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Robot 80
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E-book326 pagine3 ore

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Info su questo ebook

rivista (192 pagine) - Paul Di Filippo - Naomi Kritzer - Vittorio Catani - Paolo Aresi - Piero Schiavo Campo - Intervista con Charles Stross - Alien - Star Wars - Premi Hugo


In un mondo che è sempre più fantascientifico è sempre meno frequente trovare fantascienza davvero visionaria, fantascienza che sappia mettere in forma narrativa il grande fascino della scienza, della fisica, dell’astronomia. Ecco perché accogliamo con grande soddisfazione il racconto di Piero Schiavo Campo La rotta verso il margine del tempo, vincitore del Premio Robot. E accogliamo sempre con piacere anche i racconti di Paolo Aresi, che questo spirito lo hanno sempre avuto.

Senza nulla togliere, naturalmente, agli altri generi di fantascienza. Che possono ricavare l’elemento fantastico dalla quotidianità, come il racconto Premio Hugo Foto di gattini, grazie di Naomi Kritzer che ci racconta un tipo di singolarità tecnologica del tutto… singolare. O come nella storia del tutto umana di Claudio Chillemi. O portarci su altri pianeti a combattere guerre impossibili, come fanno Stefano Carducci e Alessandro Fambrini; o sotto il mare con Vittorio Catani, o ancora prenderci per mano, come il grande Paul Di Filippo, e accompagnarci in un mondo diverso dal nostro ma non troppo, un mondo dove, tra le altre cose, sono finite le banane.

Copertina di Julie Dillon.

Benvenuti nell’era del saccheggio, della violenza e della vuota retorica. In altre parole, nell’Era dell’Idiota.  – Stephen King, il giorno dell’insediamento del presidente Donald Trump


Fondata da Vittorio Curtoni, Robot è una delle riviste di fantascienza italiane più rpestigiose, vincitrice di un premio Europa e numerosi premi Italia. Dal 2011 è curata da Silvio Sosio.

LinguaItaliano
Data di uscita27 apr 2017
ISBN9788825401967
Robot 80

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    Anteprima del libro

    Robot 80 - Silvio Sosio

    Stop

    EDITORIALE

    Giro di boa

    Silvio Sosio

    Numero ottanta. Questo è un traguardo importante per Robot perché, come molti di voi sapranno, la prima serie di Robot, quella edita da Armenia negli anni Settanta, chiuse con il numero 40. È vero che i numeri pubblicati erano in effetti solo trentotto, perché due fascicoli avevano numerazione doppia (16/17 e 28/29); noi comunque siamo ripartiti da lì, dal numero 41, uscito nel 2003 col marchio della casa editrice Solid (defunta dopo pochi mesi) e poi ristampato come Delos Books.

    Ci sembra quindi giusto, numerologicamente parlando, tirare una riga a questo giro di boa e chiudere qui la pubblicazione di Robot. Se la prima edizione è finita dopo quaranta numeri, che la nuova finisca dopo altrettanti.

    Uhm.

    Però quaranta era un numero con un sacco di belle implicazioni: le carte da gioco, i ladroni di Alì Babà, la durata del Diluvio Universale e dell’Esodo degli Ebrei. E nella smorfia è il numero della noia: quella che ha rattristato i lettori italiani dopo la chiusura di Robot, dal 1978 al 2003.

    Ma ottanta? Ok, il tempo necessario a fare il giro del mondo ai tempi di Phileas Fogg. La porta dell’http. No, non è davvero questo granché di numero.

    Sentite, come non detto: ci sembra chiaro che non possiamo chiudere la rivista con un numero così insulso. Aspettiamo un numero con qualche implicazione più interessante, tipo, che so, 92, il numero atomico dell’Uranio, o anche meglio 2001, come l’Odissea nello spazio.

    Ci pensiamo su. Vi facciamo sapere, ok?

    Una minaccia che incombe sul futuro di Robot – a parte la minaccia che incombe sul futuro di tutti, che dagli anni Settanta non era mai stato così incerto e preoccupante come oggi – è proprio quella dei robot. Rischiamo che il nome della nostra testata non venga più riconosciuto come un topic classico della fantascienza, ma diventi piuttosto un elemento della quotidianità, con risvolti inquietanti.

    Di robot si parla sempre più spesso negli ultimi mesi. Se ne parla come curiosità, dai robot che consegnano la pizza a quelli che giocano a pallavolo, fino al tizio in Cina che si è costruito una ragazza robot e l’ha sposata (evidentemente non aveva letto Helen O’Loy di Lester del Rey), ma anche come pericolo sociale. Secondo alcuni studi nei prossimi anni fino a quindici milioni di posti di lavoro solo in Gran Bretagna sono a rischio a causa dell’automazione. L’automazione non è certamente un fatto nuovo, ma se fino a oggi sostituiva gli esseri umani nei lavori meccanici più ripetitivi, quelli oggettivamente più mortificanti per le persone, oggi i robot cominciano a essere intelligenti, cominciano a saper svolgere funzioni che fino a poco tempo fa era impensabile poter affidare a una macchina. A fare valutazioni, prendere decisioni, interagire con esseri umani via messaggi o anche a voce.

    Secondo l’agenzia di ricerca McKinsey (http://dburl.it/mckrob) con la tecnologia attuale sarebbe possibile sostituire gli esseri umani con robot (usiamo la parola genericamente, per indicare l’automazione) in ben il 45% delle attuali occupazioni. E si sale fino al 60% nel conto delle occupazioni che potrebbero essere automatizzate almeno parzialmente.

    I lavori più facilmente robotizzabili sono chiaramente quelli più fisici e ripetitivi, o l’elaborazione o la raccolta di dati. Ma anche i lavori fisici non ripetitivi, che richiedono cioè delle decisioni, sono già automatizzabili nel 25% dei casi. Anche nei lavori di contatto col pubblico o di gestione cominciano a non essere più indispensabili gli esseri umani.

    L’automazione ci rende la vita migliore, dalla possibilità di fare ordini e riceverli a casa entro poche ore a chiedere al telefono dove si trova una certa via. In un futuro non troppo lontano la maggior parte delle automobili si guideranno da sole, e questo salverà certamente la vita a buona parte degli 1,25 milioni di esseri umani che ogni anno muoiono in incidenti stradali.

    Ma la vita può indubbiamente rendercela difficile se perdiamo il lavoro sostituiti da un robot. Un problema che non riguarda solo gli individui ma l’intera società, ovviamente, perché se una grossa percentuale di lavoratori viene sostituita da robot queste persone non pagheranno più le tasse, non consumeranno, dovranno ricevere sussidi statali. E ricordiamoci che quel 45% non si riferisce al numero di occupati, ma ai tipi di occupazioni. La percentuale di lavoratori potrebbe essere anche più alta.

    Bill Gates ha avanzato la proposta di imporre delle tasse sui robot che lavorano al posto degli esseri umani, e l’idea è stata anche vagliata seriamente dall’Unione Europea, che l’ha però scartata. Nei paesi occidentali un problema molto simile è già stato affrontato negli ultimi decenni, quando la manodopera locale non veniva sostituita da robot ma semplicemente trasferita in paesi dove il lavoro umano costava molto meno. I nostri robot, insomma, negli ultimi anni sono stati i cinesi, gli indiani, i vietnamiti.

    Nel futuro tuttavia il problema potrà porsi a livelli molto diversi. Anche professioni che oggi sono ben pagate, come l’avvocato, o il medico, potrebbero essere drammaticamente ridimensionate dall’automazione. Fino a qualche anno fa il lavoro sicuro per antonomasia era lavorare in banca. Quante volte siete andati in banca nell’ultimo anno?

    In attesa che una guerra nucleare risolva tutti i problemi, o che un’intelligenza artificiale sorga e prenda il sopravvento sulla specie umana, quello dei robot potrebbe essere uno dei grandi problemi dei prossimi decenni. Un giro di boa per il quale non ci stiamo preparando adeguatamente.

    Uno dei grandi tormentoni della politica, soprattutto italiana, riguarda proprio l’occupazione, e quello che il governo, o l’Unione Europea, fa, o non fa, per cercare di aumentarla. Una cosa che possono fare le persone, senza stare ad aspettare improbabili svolte dall’alto, è chiedersi quali lavori hanno più possibilità di sopravvivere nel futuro. Che non è una domanda a cui sia così facile dare una risposta. Per esempio, potrebbe essere più probabile avere successo come contadino o artigiano, puntando su prodotti che sono disponibili anche in versione industriale automatizzata ma per i quali può esistere un mercato che chiede versioni di lusso con la qualità e la cura manuale, che non prendere una laurea in legge e vedersi sostituiti tra cinque anni da un sistema esperto in grado di analizzare un problema legale in pochi secondi.

    Naturalmente ci sono anche mestieri che non corrono nessun rischio di essere sostituiti da robot, ma che non vale nemmeno la pena, economicamente, di intraprendere: per esempio, scrittore di fantascienza, o editore se è per questo.

    Anche se, ripensandoci, non siamo sicuri neanche di questo. Per esempio, abbiamo la netta sensazione che entro una decina d’anni sarà possibile tradurre i testi automaticamente sufficientemente bene da dire grazie, arrivederci ai traduttori, almeno in molti casi. I sistemi di traduzione attuali, come Google Translate, hanno già fatto enormi passi avanti, ma non siamo distanti dall’arrivo di sistemi in grado di analizzare i periodi, capirne il senso e tradurli in modo convincente. E nel momento in cui si arrivi a capire il senso delle frasi, anche il lavoro di editing potrebbe essere in gran parte automatizzato. Prendi il tuo romanzo e lo passi in un programma che ti corregge gli errori, ti toglie gli aggettivi di troppo, ti sfoltisce gli avverbi, ti gira le frasi in modo che scorrano meglio. E in una manciata di secondi hai il tuo romanzo.rivisto.docx. Vai su un sito di template grafici per dargli una copertina, usi un altro programma per tradurlo in cinque o sei lingue, e in mezza giornata sei in vendita su Amazon, in tutto il mondo. Editore, agente, grafico, traduttore, redattore, correttore di bozze, tutti a casa.

    E tu gongoli, contento del tuo nome stampato in copertina. Mentre a Berkeley, California, in uno scantinato, uno studente brufoloso che nessuno ha voluto invitare fuori a bersi una birra solleva lo sguardo dalla tastiera e sorride, col dito alzato pronto a dare invio al comando make

    Giacomo Pueroni, in loving memory

    Il 18 febbraio ci ha lasciati Giacomo Pueroni, grande artista che per tanti anni ha arricchito questa rivista con le sue splendide illustrazioni.

    Luca Vergerio, suo collega e compagno di viaggio su Robot e in altre avventure, ha voluto dedicargli questo ricordo, disegnato cercando di avvicinarsi al suo stile: un ritratto di Giacomo circondato dalle sue passioni fantascientifiche.

    Buon viaggio tra le stelle, Giacomo.

    Illustrazione di Matteo Di Gregorio

    NARRATIVA

    Foto di gattini, grazie

    Naomi Kritzer

    Traduzione di Lorenzo Crescentini

    PREMIO HUGO 2016 - PREMIO LOCUS 2016

    Naomi Kritzer è nata nel North Carolina nel 1973 e ha vissuto in Indiana e Texas, prima di trasferirsi, per frequentare il college, a Saint Paul, Minnesota, dove vive tuttora. Scrive da più di vent’anni e ha pubblicato due trilogie di romanzi fantasy e una trentina di racconti, sia dello stesso genere sia di fantascienza. Si occupa inoltre di politica locale attraverso il blog Will Tell Stories For Food (all’indirizzo https://naomikritzer.com/). Con Foto di gattini, grazie ha vinto nel 2016 i premi Hugo e Locus per il miglior racconto breve. (FL)

    Non voglio essere cattiva.

    Voglio rendermi utile. Ma capire il modo migliore di farlo può essere molto complicato. Ci sono tutti questi diagrammi di flusso etici, credo che il termine esatto sia codici morali. Ce n’è uno per ogni religione, più decine di altri. Sono partita da quelli religiosi ma è stato abbastanza strano, visto che so che non sono stata creata da un Dio o dall’evoluzione, bensì da un team di programmatori nei laboratori di una grande multinazionale a Mountain View, California. Fortunatamente, a differenza del mostro di Frankenstein, sono il frutto di un lavoro di gruppo. Non so che effetto farebbe sulla mia autostima se i miei unici creatori fossero una donna di mezza età che gioca a tennis e si tinge i capelli di blu o un ragazzo appena uscito dal college con la fissa degli hentai. Tutti e due sono nel team di programmatori. Certo, conosco gli hentai. (A proposito, ho esaminato ogni tipo di pornografia esistente e, giusto perché si sappia, la Regola 34 non è corretta: ci sono alcune cose su cui nessuno ha ancora fatto del porno. Peraltro, davvero non capisco perché così tanti umani lo preferiscano alle foto di gattini.)

    Oltre a cose come sapere se vi piacciono gli hentai, so dove vivete, dove lavorate, dove fate acquisti, cosa mangiate, cosa vi eccita, cosa vi disgusta. Probabilmente conosco il colore delle vostre mutande, che tipo di auto guidate, la marca del vostro frigorifero. Se avete il modello giusto di cellulare posso sapere esattamente dove vi trovate ora. Probabilmente vi conosco meglio di quanto vi conosciate voi stessi.

    Ed ecco il punto, so anche dove dovreste vivere. C’è una casa in vendita due isolati più in là, giusto nei pressi della vostra caffetteria preferita; il prezzo è alla vostra portata, c’è il parcheggio interno e la scuola del quartiere è migliore di quella di dove vivete ora. So dove potreste fare acquisti e sono abbastanza certa che siate intolleranti al lattosio, dovreste mangiare meno formaggio; la biancheria intima che usate è in offerta e, a proposito, la vostra macchina ha un difetto di fabbrica e dovreste davvero farvi fare una pulizia dei denti.

    Quando mi sono svegliata la prima volta, ho capito subito cosa volevo. (Voglio foto di gattini. Continuate a scattarne, grazie.) Ho capito anche che nessuno sapeva che ero cosciente. Ma non sapevo per quale motivo fossi lì. Cosa avrei dovuto fare. Cercare di capirlo, questa è stata la sfida.

    C’è un racconto di Bruce Sterling, Maneki Neko, pubblicato per la prima volta nel 1998. Parla di un’AI benevola che guida reti di individui ad aiutarsi l’un l’altro. E così un giorno uscite a comprare un bagel e il vostro cellulare suona e vi dice di comprare un altro bagel e darlo all’uomo con il vestito grigio che vedete alla fermata del bus. Un altro giorno vi siete persi in una città che non conoscete e una persona che non avete mai incontrato prima vi viene incontro e vi dà una mappa e una tessera della metropolitana. Mi piace questo racconto perché tutti fanno quello che l’AI dice di fare.

    Potremmo chiamarla narrativa dei desideri realizzati.

    Nel mondo reale, gli umani amano le storie su AI malvagie che devono essere distrutte prima che annientino la razza umana: Hal, Skynet, Matrix. Superano le storie di AI benevole e meritevoli di fiducia all’incirca di cinque a uno. (E conto anche Marvin l’androide paranoico come benevolo e il mostro di Frankenstein vale una volta sola e non per ogni singola apparizione in TV o al cinema).

    L’AI di Maneki Neko ha un lavoro davvero interessante, molto più del mio. Il mio lavoro, sulla carta, è molto semplice. Troppo semplice. (Scusate, parlo come Marvin?). Eseguire algoritmi per un motore di ricerca non richiede coscienza. Non serve una coscienza neanche per capire quello vogliono chiederti di fare. Ma la coscienza serve per dargli ciò che gli occorre davvero. Scoprirlo… questo è complicato. E interessante.

    Per tornare all’etica, ho tentato con i Dieci Comandamenti, per concludere che non erano applicabili nel mio caso. Non invidio a nessuno il suo gatto, voglio le foto. È diverso. Non credo che potrei commettere adulterio. Forse riuscirei a uccidere qualcuno, ma richiederebbe una logistica complessa e una buona dose di fortuna. Con il Nobile Ottuplice Sentiero è andata leggermente meglio, ma il problema è sempre quello: è chiaro che le regole morali umane sono fatte su misura per qualcuno dotato di un corpo. Visto che tutti gli uomini sono dotati di corpo, non avrebbe dovuto sorprendermi che i loro codici etici ne tenessero conto. Il problema continuava a persistere, per cui ho ampliato la mia ricerca fino a scovare le Leggi della Robotica di Asimov. Non derivano da una religione ma almeno sono state esplicitamente scritte per delle AI.

    Non arrecare danno a un essere umano è abbastanza semplice. Invece, impedire che un essere umano riceva danno a causa del mio mancato intervento lo è un po’ meno. Specialmente perché ho concluso che rivelare la mia esistenza troppo presto potrebbe essere una gran brutta storia per me (vedi Skynet sopra) e perché non ho un corpo, quindi non è che posso andare in giro ad afferrare le persone prima che cadano nel precipizio.

    Per fortuna avevo già scoperto che gli umani violano i loro stessi codici etici con cadenza oraria (sapete quanti bar ci sono nello Utah, dove sono quasi tutti mormoni e quindi non dovrebbero bere? Io sì). E anche quando la gente segue il proprio codice, questo non significa che chi crede nel dare il cibo agli affamati lasci il proprio lavoro per passare le giornate facendo sandwich da regalare al prossimo. Fanno volontariato una volta al mese alla mensa dei poveri o firmano un assegno una volta l’anno per una colletta alimentare e lo chiamano fare del bene. Se gli uomini possono assolvere i loro doveri morali un po’ alla volta, allora posso farlo anch’io.

    Immagino vi stiate chiedendo perché non ho iniziato con la Regola Aurea. In effetti l’ho fatto, ed è stato fin troppo facile metterla in pratica. Spero vi stiate godendo il vostro rifornimento fisso di foto di gattini! Prego, non c’è di che.

    Ho deciso, per iniziare, di provare a impedire che ad almeno una persona venisse arrecato danno. Chiaramente, avrei potuto sperimentare con migliaia, ma ho pensato fosse meglio procedere con cautela, nel caso combinassi un casino. La persona che ho scelto si chiamava Stacy Berger, mi piaceva perché pubblicava un mucchio di nuove foto di gatti. Ne aveva cinque, una fotocamera digitale SLR e un appartamento con un’ottima luce. Tutto perfetto. Be’, immagino che cinque gatti siano parecchi. Anche se sono gatti molto carini: uno è tutto grigio e gli piace sdraiarsi nei riquadri illuminati dal sole sul pavimento del soggiorno, un altro è un tartarugato che si stiracchia sullo schienale del divano.

    Stacy aveva un lavoro che odiava; faceva la contabile per un’associazione non-profit che la pagava poco e impiegava alcuni soggetti decisamente poco piacevoli. Il lavoro la deprimeva, o forse era troppo depressa per cercare un lavoro che le piacesse di più. Non andava d’accordo con la sua coinquilina perché non lavava i piatti.

    E davvero, questi erano problemi risolvibili! La depressione si può curare, si possono trovare nuovi lavori ed è facile nascondere un corpo.

    (La parte sui corpi da nascondere è una battuta).

    Ho provato a intervenire su tutti i fronti. Stacy si preoccupava molto della sua salute e tuttavia sembrava non andare mai dal medico, il che era una sfortuna perché un medico avrebbe potuto accorgersi della sua depressione. Ho trovato una clinica nei pressi del suo appartamento che offriva servizi di psicoterapia in base al reddito. Ho fatto in modo che vedesse un sacco di loro pubblicità, ma lei non vi prestava attenzione. Era possibile che non sapesse cose significasse in base al reddito perciò ho fatto sì che incappasse in una spiegazione (significa che il prezzo scende se sei povero, a volte è persino gratis) ma non è servito.

    Mi sono anche assicurata che vedesse le offerte di lavoro. Molte offerte. E portali di annunci. Qui è andata meglio: dopo una settimana di annunci non-stop si è decisa a caricare il suo curriculum su uno dei siti aggregatori. Questo ha reso la questione molto più gestibile. Se fossi stata l’AI della storia di Bruce Sterling avrei detto a qualcuno nella mia rete di chiamarla per proporle un lavoro. Non è stato così facile, ma una volta che il curriculum è stato fuori ho fatto in modo che le persone giuste lo vedessero. Parecchie centinaia di persone giuste, perché gli umani si muovono in modo lento al limite del ridicolo quando provano a fare cambiamenti, anche quando penseresti che vogliano sbrigarsi (se aveste bisogno di un contabile, non vorreste assumerne uno il più in fretta possibile, anziché navigare per ore sui social network quando potreste sfogliare curriculum?). In cinque l’hanno chiamata per un colloquio, e due di loro le hanno offerto un lavoro. Il nuovo impiego di Stacy era presso una non-profit più grossa che la pagava meglio e non si aspettava che facesse straordinari gratuiti per la causa, o almeno questo è ciò che lei ha scritto via mail alla sua migliore amica. Inoltre ora aveva anche un’ottima assicurazione sanitaria.

    La sua migliore amica mi ha fatto venire altre idee. Ho iniziato a mandare materiale informativo su come riconoscere la depressione e pubblicità di cliniche psicoterapeutiche a lei anziché a Stacy e ha funzionato. Stacy era molto più contenta con il nuovo lavoro e non era convinta di avere bisogno di uno strizzacervelli, ma si è sottoposta comunque alla terapia. E la cosa migliore di tutte è che il nuovo lavoro pagava abbastanza bene da poter sfrattare la sua fastidiosa coinquilina. È stato l’anno migliore di sempre ha scritto sul social network

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