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Il destino di un guerriero
Di Matteo Pesce
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Info su questo ebook
Giappone, epoca degli Stati combattenti.
Il Paese è lacerato da guerre incessanti causate dalle lotte tra i daimyo, signori feudali disposti a tutto pur di raggiungere il potere, con drammatiche conseguenze per le masse contadine costrette a subire la legge del più forte.
In tale contesto si svolge la storia di Iori, un ragazzo di umili origini che ha abbandonato il villaggio di Nakamura per diventare un guerriero, opponendosi in questo modo alla volontà del padre.
Tuttavia, dopo aver scoperto che il villaggio è stato incendiato e gli abitanti uccisi, compreso suo padre, rinuncia per sempre al proposito di servire come samurai presso qualche daimyo. È stato proprio uno di loro, Hata Shigeharu, a ordinare il massacro.
Da questo momento l’unica ragione di vita di Iori sarà quella di vendicarsi e di liberare i contadini dal regime oppressivo del tiranno sanguinario che gli ha sconvolto l’esistenza.
Il Paese è lacerato da guerre incessanti causate dalle lotte tra i daimyo, signori feudali disposti a tutto pur di raggiungere il potere, con drammatiche conseguenze per le masse contadine costrette a subire la legge del più forte.
In tale contesto si svolge la storia di Iori, un ragazzo di umili origini che ha abbandonato il villaggio di Nakamura per diventare un guerriero, opponendosi in questo modo alla volontà del padre.
Tuttavia, dopo aver scoperto che il villaggio è stato incendiato e gli abitanti uccisi, compreso suo padre, rinuncia per sempre al proposito di servire come samurai presso qualche daimyo. È stato proprio uno di loro, Hata Shigeharu, a ordinare il massacro.
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Anteprima del libro
Il destino di un guerriero - Matteo Pesce
circonda.
NOTA PER IL LETTORE
In questo libro i nomi giapponesi, se completi, appaiono nell’ordine tradizionale, con il cognome che precede il nome. Le persone di umili origini spesso non avevano cognome.
Per semplificare, non è stata mantenuta l’accentuazione delle vocali lunghe e brevi dei termini giapponesi.
Le province del Giappone tra il XV e il XVI secolo
Prologo
«Buoni amici e bravi maestri
non li devi mai abbandonare.
Ricchezze e onori sono come un sogno,
ma le buone parole mandano sempre profumo».
Daigu Ryokan, Poesie
L’alba.
Sin da bambino mi ha sempre affascinato vedere il cielo imbiancarsi quando il sole si appresta a spuntare all’orizzonte. E anche ora, vecchio e curvo per il peso degli anni, non posso fare a meno di contemplare con meraviglia la luce che inizia a diffondersi, annunciando il nascere del giorno. Il tempo che mi rimane è sempre meno, ma non voglio dare sfogo alle solite, tediose lamentele dei vecchi. Il mio scopo è un altro.
È giunto il momento che le mie dita percorrano senza indugio i sentieri della memoria per raccontare uno dei periodi più travagliati della storia del Giappone, quello chiamato Sengoku jidai, l’età degli Stati combattenti, che vide entrare in lotta le famiglie dei daimyo, signori feudali disposti a tutto pur di raggiungere il potere. In questa faida emersero tre uomini che, col passare del tempo, portarono a compimento la riunificazione di un Paese lacerato e in preda all’anarchia. Sono nomi entrati nella storia: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Personalità molto diverse, come illustra con chiarezza questo aneddoto.
Un giorno i tre dovettero confrontarsi con un uccello in gabbia che si rifiutava di cantare, ciascuno di loro lo fece seguendo le doti e le attitudini personali. Nobunaga disse: «Lo farò cantare»; Hideyoshi: «Lo ucciderò se non canta»; Ieyasu, invece: «Aspetterò finché non lo farà».
Fu proprio quest’ultimo, il più abile e sagace dei tre, che completò il processo di riunificazione del Paese, iniziato da Nobunaga e proseguito da Hideyoshi.
Tuttavia non ho intenzione di soffermarmi sulle imprese di questi grandi uomini, già ampiamente trattate dalle cronache. Ci sono invece storie di cui nessuno parlerà mai, perché i protagonisti furono uomini e donne comuni, appartenenti alla massa dei contadini che dovettero subire per molto, troppo tempo, le angherie di chi deteneva il potere.
La vicenda che voglio narrare riguarda un giovane di umili origini, la cui vita non sarebbe più stata la stessa, sconvolta da ciò che il destino aveva in serbo per lui.
Il suo nome era Iori.
Capitolo Primo
L’amo, ricavato dal guscio di una lumaca di mare, s’immerse nell’acqua, disegnando una serie di cerchi concentrici che incresparono la superficie dello stagno. Il riflesso del volto di Iori risultò distorto e tremolante, riproducendo alla perfezione il suo stato d’animo. Poco prima dell’alba aveva lasciato il villaggio di Nakamura, nella provincia di Owari, dov’era nato e cresciuto, deciso a iniziare una nuova vita. La scelta era maturata da tempo, tuttavia, a mano a mano che si allontanava, il passato tornava a occupare i suoi pensieri, riempiendolo di dubbi e di rimorsi.
Lo tormentavano le parole del padre, quasi una sentenza: «Iori, ricordati che la nostra famiglia è legata da generazioni alla terra e al riso che produce, questo è il nostro destino. Non c’è spazio per altro, tantomeno per le tue fantasie di diventare un grande samurai. Ti farai del male se continuerai a vivere nel mondo dei sogni, lascia perdere una volta per tutte questa pericolosa illusione».
Il padre aveva torto, Iori ne era sicuro. In passato era già accaduto che un giovane di bassi natali riuscisse a percorrere, uno dopo l’altro, i gradini della scalata al potere. Come non pensare a Toyotomi Hideyoshi? Non era nessuno, eppure con pazienza e abnegazione ce l’aveva fatta. Si raccontava che, per rendersi benemerito agli occhi di Oda Nobunaga - il suo signore - d’inverno gli tenesse i sandali dentro la camicia per scaldarli, dimostrando in tal modo la sua fedeltà. Iori non pretendeva di ripercorrere la carriera di Hideyoshi, ma era pronto a ogni sacrificio pur di evitare il destino che al padre pareva ineluttabile.
Con il passare degli anni tra i due si era formato un solco sempre più profondo, per certi versi inevitabile, considerando l’appartenenza a generazioni diverse.
Iori si trovava nel pieno dell’adolescenza, una fase della vita che spinge al cambiamento e che, progressivamente, costringe l’individuo a misurarsi con la sfida di governare la tensione costante tra i due estremi della continuità e della rottura. Iori era orientato alle novità e si sentiva pronto ad accettare l’ignoto, mentre il padre, mosso da un sentimento opposto, tendeva alla conservazione dell’esistente. La morte della madre aveva costituito un grave contraccolpo per l’equilibrio dei rapporti tra padre e figlio, allontanandoli sempre di più.
«Non ho intenzione di trascorrere il resto della mia vita nelle risaie, con i piedi imprigionati nel fango, sempre chinato a piantare e a raccogliere, un giorno dopo l’altro. No, sono sicuro che c’è qualcosa di grande che mi attende e non posso più aspettare!», esclamò il giovane alzandosi di scatto e gettando a terra con rabbia la sua canna di bambù.
Tuttavia una parte di lui era ancora legata a Nakamura, ai doveri verso la famiglia rimasta nel villaggio natale. Iori pensava soprattutto ai gemelli, suo fratello Kenshin e sua sorella Asako. Li aveva lasciati nella capanna avvolti nel sonno e teneramente abbracciati. Prendersi cura di loro era una delle principali responsabilità che il padre gli aveva affidato, e ciò acuiva il suo senso di colpa. Ma ormai non poteva tornare indietro, tra la continuità e la rottura, aveva scelto quest’ultima.
«Forza, devo riprendere il cammino e vedere cosa mi riserva il futuro», si disse per farsi coraggio e per resistere all’impulso di tornare sui suoi passi, ma il richiamo del passato fu più forte e volse il capo in direzione del villaggio. Quello che vide sconvolse il piano originario: fumo. Colonne di fumo. Segni inequivocabili di un incendio. Iori, in preda all’affanno, afferrò la spada di legno che aveva intagliato di nascosto da suo padre, la infilò nella cintura e iniziò una corsa a perdifiato verso Nakamura. Sopra di lui un cielo plumbeo, in cui risuonavano cupi rimbombi di tuono, contribuiva ad accrescere un insopportabile senso di oppressione per ciò che stava succedendo.
Dopo un paio d’ore, piegato in due dalla fatica, Iori raggiunse i dintorni del villaggio in fiamme. Superò di slancio il diroccato muro di cinta e si avvicinò alle prime tre case, distanziate dalle altre, in cui si trovava il vecchio mulino.
Forse è caduto un fulmine, oppure sono state le scintille di un braciere ad appiccare il fuoco
, pensò il ragazzo, cercando di darsi una spiegazione.
Con la vista offuscata dal fumo, mosse alcuni passi verso il centro del villaggio, ma qualcosa ostacolò il suo cammino, facendolo inciampare.
«Ma cos’è stato? Oh, no, no…», balbettò in preda alla paura, accorgendosi che davanti a lui giaceva il corpo senza vita di un uomo.
Subito pensò che fosse morto a causa dell’incendio, ma un particolare rivelò la verità: la schiena della vittima era trafitta da una lunga lancia. Quindi l’incendio non era accidentale, ma era l’opera spietata di una mano umana, come scoprì Iori una volta rialzatosi e addentrandosi tra le abitazioni. Ovunque volgesse lo sguardo, scorgeva capanne avvolte dalle fiamme e cadaveri sparsi qua e là. Alcuni galleggiavano semisommersi nelle risaie, colpiti da lance o frecce.
Chi aveva compiuto quel massacro? E perché?
Nella mente del ragazzo affiorarono ricordi di conversazioni carpite tra suo padre - capo del villaggio - e gli altri anziani. Negli ultimi tempi i raccolti erano stati magri e si parlava del rischio di carestia. Non c’era riso sufficiente per sfamare gli abitanti e per pagare le tasse al signore del luogo. Molti si chiedevano angosciati se Hata Shigeharu avrebbe mostrato comprensione per le gravi difficoltà che stava attraversando il villaggio di Nakamura, permettendo ai contadini di conservare il frutto del raccolto e rinunciando alle sue pretese. Visto l’accaduto, era evidente quale fosse stata la risposta del potente daimyo.
Iori, sconvolto e in preda a conati di vomito, giunse davanti a quello che rimaneva della sua casa, ridotta a un ammasso di detriti fumanti.
«Asako! Kenshin! Papà! Dove siete?», urlò a più riprese con tutto il fiato che aveva in corpo. Nessuna risposta. Udì solo il crepitare delle fiamme e il rombo dei tuoni che annunciava l’arrivo di un temporale.
Il ragazzo cadde in ginocchio, svuotato di ogni energia, tenendosi la testa tra le mani in preda alla disperazione. Un’improvvisa folata di vento allontanò la colonna di fumo che si alzava dalla capanna, permettendogli di vedere la collina che dominava il villaggio. C’era qualcosa sulla cima, una struttura che non aveva mai notato prima.
Spinto dalla curiosità e da un inquietante presentimento, si rialzò a fatica e iniziò a inerpicarsi lungo il colle, mentre la pioggia cominciava a cadere.
A mano a mano che si avvicinava, comprese che si trattava di alcune assi disposte a croce. Giunto a pochi passi, si accorse che ai tronchi era legato un corpo inerte, trafitto da numerose frecce. Suo padre.
Ancora una volta si accasciò al suolo, chinò il capo e si lasciò andare a un pianto convulso.
«Oh, papà, cosa ti hanno fatto? Perdonami, perdonami», riuscì a dire tra i singhiozzi, abbracciandone i resti.
Il cielo si fece sempre più scuro e la pioggia cominciò a cadere copiosa, disegnando delle immense strisce grigie sospese nell’aria che ricordavano le sbarre di una prigione. Iori aveva iniziato la giornata confidando in una nuova vita e ora invece si trovava dominato da un’atroce angoscia.
Capitolo Secondo
La cima della collina era illuminata dai bagliori improvvisi dei lampi. Le gocce di pioggia cadevano con tanta violenza che quasi pareva volessero perforare ciò che toccavano. La fase più intensa del temporale contribuiva ad acuire il dolore e la solitudine di Iori, che non riusciva a staccarsi dal corpo del padre. Gli prese la mano e se la portò al volto in un gesto di tenerezza, quasi a tentare di recuperare un affetto che in vita era spesso mancato. Ora il giovane capiva quali e quante preoccupazioni aveva dovuto affrontare il padre nel ruolo di capo villaggio, fino a giungere alla tragedia finale. Pur devastato dalla sofferenza, Iori provò un sentimento crescente di orgoglio e ammirazione per come si era comportato il genitore. La crocifissione in cima alla collina aveva un significato simbolico: punire l’uomo che si era opposto alle pretese di Shigeharu. Un monito per chi pensasse di fare altrettanto.
Il ragazzo alzò lo sguardo sul volto del padre, da cui traspariva la serena accettazione del suo destino e la dignità con la quale l’aveva affrontato. Probabilmente sarebbe rimasto a lungo in quello stato di contemplazione se uno strano rumore, una sorta di tintinnio metallico, non si fosse all’improvviso inserito tra i suoni tipici del temporale in attenuazione.
Iori si alzò di scatto e brandì la spada di legno davanti a sé, pronto ad affrontare la minaccia. Qualcuno si stava avvicinando. Con il cuore che palpitava e inzuppato dalla testa ai piedi, Iori attese di scoprire chi fosse.
Dopo alcuni istanti, che parvero eterni, il ragazzo vide spuntare un bastone ornato di anelli, seguito dall’uomo che lo impugnava e che indossava
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