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L’assedio
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E-book220 pagine3 ore

L’assedio

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Info su questo ebook

Dopo aver inseguito degli spacciatori nel mercato di Porta Portese, gli agenti scelti della squadra mobile Ferri e Casoni, assieme alle nuove leve Ceccarelli e Fusco, si ritrovano in un vicolo di Trastevere, attirati dall’eco di alcuni spari. Qui scoprono l’esistenza di una sconosciuta Banca sotterranea in cui dei criminali stanno portando a compimento quella che, all’apparenza, sembra una rapina a mano armata. Due ostaggi, un uomo che dice di chiamarsi Rossi e una donna misteriosa di nome Sara, riescono a scappare dai malviventi, isolando i poliziotti in un’ala dell’edificio. Rossi spiega agli astanti cosa sta per succedere: i delinquenti lavorano per conto di un potente onorevole, e in quell’oscura roccaforte sono contenute le prove dei più grandi segreti d’Italia, almeno degli ultimi cinquant’anni, oltre a un oceano di armi e a una quantità assurda di denaro. E peggio ancora, un reparto dell’esercito sotto l’egida del potente onorevole sta arrivando per farli fuori tutti...
Ma chi è Rossi? E cosa c’entra Sara in quell’assurda faccenda? Per chi lavorano realmente? Un thriller indimenticabile, capace di tenere il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2017
ISBN9788856784848
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    Anteprima del libro

    L’assedio - Alessio Marchesin

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 9788856784848

    I edizione elettronica luglio 2017

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.

    A tutti coloro che,

    per un motivo o l’altro,

    mi hanno portato

    a realizzare quest’opera.

    RAPINATORI

    Una strafiga in lingerie nera.

    Lo spettacolo offerto dal cartellone pubblicitario sul lato opposto della strada compensava il sapore del caffè melmoso e amaro che Debouze stava sorseggiando, nella noiosa attesa dell’ora X. Tanto valeva bere da una pozzanghera, constatò. Ok, il caffè faceva schifo, ma le donne di Budapest... che spettacolo. Meglio delle tossiche che frequentava in gioventù, nella banlieue parigina, pensò tra sé mentre osservava il cancello dell’ingresso posteriore della filiale di un’importante banca ungherese, da cui si aspettava da un momento all’altro l’uscita di un mezzo blindato per il trasporto valori.

    Non ne poteva più. Da quattro ore e mezza ormai se ne stava appostato nel vicolo, con un panno sudicio e una felpa della taglia sbagliata, presi a un senzatetto con la forza. Al povero disgraziato comunque non sarebbero più serviti. La Squadra non era famosa per lasciare testimoni. Anzi, tutto il contrario.

    Se ne stava seduto sul marciapiede, conscio del fatto di essere il soggetto giusto per starsene lì a fingere di essere un barbone all’addiaccio, contando sull’indifferenza dei passanti, i quali avrebbero pensato di incrociare la strada con l’ennesimo immigrato di colore passato chissà come attraverso le frontiere. Teneva il cappuccio sopra la testa, coperto quanto possibile per proteggersi dagli sguardi e dal clima mattutino di una mai troppo calda primavera di un paese dell’Europa continentale, mentre i suoi ‘colleghi’ della Squadra potevano perlomeno crogiolarsi nel tepore del furgone parcheggiato sulla strada principale. Da quella posizione poteva tenere d’occhio sia il suo obiettivo che il veicolo, rubato la notte prima, il quale recava in bella vista sulla fiancata la scritta in ungherese Trasporto animali, il che era ironico per chiunque conoscesse la biografia degli occupanti, ma soprattutto decisamente azzeccato per descriverli.

    Khalid era seduto al posto di guida. Affidare il volante a uno come Khalid poteva sembrare semplicemente folle. Dormiva qualcosa come tre ore a notte, e pareva fossero per lui più che sufficienti. Poi passava il resto della giornata a imbottirsi di pillole di varie forme e colori per rimanere attivo. Però se c’era qualcuno che sapeva portare un mezzo di trasporto, fosse una bicicletta o un autoarticolato, da una destinazione all’altra nella maniera più veloce possibile, e allo stesso tempo non aveva timore d’imbracciare un fucile e causare una carneficina se necessario, quello era lui. Del resto, come poteva dormire serenamente uno che, mentre prestava servizio nelle forze armate, aveva sterminato tanti uomini, donne e bambini tra i propri connazionali pakistani durante le rivolte in piazza? Non che loro fossero persone migliori.

    Nel retro, Iorga dormiva della grossa, come faceva sempre prima di ogni lavoro. Era curioso come sul suo volto comparisse un’espressione così rilassata mentre riposava. La faccia che aveva da sveglio, al contrario, era un incubo per chiunque avesse la sfortuna d’incontrarlo; un effetto peggiore lo faceva la sua presenza da 2 metri e 6 centimetri, con quasi 140 chili addosso. Aveva un passato da pugile in incontri clandestini, e qualche cazzotto l’aveva preso, visto com’era ridotto il suo naso, ma dev’essere stata roba di poco conto per uno come lui, cacciato da vari circoli clandestini per eccessiva violenza verso gli avversari, i cui corpi ormai erano sepolti da un pezzo a causa sua. Nell’altopiano della Transilvania svolgeva l’attività di sgherro agli ordini del miglior offerente; da quelle parti era tristemente famoso come ‘pedeapsă’, ovvero castigo, per l’immancabile rituale di stuprare donne e uomini indistintamente, prima di trucidarli. A volte anche dopo.

    Assieme a lui c’erano Leung e Zhou. Due fratelli cinesi, o così si erano sempre dichiarati. Che fossero originari di quelle parti poteva anche starci, ma se c’era davvero un legame familiare allora doveva essere quantomeno bizzarro. Somiglianti quanto basta per cementare le convinzioni di quelli per cui ‘gli asiatici sono tutti uguali’, nessuno li aveva mai visti parlarsi. Gesti della testa o del corpo, al massimo qualche fischio, tutto ciò che usavano per comunicare. Ma era come se sapessero sempre dov’era l’altro, cosa stava facendo e cos’avrebbe fatto. Una sintonia impeccabile, dote non da poco per il loro mestiere. Per la verità, Leung era quello dei due che parlava, mentre nessuno aveva mai sentito Zhou fiatare. Ma la convinzione comune tra quelli della Squadra era che l’arte dell’oratoria non ne avrebbe risentito più di tanto: d’altronde, cosa poteva mai raccontare uno il cui maggior scatto emozionale nella vita è stato quello, in un impeto d’ira, di dar fuoco a una vittima che si ostinava a non morire a forza di calci e pugni?

    Forse, ‘animali’ era offensivo per la specie.

    Mentre malediceva il loro mandante, il quale li aveva evidentemente fatti giungere sul luogo ben prima del dovuto, forse per assicurarsi la loro puntualità, Debouze si lasciò andare ai pensieri, sperando di trovarne almeno uno che non lo facesse affogare ancora di più nella noia. Ripassò per l’ennesima volta il piano, che lui preferiva chiamare ‘progetto’, come sempre minuzioso e dettagliato. Viaggiò a ritroso con la memoria ricordando i numerosi ‘progetti’ andati a buon fine, l’elusione degli imprevisti, gli omicidi necessari per il completamento degli incarichi... D’altronde bisogna rompere delle uova per preparare un’omelette. Per il giusto compenso faceva quello che era necessario, e questo perché si era fatto una promessa: non avrebbe mai più fatto la fame. Odiava la sua precedente vita da povero, odiava il fetido monolocale in cui era cresciuto, odiava i cattivi odori che gli rammentavano la miserabile infanzia. Amava invece il lusso, quello sì. Aveva avuto modo, nel poco tempo libero concessogli dalla missione, di notare un orologio da polso nella vetrina di un negozio del centro città. Cassa quadrata, quadrante cromato: uno splendore.

    E già che c’era, perché non farsi anche un bel giretto per bordelli? La voglia gli giunse notando una ragazza poco più che ventenne, che stava attraversando la strada a pochi metri da lui. Trench scuro, gonna corta quanto bastava, due gambe perfettamente tornite che terminavano in un paio di stivali di pelle...

    Il cancello si aprì in quel preciso momento.

    «Merde!» esclamò Debouze nella sua lingua. Era il momento di concentrarsi sul lavoro.

    Con un gesto del braccio sollevò e scaraventò lontano da sé coperta e caffè e si levò quella felpa lercia che aveva imparato a odiare in quelle poche, eterne ore. Agli occhi di un estraneo la scena sarebbe risultata alquanto singolare: dai panni di un miserabile senzatetto fuoriuscì un uomo vestito con una linda camicia Oxford bianca e un paio di pantaloni blu ceruleo, i quali facevano il paio con una giacca a risvolto classico che Debouze teneva da parte e che indossò all’ultimo momento, prima di entrare in azione. Non voleva rovinare una giacca di tale valore.

    Mentre stava raggiungendo gli altri, con la coda dell’occhio notò quello che presto si sarebbe rivelato un serio problema: i furgoni in uscita erano due.

    Il suo cervello non ebbe nemmeno la capacità di elaborare un’imprecazione: tutto ciò che fece fu schizzare a grandi falcate verso gli altri alzando la mano sinistra, l’indice e il medio della stessa, formando un inequivocabile numero due.

    Khalid, percependo da lontano qualcosa nei movimenti di Debouze che non gli suggerì nulla di positivo, mise in moto il motore. Nel retro, i cinesi uscirono dal torpore in cui si erano adagiati e, come prima cosa, controllarono la carica delle loro pistole semi-automatiche. Leung diede un leggero colpetto col piede sullo stinco di Iorga per svegliarlo; in un istante l’espressione pacifica sul suo faccione divenne quella di un uomo che chiunque non vorrebbe incontrare in una sera buia e desolata. Anche lui si dedicò alla propria arma.

    Debouze aprì la portiera al volo e si catapultò nell’abitacolo, sul lato del passeggero, esclamando in un buon italiano lievemente contaminato dal francese: «Sono DUE!». E mentre le parole gli uscivano dalla bocca, Khalid osservò i mezzi portavalori uscire dal vicolo: uno blu scuro e l’altro grigio asfalto.

    Ciò che differenzia i professionisti dai dilettanti è la capacità di prendere in fretta decisioni che possano risolvere gli imprevisti inaspettati, anche quando tutto è pianificato nel dettaglio. Leung bussò sulla grata che lo separava dai suoi alleati seduti davanti e disse laconico: «Ci pensiamo noi».

    Zhou, che come sempre sembrava sapere quello che accadeva nel cervello del fratello, aprì il portellone del mezzo ed entrambi saltarono fuori. Leung aveva già adocchiato un paio di moto da strada ferme sul lato opposto del viale. Proprio in quel momento arrivarono i proprietari, che si piazzarono sui mezzi e accesero i motori.

    Uno dei motociclisti, che sfortunatamente non aveva ancora infilato il casco, non si accorse dell’uomo di nome Zhou che giunse di corsa verso di lui, salto e gli assestò un poderoso calcio sulla tempia, facendolo balzare a terra, mentre la moto restò al suo posto grazie al cavalletto rimasto abbassato. L’altro centauro, che si trovava davanti e aveva udito il tonfo dell’amico sul marciapiede, si girò preoccupato per chiedere cosa fosse successo. Non fece nemmeno in tempo a pronunciare una parola che Leung lo colpì con un calcio rovesciato alla testa, facendo cadere anche lui. Recapitarono ai malcapitati alcuni proiettili in corpo, mantenendo la fama di coloro che non lasciano testimoni.

    I fratelli aprirono il gas per seguire i portavalori; gli altri li avevano già preceduti. Khalid stava copiosamente imprecando in urdu mentre schivava le automobili nel traffico già denso in maniera preoccupante. Notò poi che le loro prede svoltarono a destra, esattamente dalla parte opposta che si aspettava. Tutto stava decisamente prendendo la piega sbagliata.

    Il piano originale era semplice: il portavalori – uno soltanto – avrebbe imboccato una via poco frequentata, loro gli avrebbero tagliato la strada, sarebbero usciti brandendo le armi e avrebbero recuperato in un batter d’occhio il bottino, facendo saltare la testa agli agenti che lo custodivano. Considerando che stavano per infilarsi in una strada a più corsie parecchio trafficata, quel ‘progetto’ doveva essere accantonato.

    Una volta immessi nell’arteria stradale, avrebbero potuto godersi l’affascinante contrapposizione tra edifici storici del tardo Ottocento e moderne strutture di vetro e metallo, ma trovarsi a schivare pedoni, automobili e tram a una velocità superiore ai 100 km/h rese difficile gustarsi ciò che offriva la città.

    I ladri di moto raggiunsero gli altri. Debouze tirò fuori il braccio dal finestrino e indicò il portavalori più vicino, ordinando loro di occuparsene. Lui e Khalid avrebbero tenuto per sé quell’altro.

    Nel momento in cui pensarono di poter riprendere il controllo della situazione, superarono una pattuglia della polizia ferma a un incrocio, a una velocità da ritiro della patente. L’auto dei poliziotti sfoderò immediatamente la sirena e con uno scatto si mise nella loro scia.

    Nemmeno un minuto dopo avevano già alle calcagna altre due volanti a sirene spianate. Fu chiaro ormai, il fallimento nel portare a termine la missione nella maniera quieta e discreta che si erano prefissati.

    Leung, con un cenno della mano, fece capire a Zhou che la priorità ce l’avevano i poliziotti. Avvicinarono le moto tra di loro e tirarono i rispettivi freni posteriori, senza mollare l’acceleratore: le gomme presero a fumare in maniera consistente, tanto che ben presto, chi si trovava dietro, non ebbe la possibilità di vedere oltre. Fu proprio grazie allo stratagemma che il poliziotto dietro di loro sfrecciò attraverso la nube di copertoni bruciati, non accorgendosi in tempo del suv parcheggiato a lato della carreggiata, verso cui stava andando a schiantarsi. L’impatto fu talmente violento che il mezzo dei servitori della legge fece una proiezione in aria di 180 gradi, atterrando addirittura oltre il suv di qualche metro.

    Più avanti Khalid stava cercando di sbarazzarsi di un’altra auto della polizia, che si era portata sulla fiancata destra del furgone. I tentativi di speronamento delle autorità magiare erano resi vani dagli spari di Debouze verso il conducente, che causa l’andamento a zig-zag non avevano ancora centrato il bersaglio. Khalid vide che i portavalori, oltre ad aver aumentato il passo – molto probabilmente si erano accorti di quanto accadeva dietro di loro – stavano imboccando un ponte caratteristico passante sopra il Danubio, chiamato Ponte delle Catene, che un tempo univa le città di Buda e Pest, prima che divenissero una cosa sola. Decise allora di tenere la curva il più larga possibile, in maniera tale da cozzare contro la macchina della polizia e ‘accompagnare’ la svolta del proprio mezzo assieme al loro. Il poliziotto alla guida ormai aveva perso il controllo dell’auto e fu troppo tardi quando si decise a frenare, in quanto questo non impedì un letale schianto frontale contro un tram.

    Tutti i mezzi stavano percorrendo il ponte. I rapinatori erano ormai sempre più vicini alle loro prede, ed era rimasta soltanto una volante. Leung e Zhou a loro volta erano alle calcagna dei poliziotti. Debouze sapeva cosa fare e urlò a Khalid: «Falli passare!» e fece cenno ai fratelli. Aprendo al massimo il gas, i due sorpassarono gli uomini di legge e si portarono oltre il furgone. Fu allora che Debouze colpì col pugno la parete di lamiera che lo separava del posteriore dell’autoveicolo e gridò il nome di Iorga. Lui non aspettava altro: già terribilmente incazzato per il continuo smottamento dovuto all’inseguimento, si alzò di scatto, impugnò l’arma e aprì i portelloni.

    Gli agenti, in un primo momento non furono in grado di riconoscere l’aggeggio che l’energumeno teneva tra le mani. Somigliava molto a un cannone mitragliatore a canne rotanti da più di 500 colpi al minuto... Ma che potesse esserlo davvero sembrava assurdo. Purtroppo per loro, quel giorno l’assurdo coincise con la realtà.

    Iorga cominciò a sparare nella loro direzione col suo ‘giocattolo’ preferito, e in pochi secondi aveva crivellato la carena e il parabrezza della volante in decine di punti, oltre gli uomini al suo interno. La carcassa cominciò a zigzagare, prima da una parte e poi dall’altra, e finì contro un paio di mezzi di grossa cilindrata che giungevano dal lato opposto, provocando uno spaventoso incidente che con buona probabilità causò la morte anche degli innocenti coinvolti.

    Nessun ostacolo si poneva più tra loro e il bottino.

    Leung e Zhou decisero di oltrepassare l’automezzo grigio per lasciarlo agli altri e raggiunsero quello blu, pochi metri più avanti, dividendosi e portandosi sul lato destro e sinistro per circondarlo. Stavano per sparare a tutte e quattro le ruote, ma all’improvviso, da un’apertura laterale della carrozzeria, spuntò la canna di un fucile che fece fuoco verso Zhou, il quale risultò abbastanza svelto da evitare la controffensiva con una sterzata, anche se questo gli fece perdere terreno.

    Dall’altra parte Leung ebbe vita più facile e mirò alle gomme del carro facendole saltare. Il portavalori, ormai alla fine del ponte, iniziò a sbandare. L’autista, sotto shock, stava perdendo il controllo del mezzo, ma non schiacciò il pedale del freno. Fu così che il blindato si diresse come un missile verso la rotatoria situata oltre il ponte, un’ampia aiuola d’erba verde attraversata da un autocarro impazzito, che si dirigeva a tutta forza verso un grosso camion dalla parte opposta della rotonda.

    Circolavano svariati tipi di autoarticolati per quella strada, che trasportavano di tutto, dai cibi ai materiali da costruzione... in quell’istante transitò un’autobotte carica di combustibile altamente infiammabile.

    L’impatto col portavalori provocò un’esplosione talmente possente da farsi sentire sino al di là del ponte. L’onda d’urto sbriciolò le vetrate degli edifici vicini e i parabrezza delle auto. Una colonna di fuoco di una decina di metri di diametro si sollevò da terra. Chi ebbe la malasorte di trovarsi nei paraggi avvertì prima un’incandescente ondata di calore tale da ustionare gravemente la pelle, poi venne spazzato via dalla forza della deflagrazione.

    Tutti i componenti della Squadra, rimasti illesi poiché fuori portata, condivisero la speranza che la refurtiva fosse a bordo del

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