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Senza eroi
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E-book73 pagine1 ora

Senza eroi

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Info su questo ebook

Una donna pronta ad atti estremi per sconfiggere la solitudine, un giovane professore in lotta con la “verità”, un ragazzo promesso sposo attanagliato da mille dubbi, una misteriosa donna manda all’aria una rapina, un uomo racconta l’amore ai nipoti, un operatore di un centralino erotico alle prese con una singolare deformazione professionale, un figlio in lotta con il padre e con il mondo. Situazioni che potrebbero sembrare estreme ma che tutte, più o meno, fanno parte della vita e certamente potrebbero far parte della nostra. Con risvolti che vanno dal comico al tragicomico, dalla tristezza alla gioia, dal dubbio alla certezza, questi sette racconti sono un viaggio attraverso il quotidiano. Anche se su tematiche più o meno comuni, propongono al lettore spunti di riflessione, senza regalare eroi o grandi personaggi, ma gente, persone, compagni di avventura. Sono racconti fluidi che creano interesse e coinvolgimento e che, nella loro semplicità, racchiudono destini e sogni che ci appartengono.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2013
ISBN9788898041206
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    Anteprima del libro

    Senza eroi - Marco Mario

    SENZA EROI

    Marco Mario

    Copyright© Officine Editoriali 2013

    Tutti i diritti riservati.

    Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla legge sul diritto d’autore. Officine Editoriali declina ogni responsabilità per ogni utilizzo del file non previsto dalla legge. È vietata qualsiasi duplicazione del presente ebook.

    ISBN 978-88-98041-20-6

    info@officineditoriali.com

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    Facebook: http://www.facebook.com/officineditoriali

    Ebook by: Officine Editoriali

    Foto di copertina tratta dall’archivio di Officine Editoriali

    Elaborazione grafica della copertina : Officine Editoriali

    SOMMARIO

    A ottanta metri da te

    Hot Line Srl

    Oltre la verità

    Sì, lo voglio

    Cani, gatti, topi

    Il diavolo con il viso d’angelo

    Per tre dollari

    A ottanta metri da te

    Non riuscivo a capire perché mi seguisse sempre. Era come un’ossessione; se ero in compagnia si fermava lontana e mi fissava, mi aspettava poi, appena entravo in casa o mi trovava sola, si avvicinava e iniziava a parlare. Era strana, come se avesse paura delle persone, come se si fidasse solo di me, come se volesse solo la mia compagnia. Nessuno la conosceva.

    La mattina al parco ne parlai nuovamente con Meriem.

    – E quindi anche stanotte? – mi chiese Meriem.

    – Sì Meriem, sì dannazione – risposi – io sto impazzendo.

    – Ne hai parlato ai dottori?

    – Una volta, Meriem.

    – Cosa racconti a loro?

    – Cosa racconto? La verità Meriem. Gli dico che ormai, appena mi vede sola mi viene a parlare e mi chiede, mi da consigli, ovunque io sia; basta che sono sola ed ecco che spunta lei. Non è che mi fa male, del resto. Mi parla solo, ma la sua presenza è angosciante, ogni volta mi rattrista, a volte piango.

    – E cosa ti hanno detto i dottori? – chiese ancora Meriem.

    – Niente – risposi - che mi capiscono. Dicono che io devo capire lei, che lei vuole solo parlare. La fanno facile i dottori, sono io che mi ritiro tutte le notti con lei. Che poi, se potessi dividere questo compito con qualcuno magari sarebbe più leggero, ma lei non vuol parlare con nessuno, solo con me! Guardala ora, è li ferma. Perché non viene a parlare con te Meriem, con noi?

    –  Ah no, non ci tengo, e poi nemmeno la conosco – disse e si allontanò.

    Qui al parco lei mi guardava solo da lontano.

    C’erano sempre persone, c’era il sole, gli alberi, il laghetto artificiale, si stava bene qui. Il parco mi teneva lontana da lei. La sera, tornata a casa, già sapevo di trovarla ferma, ad aspettarmi. Mi stesi sul letto, era tutto buio intorno; alzai le coperte fin sopra il  mento. Avevo i piedi freddi, era fredda la notte, e il letto era scomodo, faceva rumore ogni volta che mi muovevo. Il cuscino era piccolo e freddo, dovevo tenere la testa ferma sempre allo stesso punto perché così si riscaldava. Le altre parti restavano fredde ma io non potevo toccarle.

    – Pensavo che è molto tempo che non vedo tua figlia –  mi disse.

    – Laura è venuta il mese scorso qui a casa, a trovarmi – risposi.

    – Sì, e quando torna? Non viene spesso, dovrebbe venirti a trovare più spesso, tu sei la mamma – continuò.

    – Non lo so quando torna – risposi scocciata, non volevo parlare di Laura.

    Mi mancava, avrei voluto vederla tutti i giorni, ma lei aveva la sua vita, i suoi figli. Come è bella Laura, pensavo. Ha i capelli ricci ricci biondi, gli occhi verdi come i miei. Quando viene a trovarmi è sempre elegante.  Era la più bella della casa, più bella di tutte le cugine. Da ragazza aveva spasimanti in tutte le città, a scuola era la prima della classe; quanto mi manchi Laura.

    – E i tuoi nipotini? Quando vengono sembra che non ti conoscono – mi disse.

    – Non dire stupidaggini!! –  risposi in modo irritato  – i miei nipoti mi vogliono bene, mi salutano sempre, mi chiamano nonna. Sono piccini, ecco perché… Perché sono timidi, ma mi vogliono bene, me lo dice sempre Laura.

    – Io penso che vengono solo perché Laura li costringe. Non ti abbracciano, mai un sorriso. Ecco… Penso che ti dovrebbero volere più bene – mi disse.

    – Sarai contenta ora, tu mi fai del male così – risposi.

    – Non voglio che tu pianga anche stanotte – riprese – penso che tu meriti di più, dopo tutti i sacrifici che hai fatto per Laura.

    – Lo so – risposi piangendo, poi mi

    addormentai.

    Ormai la sua presenza era un fardello troppo pesante; mi opprimeva, limitava le mie capacità; era strano non sopportarla. Del resto era l’unica che mi faceva compagnia la notte, ma era una compagnia ambigua, misteriosa, triste. Non era di quelle compagnie allegre, che ti rendono meno difficile la vita. No! Lei peggiorava tutto, era come una malattia che non si può combattere. Sai di averla e ti rassegni, cerchi di conviverci, perché non puoi fare in modo diverso, e pian piano ti ci abitui. Ma cos’è l’abitudine? È sconfitta, rassegnazione, rinuncia. L’abitudine è una bastarda, ti fa adagiare sulle spine, ti fa versare lacrime fin quando il dolore sarà costante da non far più male, e allora inizierai a morire un po’.

    Il giorno seguente, dopo aver mangiato come sempre fuori casa, mi avviai verso il bagno pubblico che si trovava nelle vicinanze.

    Ero sola, ma di giorno lei difficilmente si faceva viva. Non so dove andasse, cosa facesse;

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