuò l’Inquisitore vicario «è attraverso il sangue di Cristo che si può ottenere la salvezza e la vita eterna. Per il demonio il sangue rappresenta la morte, il suo nutrimento principale; la cosa che lo può fortificare nei confronti del suo antagonista, Dio».

    Le due donne abbassarono gli occhi. Il Vescovo si versò un’altra coppa di vino, mentre frate Roderico si sfiorò il mento con un dito, pensieroso.

    Il Conte sembrava scettico.

    «Andiamo», disse «non ci turbate con le vostre parole. Piuttosto, cercate di vedere questa faccenda come una donna che, deviata dal fascino del Demonio, ha perduto il lume della ragione».

    I commensali sorrisero, ma frate Cesare restò serio, sostenendo lo sguardo del Conte. «Si deve studiare a fondo il proprio nemico. Si deve imparare a capire quali sono gli strumenti e le armi che usa. Solo così, con l’aiuto di Dio, si possono riconoscere le persone che operano il male. La mia missione è delicata, come potete capire». Fece una pausa e si guardò attorno per assicurarsi che tutti gli stessero prestando la massima attenzione. «Non sono ammessi errori, soprattutto quando, in conclusione, il qui presente Inquisitore generale emette una sentenza di morte».

    «Ho saputo che siete stato coinvolto in oltre cinquanta processi di stregoneria in questi undici anni» disse il Conte, osservando frate Roderico che annuiva.

    «Cinquantadue per la precisione»; rispose frate Cesare «di ognuno conservo gli atti processuali. Sono un’enorme fonte di studio. Semplificano il mio lavoro durante gli interrogatori».

    «Ormai avrà già pronto l’elenco delle domande da fare alle accusate» osservò la figlia del Conte. «Cosa fate quando vi si presenta un nuovo caso, stilate un elenco?»

    «Frate Cesare ha buona memoria, non ha bisogno di scriversi le domande» intervenne frate Roderico, accompagnato dalle risate del resto della tavolata.

    Anche frate Cesare rise. «Talvolta», aggiunse quest’ultimo «è anche necessario improvvisare; non crediate, mia giovane signora, che sia così semplice condurre un interrogatorio in un processo per stregoneria».

    «Ditemi, frate Cesare», insistette la contessa «cinquantadue processi, cinquantadue sentenze di morte, mai nessun errore?»

    «Non sono state emesse solo sentenze di morte. A volte si è trattato solo di fobie all’interno di una comunità. In quel caso è stato sufficiente allontanare l’accusata e intimarle di non fare ritorno, pena la detenzione o la frusta. Altre hanno facilitato il mio lavoro confessando la loro colpevolezza. In questo caso ci guadagniamo tutti: non mi devo arrovellare nel cercare la verità, mentre l’imputata evita di essere torturata. In altri casi invece è stata necessaria tutta la mia abilità, nonché gli strumenti che il Santo Uffizio mi mette a disposizione per arrivare a stabilire la situazione delle accusate. Sono convinto, a Dio piacendo, di non aver commesso errori quando frate Roderico è giunto ad emettere la sentenza».

    L’Inquisitore generale di Lorena si compiacque, ammiccando nella direzione del Vescovo.

    «Si tenga conto, signore e signori, che spesso frate Cesare e il sottoscritto siamo stati interpellati solo per rafforzare delle sentenze a persone di cui era già stata dimostrata la colpevolezza».

    «Sicuramente l’autorevolezza dei vostri nomi, nota non solo in Lorena, ma dalla Francia all’Impero, potrebbe aver giovato a qualcuno» commentò la contessa asciutta.

    «Siamo spesso in viaggio», continuò frate Roderico «anche al di fuori dei confini della Lorena viene richiesto il nostro parere. Ma non parlerei di autorevolezza. Semmai di esperienza acquisita in anni spesi a combattere l’eresia in tutte le sue forme».

    «Madre, padre, chiedo il permesso di ritirarmi» disse la figlia.

    Il Conte le rivolse un cenno, quindi le persone al tavolo si alzarono. La ragazza si mosse verso l’uscita della sala da pranzo, ma quando fu sulla soglia si voltò. Frate Cesare non ne fu particolarmente colpito; anzi, la sua pelle chiara e i capelli castani mal raccolti sulla nuca uniti ad un corpo scarsamente femminile le davano una tonalità scialba. Gli occhi erano sfuggenti e le dita si intrecciavano nervosamente.

    «Avremo il piacere di avervi ancora qui con noi domani, frate Cesare? Gradirei conoscere altri particolari del vostro istituto».

    «Temo che sia impossibile, siamo attesi a Lunéville per un nuovo caso di stregoneria, dico bene frate Roderico?»

    «Sì, dovremo levarci all’alba. Sarà un viaggio lungo e faticoso, ci attendono per sabato. Abbiamo solo quattro giorni».

    «Capisco, signori, è stato un vero piacere. Buona notte». Si ritirò.

    Sì, piuttosto scialba pensò di nuovo frate Cesare.

    «Signori, se volete potete ritirarvi» esclamò il Conte «credo che anche voi abbiate bisogno di riposo. Vi

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