Senza eroi
Di Marco Mario
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Senza eroi - Marco Mario
SENZA EROI
Marco Mario
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Ebook by: Officine Editoriali
Foto di copertina tratta dall’archivio di Officine Editoriali
Elaborazione grafica della copertina : Officine Editoriali
SOMMARIO
A ottanta metri da te
Hot Line Srl
Oltre la verità
Sì, lo voglio
Cani, gatti, topi
Il diavolo con il viso d’angelo
Per tre dollari
A ottanta metri da te
Non riuscivo a capire perché mi seguisse sempre. Era come un’ossessione; se ero in compagnia si fermava lontana e mi fissava, mi aspettava poi, appena entravo in casa o mi trovava sola, si avvicinava e iniziava a parlare. Era strana, come se avesse paura delle persone, come se si fidasse solo di me, come se volesse solo la mia compagnia. Nessuno la conosceva.
La mattina al parco ne parlai nuovamente con Meriem.
– E quindi anche stanotte? – mi chiese Meriem.
– Sì Meriem, sì dannazione – risposi – io sto impazzendo.
– Ne hai parlato ai dottori?
– Una volta, Meriem.
– Cosa racconti a loro?
– Cosa racconto? La verità Meriem. Gli dico che ormai, appena mi vede sola mi viene a parlare e mi chiede, mi da consigli, ovunque io sia; basta che sono sola ed ecco che spunta lei. Non è che mi fa male, del resto. Mi parla solo, ma la sua presenza è angosciante, ogni volta mi rattrista, a volte piango.
– E cosa ti hanno detto i dottori? – chiese ancora Meriem.
– Niente – risposi - che mi capiscono. Dicono che io devo capire lei, che lei vuole solo parlare. La fanno facile i dottori, sono io che mi ritiro tutte le notti con lei. Che poi, se potessi dividere questo compito con qualcuno magari sarebbe più leggero, ma lei non vuol parlare con nessuno, solo con me! Guardala ora, è li ferma. Perché non viene a parlare con te Meriem, con noi?
– Ah no, non ci tengo, e poi nemmeno la conosco – disse e si allontanò.
Qui al parco lei mi guardava solo da lontano.
C’erano sempre persone, c’era il sole, gli alberi, il laghetto artificiale, si stava bene qui. Il parco mi teneva lontana da lei. La sera, tornata a casa, già sapevo di trovarla ferma, ad aspettarmi. Mi stesi sul letto, era tutto buio intorno; alzai le coperte fin sopra il mento. Avevo i piedi freddi, era fredda la notte, e il letto era scomodo, faceva rumore ogni volta che mi muovevo. Il cuscino era piccolo e freddo, dovevo tenere la testa ferma sempre allo stesso punto perché così si riscaldava. Le altre parti restavano fredde ma io non potevo toccarle.
– Pensavo che è molto tempo che non vedo tua figlia – mi disse.
– Laura è venuta il mese scorso qui a casa, a trovarmi – risposi.
– Sì, e quando torna? Non viene spesso, dovrebbe venirti a trovare più spesso, tu sei la mamma – continuò.
– Non lo so quando torna – risposi scocciata, non volevo parlare di Laura.
Mi mancava, avrei voluto vederla tutti i giorni, ma lei aveva la sua vita, i suoi figli. Come è bella Laura, pensavo. Ha i capelli ricci ricci biondi, gli occhi verdi come i miei. Quando viene a trovarmi è sempre elegante. Era la più bella della casa, più bella di tutte le cugine. Da ragazza aveva spasimanti in tutte le città, a scuola era la prima della classe; quanto mi manchi Laura.
– E i tuoi nipotini? Quando vengono sembra che non ti conoscono – mi disse.
– Non dire stupidaggini!! – risposi in modo irritato – i miei nipoti mi vogliono bene, mi salutano sempre, mi chiamano nonna. Sono piccini, ecco perché… Perché sono timidi, ma mi vogliono bene, me lo dice sempre Laura.
– Io penso che vengono solo perché Laura li costringe. Non ti abbracciano, mai un sorriso. Ecco… Penso che ti dovrebbero volere più bene – mi disse.
– Sarai contenta ora, tu mi fai del male così – risposi.
– Non voglio che tu pianga anche stanotte – riprese – penso che tu meriti di più, dopo tutti i sacrifici che hai fatto per Laura.
– Lo so – risposi piangendo, poi mi
addormentai.
Ormai la sua presenza era un fardello troppo pesante; mi opprimeva, limitava le mie capacità; era strano non sopportarla. Del resto era l’unica che mi faceva compagnia la notte, ma era una compagnia ambigua, misteriosa, triste. Non era di quelle compagnie allegre, che ti rendono meno difficile la vita. No! Lei peggiorava tutto, era come una malattia che non si può combattere. Sai di averla e ti rassegni, cerchi di conviverci, perché non puoi fare in modo diverso, e pian piano ti ci abitui. Ma cos’è l’abitudine? È sconfitta, rassegnazione, rinuncia. L’abitudine è una bastarda, ti fa adagiare sulle spine, ti fa versare lacrime fin quando il dolore sarà costante da non far più male, e allora inizierai a morire un po’.
Il giorno seguente, dopo aver mangiato come sempre fuori casa, mi avviai verso il bagno pubblico che si trovava nelle vicinanze.
Ero sola, ma di giorno lei difficilmente si faceva viva. Non so dove andasse, cosa facesse;