Le acque chete muoiono sotto i ponti
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Anteprima del libro
Le acque chete muoiono sotto i ponti - Tessa D. Torres
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PROLOGO
Venezia, Marzo 1957
Il sole era una sfera infuocata nel momento in cui la dottoressa Vittoria Gigli uscì dalla stazione e scese i pochi gradini che la separavano dal piazzale candido.
Sulla sponda del canale masse informi di turisti provenienti da ogni parte del mondo si accalcavano sulla banchina per salire sui vaporetti per il centro, creando file interminabili e scomposte. Gli ultimi raggi del sole, insolitamente caldo per quella stagione, creavano riflessi dorati sulla superficie continuamente mossa dell’acqua.
Vittoria dovette alzare una mano per ripararsi gli occhi mentre si fermava ai piedi della scalinata e si guardava attorno in cerca di qualcosa. Al suo fianco, come un fedele segugio, riposava la piccola valigia da viaggio in pelle scura che aveva comprato a Parigi qualche anno prima.
«Dottoressa Gigli!» chiamò una voce potente e intimidatoria che riuscì a superare il baccano dei turisti diretti a Piazza San Marco.
Vittoria voltò il capo verso sinistra, da dove proveniva quel richiamo tonante.
Il sole calò finalmente dietro la cupola della chiesa di San Simeone e il piazzale venne immerso dall’ombra che le permise di vedere nitidamente davanti a sé.
Tra i moli riservati ai vaporetti spiccava un piccolo motoscafo dei Carabinieri. Completamente bianco, fatta eccezione per una banda rossa e una blu, l’imbarcazione dell’esercito aveva attirato diversi sguardi incuriositi e qualche domanda. A terra, accanto al motoscafo, un giovane carabiniere in divisa si stava sbracciando per farsi notare da Vittoria.
«Dottoressa!» urlò ancora facendo voltare alcuni passanti.
Vittoria rispose con un sorriso e con un saluto al richiamo e afferrando l’affezionata valigia raggiunse l’imbarcazione.
Non si era aspettata quel tipo di accoglienza, ma ne era segretamente grata. La sola idea di doversi mettere a trafficare tra traghetti, taxi o vaporetti le dava l’orticaria.
Era partita quella mattina da Genova e aveva dovuto cambiare treno per ben tre volte, per arrivare a Venezia a pomeriggio inoltrato. Era stato un viaggio lungo anche se non del tutto spiacevole. Aveva finalmente avuto il tempo per leggere un libro, sistemare gli appunti per le lezioni di anatomia patologica ed era perfino riuscita a dormire per qualche minuto.
«Ben arrivata, dottoressa Gigli» la salutò compostamente il Carabiniere che l’aveva richiamata con tanta forza «Sono l’appuntato Andrea Poggi. Piacere di incontrarla».
«Grazie appuntato, piacere mio» sorrise Vittoria stringendogli la mano e passando poi a salutare il collega.
«Maresciallo Venier, dottoressa. Ben arrivata a Venezia».
Vittoria inspirò l’aria salmastra della laguna e si ricordò di essere in una delle città più belle e romantiche del mondo. Peccato non fosse lì per piacere ma per lavoro.
Sarebbe stato bello unirsi a tutti quei turisti e andarsene a zonzo per la città senza pensare al lavoro per qualche ora. Bello ma impossibile.
«Siamo venuti a prenderla per portarla a Murano. Spero non le dispiaccia, il comandante Mastrogiacomo ci ha detto che il suo treno arrivava a quest’ora» spiegò il maresciallo invitandola con un gesto della mano a salire a bordo del motoscafo d’ordinanza mentre il giovanissimo Poggi le prendeva il bagaglio.
«Tutt’altro» rise Vittoria facendo ben attenzione a non scivolare sul legno della barca con i tacchi sottili «Non potevo chiedere un’accoglienza migliore. Avere una scorta personale mi fa sentire un tantino privilegiata».
L’appuntato mise in moto e un rombo prepotente risuonò tra i vaporetti fermi in attesa di essere riempiti. Vittoria si sedette e strinse a sé la borsa per non rischiare che le volasse via.
Il motoscafo fece qualche metro in retromarcia, poi partì con velocità crescente. Fece un’ampia curva, incurante delle altre piccole imbarcazioni, e voltò senso di marcia. Nel giro di pochi istanti stavano correndo sul canale e si stavano lasciando alle spalle la stazione di Venezia, diretti verso le isole.
L’aria era frizzantina e la vista della città con i suoi palazzi storici e i moli colorati era assolutamente incredibile.
Vittoria si lasciò andare contro la parete del motoscafo e alzò il viso al cielo, godendosi gli ultimi raggi di sole.
Da sotto il cappello, l’appuntato Poggi la spiava cercando di non dare troppo nell’occhio e Vittoria lo sapeva. Era abituata a quelle occhiate di soppiatto, fugaci, perplesse. Sorrise divertita, lisciandosi con una mano lo stretto vestito blu scuro che le scendeva poco sotto il ginocchio.
La dottoressa Vittoria Gigli, uno dei pochi medici donna in Italia e sicuramente l’unica ad aver scelto il difficile ramo della medicina legale, era quanto di più incomprensibile un giovanotto come Andrea Poggi potesse conoscere. Giovane e brillante, aveva scelto di squartare cadaveri per vivere, invece che fare la maestra o la sarta come quasi tutte le donne che lui conosceva. Era vestita in maniera elegante e femminile, ma aveva una stretta di mano ferrea e nessun timore a salire da sola su una barca con due uomini sconosciuti.
«Le piace andare in barca, dottoressa?» domandò Venier con la sua voce baritonale che non faticava a superare lo scroscio delle onde sul fianco della barca.
«Vivo a Genova, quindi ci vado di tanto in tanto» ammise Vittoria osservando il profilo della riva che si allontanava «ammetto di preferire però la terra ferma. Mi piace sentire qualcosa di solido sotto i piedi».
La verità era che aveva visto troppi morti annegati per sentirsi davvero tranquilla su un qualsiasi tipo di imbarcazione. Questo, chiaramente, non lo avrebbe mai confessato a nessuno.
L’appuntato e il maresciallo accennarono una risata e finalmente uscirono dalla città. Davanti a loro si stagliava il mare e l’isola di San Michele, con il suo portone di ingresso imponente e solenne.
«Il cimitero di Venezia» spiegò Venier puntando con l’indice l’isolotto davanti a loro.
Vi passarono accanto superando barche private e vaporetti e un attimo dopo si trovarono di fronte Murano.
Poggi guidò sicuro verso l’interno del gruppo di isole che componevano la giurisdizione di Murano. La sera stava calando rapidamente e gli ultimi vaporetti riportavano a Venezia i turisti carichi di monili di vetro colorato.
«Il comandante Mastrogiacomo le ha prenotato una camera in un albergo qui vicino» spiegò il maresciallo Venier mentre Poggi accostava alla riva in pieno centro del paese.
«Molto gentile» sussurrò Vittoria scendendo e portandosi dietro valigia e borsa.
D’altronde era quello che si aspettava. L’aveva chiamata a Murano in gran fretta e senza troppe spiegazioni, il minimo che poteva fare era ospitarla e trattarla con i guanti di velluto.
«Si riposi oggi, perché domani sarà una giornata impegnativa, dottoressa» la mise in guardia Venier scortandola fino all’ingresso dell’albergo, elegante e raffinato, esattamente il tipo che piaceva a lei.
«Che intende dire?» domandò Vittoria con un filo di ansia per ciò che l’aspettava.
«Il comandante ha del lavoro per lei» si limitò a mormorare Venier aprendole la porta e sparendo subito dopo in assoluto silenzio.
CAPITOLO 1
Era una mattina mite e soleggiata e quando Vittoria uscì dalle pesanti porte a vetri dell'Hotel inspirò a pieni polmoni l'aria fresca e salata di Murano.
L'appuntato Poggi si era reso disponibile a venirla a prendere e accompagnare al comando dei Carabinieri di Murano ma lei aveva gentilmente rifiutato. Considerato il tempo clemente e la temperatura quasi primaverile le andava di camminare tra i canali e i ponti della Laguna. A quell’ora non c’erano molti turisti in giro per Murano e si poteva camminare lentamente tra i negozi che stavano aprendo e i garzoni che scaricavano grosse casse di frutta e verdura provenienti da Venezia.
Al bar accanto all'albergo, tra un caffè e un cornetto ancora caldo, domandò indicazioni per la stazione dei Carabinieri. La trovò pochi minuti dopo che si affacciava proprio sul canale principale. Sulla soglia un carabiniere di mezza età, basso e smilzo, stava fumando una sigaretta fatta a mano.
«Buongiorno» salutò educatamente Vittoria guadagnandosi uno sguardo di sbieco disinteressato e ostile.
L’uomo non le fece domande e la lasciò entrare incurante di chi fosse e cosa potesse volere.
Trovò praticamente da sola la strada per l’ufficio del comandante, ultima porta in fondo a destra, e bussò un paio di volte prima di entrare.
«Dottoressa Gigli, grazie per essere venuta» esordì il comandante Mastrogiacomo alzandosi in piedi e sporgendo una mano tesa oltre al bordo della scrivania.
Vittoria attraversò la stanza con un sorriso educato sulle labbra e gli strinse la mano con energia.
«Non potevo certo rifiutare un invito gentile e allettante come il suo» rispose la donna sedendosi davanti al capitano e accavallando le gambe avvolte da calze sottili.
Rimasero per un attimo a studiarsi in silenzio, sondando il terreno. Il comandante Alberto Mastrogiacomo era un uomo sui quaranta, Veneziano doc. Aveva fatto i primi anni da Carabiniere a Milano e ora era di stanza a Murano, proprio a due passi dalla sua amata Serenissima. A Vittoria diede immediatamente l'impressione di essere un uomo serio e competente, cosa piuttosto rara in quell'ambiente.
Si erano sentiti per la prima volta due sere prima, quando Vittoria aveva ricevuto direttamente a casa l'inaspettata chiamata del comandante che la pregava di venire in fretta e furia a Murano per un caso di annegamento.
Vittoria sapeva di essere una dei medici legali più esperti in morte per annegamento di tutta Italia, ma non si sarebbe mai aspettata una convocazione da Venezia. Era quindi partita l'indomani della chiamata col primo treno del mattino ed ora eccola lì, seduta nello studio privato di Mastrogiacomo in attesa di spiegazioni.
«Allora» disse con fredda gentilezza «posso sapere perché mi trovo qui, Comandante? Non mi fraintenda, sono felice che abbia pensato a me tra tutti gli specialisti che avrebbe potuto chiamare. Semplicemente mi domando il perché».
«Abbiamo ritrovato un corpo» spiegò tetro l'uomo, rabbuiandosi di colpo «è riaffiorato tre giorni fa'».
«Al telefono mi ha detto che si tratta di un caso di annegamento, dico bene?».
«Così presumiamo, ma l'autopsia preliminare è stata fatta da un chirurgo, non da un anatomopatologo o da un medico legale specializzato».
Vittoria corrucciò la fronte, insospettita.
«Perché non è stato il vostro medico legale a fare l'autopsia?».
«Il dottor Anversi è andato in pensione dieci giorni fa', sfortunatamente» sospirò il comandante abbassando lo sguardo «ci è stato mandato un sostituto appena uscito dall'Università e onestamente per un caso come questo preferiamo avvalerci di un esperto».
«Che cos'ha di tanto particolare questo caso, Comandante?» domandò Vittoria senza perdere il sorriso «Perché arrivare addirittura a chiamare me da Genova? Ci deve essere qualcosa di eccezionale».
Aveva colto nel segno perché Mastrogiacomo arrossì lievemente e abbassò nuovamente lo sguardo.
«Il cadavere è stato identificato come quello di Giulia Antonini, moglie del senatore Antonini» ammise dopo qualche attimo di silenzio «e suo marito pretende di avere risposte da un esperto, non da un ragazzino».
Questo
pensò Vittoria spiega molte cose
. Era triste ammetterlo, ma non l'avrebbero mai fatta venire da Genova se si fosse trattato di un morto qualsiasi. Invece si trattava di un cadavere importante, la moglie di qualcuno che contava.
«Il senatore Antonini è un uomo molto rispettato da queste parti e ha molto potere. Sebbene lui e la moglie fossero ormai separati da anni, è riuscito a fare pressioni ai piani alti per questa indagine».
«E dunque eccomi qua» sospirò Vittoria sfiorandosi con la punta delle dita la fronte.
Non le piacevano molto le questioni di potere e di favori personali. Guardando negli occhi Mastrogiacomo si rese conto che anche a lui non andava giù la corsia preferenziale che aveva avuto questo caso rispetto alle decine che ogni anno doveva affrontare con scarse risorse e pochi mezzi. Erano entrambi pedine su una scacchiera che non erano loro a comandare e quindi non potevano fare altro che andare avanti e fare il loro lavoro nel miglior modo possibile.
«Direi che è ora di vedere questa Giulia» mormorò Vittoria mettendosi in piedi e stirandosi la stretta gonna a tubino che le fasciava le gambe.
Anche il comandante si mise in piedi e l'accompagnò alla porta.
«Venga con me, l'accompagno all'ospedale dove abbiamo portato il corpo. Nel frattempo le racconto un paio di cose».
«Mercoledì mattina un pescatore di Murano ha trovato il corpo mentre tirava in secca la sua barca. Era una giornata calma e serena come questa. Lo ha trovato incastrato sotto un ponte, nella parte Nord di Murano. Dice che galleggiava a malapena, ogni tanto scompariva nell'acqua e ogni tanto emergeva. Ci ha chiamato subito e quando siamo arrivati ci abbiamo messo quasi un'ora per recuperarlo».
Mastrogiacomo parlava con voce calma e professionale, senza inflessione o cadenza.
Il motoscafo con cui stavano attraversando la sottile striscia di mare tra il cimitero e l'ospedale di Venezia si muoveva veloce e apparentemente incurante delle norme del buon senso. Assieme a Vittoria e al comandante li stavano scortando anche il maresciallo Venier e il giovanissimo Poggi, al volante.
Con una manovra fluida e vagamente pericolosa, Poggi si accostò al molo più vicino all'ospedale e Venier aiutò Vittoria a scendere dal motoscafo. Mentre l'appuntato rimaneva a controllare il molo, gli altri tre entrarono a passo di marcia nell'ospedale e pochi minuti dopo Vittoria si ritrovò davanti al cadavere tumefatto di Giulia De Angelis in Antonini.
Le bastò una sola occhiata al cadavere per rendersi conto che c'era qualcosa che non andava. Il corpo della donna era evidentemente cianotico e con numerose ecchimosi congiuntivali troppo intense per essere provocate dall'annegamento.
Lentamente si infilò un paio di guanti di lattice e si accostò al corpo coperto in parte da un lenzuolo bianco. Le aprì la bocca sforzando la mascella, esaminò gli occhi, la gola e il cranio.
«è annegata, ha detto il chirurgo che l'ha vista ieri» mormorò Mastrogiacomo alle sue spalle.
«Di sicuro è stata parecchio in