M'ZAB: Un sogno di vita e di architettura
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Info su questo ebook
Per un migliaio d’anni, nelle oasi dello M’Zab non c’è stata quella che noi chiamiamo “evoluzione degli stili artistici”. Gli edifici e le altre costruzioni – come gli sbarramenti che ritengono le acque per l’irrigazione – esprimono la stessa risposta essenziale ai bisogni di base, senza mutamenti nelle proprie forme. È stata questa la scoperta fatta, nel nostro secolo, da un grande architetto come Le Corbusier, l’essenzialità in modo spontaneo e quasi naturale, senza cercare di di stupire con grandiosità o con decorazioni fastose. È questa la grandezza dell’architettura mozabita.
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Anteprima del libro
M'ZAB - Alberto Arecchi
Alberto Arecchi
M’ZAB
UN SOGNO DI VITA E DI ARCHITETTURA
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Elison Publishing
elisonpublishing@hotmail.com
ISBN 9788869630934
Indice
L’autore
Premessa
Un giorno intorno all’anno Mille
La storia degli Ibaditi
La pentapoli mozabita
La lingua berbera
Tradizioni femminili
Demografia
Clima e urbanistica
La vita quotidiana
Il tessuto urbano
Materiali da costruzione
Tecniche costruttive
Strutture orizzontali
Dimensioni
Le case
Le moschee
I cimiteri
Il cambiamento e l’impatto con l’architettura moderna
La situazione attuale
Visita alla pentapoli
Altri insediamenti mozabiti
Glossario
Bibliografia
L’autore
Alberto Arecchi (Messina, 1947), architetto, è stato professore di Disegno, Storia dell’Arte, Tecnologia e Costruzioni. Ha avuto una lunga esperienza professionale in progetti di cooperazione allo sviluppo, in diversi Paesi africani (dal 1975 al 1995), come professore e come esperto di tecnologie appropriate per la pianificazione dell’habitat. In particolare, ha insegnato ad Algeri, all’EPAU (École Polytechnique d’Architecture et d’Urbanisme), dal 1979 al 1981. È ritornato altre volte in Algeria, successivamente, sino al 1990.
L’architetto Arecchi è presidente dell’Associazione culturale Liutprand, di Pavia, che pubblica studi di storia e tradizioni locali, senza trascurare i rapporti inter-culturali (sito internet: www.liutprand.it).
Premessa
Ho conosciuto la Valle dello M’Zab negli ultimi giorni del 1978. Ero da poco arrivato in Algeria, dove avrei insegnato per quasi tre anni presso l’Ecole Polytechnique d’Architecture et d’Urbanisme d’Algeri. Nel periodo delle vacanze di fine anno, con un gruppo di amici e colleghi, ci recammo nel deserto per visitare Ghardaia e la valle dello M’Zab, poi El Goléa ed il grande ksar d’el Menia, abbandonato, ricco di tracce archeologiche e delle memorie di Charles de Foucauld, sino a raggiungere l’antico lago disseccato di Timimoun, nella vallata della Saoura, con gli antichi sistemi d’irrigazione scavati in profondità e con il circuito di villaggi di terra rossa, un tempo abitati da pescatori, ed oggi da contadini di pelle nera.
Ho scoperto in quella circostanza la meravigliosa sinfonia di accordi che i Mozabiti erano riusciti a realizzare nelle loro città, la modulazione di spazi e di materiali in un equilibrio spesso instabile e precario, ma sempre molto meditato, che fanno della pentàpoli dello M’Zab
un capolavoro d’interesse universale. Su quelle moschee e quei mausolei di santi, su quelle tombe e quei minareti che ergevano le loro cuspidi verso il cielo come capezzoli o come bianche dita, ma soprattutto su quelle case di architettura spontanea colta
, in cui nessuno spazio era superfluo, aleggiava anche il ricordo e il mito di Le Corbusier (1887-1965), che negli anni Trenta apprese certamente molto dall’esperienza architettonica dello M’Zab,{1} per la sua architettura a misura d’uomo
… pur mentre si occupava di pianificare la grande Algeri
con enormi palazzi di quindici piani, e con le autostrade che correvano sui tetti.
Ho imparato ad amare le fresche nottate nel palmeto, scandite dai fruscii di piccoli animali che si muovono nell’oscurità e dall’improvviso ragliare degli asini, a distanza, da qualche parte nell’oasi. A gustare il tè alla menta sotto l’ombra di un telone, che protegge dal bruciore accecante del sole meridiano. A rimanere per ore ad ascoltare i discorsi teologici di qualche vecchio saggio, presso le moschee-mausolei dei cimiteri, mentre il sole va calando dietro i bordi del deserto.
Da allora, sono ritornato spesso nello M’Zab, a trascorrere giorni di riposo sereni e rinfrancanti dal nervosismo isterico della grande Algeri, nel mirabile equilibrio tra uomo e natura (e terra e cielo) che in quei luoghi si percepisce quasi ad ogni passo, in ogni immagine, nelle città come nelle oasi, in ogni volto, sereno e al tempo stesso serio e profondo, della gente che vi s’incontra.
Quante volte sono partito la sera del mercoledì per andare a trascorrere il week-end a Ghardaia…{2} Viaggiavo in auto per tutta la notte, oltrepassavo la montagna, dove – sul passo – si allineavano le gargotes{3} sempre aperte, dove al lume di lampade a petrolio si servivano mechoui e leben (petit-lait){4} ai camionisti e agli altri viaggiatori. Dopo otto ore di viaggio notturno, correvo a sfidare i primi raggi del sole che andava sorgendo sul deserto, per immergermi nelle ombre della vallata prima che esse fossero diradate dalle luci e dai rumori del mattino… sembrava, per un breve momento di poche decine di minuti, di riguadagnare la notte che si era persa alla guida…
Altre volte andavo alla stazione degli autobus, vicino al porto di Algeri, e salivo su un mezzo pubblico che mi portava a destinazione, seduto tra Mozabiti ed altri viaggiatori, in una simile corsa attraverso la notte desertica, che però mi consentiva di far correre i pensieri più a mio piacimento, di lanciare lo sguardo ai lati del percorso, e anche di chiudere gli occhi… Raramente mi sono affidato alle linee aeree, perché non si sapeva mai veramente se Air Algérie sarebbe partita al giorno e all’ora fissata, né – soprattutto – se sarebbe atterrata a Ghardaia o altrove, per qualche motivo di forza maggiore
, certo, ma ugualmente sgradevole dei motivi di forza minore
…
Ho visto, negli anni, la valle dello M’Zab che si trasformava, le nuove costruzioni che alteravano un paesaggio fatto di pietre colore ocra, che sembravano modellate e smussate dai secoli, per inserirvi spigoli taglienti del cemento armato e grandi loggiati bianco-azzurrini, allineati lungo i fronti delle vie. In quegli anni l’acqua corrente nelle case e nei giardini, che consentiva agli abitanti il salto nella modernità
, provocò tuttavia l’abbandono dei sistemi tradizionali d’irrigazione e gravi problemi edilizi ed ambientali, con le infiltrazioni di umidità nel sottosuolo e con l’inquinamento del wed M’Zab, trasformato in un grande collettore fognario. Ho conosciuto le difficoltà dei colleghi che, nell’Atelier du M’Zab, dovevano mediare le giuste esigenze degli abitanti, per il rinnovamento del patrimonio edilizio, con i dettami imposti dalla conservazione del patrimonio culturale.
Ho trascorso a Ghardaia un altro capodanno, quello del 1990, un momento denso d’incognite per il destino dell’Algeria, in cui sembrava di presagire la crudele guerra civile che avrebbe funestato il Paese per oltre dieci anni. Non solo la vita dell’intero popolo algerino era minacciata da oscure e pesanti incognite, ma l’integralismo islamico esprimeva anche impulsi estremisti che volevano, qui nello M’Zab, distruggere le antiche tombe dei santi, quali espressioni di una religiosità superstiziosa
, e quindi da condannarsi. Ciò che era riuscito a salvarsi dalla modernizzazione, rischiava di abbattuto in nome del tradizionalismo (e proprio nel luogo in cui una tradizione millenaria aveva creato quei monumenti).
In quella circostanza, ho partecipato alla realizzazione di una presentazione video che poi è stata utilizzata per la televisione pubblica, in Italia. Nel nostro Paese, in effetti, le architetture mozabite sono ben poco conosciute, mentre in Francia studiosi e viaggiatori attenti le considerano una meta importante di viaggi culturali. Gli Italiani, in generale, non hanno coltivato l’abitudine di viaggiare in Algeria e la conoscono ben poco.
La situazione locale – politica e sociale – non ha fatto che peggiorare, nel corso degli ultimi anni, a causa dell’instabilità che ha funestato quella splendida terra, con i suoi abitanti, e ha reso sconsigliabile l’accesso a turisti e viaggiatori.
Mappa d’insieme della Vallata dello M’Zab.
Un giorno intorno all’anno Mille
Era l’anno 1011 o 1012 della nostra era (402 Hegira). La capitale berbera di Isedraten, in un’oasi del Sahara algerino, a breve distanza dall’attuale Wargla, era attaccata dagli Arabi d’El Mansùr,