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Dove finisce il cielo
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E-book232 pagine3 ore

Dove finisce il cielo

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Info su questo ebook

Il racconto è la versione romanzata del “Caso Faccani”, una storia realmente accaduta a Comacchio (FE) nel 1912, che per la drammaticità degli eventi coinvolse a quel tempo l’intera opinione pubblica nazionale. A lungo se ne occupò la stampa, e sul fatto venne fatta pure una interpellanza parlamentare.
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2018
ISBN9788829510153
Dove finisce il cielo

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    Dove finisce il cielo - Luigi Bosi

    DIGITALI

    Intro

    Il racconto è la versione romanzata del Caso Faccani, una storia realmente accaduta a Comacchio (FE) nel 1912, che per la drammaticità degli eventi coinvolse a quel tempo l’intera opinione pubblica nazionale. A lungo se ne occupò la stampa, e sul fatto venne fatta pure una interpellanza parlamentare.

    Introduzione

    Il racconto è la versione romanzata del Caso Faccani, una storia realmente accaduta a Comacchio (FE) nel 1912, che per la drammaticità degli eventi coinvolse a quel tempo l’intera opinione pubblica nazionale. A lungo se ne occupò la stampa, e sul fatto venne fatta pure una interpellanza parlamentare.

    Il linciaggio di una giovane guardia valliva, Demetrio Faccani, detto Il Romagnolo, a opera dell’intera popolazione esasperata, a cui fecero seguito altri gravissimi fatti di sangue d’inaudita violenza, furono eventi che a quel tempo destarono sconcerto nell’intero Paese, anche se avvenuti in una cittadina sperduta in mezzo alle acque stagnanti della laguna, oppressa da una miseria e da una fame ataviche che certi accadimenti degli ultimi tempi avevano rese non più sopportabili.

    DOVE FINISCE IL CIELO

    PRIMA PARTE. Lo Sciopero

    1 .

    Con un’ultima spinta sui remi, la prua affilata dell’imbarcazione andò dritta a conficcarsi nel fango della riva. D’un balzo i due uomini furono a terra e, cercando di non far rumore, in tutta fretta recuperarono il sottile scafo e di peso gli fecero superare il dosso. Poi lo calarono in acqua dalla parte opposta della stretta lingua erbosa e vi salirono sopra, riprendendo subito a vogare.

    I due guardiani, in piedi sulla barca, con perfetta sincronia di movimenti spingevano con forza sui remi, nel freddo pungente del mattino. Le pale entravano nell’acqua nello stesso istante, senza schiaffeggiarla, sospingendo la leggera imbarcazione che nella nebbia piuttosto fitta della giornata invernale filava come il vento.

    Ogni tanto i due si fermavano e tendevano l’orecchio. Per un po’ non percepirono altro che i soliti rumori della valle, a loro del resto del tutto familiari. Qualche batter d’ali, il richiamo della folaga, il salto d’un cefalo fuori dall’acqua, nient’altro. Ma poi a un tratto avvertirono ben distinto uno sciabordio lontano e il bisbigliare di qualcuno che il vento per un attimo aveva portato nella loro direzione.

    Sono loro!... sussurrò il Comandante. Sono sul dosso del Mantello.

    Le due guardie si preoccuparono di sistemare gli schioppi a portata di mano, poi ripresero a vogare. Adesso procedevano adagio, con circospezione, diretti verso la lingua di terra da cui avevano udito provenire le voci. Ormai non dovevano essere lontani, anche se ancora non riuscivano a scorgere alcunché nella nebbia che nel frattempo s’era fatta più compatta.

    Erano ore che i due uomini davano la caccia a quell’imbarcazione. L’avevano scorta di lontano non appena aveva fatto giorno, quando per un breve istante la nebbia s’era diradata tradendo la presenza dell’altro velocipede [1] . I due sconosciuti a bordo della barca, resisi conto d’essere stati scoperti, s’erano messi a filare come anguille, tornando ben presto a scomparire nella nebbia.

    Le due guardie vallive non avevano perso tempo e subito s’erano buttate all’inseguimento, usando tutte le astuzie del mestiere. Avevano tagliato per le acque basse, facendo uso del paradèllo [2] quando non potevano affondare i remi, avevano saltato i dossi portando la barca sulla testa, s’erano appostati fra le canne nella speranza che l’altra barca gli passasse a tiro. Ma pareva che i due fuggitivi ne sapessero una più del diavolo, perché dopo diverse ore d’inseguimento ancora non c’era stato modo d’acciuffarli.

    Poi li avevano perduti del tutto. La barca dei guardiani ormai da più di un’ora scivolava sull’acqua senza una meta precisa, nella speranza soltanto di tornare a imbattersi in qualche indizio che consentisse loro di riprendere la caccia.

    A tratti i due uomini si fermavano e restavano in ascolto, cercando di captare qualsiasi segnale che rivelasse la presenza dell’altra imbarcazione. Ma sembrava proprio che il misterioso velocipede si fosse volatilizzato, che fosse scomparso in quel mondo senza confini fatto di nebbia e d’acque stagnanti, che in certi momenti parevano fondersi fra loro.

    Eppure i due fuggiaschi non potevano essere lontani. Certamente doveva trattarsi di persone esperte, del mestiere, di due fiocinìni [3] di prim’ordine se erano riusciti a far perdere le loro tracce a una vecchia volpe come il comandante Ferrari, che faceva la guardia valliva da più di quindici anni ed era abituato a scovare pescatori di frodo anche all’inferno. Il giovane Demetrio guardava con ammirazione le spalle asciutte e muscolose del suo compagno più anziano, che già da molte ore remava in piedi davanti a lui senza dare alcun segno di stanchezza.

    Demetrio Faccani, detto «Il Romagnolo», era grato al suo superiore che fin dal primo giorno l’aveva voluto in barca con lui, a fare coppia fissa. Perché dal comandante Giuseppe Ferrari c’era molto da imparare, il ragazzo lo sapeva bene. Anche adesso lo guardava con ammirazione mentre, tutto proteso nella ricerca d’un qualsiasi indizio, pareva a tratti farsi un tutt’uno con il mondo che lo circondava, farsi acqua o farsi nebbia a seconda degl’impercettibili segnali che solo lui a tratti riusciva a captare.

    Fra i due uomini non occorrevano tante parole per intendersi. Non era da molto tempo che il vecchio e il ragazzo lavoravano assieme, appena da qualche settimana, da quando Demetrio era stato assunto in prova all’Azienda Valli come guardia aggiunta, eppure i due andavano d’accordo come se avessero fatto coppia da una vita intera.

    Fra l’anziano comandante e il giovane apprendista s’era subito stabilito un solido rapporto, fatto da un lato da una sincera ammirazione e dalla consapevolezza che quell’uomo taciturno e riservato, a volte anche scontroso, poteva essere per lui un ottimo maestro, e dall’altro da un’immediata simpatia del vecchio per quel giovanotto rispettoso e pieno di buona volontà.

    I due nel frattempo continuavano con ostinazione a cercare qualche segnale che li rimettesse sulle tracce dei pescatori di frodo. Ma per il momento sembrava che la fortuna li avesse abbandonati.

    Il vecchio restava immobile a prua, in ascolto. Ogni tanto, senza voltarsi, con impercettibili movimenti del gomito faceva segno al compagno d’avanzare. I remi allora affondavano con una tale delicata precisione, che la barca si spostava senza fare il minimo rumore, come fosse un fantasma che si muoveva sull’acqua.

    Poi finalmente c’era stato il segno che da tanto tempo i due andavano cercando. Avanti a loro, sulla destra, a non più d’un centinaio di metri di distanza, s’era udito nella nebbia il rumore d’un batter d’ali, d’un branco di germani che spiccava il volo. Non poteva trattarsi che dei fuggiaschi che finalmente s’erano traditi, per cui le due guardie avevano subito ripreso l’inseguimento, tornando a remare con foga in quella direzione.

    Nello stesso istante s’era udito lo sciabordio dell’altra barca, il cui equipaggio, resosi conto d’essere stato scoperto, aveva abbandonato ogni precauzione e a sua volta s’era messo a darci dentro con i remi per non farsi raggiungere.

    Era durato ancora a lungo l’inseguimento, con momenti in cui le due barche tornavano a perdersi nella nebbia, e altri in cui si ritrovavano e riprendevano a rincorrersi. Finché i due guardiani non avevano udito le parole portate dal vento, come se gli altri stessero parlando a voce bassa fra di loro, o con qualcuno. Allora avevano capito che gli sconosciuti dovevano aver preso terra sul dosso del Mantello.

    Sono là!... sussurrò il Ferrari, ed entrambe le guardie prepararono gli schioppi.

    S’avvicinarono al dosso con la massima cautela, stando ben attenti a non far rumore. Alla fine pure loro presero terra, un poco più avanti da dove provenivano le voci, e subito iniziarono ad avanzare con le doppiette cariche e i cani rialzati.

    A differenza del Ferrari, i cui piedi erano ben protetti in un comodo paio di stivali di cuoio, alti e stretti al polpaccio, gli scarponi del ragazzo erano piuttosto malandati, e le suole di legno lasciavano entrare acqua da ogni parte tutte le volte che affondavano negli acquitrini in prossimità della riva. I due avanzavano con cautela, tenendosi al riparo delle tamerici che la galaverna aveva trasformato in fantastici candelabri di cristallo.

    Muovendosi fra i cespugli, le due guardie finalmente riuscirono a scorgere i pescatori di frodo ai quali per tutta la mattinata avevano dato la caccia. Benché quella non fosse la prima volta che si trovava impegnato in un’azione vera e propria, il giovane Faccani sentiva il cuore dentro il petto che gli batteva all’impazzata. Non per la paura, si rese conto, ma per la forte eccitazione che quella situazione gli procurava. Senza eccessiva sorpresa, le guardie ben presto si resero conto che assieme ai due della barca adesso c’era una terza persona.

    Ancora non riuscivano a distinguerne i volti, nascosti in parte com’erano dalle canne e dall’erba alta, però udivano con chiarezza il loro parlottare animato, seppure sottovoce, come se i tre stessero contrattando. Poi fra i cespugli videro che i due compari passavano al terzo uomo un paio di sacchi pieni per metà. A questo punto il comandante Ferrari non ebbe esitazioni. Scambiò un impercettibile cenno d’intesa con Demetrio, e subito i due uscirono allo scoperto con i fucili spianati.

    Alto là! Fermi tutti e mani in alto!... intimò il Ferrari, sbucando alle spalle dei due.

    Ci fu un momento di grande confusione. Invece d’ubbidire come gli altri, il terzo uomo senza un attimo d’esitazione afferrò una rete che aveva a portata di mano e la lanciò in direzione della guardia. Nello stesso tempo se la diede a gambe, sparendo in un baleno fra l’alta vegetazione e fra i sambuchi. Il Faccani da parte sua non esitò un solo istante a imbracciare il fucile e, senza neppure prendere la mira, fece fuoco sul fuggitivo, mancandolo di poco.

    Ma cosa state facendo, siete impazziti?... Non sparate, per l’amor di Dio. Non vedete che siamo noi?

    Non appena il Ferrari si fu districato dalla rete, poté finalmente guardare in faccia i due che, per la sorpresa e lo spavento, erano rimasti inchiodati sul posto anche dopo che il loro compare se l’era data a gambe. Ma a quella vista il vecchio comandante ebbe un tuffo al cuore.

    «Vilàn»... «Mignìn»... ma siete proprio voi? Ma come, non è possibile!

    Le guardie ora guardavano increduli i due uomini che s’erano ritrovati davanti. La loro comprensibile sorpresa derivava dal fatto che i ladri di pesce, ai quali per tante ore avevano dato la caccia nella nebbia con la convinzione che si trattasse d’astuti fiocinìni, in realtà non erano altro che colleghi, due guardie vallive come loro.

    Tomaso Samaritani, detto «Al Vilàn» perché nativo della Fontana, e Scarletti Nazzareno, che tutti chiamavano «Mignìn», erano due giovani guardie assunte in Azienda da poco più d’un anno, le quali fino a quel momento avevano sempre fatto il loro dovere fino in fondo e s’erano comportati come si doveva.

    Lo stupore del Ferrari e del Faccani nel ritrovarsi davanti i volti ben noti dei due compagni di lavoro, aveva fatto perdere loro l’opportunità di gettarsi all’inseguimento del terzo lestofante, che così aveva avuto modo di darsela a gambe senza che fossero neppure riusciti a identificarlo. In compenso i due sacchi pieni per metà erano stati abbandonati in mezzo all’erba alta, dove adesso sembravano muoversi da soli.

    Scommetto che sono pieni d’anguille, quei due sacchi disse il Faccani, guardando dritto negli occhi i colleghi che ancora tenevano le mani sollevate.

    Ma cosa avete capito, voi due! Cosa vi passa per la mente... cominciò a dire «Al Vilàn», che dei due sembrava quello che si fosse ripreso più alla svelta. Dall’animosità del suo tono di voce, non pareva affatto disposto a farsi mettere nel sacco. Era evidente che era lui il capo. Mica siamo ladri di pesce, noi due. Cosa vi salta in mente! Siamo guardie come voi.

    E intanto aveva abbassato le mani.

    Il Ferrari nel frattempo aveva aperto i due sacchi per guardarci dentro e non aveva potuto trattenere un fischio di compiacimento, perché in ciascuno di essi aveva trovato non meno d’una trentina di chili d’anguille di prima qualità, tutti miglioramenti [4] pescati la notte prima. Il giovane Faccani intanto, ancora con la doppietta spianata, continuava a tenere a bada i due colleghi.

    Sì, belle guardie che siete voi! Ve l’intendete con i ladri di pesce, altro che storie. E tieni su le mani, tu, che nessuno t’ha detto d’abbassarle!

    L’unico che ancora non aveva aperto bocca era il povero «Mignìn» il quale, pallido come un morto, aveva preso a tremare che faceva compassione. «Al Vilàn» invece pareva che, nonostante l’evidenza, non avesse nessuna intenzione di darsi per vinto e, sempre più infervorandosi, insisteva nella sua improvvisata autodifesa.

    "Vi siete sbagliati di grosso, voi due. Noi non siamo ladri. Siamo guardie come voi, siamo vostri colleghi, non dimenticatevelo. Abbiamo sorpreso quel fiocinino che pescava di frodo e l’abbiamo fermato per confiscargli il pesce. Ma poi siete arrivati voi, e ce l’avete fatto scappare. È questo che stavamo facendo, il nostro dovere, niente di più e niente di meno!"

    Sì, andate a raccontarlo a qualcun altro! tagliò corto Demetrio che cominciava a perdere la pazienza. La sua onestà e il suo innato senso del dovere facevano sì che quella incresciosa situazione in cui s’era imbattuto lo facesse andare in bestia, molto di più che se avessero sorpreso due ladri di mestiere.

    Voi stavate vendendo anguille rubate, altro che storie. Eravate d’accordo con quell’altro mascalzone che è scappato, non ci sono dubbi!

    "Ma tu sei matto! Quest’idea è soltanto una tua invenzione! E poi cosa vuoi saperne tu, che sei nel mestiere da neppure un mese. Abbiamo sorpreso un fiocinino e gli abbiamo confiscato il pesce, ma voi due siete intervenuti nel momento meno adatto e ce l’avete fatto scappare. E per farla completa adesso venite pure a darci del ladro! Diglielo tu «Mignìn», che le cose sono andate proprio in questo modo" concluse «Al Vilàn» rivolto al compagno che, sempre più tremebondo e frastornato, s’affrettò a confermare la versione del collega, anche se con ben poca convinzione.

    "Allora, se le cose stanno come dite voi, perché non ci fate il nome del fiocinìno, che lo andiamo a prendere a casa e glielo facciamo confermare". Il ragionamento del Faccani non faceva una piega, e per la prima volta la tracotanza del Samaritani parve venir meno.

    Mah, a dire la verità non siamo riusciti a riconoscerlo. Forse era uno che veniva da fuori, uno non di queste parti. Sono sicuro che non lo avevamo mai visto prima.

    La semplice richiesta di Demetrio aveva messo in difficoltà «Al Vilàn», che s’era trovato costretto a dare quell’improbabile risposta. Perché era risaputo che loro guardie vallive i fiocinìni li conoscevano bene tutti quanti, uno per uno.

    A questo punto intervenne il Ferrari. Fino a quel momento s’era tenuto in disparte pensieroso, evitando di partecipare all’animata discussione. Era amareggiato, e anche molto preoccupato. Il suo dovere adesso era quello di fare rapporto, non c’era alcun dubbio. Eppure si trattava di colleghi, di due suoi subalterni, e nemmeno dei peggiori, che lui conosceva bene fin da quando erano ragazzi, così come conosceva le famiglie. Ben difficilmente quei due se la sarebbero potuta cavare senza serie conseguenze, eppure lui a questo punto non poteva farci niente.

    Adesso basta con tutte queste discussioni. Si torna a Comacchio, dove ognuno avrà modo di raccontare la sua storia. Voi due, dateci i fucili che li teniamo in consegna noi, e poi caricate sulla vostra barca i sacchi con le anguille.

    Il Ferrari prese dalle mani dei due guardiani disonesti le doppiette scariche e le depose sul fondo della sua barca. Poi attese che salissero a bordo e che s’avviassero in direzione di Comacchio.

    A questo punto fece segno al compagno, e a loro volta montarono in barca, mettendosi a seguire da vicino gli altri due. Davanti a loro s’udivano distintamente i singhiozzi del povero Nazzareno Scarletti che, mentre remava alle spalle del compagno, non smetteva un solo istante di piagnucolare.

    2.

    Il maestro Luigi Tomasi, direttore didattico e capo indiscusso dell’ala riformista del partito socialista comacchiese, per sua natura non era abituato a fare le cose in fretta, né tanto meno a camminare svelto. Ma quella sera procedeva a passo spedito verso la sede della Lega, da dove l’avevano mandato a chiamare con urgenza. Erano andati a cercarlo al caffè, dove come suo solito a quell’ora si trovava, per avvertirlo che era stata indetta una riunione straordinaria e che facesse più in fretta che poteva.

    L’uomo passò davanti al Municipio e alla Loggia del Grano, quindi svoltò a sinistra e quasi di corsa prese a costeggiare il canale di San Pietro. Quando arrivò, il brav’uomo era trafelato e sudava vistosamente.

    Chiamare sede di partito quella casupola lunga e stretta, a un solo piano, poteva sembrare senz’altro un eufemismo, eppure in quelle poche stanze disadorne e dal soffitto basso trovava ospitalità non solo la direzione del Partito Socialista, ma anche l’ufficio dove aveva sede la neonata Lega Operaia di Miglioramento che del primo era stata la naturale creatura.

    Fuori dalla porta, in prossimità del canale, alcuni amici lo aspettavano e, non appena videro arrivare il loro capo, gli si strinsero attorno.

    Cos’è successo? Perché tutta questa fretta? s’informò il maestro, prima d’entrare.

    "Vogliono sospendere «Al Vilàn» e «Mignìn». Li hanno sorpresi a pescare di frodo. Si sono fatti prendere con le mani nel sacco, quei due, come dei pivelli. Sono stati il comandante e il «Romagnolo» a fare l’ appostamento [5]". C’era molta animazione in tutti quanti perché, raccontata così, in due parole, quella sembrava una gran brutta faccenda.

    Quando entrarono, l’angusta stanza dove di solito si tenevano le riunioni era già stracolma di compagni di partito. Nella confusione il maestro cercò Aldo Ferroni, il suo numero due, e andò a sedersi accanto a lui.

    Allora, hai sentito che brutta storia? lo apostrofò l’amico.

    "Sì, non piace per niente neanche a me. Proprio in un momento come questo doveva capitarci una tegola del genere sulla testa, con tutti i cani arrabbiati che

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