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La storia di Novara: Dalla preistoria ai giorni nostri
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E-book384 pagine3 ore

La storia di Novara: Dalla preistoria ai giorni nostri

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Info su questo ebook

La Storia di Novara inizia milioni di anni fa, quando si origina il granito della pietra triangolare che poi sarà incastonata in piazza Cesare Battisti e nasce il Monte Rosa.
Grazie al recente ritrovamento della Venere seduta di Biandrate possiamo conoscere
cosa succede in questa terra 7000 anni fa.
I vertamocori ci guidano per mano alle soglie della Novaria romana, quando Caio Valerio Pansa e Albucio Silone frequentano le terme cittadine. Assistiamo all’incontro tra Sant’Ambrogio e Gaudenzio e allo sbocciare miracoloso delle rose invernali.
La suggestione medievale del Maestro dell’Apocalisse rapisce il nostro sguardo dalle pareti affrescate del Battistero, poco prima che Federico I Barbarossa trascorra una notte al palazzo episcopale, ospite del vescovo Guglielmo Tornielli. Con i cavalieri del fregio del Broletto ci immergiamo nell’enigmatica quotidianità della corte e ascoltiamo l’eco delle parole di Francesco Petrarca.
Nelle segrete del Castello cerchiamo il cavallo d’oro di Leonardo da Vinci fatto per Ludovico il Moro. Con Sebastiano Vassalli assistiamo alla triste vicenda di Antonia, la strega di Zardino. La Barriera Albertina e l’Ossario della Bicocca ricordano le alterne vicende dell’esperienza austriaca e sabauda.
Nel XX secolo la cupola di San Gaudenzio è testimone dei tanti novaresi che resistono con tutte le loro forze, come fa Piero Fornara, alla barbarie della Seconda guerra mondiale. Fino agli anni recenti in cui si vive l’esperienza della pandemia.
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2021
ISBN9788836260775
La storia di Novara: Dalla preistoria ai giorni nostri

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    Anteprima del libro

    La storia di Novara - Silvia Giani

    copertine-StoriaNovara-eBook.jpg

    CommunityBook - La Storia d’Italia

    Credits

    CommunityBook – La Storia di Novara

    Edizione Ebook luglio 2021

    Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele

    Progetto di: Typimedia editore

    Curatore: Silvia Giani

    Project manager: Simona Dolce

    Impaginazione: Stefania Carlotti

    Foto: Silvia Giani

    Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni

    Product manager: Melania Tarquini

    In copertina: La Fama di Giuseppe Argenti, foto di Silvia Giani

    ISBN: 978-88-3626-077-5

    CommunityBook online: www.typimediaeditore.it

    Direttore responsabile: Luigi Carletti

    Crediti fotografici: Quadriportico della Canonica, Laurom / Wikipedia Commons; Museo Lapidario presso il quadriportico del chiostro della Canonica a Novara, Alessandro Vecchi / Wikipedia Commons; Affreschi nel Battistero di Novara, Laurom / Wikipedia Commons; Quadriportico all’ingresso dell’Ospedale Maggiore di Novara, Alessandro Vecchi / Wikipedia Commons.

    L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari dell’avente diritto.

    © COPYRIGHT

    Tutti i contenuti di CommunityBook e degli altri prodotti editoriali della società Typimedia in essi citati sono di proprietà esclusiva e riservata della medesima Typimedia e sono protetti dalle vigenti norme nazionali e internazionali in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale.

    Essi non possono essere riprodotti né utilizzati in qualsiasi modo e/o attraverso qualsiasi mezzo, in tutto

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    Per informazioni o richieste: info@typimedia.it

    La Storia di Novara inizia milioni di anni fa, quando si origina il granito della pietra triangolare che poi sarà incastonata in piazza Cesare Battisti e nasce il Monte Rosa.

    Grazie al recente ritrovamento della Venere seduta di Biandrate possiamo conoscere

    cosa succede in questa terra 7000 anni fa.

    I vertamocori ci guidano per mano alle soglie della Novaria romana, quando Caio Valerio Pansa e Albucio Silone frequentano le terme cittadine. Assistiamo all’incontro tra Sant’Ambrogio e Gaudenzio e allo sbocciare miracoloso delle rose invernali.

    La suggestione medievale del Maestro dell’Apocalisse rapisce il nostro sguardo dalle pareti affrescate del Battistero, poco prima che Federico I Barbarossa trascorra una notte al palazzo episcopale, ospite del vescovo Guglielmo Tornielli. Con i cavalieri del fregio del Broletto ci immergiamo nell’enigmatica quotidianità della corte e ascoltiamo l’eco delle parole di Francesco Petrarca.

    Nelle segrete del Castello cerchiamo il cavallo d’oro di Leonardo da Vinci fatto per Ludovico il Moro. Con Sebastiano Vassalli assistiamo alla triste vicenda di Antonia, la strega di Zardino. La Barriera Albertina e l’Ossario della Bicocca ricordano le alterne vicende dell’esperienza austriaca e sabauda.

    Nel XX secolo la cupola di San Gaudenzio è testimone dei tanti novaresi che resistono con tutte le loro forze, come fa Piero Fornara, alla barbarie della Seconda guerra mondiale. Fino agli anni recenti in cui si vive l’esperienza della pandemia.

    L’autore

    Silvia Giani è nata a Oleggio, poco distante da Novara, il primo maggio 1971. Insegna storia e materie letterarie nella scuola secondaria superiore, ha lavorato come accompagnatrice naturalistica nell’area del parco del Ticino piemontese e nelle scuole con progetti incentrati sulla storia locale. Tra le sue pubblicazioni i volumi per l’infanzia Le fantavventure di Super Claus (Giunti Junior) e le collaborazioni alla collana Storia e documenti artistici del novarese e all’enciclopedia Il Piemonte paese per paese (Bonechi Editore).

    Prefazione

    Tra le città idealmente di confine, Novara è probabilmente tra quelle che più risente di una doppia anima: quella piemontese e quella lombarda, o per meglio dire milanese. I principali connotati del Piemonte, regione di cui fa parte e di cui è il secondo centro per dimensioni dopo Torino, sono certamente ben presenti e ben visibili nella sua storia e nelle sue tradizioni. Il dinamismo e lo spirito imprenditoriale richiamano altresì una certa contaminazione meneghina che – soprattutto dal dopoguerra a oggi – ha visto nascere e svilupparsi molte importanti attività che hanno contribuito all’immagine di capoluogo rilevante per l’economia del nord-ovest italiano.

    La posizione geografica non è un elemento banale nella storia delle città, e questa regola – se così possiamo definirla – vale certamente moltissimo per Novara, la cui collocazione sulla mappa della Pianura Padana rappresenta da sempre un crocevia strategico. Crocevia di strade ma anche di percorsi d’acqua, se è vero che fin dall’epoca più remota, i primi abitanti dell’area impararono che sfruttando le vie fluviali – a cominciare dal Ticino – si potevano fare affari e si poteva entrare in contatto con altre popolazioni.

    Commercio e traffici hanno quindi caratterizzato lo sviluppo della comunità novarese, ma a differenza di altri centri italiani che ne hanno fatto un aspetto quasi esclusivo, qui di pari passo non è mai venuto meno il rapporto con la terra. La cultura contadina è un altro importante aspetto di questo territorio che della coltivazione del riso ha fatto una delle sue eccellenze tanto da essere considerato uno dei capisaldi italiani in questo specifico settore dell’agroalimentare. Una tradizione, quella del riso, che con le vicende legate alle mondine ci riporta a pagine importanti della storia recente.

    Pagine che hanno segnato la memoria e il costume di un intero Paese, e che Silvia Giani ricorda puntualmente nel suo racconto, così come molte altre delle vicende che compongono la storia di Novara e del suo territorio. Una storia che parte da molto lontano, con i primi insediamenti e le prime, dibattute origini di quelli che furono i nuclei originari della zona. Liguri e celti qui si incontrarono e si mischiarono, un processo di ibridazione etnica che conoscerà un’ulteriore, decisiva tappa storica con la romanizzazione intorno al 49 a.C.

    L’antica Novaria fu per i romani un centro molto importante e nei secoli che seguirono conobbe, come molte altre città, fasi di sviluppo e altre di decadenza, spesso causate da guerre e distruzioni. Quelle di longobardi e franchi sono dominazioni che costituiscono passaggi fondamentali, utili a comprendere come Novara – così vicina a Milano, così prossima alla corona alpina – abbia sempre rappresentato un caposaldo strategico nella trama dei confronti bellici. Ne abbiamo conferma – molti secoli dopo – nelle guerre risorgimentali. Qui si combatteranno alcune delle battaglie più dure e cruente di quel processo che porterà all’Unità d’Italia.

    Oggi Novara e il Novarese, dopo aver visto la nascita e lo sviluppo di alcune realtà imprenditoriali importanti (Campari, De Agostini, Sergio Tacchini, Pavesi, giusto per citarne alcune), hanno la necessità di non disperdere la propria vocazione economica soprattutto nel settore agro-alimentare, ma al tempo stesso di valorizzare maggiormente il proprio patrimonio artistico e architettonico connettendolo al patrimonio ambientale in un’ottica di marketing territoriale che nei prossimi anni, terminato il periodo di emergenza dovuto alla pandemia, vedrà aprirsi per l’Italia numerose opportunità legate ai nuovi flussi del turismo globale. E ancora una volta, la conoscenza della storia, non potrà che aiutare ad affrontare meglio il presente e a immaginare il futuro.

    Buona lettura a tutti.

    Luigi Carletti

    LAGO MAGGIORE. Veduta dalla sponda piemontese su quella lombarda, con la Rocca di Angera che domina l’estremità meridionale del lago chiamato anche Verbano.

    CAPITOLO 1

    Se il Monte Rosa potesse parlare

    1.1 QUANDO L’ACQUA DISEGNA LA TERRA

    C’è una pietra, incastonata tra i cubetti di porfido di piazza Cesare Battisti, più nota con il suo antico nome di piazza delle Erbe, che ogni novarese conosce e che a volte va a cercare apposta. Chi invece non è di Novara la potrebbe calpestare inconsapevolmente, con passo lento o frettoloso: si tratta del piccolo triangolo di granito bianco che, secondo tradizione, corrisponde al perfetto centro geodetico, cioè fisico, della città. Convenzionalmente, da qui si misurano tutte le distanze che separano il capoluogo dagli altri centri della regione. Dunque, se giungiamo in piazza Cesare Battisti – questo il suo nome ufficiale dal 1917 – partendo da piazza della Repubblica e proseguendo lungo via Fratelli Rosselli, ciò che si presenta davanti ai nostri occhi è un armonioso spazio, anch’esso triangolare, porticato su tutti e tre i lati e conosciuto nel mondo esoterico per i suoi presunti poteri magici.

    PIETRA TRIANGOLARE. Si trova in piazza Cesare Battisti e per tradizione, oltre ad avere poteri magici, corrisponde al centro perfetto della città.

    In quello che oggi è senz’altro uno degli angoli più caratteristici del centro storico e luogo di ritrovo abituale di giovani e meno giovani, nel Medioevo erbivendoli e fruttivendoli, insieme agli altri commercianti del tempo, espongono sulle bancarelle dei portici i loro prodotti (vedi cap. 3).

    PIAZZA CESARE BATTISTI. Nel Medioevo è sede della corporazione dei calzolai, che affitta gli spazi agli altri commercianti. Per i novaresi è ancora Piazza delle Erbe.

    Procedendo ancora nella piazza, ci bastano pochi metri per arrivare al piccolo dehors rialzato del bar sulla destra. Proprio vicino al legno del soppalco, tra il rossastro del pavé, spicca il nostro sasso bianco. Con un po’ d’immaginazione, come se fossimo su una porta temporale che va a ritroso, proviamo a farci trasportare nell’epoca lontanissima in cui questo granito prende forma: milioni di anni fa, quando catastrofici terremoti spostano e ridisegnano le montagne e quando le eruzioni vulcaniche portano in superficie il magma fino ad allora nascosto nelle viscere della terra.

    MONTE ROSA. Il massiccio, che vanta l’altezza media più elevata delle Alpi, domina la pianura novarese.

    La massa fluida si raffredda e si solidifica cristallizzandosi così come la vediamo ora. La macchina del tempo si ferma, il salto nel passato è compiuto. La città intorno a noi è scomparsa, alzando lo sguardo nessuna traccia della cupola dell’Antonelli. Ma da qui, con i piedi ben saldi sulla pietra bianca, ora nulla ostacola la vista delle forme imponenti di un massiccio che a ben vedere ci ricorda il Monte Rosa.

    Cento milioni di anni fa inizia a formarsi quel sistema alpino che a oggi incornicia a nord la nostra Penisola, ma dobbiamo aspettare milioni di anni ancora perché inizi a delinearsi anche il sistema appenninico, che insieme al primo contribuisce al confinamento del bacino padano e dà vita ai cicli di sommersione ed emersione della terra che, nel Miocene (5,5 milioni di anni fa), si stabilizzano per un lunghissimo periodo dando vita al mare padano. In corrispondenza dei periodi di glaciazione il livello di questo mare si abbassa, facendo emergere vaste pianure poi nuovamente sommerse nei periodi di scioglimento dei ghiacci. In alcune di queste ere intermedie è bello immaginarci che il Salvatore dorato, in cima ai 121 metri alla cupola di San Gaudenzio, sarebbe potuto affiorare per dare un’occhiata a quell’interminabile distesa di acque.

    Due milioni e mezzo di anni fa, alla fine del periodo detto Pliocene, la valle Padana si presenta come un grande golfo marino le cui acque si insinuano fino al Piemonte; Alpi ed Appennini sono più bassi di come sono ora.

    Nel periodo detto Pleistocene (che significa il più recente, visto che il suo nome è stato dato quando ancora non si parla dell’Olocene, cioè l’epoca a noi contemporanea) e che inizia 1,8 milioni di anni fa, i ghiacci che scendono dall’arco alpino del Ticino e dell’Ossola arrivano a lambire anche le valli fluviali degli attuali laghi d’Orta e Maggiore.

    A pochi chilometri di distanza dalla pietra triangolare di Novara si trovano almeno quattro testimoni silenziosi del periodo glaciale: si tratta dei massi erratici, ossia dei blocchi rocciosi che in epoche remote sono stati appunto trascinati dal ghiacciaio e poi, al suo ritiro, depositati per l’ultima volta nei luoghi in cui li possiamo ammirare oggi. La "preia d’Argòi, presso la frazione di Revislate; il sas dal burlin a Varallo Pombia; il sass malò" di Gattico e il più meridionale di tutti, che si trova sulle colline tra i comuni di Suno e Mezzomerico, che spesso scherzosamente se ne contendono la proprietà. Conosciuto dai locali come la "preja dà scalavè", emerge per quasi cinque metri dalle acque del torrente Riazzone e, secondo i geologi, è stato depositato con l’ultima glaciazione giungendo in loco dalla Val d’Ossola. Si sa che gli oggetti strani o rari da sempre suscitano curiosità e spesso l’uomo, non riuscendo a darsene spiegazione, attribuisce loro poteri straordinari: il bizzarro nome dialettale di questo monolito significa pietra dello sfregamento, perché, secondo antichi riti pagani ancora oggi conosciuti, scivolare su di essa o appoggiarvi il ventre veniva considerato di buon auspicio per la fertilità delle donne.

    ISOLA DI SAN GIULIO. Sulle acque del lago d’Orta sorge l’isola che San Giulio, secondo la tradizione, libera per sempre dai serpenti e dal terribile drago che la abita da secoli.

    È una misteriosa testimonianza dell’antico legame di queste terre con l’acqua anche la grande vertebra custodita nella sacrestia della Basilica romanica dell’isola di San Giulio, sul lago d’Orta, a poco più di 40 chilometri da Novara: fino a qualche tempo fa, sarebbe stato possibile sentirne la storia da suor Raphaela, recentemente scomparsa, unica tra le monache benedettine del locale convento di clausura ad avere contatti con l’esterno. Lei avrebbe raccontato che quel reperto appeso al soffitto è la prova che la leggenda di San Giulio tramandata da generazioni e affrescata alle pareti di numerose chiese è del tutto vera. Giulio, missionario del IV secolo, sta compiendo un viaggio per l’Italia insieme al fratello Giuliano al fine di convertire al cristianesimo i popoli pagani. Giunto sulle sponde del lago d’Orta decide di costruire la sua centesima chiesa proprio su quell’isola meravigliosa che però è abitata da enormi serpenti e da un terribile e vorace drago. La storia racconta che, con l’aiuto del Signore, Giulio riesce a mettere piede sull’isola facendo scappare tutti gli orribili rettili e sconfiggendo il drago, meritandosi così di unire per sempre il suo nome a quel luogo straordinario, dove tuttora il Santo riposa. Secondo gli scettici, la grande vertebra farebbe parte dello scheletro di un antico dinosauro acquatico.

    Dai molluschi e dalle alghe marine che muoiono nel bacino di acque limpide e calde di 230 milioni di anni fa e che lasciano le loro impronte fossili in quella che oggi è la parete rocciosa della Rocca di Arona, fino alle balene e ai capodogli che nuotano nel mare poco profondo dell’Astigiano di tre milioni di anni fa, è chiaro che quello acquatico è l’habitat che fa da filo conduttore della storia antica del Piemonte e certamente anche del Novarese.

    Ed è ancora l’acqua, questa volta quella dolce dei fiumi, a plasmare, durante l’ultima glaciazione avvenuta nel Pleistocene e detta Wurmiana, le forme dell’attuale Pianura Padana, al cui margine nord-occidentale sorge la città di Novara. Tra 75.000 e 10.000 anni fa dunque i corsi d’acqua originati dallo scioglimento dei ghiacciai cancellano le tracce morfologiche preesistenti e modellano la pianura così come la vediamo oggi.

    ROCCA DI ARONA. Visibile anche dalla parte lombarda del Lago Maggiore, l’imponente parete rocciosa è costituita da dolomia e calcari dolomitici.

    Le origini alluvionali del più grande spazio pianeggiante della Penisola italiana dipendono dai detriti che il Po – l’antico Padus dei Romani – e i suoi affluenti trasportano nel corso dei millenni depositandoli nel grande golfo formato da Alpi e Appennini, fino a riempirlo.

    Tra i 55 e i 25.000 anni fa, zone paludose si alternano ai poco profondi laghi dalle acque cristalline e alle fitte foreste di betulle, pini e abeti rossi alla cui ombra si muovono alci, mammut, bisonti e cervi giganti. Grazie a un ritrovamento fortuito avvenuto nel 2009 sulle rive del Po, vicino a Cremona, sappiamo che a condividere gli spazi con questi grandi animali ci sono già i nostri antenati. Infatti, Paus – questo è il nome dato all’uomo di Neanderthal cui appartiene il reperto osseo – trascorre la sua vita nel periodo del Pleistocene compreso tra i 250.000 e i 28.000 anni fa. È, però, il nucleo di selce rosso scuro rinvenuto nella provincia di Novara e attribuito al Paleolitico medio a farci immaginare anche in queste zone la presenza di neandertaliani intenti a scheggiare ciottoli e cacciare.

    La pianura, circa 17.000 anni fa, pian piano si trasforma in una grande steppa arida dominata dall’adattabile bisonte e ancora rifugio per l’alce, mentre iniziano a far sentire la propria presenza i carnivori: lupi e orsi bruni soprattutto. La foresta mista a caducifoglie lentamente conquista pressoché tutto lo spazio della grande valle che si anima allora di caprioli, cervi, cinghiali e piccoli mammiferi che possiamo incontrare ancora oggi nelle nostre passeggiate nei boschi. Benché le fasi più remote della preistoria piemontese siano poco documentate, sappiamo che i primi uomini scoprono presto i segreti della pianura e vi pongono le basi della loro futura civiltà: la nostra.

    1.2 LA BELLA VENERE STA SEDUTA

    Quando si decolla dall’aeroporto di Malpensa, distante in linea d’aria una ventina di chilometri da Novara, e il nostro aereo compie una vigorosa virata permettendoci di osservare la pianura sotto ai nostri piedi, la terra ci parla pur senza parole della sua storia recente: il lavoro dell’uomo si palesa nella sinuosità delle strade trafficate, nei piccoli e grandi centri urbani dove un campanile svettante non manca mai e soprattutto nella griglia ordinata dei campi coltivati che si alternano – insieme al mare a quadretti delle risaie allagate e ai vigneti delle vicine colline – alle sempre più esigue aree boschive. Da lassù è però anche facile capire quanto l’uso spesso intensivo delle moderne tecniche agricole, i vasti spianamenti per la realizzazione delle risaie e per la coltivazione meccanica delle vigne, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, abbiano profondamente alterato il paesaggio naturale e antico tutt’intorno alla città compromettendo, sovente in modo irreparabile, la possibilità di leggervi le tracce lasciate dei nostri antenati.

    Se la pianura è avara di informazioni sulle sue fasi preistoriche, è comunque possibile ascoltare con orecchie attente i reperti raccolti negli ultimi secoli e ricostruirne le storie, a partire, ad esempio, dalle asce neolitiche in pietra levigata conservate nella collezione del Museo civico archeologico di Novara. Oppure facendo riferimento al Museo di Borgosesia, che conserva resti faunistici e reperti in selce attribuibili all’uomo moderno e rinvenuti a Grignasco, ai piedi del versante novarese del Monte Fenera. Ed è proprio al Fenera che possiamo fare un ulteriore passo indietro nel tempo: a cavallo tra le moderne province di Novara e Vercelli, le sue pendici calcaree, tra 80.000 e 40.000 anni fa, sono certamente abitate dall’uomo di Neanderthal: a Borgosesia si trova uno dei siti paleontologici e archeologici più interessanti della Penisola. Già noto a partire dalle campagne di studio degli anni Trenta del Novecento, nel corso degli scavi del 1989 vi sono rinvenuti due denti appartenenti a uno dei nostri antichi predecessori: si tratta di una straordinaria scoperta, unica in tutto l’arco nord-alpino. La natura carsica del monte, infatti, determina la formazione, in ere geologiche antiche, di grotte e cavità scelte come riparo da diversi gruppi umani che lasciano tracce importantissime del loro passaggio.

    Il museo di Borgosesia custodisce anche alcuni calchi di resti ossei di neandertaliani e lo scheletro ricomposto interamente di un Ursus spelaeus, o delle caverne. In alcune di queste, che si aprono tra i 630 e i 700 metri nella parete ovest del monte, i resti ritrovati testimoniano che l’orso rappresenta addirittura il 90% del totale della grande fauna pleistocenica.

    L’orso speleo trova il suo habitat ideale anche nelle cavità naturali della non lontana Valle Strona: nella grotta della Strega del piccolo abitato di Sambughetto, tra corridoi calcarei e stalattiti e stalagmiti di sabbia, a partire dal 1869, sono riemersi resti fossili di alcuni esemplari dell’antico plantigrado.

    Ma torniamo al Fenera, frequentato in quei tempi non solo da orsi. Nelle sue caverne, battezzate dai loro scopritori con i curiosi nomi di Ciutaru, Ciota e Ciara, possiamo immaginare uomini e donne del Neanderthal pasteggiare con carne di orso ma anche di bisonte, cinghiale,

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