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La ragione negativa: Indagini su Pascal, Racine e Madame de la Fayette
La ragione negativa: Indagini su Pascal, Racine e Madame de la Fayette
La ragione negativa: Indagini su Pascal, Racine e Madame de la Fayette
E-book228 pagine3 ore

La ragione negativa: Indagini su Pascal, Racine e Madame de la Fayette

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Info su questo ebook

Per Lucine Goldmann, Pascal e Racine sono portatori di una visione pre-dialettica del mondo: una “visione tragica”. Essa si caratterizza per la sua natura “statica, tragica e paradossale”. Giovanni Cacciavillani propone di annettere a tale visione tragica, giansenista, anche l’opera di Madame de La Fayette. E ribattezza la “visione tragica” con il nome di “ragione negativa”. La forza della passione travalica i recinti ben guardati del classicismo francese, ma sarà solo un momento: la repressione dei moti passionali viene ben presto restaurata dalla ragione negativa, e costituirà immancabilmente un problema di morte. 
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2014
ISBN9788874722518
La ragione negativa: Indagini su Pascal, Racine e Madame de la Fayette

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    Anteprima del libro

    La ragione negativa - Giovanni Cacciavillani

    morte.

    Parte I

    «CHI CERCA GEMENDO»

    Lettura delle Pensées di Pascal

    Ceux qui cherchent en gémissant.

    Pascal

    Pascal est l’écrivain qui a tiré de la lucidité l’égarement.

    Blanchot

    1. Premessa

    «Figure porte absence et présence, plaisir et déplaisir»: pare il cuore dell’enigma pascaliano, che risponde alla natura di Dio – Deus absconditus – ma anche alla natura dell’uomo, preso e lacerato da antinomie difficilmente conciliabili, se non in altro «ordine», l’ordine «illogico» della grazia e dell’amore. Di ogni fatto è dato da Pascal il dritto e il rovescio, un doppio versante sempre attuale nella sua duplice possibilità: Macchia parla al proposito di un uomo della scelta, dell’impegno e della scommessa, - e da qui prende radice l’esistenzialismo. Blanchot parlerà di un tentativo di «salvare l’ambiguità» alleando i segni del sì e del no, «i segni discordi dell’esistenza». Vero è che Pascal, nel suo pensiero paradossale, cerca, sino ad un certo punto, di razionalizzare l’irrazionalizzabile. Per un verso egli assume il lato meno comprensibile, meno spiegabile, meno razionale dell’uomo e del suo destino: il mistero della croce, la passione di Cristo, il giudizio errante, la verità dubbiosa, la gloria meschina, ecc. come il solo certo e «ragionevole». Schiacciato dal nulla e dall’infinito, dall’infinitamente grande e dall’infinitamente piccolo, l’uomo, accerchiato da questi incommensurabili misteri, è di quelli che «cherchent en gémissant», ma in un «désespoir éternel de connaître». Per un altro verso, secondo Pascal, l’uomo è, cartesianamente, un «roseau pensant»: «La grandeur de l’homme est grande en ce où il se connaît misérable. Un arbre n’a pas la conscience de sa misère». L’uomo accede all’ordine della nobiltà proprio conoscendo; ma l’uomo – «incapable de savoir avec certitude et d’ignorer absolument» – non conosce, devia costantemente dal nodo del proprio abissale mistero: «N’ayant pu guérir la mort, la misère, l’ignorance, les hommes ont décidé de n’y point penser». «Nous courons directement vers le précipice, après avoir mis quelque chose devant nous pour nous empêcher de le voir». L’atto riflessivo, razionale, non risolve nulla da solo, anzi ci fa divertere (Pascal parla del «divertimento» come di un uscire dalla retta via, un uscire dal solco). L’uomo non è soltanto un pensiero (come pensava Descartes) ma, più propriamente, un’esperienza, un vissuto (ancora anticipazioni dell’esistenzialismo). Le prove sul sentiero del conoscere non possono essere solo preuves, bensì, per lo più e prima di tutto, delle épreuves. La ricerca della verità è affidata a coloro che «cherchent en gémissant», ben sapendo «qu’il y a une différence entre la connaissance de Dieu et l’aimer». Non basterà conoscere per amare, bisogna amare per conoscere.

    Di qui l’impressione – non del tutto arbitraria – delle Pensées come diario di esperienze estreme, eccezionali (è la lettura romantica). Il fatto è che tutto doveva entrare, trovar posto nel quadro di un’apologia del cristianesimo: le frasi ellittiche, le oscurità delfiche, le folgorazioni pascaliane, l’Io, il Noi, di così forte risonanza, diventerebbero una strategia del discorso per coinvolgere e captare il lettore incredulo (Pascal stesso insiste sulla «raison des effets»). Spaventi, smarrimenti, terrori, estasi, la Passione e la Pasqua diventano coscienza lucida del potere emozionale della parola. Scrive Blanchot che «Pascal è lo scrittore che ha saputo trarre dalla lucidità lo smarrimento». Così Béguin può affermare che «l’angoscia di Pascal è l’effetto di un calcolo». L’Io che si annuncia per frammenti di potente suggestione (si pensi ai brani sullo smarrimento dell’uomo in seno all’infinito abisso del suo destino: «Je ne sais pas qui m’a mis au monde, je ne sais ce qu’est le monde»; «Quand je considère la courte durée de ma vie, absorbée dans l’éterenité précédente et suivante…», ecc. ) diventerebbe allora un Tu, un Noi: «Nous sommes embarqués, il faut choisir». Per questo è stato giustamente notato che una volta entrati nel gioco, non è più possibile uscirne: nessun discorso sfugge al ribaltamento nel contrario, e appena crediamo di aver trovato un punto fisso o una posizione stabile, tutto viene rimesso in discussione (Descotes).

    Ma – altro rovesciamento – è indubbio che ci sia un vero Io (aspetto notturno e mistico dell’esperienza pascaliana) che è soggetto di terrore, di angoscia, come il Cristo che entra in agonia e soffre «dans l’horreur de la nuit». C’è un Pascal lacerato, vertiginoso che non si può negare: «J’entre en effroi»; «Le silence éternel de ces espaces infinsi m’effraie», o le parole di fuoco segnate nel Mémorial: «Feu… Certitude. Certitude. Certitude. Joie. Paix… Joie. Joie. Joie. … larmes de joie». Esperienza dell’eccesso, della violenza, dello straripamento in cui la ragione viene sommersa e infinitamente superata.

    Il frammento si pone allora come il relitto di un «sistema» impossibile, impossibile perché la crisi – altezza a cui costantemente tendono le Pensées, come il tragico raciniano – non ha storia, non ha durata: è un punto bruciante che non diventa mai linea. Il pensiero – come frammento – mette il pensiero in crisi. Pensiero della crisi, crisi del pensiero.

    2. Giudizi critici

    Osserva Giovanni Macchia (1997 : 997) che

    ripensando oggi ad una morte così precoce, non proviamo alcuna amarezza. Malgrado Pascal stesse attendendo alla composizione di un’opera rimasta incompiuta, i frammenti di quell’opera, le Pensées, sono di tale bellezza che, come certe mutile statue greche, non riusciamo a pensare con rimpianto a quanto abbiamo perduto. Tutto ciò che egli fece porta in sé il principio e la sua fine. Ogni gesto nacque, si maturò, si spense in lui con straordinaria naturalezza ed ardore. Esistono vite segnate da un ritmo lento, largo, che sembra continuarsi all’infinito. La vita di Pascal ha un ritmo accelerato, veloce, quasi contratto. Sembra che bruci se stessa.

    È stato affermato (2005 : 43) che

    a quest’uomo – «nulla che si riempie e si occupa del nulla» – secondo il detto di Bérulle, preso fra i due infiniti, due spiriti, che fa la bestia mentre pretende fare l’angelo – che cosa resta se non scommettere? È qui che Pascal, attratto dal vuoto e ossessionato dal baratro, che lo faceva deviare continuamente a sinistra al punto che gli serviva da appoggio una sedia per non cadere, si separa radicalmente da Descartes che ha bisogno di Dio solo per lanciare i mondi per mezzo di un «colpetto»: la ragione sragiona alla vista del naso di Cleopatra; il corpo: un granello di sabbia lo fa ammalare. Indigente, non gli resta che cercare ciò che, senza saperlo, aveva già trovato. Poiché egli è capace di Dio.

    Scrive Pierre Magnard (1991 : 64):

    Gli schemi messi in opera per far scaturire il senso nascosto nell’enigma delle cose trovano la loro attuazione nell’interpretazione del testo sacro, solo luogo in cui si ricompongono le membra disjecta di un’esistenza lacerata in un mondo in frantumi.

    Per Philippe Sellier (1999 : 29)

    Pascal aveva messo a punto una vera e propria strategia di annientamento attraverso la dispositio. Si proponeva, secondo le sue stesse parole, di «travailler» il non credente, di lasciarlo titubare a lungo nel labirinto dei sistemi – filosofie e false religioni. L’apologista prende piacere a «manipolare» il suo lettore: con i suoi rovesciamenti dal prò al contro egli lo fa girare come in certi giochi si fa girare un bambino con gli occhi bendati. Piacere di aumentare la vertigine e lo smarrimento.

    Secondo Michel Le Guern (1977 : 23)

    ciò che importa a Pascal non è d’imporre al lettore la propria parte di verità, il suo oggetto è la verità totale, il suo modo consiste nell’approccio progressivo e nel tentativo di condurvi il lettore. Pascal ha constatato che i dati dell’esperienza ci presentano talvolta due verità che sembrano contraddittorie; il nostro comportamento è di seguire quelle che corrispondono meglio ai nostri gusti e al nostro interesse, e di dimenticare il resto, e di dimenticare le altre, quando non ci spingiamo fino a combatterle. È contro questa tendenza che Pascal ci mette in guardia, e ci fornisce il rimedio: colui che scorge una verità deve chiedersi se quello che sembra il contrario non sia ugualmente vero.

    Osserva François Mauriac (1938 : 154) che

    l’autore delle Pensées stabilisce fra il cristianesimo e l’uomo un rapporto da chiave a serratura. L’uomo con la sua complessità, il cristianesimo con la propria, entrano esattamente l’uno nell’altro. Non un dogma, se così si può dire, che non colmi uno dei nostri abissi, che non lo riempia esattamente.

    Nota Robert Barrault (1987 : 134):

    Al di là dello sforzo cosciente di una mente superiore, la cui intelligenza acuta delle realtà umane e l’intuizione vissuta dei misteri divini sono messi in opera per strappare l’indifferente all’apatia e convertirlo a Gesù Cristo: il fremito intimo delle Pensées ci consente di scoprire il dialogo interiore di un’anima lacerata, presa tra la sete dell’assoluto e le tentazioni del mondo. È questo fatto che conferisce a quest’opera incompiuta la sua più potente attrattiva, e che permette a Pascal di essere eternamente vivo, perché profondamente umano. E contemporaneamente il dialogo si allarga e si rivolge all’umanità intera, cristiani tiepidi o ferventi, increduli sinceri, tutti quelli che hanno sete di verità e di amore, tutti quelli che cercano gemendo.

    Per Lev Šestov (1924 : 198), Pascal

    evita tutto ciò che è caro agli uomini. Gli uomini amano la fermezza – egli accetta l’insicurezza; gli uomini prediligono un terreno solido – egli sceglie l’abisso; gli uomini apprezzano soprattutto la pace interiore – egli esalta la guerra e la tormenta; gli uomini aspirano al riposo – egli promette la fatica, una fatica senza fine; gli uomini cercano idee chiare e distinte – egli imbroglia tutte le carte e trasforma la vita terrena in un orribile caos. Che cosa vuole? Ce l’ha già detto: «Nessuno deve dormire».

    E Georges Gusdorf (1984 : 98) sottolinea che

    Pascal interviene come un segno di contraddizione, che non ha smesso di affascinare, di scandalizzare di età in età i pensatori più validi. È ridicolo pretendere di togliere la contraddizione di cui Pascal ha vissuto e di cui è morto. Pascal non appartiene a nessuno.

    Kléber Haedens (1943 : 130) abbozza un ritratto di Pascal:

    Egli è dotato della forza stessa del fuoco. Avanza, il volto emaciato e illuminato, con una sorta di gioia veemente, aggressivo e testardo, apostolo lui stesso della ragione, di una ragione bagnata nella luce dei segreti divini, pronto a scatenare tutti i moti dell’universo per sostenere le proprie convinzioni, e facendo scaturire la verità e la poesia dal fantasma degli spazi siderali.

    Seguendo quanto afferma Paolo Serini (1967 : 58)

    Pascal si proponeva di seguire, nella sua Apologia, una via metodica affatto diversa da quella praticata solitamente. Intendeva, cioè, muovere non dall’oggetto – dalla verità cristiana, considerata come un tutto già dato e in sé conchiuso, da esporre e da dimostrare con metodo scolastico – ma dal soggetto: dall’intimo stesso della coscienza, per stimolarla e aiutarla ad acquistare chiara consapevolezza dei problemi e dei contrasti che la natura umana ha in sé, e per condurla poi a riconoscere l’impossibilità di risolverli con altri principi che con quelli della religione cristiana. Metodo d’immanenza, quindi; ma in cui il «conoscente» appare solo come il punto iniziale di un processo avente il suo necessario compimento nel «trascendi te stesso». L’itinerario apologetico di Pascal ha, pertanto, il suo punto di partenza nell’analisi della natura umana. Analisi condotta con incisiva penetrazione, con potente realismo psicologico, con singolare vigoria dialettica e, soprattutto, con austero, meditativo «pathos» umano. Il fatto è che, nei Pensieri, l’uomo è studiato non con la distaccata curiosità di un moralista o di uno psicologo, ma con la religiosa commozione che nel dramma spirituale dell’uomo sente impegnata «se stessa, il suo tutto, la sua eternità»; e in sé ne sperimenta le ragioni e ne mette alla prova le possibili soluzioni.

    Per Benedetta Papasogli (2003 : 13)

    la fede è «Dio sensibile al cuore». Per chi ha presente la ricchezza dell’idea di cuore in Pascal, questa definizione ci porta ben lontani dal fideismo o dal sentimentalismo che qualche volta gli sono stati attribuiti. Se il cuore pascaliano raccoglie pienamente un’eredità biblica e agostiniana che lo fa centro della persona, sede non solo di sentimenti ma delle tendenze profonde della volontà, esso è anche mente intuitiva, organo dei «primi principi». Ed è nel fondo del cuore, evocato dall’immaginario di Pascal con toni drammatici – come vuoto e baratro, cloaca e serra di piante venefiche – che avviene l’incontro con il «Dio degli uomini», festa nuziale la cui dolcezza e letizia non dev’essere mai dimenticata da chi insiste sull’austerità spirituale di Pascal: «Il Dio dei cristiani è un Dio di amore e di consolazione; è un Dio che ricolma l’anima e il cuore di quanti sono suoi; è un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la sua misericordia infinita, che si unisce al fondo della loro anima, che la riempie di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore; che li rende incapaci di altro fine se non lui stesso». Si è accesa nel cuore, non la fiaccola del moralista, quella con cui il giansenista Pierre Nicole proponeva di esplorare i bassifondi dell’essere, ma la fiamma su cui fissa lo sguardo la Maddalena di La Tour, mai più sola nella stanza spoglia: la luce della contemplazione.

    Secondo Tullio Gregory (1996 : II, 154)

    lo strumento matematico è tutt’altro che capace di esaurire l’ambito della realtà: esso, espressione dell’esprit de géométrie, può costruire sì una scienza, ma fondamentalmente astratta, cui sfugge la realtà, soprattutto quella umana, ove è piuttosto possibile penetrare con la finezza dell’intuito (esprit de finesse). La polemica anticartesiana è emblematica e rappresenta la polemica contro un tipo di filosofia che vuole tutto spiegare entro un sistema di principi evidenti, che crede di poter eliminare il mistero che circonda l’uomo, di costruire una filosofia facendo a meno di Dio. In realtà l’uomo è smarrito in un orizzonte infinito che, secondo un’antica similitudine, Pascal simboleggia con il cerchio in cui il centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo; l’uomo, se segue la superbia della ragione, si perde irrimediabilmente. Ma d’altra parte è proprio questo infinito che fa scoprire all’uomo la possibilità infinita del suo essere, lo apre verso Dio. Non il Dio della tradizione aristotelico-scolastica, ma il Dio biblico che condanna e redime, che regge la storia dell’uomo e del mondo secondo piani misteriosi.

    Per Emanuela Scrivano (1997 : 389)

    la nuova apologetica dovrà rivolgersi a un organo diverso dalla ragione, il coeur, l’intuizione, cui peraltro la raison si trova subordinata in ogni campo del sapere. «I principi si sentono, le proposizioni si dimostrano». L’intuizione è da Pascal affidata a un organo irriducibile alla ragione. Il modello del ragionamento matematico si trova poi del tutto impotente di fronte al mistero dell’uomo, per la cui comprensione si dovrà far riferimento ad altri strumenti di conoscenza, al sentimento, a quell’esprit de finesse che riesce a cogliere la contraddittorietà dell’esperienza umana, quella stessa contraddittorietà che, per propria essenza, la ragione matematica, l’esprit de géométrie, espunge dal proprio ambito.

    Scrive Dominique Descotes (1994 : 87) che

    per Pascal, il cuore è dapprima la facoltà dei princìpi, non solo quelli della conoscenza, ma anche quelli della volontà. È lui che determina fondamentalmente il modo in cui l’uomo sente, comprende e conosce il mondo, come pure i fini in vista dei quali egli agisce: il cuore struttura per così dire la prospettiva dell’uomo su se stesso e su ciò che lo circonda. Si comprende dunque che, come essa costituisce la cornice entro la quale si esercita tutto il pensiero, l’attività del cuore sfugge alla coscienza: essa si cela nei labirinti oscuri dell’anima, nessuno conosce adeguatamente il proprio cuore.

    Osserva Romano Guardini (1950 : 67):

    Nelle Pensées una potente energia costruttiva è all’opera. Pascal non era soltanto personalmente ingegnere, tutta la sua esistenza mira a definirsi in una grande figura architettonica. Ma questa figura non ha potuto realizzarsi. Noi dobbiamo guardarci dal pensare quel che in essa è frammentario secondo lo schema del frammento romantico. In Pascal non v’è nulla di quella indeterminatezza irruente che cerca costantemente di definirsi senza riuscirvi mai. Per sé egli potrebbe anche definirsi: e gli riesce via via di fatto. Ma una nuova spinta, proveniente dall’interno, spezza di volta in volta la definizione raggiunta, per avanzare verso una nuova. Questa è la vicenda di Pascal: un perpetuo spezzare e un perpetuo progressivo costruire.

    Henri Lemaître

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