Un ospite inattesa: Harmony History
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Info su questo ebook
Costretto a rinunciare alla stagione della caccia a causa di un banale incidente, Jack Hamilton sta passeggiando in giardino quando viene letteralmente investito da una giovane sconosciuta, che oltre ad aver sconfinato nella sua proprietà, prima di andarsene indignata si permette addirittura di recriminare sulla sua reazione poco signorile. Tornato a casa, ancora irritato dall'impudenza della ragazza ma ancor più dagli inopportuni sentimenti che ha suscitato in lui, Jack scopre che sono arrivati degli ospiti inattesi: il reverendo Bramley, suo lontano parente, e la di lui figlia Cressida. Proprio la seducente fanciulla che ha appena avuto il dubbio piacere di conoscere.
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Anteprima del libro
Un ospite inattesa - Elizabeth Rolls
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Chivalrous Rake
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2003 Pamela Eldridge
Traduzione di Anna Polo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-135-3
1
Jack Hamilton lanciò un’occhiataccia al dottore che stava richiudendo la sua borsa. Aveva sempre sostenuto il detto Ambasciator non porta pena, ma in quel momento era tentato di prendersela con lui per le pessime notizie appena ricevute.
Un mese intero a riposo! Concluso quel periodo di forzata inattività, sarebbe finita anche la stagione della caccia. E nel frattempo, che cosa doveva fare?
Jack colse lo sguardo di commiserazione del suo valletto Fincham e imprecò tra i denti. In fondo era arrabbiato soprattutto con se stesso: era colpa sua se Firebird, il suo splendido cavallo da caccia, era caduto. Marc lo avrebbe canzonato quando lo avrebbe saputo.
Per un attimo pensò di non informare l’amico di quell’incidente, poi ci ripensò. L’ultima cosa che il conte di Rutherford avrebbe desiderato era recarsi nel Leicestershire nel cuore dell’inverno, solo per scoprire che l’amico non poteva andare a caccia. D’altra parte, gli dispiaceva rinunciare alla sua visita.
Allungò una mano per prendere un bicchiere di brandy e imprecò ad alta voce per il dolore: aveva usato il braccio sbagliato.
«Ehm, signor Hamilton...»
Jack sollevò lo sguardo. Il dottore era fermo sulla porta e lo fissava con un sorriso afflitto.
«Potrebbe essere una buona idea tenere il braccio al collo» suggerì.
«Che cosa?» ruggì Jack.
«Sapete che cosa intendo, no?» insistette il dottor Wilberforce. «Dovreste mettere un pezzo di stoffa per sostenere il braccio, annodato dietro al collo e...»
«So di cosa si tratta!» ringhiò Jack. «Solo, non capisco perché volete impormelo: non sono un bambino.»
«No, certo, signore» convenne il medico.
Il suo tono conciliante non servì a rabbonire Jack. Fincham soffocò una risata, trasformandola in un colpo di tosse.
«Vedete, ho osservato che i gentiluomini attivi come voi hanno la tendenza a dimenticare la lussazione alla spalla e a usare lo stesso il braccio offeso» spiegò il dottore. «Tenendolo al collo, invece, vi ricorderete di lasciarlo riposare.»
«Me lo ricorderò ogni volta che vedrò i miei cavalli da caccia chiusi a far niente nelle scuderie» borbottò Jack.
«Molto bene, signore. Spiacente di esservi stato d’aiuto» disse il medico con un lieve sorriso.
«Spiacente... oh!» Quasi controvoglia, Jack scoppiò a ridere. «Avete ragione, Wilberforce: è stata tutta colpa mia» ammise. «Scusatemi per la pessima accoglienza e vogliate porgere i miei omaggi a vostra moglie. Siete in attesa di un lieto evento, mi pare.»
Il dottore, sposato da poco, sorrise euforico.
«Esatto, signore. Sarà meglio che torni a casa: Alice mi aspetta sempre per cenare insieme, anche se io proprio non vorrei. Certe volte rientro tardissimo, ma a lei piace fare così. Buona notte, signore e su col morale: in fondo vi siete solo lussato una spalla. Con quella caduta, avete rischiato di rompervi l’osso del collo!»
Lui sbuffò disgustato: quelle parole gli offrivano una ben misera consolazione. Il dottore gli rivolse un ultimo saluto amichevole e con un sorriso uscì.
Jack allungò una mano verso la bottiglia di brandy, questa volta con maggior attenzione. Sperava che una bella sorsata servisse a sollevargli l’umore, ma non fu così. Gli faceva male la testa, la spalla lussata pulsava e lui si sentiva del tutto insoddisfatto della vita. Imprecando tra i denti si alzò in piedi e la spalla protestò subito per quel brusco movimento.
Fincham raccolse la giacca da cavallerizzo e la camicia del padrone.
«Andate a letto, ora, signor Jack?»
«A quest’ora?» scattò Jack incredulo. «Non hai sentito il dottore? Mi sono lussato una spalla, non rotto l’osso del collo!»
Prese la giacca che il valletto aveva preparato su una poltroncina. Era un modello più semplice della splendida giubba da cavallerizzo, adatto da portare in casa.
Questa volta Fincham non nascose più il suo divertimento.
«Venite, signore. Lasciate che vi aiuti» insistette, ignorando le sue proteste.
Era un bene che avesse sempre odiato gli indumenti troppo stretti, rifletté Jack. Anche così, tuttavia, infilare la comoda giacca gli strappò un gemito di dolore.
«Grazie» borbottò. «Me ne starò un po’ in biblioteca, fuori dai piedi.»
Avrebbe fatto meglio a scrivere a Marc, rifletté, e a raccontargli come stavano le cose: era inutile che venissero. Gli dispiaceva perdere l’occasione di godere della loro compagnia, ma senza dubbio Marc e Meg sarebbero stati ben felici di restare a casa, a coccolare il figlio di due mesi. A meno che non decidessero comunque di fargli visita, mossi a compassione del suo stato.
Jack prese il bicchiere di brandy e si diresse verso la biblioteca. Il suo umore non migliorò nel tragitto. Immaginava già i commenti degli amici: povero Jack, tutto solo lassù nel Leicestershire. Chissà come si annoia. Dobbiamo accettare il suo invito...
Oh, insomma, ma cosa gli stava succedendo? Aveva forse preso una botta in testa, oltre alla dolorosa lussazione alla spalla? Marc e Meg erano pronti a venirlo a trovare non per pietà, ma per amicizia. Marcus Langley, conte di Rutherford, era il suo miglior amico. Nemmeno il matrimonio con Meg aveva interferito nel loro lungo rapporto.
Jack sedette allo scrittoio ingombro di documenti. Imprecò tra i denti quando si rese conto che la penna andava affilata e allungò una mano per prendere il temperino.
Avrebbe spiegato la situazione all’amico, decise, lasciando scegliere a lui se confermare o meno la visita.
Caro Marc, senza dubbio troverai la cosa molto divertente, ma sento il dovere di avvertirti che...
Finì la lettera e la ripiegò. Marc era davvero fortunato, aveva una moglie come Meg e ora anche un figlio. Che cosa poteva desiderare di più?
Jack rabbrividì e fissò il fuoco accigliato. Per qualche strana ragione la grande biblioteca, che aveva sempre trovato comoda e accogliente, gli sembrava ora fredda e vuota.
Lo aveva notato fin da quando era tornato a casa, dopo il battesimo dell’erede di Marc, il suo figlioccio. La sua dimora era fin troppo silenziosa, soprattutto se la paragonava all’atmosfera vibrante di vita, gioiosa e vivace della residenza di Marc. Era come se il matrimonio e la nascita del primo figlio avessero riportato alla vita quella grande villa.
Ora nemmeno una spalla lussata nel pieno della stagione della caccia avrebbe intaccato la felicità di Marc. Rise, pensando al solo inconveniente che poteva turbarlo, ma era sicuro che l’inventivo conte di Rutherford avrebbe trovato modo di rimediarvi senza rinunciare troppo a lungo alle grazie della moglie.
Jack si decise ad ammettere la vera causa del suo pessimo umore: aveva bisogno di sposarsi. In fondo lo sapeva da anni, anche perché le sue relazioni lo lasciavano da tempo irrequieto e insoddisfatto. Desiderava qualcosa di più di una relazione discreta con la moglie trascurata e annoiata di qualcun altro, o con una spregiudicata cortigiana. Voleva una donna che fosse sua, ma trovare la persona giusta si era rivelato più difficile del previsto.
Nelle ultime quattro stagioni mondane Jack si era guardato intorno senza parere, cercando nel frattempo di schivare gli assalti delle madri, ansiose di accasare le figlie in età da marito con uno scapolo d’oro come lui.
Jack voleva un matrimonio d’amore, non un’unione di convenienza che fornisse a lui un erede e alla moglie una migliore posizione sociale. Aveva osservato ogni possibile candidata con attenzione, ma in modo così discreto che né lei, né la madre si erano mai accorte del suo interesse. Mentre lui la studiava, la fanciulla in questione aveva accettato ogni volta la proposta di matrimonio di un altro uomo, più rapido e deciso di lui. Tuttavia la cosa non lo preoccupava troppo, tranne per la necessità di dover così scegliere una nuova candidata.
Non teneva a nessuna di loro, doveva ammetterlo. Erano tutte ragazze graziose, tranquille e a volte anche colte, eppure non avevano suscitato in lui la minima scintilla di interesse.
In teoria erano perfette per lui, anche se in qualche occasione gli erano parse alquanto noiose. Nemmeno ricorrendo alla più sbrigliata fantasia, poi, Jack riusciva a immaginarsi a letto con una di loro.
Sorseggiò pensieroso il brandy. Il desiderio e la passione non erano certo le guide migliori per scegliersi una moglie, anzi, potevano colpire un uomo nel suo punto più debole, privandolo di logica e autocontrollo. C’erano sistemi più sicuri per trovare la sposa adatta.
Insomma, non riusciva a capire che cosa non avesse funzionato: quelle ragazze erano attraenti ed educate, condividevano gli stessi interessi e non lo contraddicevano mai.
L’idea di avere una moglie che lo aspettava a casa lo attraeva. Una donna con cui parlare la sera, invece di rifugiarsi nei libri, pronta a scaldargli il letto e il cuore. Una donna dolce e gentile, che lo rasserenasse nei momenti neri come quello e non mettesse sottosopra la sua vita. Una donna come Meg.
Jack fece una smorfia irritata: ora si metteva anche a fantasticare sulla moglie del suo migliore amico? Doveva ammetterlo, se Meg non fosse stata sposata con Marc, con ogni probabilità l’avrebbe corteggiata. Incarnava proprio ciò che più gli piaceva in una donna: era gentile, affascinante, leale, accomodante, graziosa ed elegante. Ed era anche alta. Le donne piccole sembravano intimidite dalla sua altezza, mentre Meg lo trattava con tranquilla confidenza e gli diceva tutto ciò che pensava. Non era sempre d’accordo con lui, anzi a volte litigava perfino con Marc senza farsi il minimo problema.
Jack scacciò quel pensiero. In effetti l’amico sapeva essere testardo e irragionevole a volte, soprattutto per quanto riguardava la salute o la sicurezza di Meg. Un sorrisetto gli increspò le labbra: Marc era stato colto di sorpresa dall’amore, mentre lui preferiva un approccio più razionale. Aveva deciso da tempo che cosa voleva in una donna e ora stava cercando una candidata che corrispondesse a quei requisiti.
Questa via logica e razionale non ha dato molti frutti, vero?Aggrottò la fronte a quel pensiero. Non intendeva lasciarsi influenzare dalle reazioni del suo corpo, che potevano rivelarsi guide capricciose e inaffidabili. La passione e il desiderio erano importanti, ma lui voleva una donna da amare e rispettare, non solo da portarsi a letto.
Jack sbuffò irritato e prese un libro: aveva imparato tempo prima quella dura lezione e non intendeva ripetere lo stesso errore. Era più vecchio ed esperto, e controllava i propri impulsi e desideri. Insomma, aveva bisogno di una donna come Meg. Il problema era che Meg era unica, e per giunta sposata con il suo miglior amico.
La ragazza giusta doveva essere in attesa da qualche parte. Quell’anno, durante la Stagione londinese, avrebbe fatto ogni sforzo per trovarla, giacché era improbabile che lei venisse a cercarlo nel cuore dell’inverno nello sperduto Leicestershire.
Due giorni più tardi Jack stava tornando a casa da una passeggiata nei boschi. Gli alberi spogli del giardino, imbiancati da una recente nevicata, gli parevano morti e il mondo intero appariva tetro e desolato.
Perfino la dimora del Seicento gli pareva vuota e poco accogliente, il che era assurdo, piena com’era di una folta schiera di domestici decisi a coprirlo di ogni premura.
Jack aveva passato una notte quasi insonne per il dolore alla spalla. Anche alzarsi si era rivelato una vera impresa. Ogni muscolo della parte superiore del corpo sembrava collegato alla spalla lussata e gli ricordava che i cavalli da caccia e la muta di segugi si stavano godendo una vacanza inaspettata.
Almeno era riuscito a sfuggire ai domestici, ai loro sguardi di commiserazione e alle continue offerte di cuscini e beveraggi caldi, per uscire a prendere una boccata d’aria. Non aveva previsto, però, il gelido vento da nord, che gli aveva procurato spasmi dolorosi alla spalla e al collo. Ora doveva solo scivolare in biblioteca senza che nessuno lo notasse.
Non ne poteva più nemmeno dei visitatori. I vicini mostravano una spaventosa mancanza di tatto, venendo a raccontargli le loro imprese di caccia, quando sapevano benissimo quanto gli pesasse restarne escluso. La sua spalla lussata, poi, sembrava fosse considerata dalle fanciulle in età di marito come una sorta di dono del cielo. Jack digrignò i denti: se se ne fosse presentata un’altra con un unguento di sua invenzione, perfetto per il suo problema, non rispondeva della propria reazione e delle conseguenze.
Aveva ingiunto a Evans, l’anziano maggiordomo, di respingere ogni visitatore per qualche giorno. Non voleva trovarsi costretto a spiegare perché aveva rovesciato una boccetta di unguento sul corpetto di una giovane vicina. Tutto preso da quei pensieri cupi, Jack svoltò l’angolo di un muro e andò a sbattere contro una persona che sopraggiungeva dall’altra parte.
Una colorita esclamazione gli sfuggì dalle labbra, mentre registrava un dolore lancinante e la natura femminile del suo assalitore.
«Maledizione, ragazza!» proruppe infuriato. «Non guardate dove mettete i piedi?» Si tastò la spalla: gli faceva un male terribile in tutti i punti giusti. E anche quelli sbagliati si facevano vivi, ammise costernato, osservando la fanciulla rossa in viso che gli stava davanti. Insomma, che cosa gli stava succedendo? Era un uomo di trentasei anni, esperto del mondo, non un ragazzino alle prime armi!
«Come potevo vedere attraverso un muro di mattoni?» replicò la sconosciuta.
Jack abbassò lo sguardo sulla sua figuretta: non ricordava di averla mai vista, eppure c’era qualcosa di familiare in lei.
Due occhi verde menta lo scrutarono decisi, mentre lui notava il mantello rosso umido e fuori moda, gli stivali infangati e i capelli color mogano che le scendevano sulle spalle in una massa disordinata. Una volta asciutti, probabilmente avrebbero mostrato dei riflessi ramati, rifletté.
Il mondo era sottosopra, se veniva assalito nella sua proprietà. Chi era lei, poi? E perché provava l’impulso di sollevarle il viso e rimuovere a suon di baci la chiazza di fango che le ornava il nasino lentigginoso?
Chiunque fosse, non aveva il diritto di intrufolarsi lì! Anche se lo faceva sentire come un ventenne eccitato... anzi, soprattutto per quello. Non aveva il diritto di procurargli una simile reazione, quando la spalla gli faceva un male terribile.
«Tutti gli uomini del Leicestershire sono villani come voi?» si informò la fanciulla con calma.
Jack si trattenne a fatica. Come osava accusarlo a quel modo? Dopotutto, gli era venuta addosso lei, e nel suo giardino!
«Date le circostanze, posso perdonarvi lo sfogo iniziale, ma almeno potreste scusarvi per aver usato un linguaggio simile in presenza di una signora» lo redarguì.
Jack la squadrò furente, soffermandosi sui vestiti informi e antiquati e i capelli spettinati.
«In genere mi scuso sempre con le signore» replicò insolente. «Vogliate perdonarmi, se non riesco a riconoscere questo attributo in chi invade il mio giardino senza un invito. Avevo ordinato ai domestici di dire a chiunque che non ero a casa. Posso suggerirvi di tornare alla vostra carrozza? Se siete una signora, senza dubbio ci incontreremo a qualche ricevimento.»
Gli occhi verdi scintillarono indignati e le guance si coprirono di rossore. Jack ebbe l’impressione che sotto quegli abiti informi si nascondesse un corpo delizioso. Poi notò che la ragazza rabbrividiva al vento gelido e si chiese che razza di genitori avesse, per farle rischiare la salute e la reputazione in quel modo.
«Vi assicuro che la vostra carrozza vi riscalderà assai meglio di quanto potrei fare io» aggiunse. «Forse i mantelli come il vostro erano di moda vent’anni fa, ma non sono il massimo della praticità, nel rigido inverno del Leicestershire.»
Gli occhi verdi lo scrutarono socchiusi.
«Siete il signor Jonathan Hamilton?»
Lui si inchinò.
«Ho questo onore.»
«Allora papà dev’essere impazzito.»
Con quella stravagante dichiarazione, la ragazza girò sui tacchi e si avviò verso la casa a passo deciso.
Jack la seguì più lentamente, osservandone i movimenti aggraziati fino a quando non scomparve. Si diresse verso un’entrata laterale: con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a infilarsi in biblioteca senza che nessun domestico lo vedesse. Più tardi avrebbe posto qualche domanda discreta sulla misteriosa visitatrice.
All’improvviso la giornata invernale non gli sembrò più tanto cupa. Era probabile che più tardi ricominciasse a nevicare. Jack sorrise tra sé: gli era sempre piaciuto guardare dalla finestra i fiocchi di neve che scendevano a imbiancare il giardino. Accelerò il passo, senza più avvertire il dolore alla spalla.
Un tossicchiare discreto attirò la sua attenzione.
Jack sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo e fissò il maggiordomo.
«Non sono a casa per nessuno, Evans. Mi pareva di averlo chiarito.»
«Oh, sì, signore. L’ho spiegato, ma ora