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Le origini del debito pubblico greco
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E-book205 pagine2 ore

Le origini del debito pubblico greco

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Una storia scritta nel 1904, che narra la vicenda del debito pubblico greco proprio a partire dal suo inizio assoluto, nel 1824. Nel marzo del 2012 questo libro vecchio di cento e più anni è anche un instant book, a modo suo: non sappiamo oggi se il nuovo fallimento dello Stato greco sarà pilotato dolcemente dall’Unione Europea, o se avverrà più drammaticamente, in forma di default disordinato. In ogni caso, la vicenda si potrà chiamare una volta di più “une lamentable histoire”, come la qualificò l’uomo d’affari francese, che analizzò con acume e precisione la situazione economica greca nel preistorico 1847.
Il nostro autore, Andreadis, aveva in animo di raccontarci tutta la storia, compresa quella allora attualissima dell’istituzione del Controllo Internazionale del 1897; ma il primo volume della storia qui tradotto rimase poi l’unico, e ci racconta due vicende antiche: quella dei Prestiti dell’Indipendenza (Independence Loans) che il Governo greco provvisorio contrasse con il mercato privato a Londra nel 1824 e 1825, e quella del prestito di entità sconsiderata che il Governo del nuovo Stato contrasse dopo il 1832 rimanendo in debito con i Governi delle tre Potenze protettrici: Inghilterra, Francia e Russia. La lamentable histoire di questa parte preistorica della vicenda ci dà l’occasione unica di comprendere la struttura di un fenomeno di catastrofe finanziaria ridotto al suo scheletro, quasi come se si fosse potuto farne una cultura in vitro.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2012
ISBN9788897527060
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    Anteprima del libro

    Le origini del debito pubblico greco - Andreas Andreadis

    Andreadis

    Introduzione del curatore

    Ieri e oggi

    Alla fine dell’inverno del 2012 qui si resuscita una storia scritta nel 1904, che narra la vicenda del debito pubblico greco proprio a partire dal suo inizio assoluto, nel 1824, traducendo un saggio ben documentato e unico nel suo genere, ma dimenticato. Il libro di Andreas Andreadis è un’occasione unica: racconta la vicenda dello sviluppo di un sistema insostenibile di finanza pubblica proprio dalla culla, ed è una vicenda che possiamo leggere solo qui in questo dettaglio, perché le molte cronache e storie ottocentesche della guerra d’Indipendenza greca accennano solo di passaggio all’aspetto finanziario della vicenda: vedremo nel testo da quali singolari fonti l’autore abbia attinto il dettaglio di questa storia, mancando ogni documentazione d’archivio.

    Nel febbraio del 2012 questo libro vecchio di cento e più anni è anche un instant book, a modo suo: perché la situazione in cui la Grecia non può far fronte al proprio impegno finanziario si è presentata di nuovo, e non sappiamo oggi se il nuovo fallimento dello Stato greco sarà pilotato civilmente dagli stranieri (da quelle che l’Andreadis avrebbe chiamato le Potenze protettrici), o se avverrà più drammaticamente, in forma di default disordinato. Né sappiamo per quanti anni la crisi si trascinerà ancora, né come e quando potremo considerarla risolta dal punto di vista finanziario, né quali ipoteche lascerà all’economia reale greca. In ogni caso, la vicenda si potrà chiamare una volta di più une lamentable histoire, come la qualificò l’uomo d’affari francese, viaggiatore e filelleno, che analizzò con acume e precisione la situazione economica greca nel preistorico 1847, e che incontreremo spesso in questo libro.

    Data la situazione d’oggi, taluni, molto pochi, se ne arricchiranno; molti altri perderanno la partita, non tanto pagando il conto dell’arricchimento dei pochi, ma per effetto della compromissione dello sviluppo economico greco, per l’eterna depressione che ha seguito ogni tappa della lamentable histoire. A meno che questa volta la società greca non colga l’occasione per fare un passo avanti nel lento processo di liberazione dal costume del clientelismo politico e della tolleranza verso l’evasione fiscale.

    Oggi come allora, la vicenda della finanza pubblica greca ha un carattere individuale che la distingue, e che ne fa un capitolo a sé: nell’Ottocento come nel 2012, anno in cui le numerose insolvenze bancarie e statali potenziali nel mondo sembrano in procinto di riassorbirsi, ma non quella greca.

    Le crisi finanziarie del primo decennio del nostro secolo hanno avuto origine multiforme: bassa remunerazione del lavoro, conseguente propensione dei privati a consumare a credito, bolla immobiliare, speculazioni su strumenti finanziari complessi come i derivati da parte di soggetti impropri e incapaci di comprenderne la natura e i rischi, in taluni paesi eccessiva deregulation delle attività bancarie determinata dalla dimenticanza delle ragioni d’essere delle complesse leggi bancarie elaborate durante il Novecento, forte propensione alle politiche pubbliche dalla vista corta e dal termine breve, che hanno ricevuto correo consenso dall’opinione pubblica. A fronte di questa situazione dove tutto un contesto di spinte ha determinato gli eventi critici, la crisi greca presente è più lineare e più semplice: prima vi è stata una politica governativa coscientemente e intenzionalmente deficitaria per stimolare i consumi, una politica truffaldina al punto di ricorre al falso nelle scritture contabili, e vi è stato il consenso della società, viziata dalla distribuzione di reddito, a questo modello. Poi, quando è venuto il momento di scelte nette per riparare la situazione, il consenso sociale ha abbandonato il Governo e si è spostato sull’idea che la Grecia possa avere il tempo e possa permettersi il lusso di alimentare infinite polemiche interne e internazionali invece di approdare rapidamente a scelte drastiche. Tanto che sui giornali di questi giorni, e magari proprio nello stesso numero, possiamo leggere proiezioni elettorali che danno al 45% i partiti estremisti e propensi all’abbandono della moneta unica se non addirittura dell’Unione Europea, e sondaggi che dicono che il 75 o l’80% della società greca è ben convinta della necessità di sanare la situazione a ogni costo, conscia del ritorno ad un’economia rudimentale che costerebbe alla Grecia l’abbandono del consorzio europeo. I conti non tornano: è evidente che c’è oggi un buon numero di greci che non sanno cosa pensare al punto da rispondere contraddittoriamente se interrogati nello stesso giorno, o che più verosimilmente da un lato comprendono l’implicazione rovinosa dell’abbandono dell’Europa, ma dall’altro hanno accumulato tanto astio e tanta polemica verso i partiti istituzionali del loro Paese da pensare, oggi, di punirli dando il voto ai fautori della puerile e velleitaria negazione del problema.

    Oggi, se le cose si sistemeranno, sembra che i greci saranno soggetti a limitazioni di sovranità come accadde loro per la stessa ragione a partire dal 1897, quando fu istituito il Controllo Economico Internazionale (Διεθνής Οικονομικός Έλεγχος, ΔΟΕ), entità che aveva un ufficio in Atene nel quale del personale straniero controllava sul serio che la Grecia ottemperasse alle condizioni necessarie per estinguere un po’ alla volta i prestiti mutuati dai Governi creditori, che erano allora l’Inghilterra, la Francia, l’Austria, la Germania, la Russia e l’Italia.

    E’ chiaro che la soluzione del problema, allora, fu l’inflazione postbellica e la svalutazione di tutte le monete dopo le guerre mondiali. Il Controllo Internazionale infatti esercitò letteralmente le sue mansioni solo fino alla prima guerra mondiale, costringendo la Grecia ad osservare le condizioni imposte, che prevedevano l’utilizzo di determinate fonti di entrata erariale per far fronte agli impegni presi. Tra le due guerre ebbe ruolo consultivo e marginale; tuttavia sopravvisse anche alla seconda guerra mondiale, e si estinse dopo la lunghissima agonia che i tempi della burocrazia internazionale infliggono fatalmente a tutti i suoi istituti: constatatane l’inutilità, documenti del Foreign Office inglese consigliarono lo smantellamento del Controllo Internazionale già nei primi anni ‘60, ma il consenso definitivo di tutte le parti in causa per la sua cessazione si ebbe solo nel 1978.

    Il nostro autore, Andreadis, nel 1904 aveva in animo di raccontarci tutta la storia, compresa quella allora attualissima dell’istituzione del Controllo Internazionale, che viveva l’ottavo anno del suo funzionamento mentre egli scriveva; ma il primo volume della storia qui tradotto rimase poi l’unico, e ci racconta le due vicende più antiche: quella dei Prestiti dell’Indipendenza (Independence Loans) che il Governo greco provvisorio contrasse con il mercato privato a Londra nel 1824 e 1825, senza alcuna intromissione dei Governi europei, e quella del prestito di entità sconsiderata che il Governo del nuovo Regno di Grecia contrasse dopo il 1832 rimanendo in debito con le tre Potenze protettrici: Inghilterra, Francia e Russia.

    Per molte ragioni, e non ultima perché ci dà la viva percezione della dinamica di disgregazione interna che il problema produsse nella società e nella politica in Grecia, vale la pena di leggere la lamentable histoire di questa parte preistorica della vicenda; ma soprattutto merita farlo perché se ne ha l’occasione unica di capire in dettaglio la struttura di un fenomeno di catastrofe finanziaria ridotto al suo scheletro, quasi come se se ne fosse fatta una cultura in vitro.

    Note tecniche per la comprensione del libro

    Per quanto riguarda le unità monetarie menzionate nel libro, è da ricordare che un franco per tutto l’Ottocento, e fino alla prima guerra mondiale, equivalse a un venticinquesimo di sterlina, come istituito da Napoleone. Sotto la denominazione di scudo si intendevano cinque franchi; e a cinque franchi equivaleva anche il dollaro americano nel sistema decimale. Ma accanto a scudo nel testo troviamo ricorrere scelte quasi a caso le espressioni fiorino, tallero, tallero spagnolo, piastra e distele, tra loro sinonime, che richiedono spiegazione. In antico regime e sino al primo Ottocento la moneta internazionale di riferimento sia in Europa sia nel mondo Ottomano fu il Real spagnolo da otto, che ebbe molteplici denominazioni: in Spagna peso fuerte, peso duro o dólar español, Thaler nel mondo tedesco e in inglese pillar dollar, ovvero dollaro delle colonne d’Ercole, e perciò in greco distele. Questa moneta equivalse a lungo a circa un quinto di sterlina, per cui questo dollaro o tallero spagnolo si può considerare equivalente a uno scudo allorché interessano solo gli ordini di grandezza; il rapporto non si può indicare esattamente perché il titolo e il peso metallico cambiarono nel tempo, così come mutò nel tempo il cambio praticato effettivamente da banchieri e cambiavalute. Questa moneta spagnola nell’età moderna fu presa come base di riferimento anche per la piastra Ottomana, in turco kuruş e in greco gròsi, e che era unità monetaria in uso nella Grecia dell’Indipendenza fino all’istituzione della moneta nazionale alla fine della guerra risorgimentale. Però, poiché la moneta turca nel corso della prima metà dell’Ottocento andò soggetta a un continuo deprezzamento a causa della coniazione di kuruş di titolo e peso sempre più ridotti (fino a che la Sublime Porta non provvide a una riforma monetaria nel 1844), è difficile dire esattamente a quanto si cambiassero i gròsi effettivamente circolanti in Grecia negli anni ‘20 dell’Ottocento, di cui si parla nel testo; certamente a molto del valore nominale di uno scudo, e verosimilmente a un sessantesimo di sterlina, ossia a meno di un decimo del valore nominale del tallero spagnolo: questo si deduce dal capitolo A.1 del nostro testo, dove è riferito che secondo uno scrittore contemporaneo, Thomas Gordon, 5.587.000 piastre equivalevano a 93.000 sterline nel 1825[1]. Il valore della piastra così stimato dà luogo a valori verosimili nel contesto del libro.

    Quanto alla moneta nazionale greca, tra il 1828 e il 1832 il nuovo Stato adottò come sua moneta la Fenice (φοίνιξ), dal valore instabile e accettata con difficoltà in pagamento, ma nominalmente pari a un sesto di un tallero spagnolo, per cui occorrevano 1,1168 Fenici per acquistare un franco, e 28,12 per una sterlina. Da questo si evincerebbe che una piastra, grosi, circolante al tempo dell’Indipendenza dovrebbe equivalere a 5,37 franchi, ma non è così perché la Fenice fu definita sulla base dell’equivalenza con un pillar dollar o un kuruş teorico, non con le piastre turche effettivamente circolanti all’epoca, dal valore molto inferiore.

    La monarchia Bavarese mutò nome alla Fenice, chiamandola dracma, ma non ne mutò la definizione basata sul real spagnolo nominale e sul valore teorico del kuruş. Nel 1868 fu introdotta la nuova dracma, fatta pari a un franco (e anche a una lira italiana, da sempre definita sulla base del franco francese).

    Quanto al potere d’acquisto di questo denaro, si sa che con il passare delle generazioni è sempre più arduo stabilire il tasso di conversione tra monete, perché il rapporto tra i prezzi dei diversi tipi di merci e di servizi cambia nel tempo seguendo il mutare delle strutture tecniche e produttive. Però, per farsi un’idea dei valori assoluti di cui si parla nel libro, si può ricordare che con un franco dei tempi di Hugo e di Balzac si poteva, in Francia, consumare un modesto pasto, e con 5 o 10 centesimi spedire una lettera: per cui un franco di allora si potrebbe considerare equivalente a dieci Euro di oggi, e una sterlina a 250. Questo in Francia o in Inghilterra; in Grecia il valore del denaro era immenso: basti pensare che nel capitolo B.3.2 di questo libro si parla di pensioni di venti dracme annue, e di altre inferiori a dieci: solo queste ultime l’autore le qualifica come insignificanti.

    Sul testo di Andreadis

    Il libro di Andreadis è scritto nella versione artificiale e arcaicizzante del greco moderno creata al tavolino nel tardo Settecento, la ormai desueta katharévousa. La mia traduzione taglia numerose prolissità del tenore … per confermare al lettore che non esageriamo veniamo ora dire la cosa più importante, ossia che …, oppure determinate dall’accostamento di numerose e ridondanti parole sinonime, ma è fedele al contenuto. Ho eliminato perché arcaico e fastidioso il plurale humilitatis usato spesso (ma non sempre) dall’autore, e ho lasciato nella lingua originale le sue citazioni francesi e inglesi, per salvaguardare il sapore d’epoca che determinò la stessa scelta da parte dell’autore stesso.

    Curiosamente, nel testo originale i capitoli sono scheletrici, e l’interessante della narrazione è quasi tutto nelle numerose ed estese note a pié di pagina. Ad esempio, le pagine 8 e 9 dell’originale contengono in tutto una sola riga di testo, perché sono occupate da lunghissime e utili note che specificano quanto detto a pagina 7. Mantenere questa impostazione avrebbe dato luogo a un testo scomodissimo da leggere, a maggior ragione in ebook: perciò ho integrato le note dell’autore nella sequenza del testo, lasciando in nota solo i riferimenti identificativi delle citazioni, nonché qualche suo abbellimento letterario e talune sue osservazioni davvero accessorie, interessanti solo per chi viveva le cose greche nel 1904 da contemporaneo e da connazionale. Questo mi ha costretto a inserire qua e là talune parole di raccordo tra le note dell’autore e il suo testo, senza però alterare il senso del tutto. Ho lasciato nel testo le pagine dedicate dall’autore alla descrizione delle fonti, perché il carattere delle fonti contribuisce alla contestualizzazione degli stessi eventi narrati: data la natura delle vicende, che consistono nei fallimenti di processi decisionali razionali progettati, ma impediti a realizzarsi da una babele di linguaggi e di mentalità contrastanti, la proliferazione di memorie e di scritti polemici contemporanei fa parte degli eventi stessi.

    Le note rimaste sono dell’autore, dove non è indicato diversamente, e comunque possono essere ignorate dal lettore che non abbia l’intenzione di proseguire la ricerca per andare più a fondo di così nella vicenda. Poiché le note sono destinate unicamente a chi volesse approfondire la materia, non ho traslitterato

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