La borraccia di Enea: L'impronta archetipica nelle memorie di un reduce
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Anteprima del libro
La borraccia di Enea - Roberto Bertolini
La borraccia di Enea
L’impronta archetipica nelle memorie di un reduce
Roberto Bertolini
Copyright© Officine Editoriali 2015
Prima edizione ebook Gennaio 2015
Tutti i diritti riservati.
Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla legge sul diritto d’autore. Officine Editoriali declina ogni responsabilità per ogni utilizzo del file non previsto dalla legge. È vietata qualsiasi duplicazione del presente ebook.
ISBN 978-88-98041-47-3
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Ebook by: Officine Editoriali
Foto di copertina: Jacki Potorke
Elaborazione grafica copertina: Officine Editoriali
A Donatella e Greta
Sommario
Prefazione
La partenza
Il battesimo del fuoco
Artigliere ad Agrinio
Otto Settembre 1943
La buia notte di Stettino
Kleinmann!
Fuga da Bickenbach
Ketty e Sòstene
Viaggio di ritorno
Casa, mamma Iside, Dea
Bibliografia
Prefazione
Queste pagine raccontano del vissuto militare di un reduce, rivisitato con l’occhio sereno di un distacco temporale in grado di stemperare l’impatto angosciante della memoria.
L’idea del libro nasce dal terreno relazionale proprio di una piccola comunità agricola dove, per consolidata tradizione, il rapporto fra medico e paziente vive ancora di complicità spesso sconfinanti in amicizia.
Enea Sganzerla, originario di Bondanello, in provincia di Mantova, appartenente alla classe 1922, è stato mio paziente e amico.
Trascorse una giovinezza povera e umiliata dal marchio della condizione di figlio illegittimo, additata come infamante dall’ipocrisia dei tempi. Apprendista barbiere trasferitosi a Milano, fu chiamato alle armi nell’Autunno del 1942. Catturato in Grecia dai nazisti in seguito ai fatti dell’otto Settembre, conobbe l’orrore dei campi di concentramento in Polonia, la schiavitù del lavoro coatto in Germania e l’incubo della fine per inedia nel tormentato viaggio di ritorno.
Si ricongiunse alla sua famiglia, nella corte di Galvagnina, soltanto nella primavera del 1946, a un anno di distanza dalla cessazione della guerra. Sopravvisse alle precarie condizioni provocate dalla prolungata denutrizione grazie alla forte fibra e all’amore per la vita.
Sposatosi con Dea, donna che l’ha amato con devozione totale, ha vissuto a Gonzaga dedicandosi con felice intuito al mondo del commercio.
Il libro raccoglie, ricomponendone l’ordine cronologico, una serie estemporanea di aneddoti insinuatisi in momenti diversi fra le visite mediche. La rielaborazione letteraria enuclea dalla vicenda umana motivi archetipici di carattere universale che rappresentano per me, medico di famiglia appassionato di psicologia junghiana, oggetto d’interesse culturale specifico.
Gli archetipi sono modelli comportamentali innati che, agendo dalla dimensione inconscia, condizionano il nostro modo di sentire, pensare e fare. Il tessuto narrativo interseca il vissuto del protagonista con attinenti riferimenti mitologici, linguaggio simbolico della traccia archetipica che informa la matrice psichica collettiva dell’essere umano.
La stessa conoscenza di Enea e l’ascolto della sua storia mi hanno offerto l’occasione di osservare all’opera l’influenza di uno degli archetipi più complessi e interessanti, quello legato all’immagine della divinità greca Ermes. La dinamica personalità di Enea riflette i tratti distintivi della voce archetipica ermetica.
Nella mitologia greca Ermes è il messaggero degli dei, rappresentato con sandali alati e cappello da viaggio. Questa prerogativa presuppone fluidità della parola e spontaneità al rapporto con gli altri.
Enea, istrionico affabulatore, era dotato di una comunicativa cordiale e accattivante in grado di coinvolgere qualsiasi interlocutore rendendolo partecipe di eventi remoti nei luoghi e nel tempo.
Nelle vesti di psicopompo, Ermes era la guida delle anime nel mondo sotterraneo. Questa funzione, intesa in senso metaforico, allude alla capacità di guardare dentro le proprie profondità, di sviluppare un cammino interiore foriero di crescita personale.
La testimonianza storica di Enea, lucida e penetrante, si pregia sempre di un taglio introspettivo che denuda la sfaccettatura del riverbero intimo indotto dagli avvenimenti.
Ermes è anche considerato il protettore dei commercianti, ai quali dona agilità di mente e parlantina sciolta. Nel suo primo affare Ermes, bambino già simpaticamente etichettato come astuto imbroglione, barattò con il fratellastro Apollo la sua lira, in cambio di cinquanta giovenche.
Proprio all’attività del commercio Enea si è dedicato con successo nel dopoguerra.
È stato sorprendente costatare come l’infanzia di Enea riveli singolari coincidenze con il mito di Ermes, così com’è tramandato dall’inno omerico.
È difficile sfuggire all’impressione che eventi cruciali della vita degli uomini determinino a livello inconscio l’attivazione di specifici archetipi ai quali sono congiunti da misteriosi legami. Così i miti rivivono nelle storie degli uomini o forse gli uomini rivivono nei miti, perpetuandone l’immortalità.
Enea è venuto a mancare il 10 agosto 2014, spegnendosi dolcemente nel sonno, mentre il libro era in fase di revisione.
Roberto Bertolini
La partenza
Il lungo treno, col suo carico umano accatastato in perfetto ordine, percorreva pigramente i binari nella mattina umida e fosca. Un silenzio innaturale consentiva di ascoltare il ritmico tambureggiare delle rotaie percosse dal passaggio dei vagoni. All’interno un centinaio di giovani, equipaggiati da soldati, stavano in atteggiamento composto e controllato, quasi non avessero ancora sciolto le righe dell’adunata nel piazzale della caserma.
Mentre il treno si allontanava inesorabile dalla stazione, gli sguardi alti e fieri ai quali erano stati educati si dissiparono in un’espressione smarrita, come se la coscienza si capacitasse per la prima volta di una realtà smascherata. Le grida di acclamazione, i fiori e la fanfara che avevano salutato la loro partenza a porta Pradella erano ormai cartoline sbiadite, ricordi già lontani di un mondo perduto.
Erano venuti tutti, a porta Pradella: genitori, mogli, fidanzate. Avevano dato luogo a una grande festa, a un tripudio di suoni e colori, a un’ostentazione di gioia collettiva, quasi isterica.
Enea era rimasto sorpreso dall’assenza di urla di paura e disperazione, legittime manifestazioni di sentimenti che avrebbero potuto beneficiare di eccezionale tolleranza in un clima che pur annichiliva ogni forma di dissenso.
In mezzo all’assordante vortice di quella folla eccitata, era venuta in mente a Enea, senza alcun apparente nesso logico con i momenti che stava vivendo, la storia di Luciano, un suo amico d’infanzia.
Fin dall’adolescenza Luciano, figlio unico di una famiglia di mangiapreti, era avvezzo a sfogare il suo disprezzo, rabbioso e autentico, verso tutto ciò che riguardava in qualche modo la sfera della religione. Per un po’ di tempo nessuno lo aveva più visto in giro ed enorme era stato lo stupore del paese quando erano trapelati mormorii di un suo ingresso in seminario.
Il ricordo di Luciano aveva consentito a Enea di intuire come a volte l’uomo esasperi, quasi erigendo un estremo baluardo difensivo, comportamenti opposti a domande profonde che rifiuta di accettare.
Aveva allora capito come mai la madre non fosse venuta a salutare la sua partenza. Non era solo per la sua innata riservatezza, per la dichiarata idiosincrasia per le cerimonie, per la vergogna di presentarsi sola – lei, ragazza madre – a guastare l’ortodossia di coppie di genitori regolarmente sposati. Iside era sempre stata onesta, troppo onesta, anche con se stessa, per inebriarsi alle suggestioni ipnotiche dei cori festivi della propaganda. In qualche modo avrebbe potuto far intendere ciò che pensava, magari esternando qualche facile ironia rispetto a quei vagoni che, pur ripuliti e riordinati per l’occasione, rimanevano sempre carri bestiame adatti quindi a carne da macello e avrebbe finito per esporre sé e il figlio a qualche prevedibile guaio.
Mentre il treno procedeva, la mente di Enea ripercorreva le frenetiche immagini dei fatti successi nelle ore precedenti: la brusca sveglia all’alba nella caserma di Dosso del Corso, la celere adunata sul piazzale, la consegna dello zaino, dell’elmetto e del fucile. Era rimasto inquadrato, assieme ai suoi commilitoni, in attesa di quell’ultimo penoso appello che avrebbe sancito la sua destinazione.
Nell’alba nebbiosa di un fine Settembre dal sapore già autunnale, la voce del tenente