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Il tempo degli dei
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E-book391 pagine5 ore

Il tempo degli dei

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Info su questo ebook

Fine Seconda guerra mondiale. L’umanità si prepara a un nuovo inizio, fatto di pace e speranza.
Ásgarðr, Regno eterno. Il pantheon degli dei norreni è riunito dal sovrano, Óðinn, per punire gli Æsir che hanno agito dietro il conflitto su Miðgarðr, la Terra. Loki, Baldr, Týr e Thòrr vengono esiliati tra i mortali.
Roma. Sotto la Basilica di San Pietro, il reverendo Giulio Viola guida un’organizzazione segreta di sensitivi, che percepiscono l’arrivo sulla Terra dei quattro Æsir esiliati. La scoperta fa entrare in gioco, oltre al Vaticano, le guide religiose delle principali religioni monoteiste, ciascuna a difesa di dogmi millenari.
In un susseguirsi di colpi di scena, da Dubai a Roma, da Teheran a Las Vegas, ognuno dovrà fare i conti con la propria coscienza, alla ricerca della verità assoluta. Perché, ormai, è giunto Il tempo degli dei.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2018
ISBN9788833170183
Il tempo degli dei

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    Anteprima del libro

    Il tempo degli dei - Giovanni Magistrelli

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    Prologo

    Gennaio 1945

    I due soldati americani erano appoggiati al tronco di una conifera appena fuori del villaggio di Houffalize, fumando una sigaretta, con i loro M1 Garand a tracolla, come stavano facendo centinaia di altri yankee disseminati nella foresta innevata a lato del paese belga.

    Un sergente passò di fianco ai due con andatura spedita.

    «McNeill, Hillis, muovetevi. Tra poco ci rimettiamo in marcia!», gridò il sottoufficiale, la voce simile all’abbaiare di un cane, per poi proseguire veloce nel sottobosco, tra cumuli di neve, rocce e rami secchi, in direzione di un carro armato M4 Sherman.

    «Non si preoccupi, sergente Caruso», rispose McNeill. «Ancora un paio di tiri e siamo pronti».

    Il sergente non si degnò di replicare, continuando la sua camminata verso il mezzo blindato.

    Hillis alzò lo sguardo verso il cielo grigio. «Non promette niente di buono. Aspettiamoci altra neve».

    «Come se avessimo visto altro, da quando siamo qui nelle Ardenne», gli disse di rimando McNeill, a denti stretti.

    A chiunque fosse passato di lì come aveva fatto poco prima Caruso, e li avesse osservati, i due non sarebbero apparsi altro che stanchi e sporchi militari di truppa, appartenenti alla 2ª divisione corazzata americana, chiamata anche Inferno su ruote. La divisione era appena giunta dal Nord a Houffalize, al confine tra Belgio e Lussemburgo, per contrastare l’offensiva tedesca nelle Ardenne iniziata a metà dicembre.

    Infatti nessuno tra i mortali avrebbe potuto vedere McNeill e Hillis per quello che erano in realtà, al di là dell’incantesimo che li camuffava. Thòrr e Baldr, immortali di Ásgarðr, figli di Óðinn, il sovrano del Reame eterno, nelle loro risplendenti armature d’acciaio. Il dio del tuono, capelli e barba biondi, aveva il martello Mjöllnir infilato nella cintura. Gli occhi grigi di Baldr, dalla capigliatura candida, si posarono sull’arma del fratello.

    «È di nuovo tempo di combattere», disse. «Anche se per noi, divinità di Ásgarðr, gli anni trascorrono rapidi come i secondi per i mortali, questa guerra si sta trascinando da tanto. Da troppo».

    «Ci stiamo avvicinando alla fine, fratello. Questa offensiva è stata l’ultima possibilità per i nazisti di rovesciare l’esito del conflitto. E l’hanno persa. Ieri Hitler ha abbandonato il suo quartier generale, il Nido dell’aquila, a Ziegenberg ed è ritornato a Berlino per organizzare la difesa. I sovietici sono ormai a poche centinaia di chilometri dalla città».

    «Te lo ha detto Týr?».

    «Sì», confermò Thòrr. «Ieri notte, mentre eri di guardia, mi sono teletrasportato da lui in Prussia. Mi ha raccontato che i suoi superiori parlano con sempre maggiore convinzione della vittoria sui tedeschi. La resa dei conti è prossima».

    «Ho timore che, in molti casi, non verranno fatti prigionieri. La vendetta regnerà sovrana, dei vincitori sui vinti. Dopo 60 milioni di morti, la sete di sangue degli uomini non è ancora soddisfatta. Eppure sarebbe bastato eliminare anni fa i mortali, che hanno messo in moto tutto questo, e avremmo risparmiato a Miðgarðr questa tragedia. Se avessimo levato di mezzo Hitler allora…».

    «No!», ribatté deciso il dio del tuono. «Sappiamo entrambi come la pensa Óðinn riguardo al libero arbitrio degli umani. Il nostro sovrano non ha mai voluto interferire con loro, permettendo che scegliessero sempre il proprio destino, per quanto nefasto e sanguinario. Già noi non dovremmo essere qui, lo sai. Stiamo andando contro il suo volere».

    «Certo che lo so, fratello. Ma siamo stati obbligati…».

    «Loki!», sibilò Thòrr.

    «Già, Loki», ripeté Baldr, mentre il suo volto si induriva. «Se non fosse stato per lui, forse tutto questo non sarebbe mai successo».

    «Lo conosciamo da eoni, il dio dell’inganno e della menzogna. Il suo obiettivo è il Ragnarǫk. Ha sfruttato la pazzia feroce degli uomini e ha soffiato sul fuoco della distruzione per portare i Nove mondi al collasso. Come ha sempre fatto e sempre farà. È il suo fine ultimo».

    In quel momento ripassò il sergente Caruso. «McNeill, Hillis! Cazzo, ancora con quelle sigarette? Muovete il culo e riunitevi al plotone. Si parte tra cinque minuti».

    Senza fermarsi, si diresse verso gli altri soldati, mentre guardava i due buttare le cicche ancora fumanti nei cumuli di neve sporca. Thòrr si staccò dall’albero, imitato da Baldr.

    «Dobbiamo trovare Loki», commentò. «Questo conflitto sta arrivando alla sua conclusione, finalmente. Il dio del caos ha perso. Ma con lui non si può mai essere certi di aver vinto. Sono sei anni che ci combattiamo in parti avverse, ma è sempre riuscito a evitare uno scontro diretto con noi».

    I due immortali si incamminarono dietro al sergente, calpestando gli arbusti e le pietre che affioravano dalla neve.

    «È astuto e spietato», pensò Baldr ad alta voce. «Per tutta la durata della guerra, soprattutto all’inizio, combattendo nelle file tedesche è stato decisivo per la riuscita della loro avanzata, senza che i nazisti se ne accorgessero, oltretutto. Soltanto dopo che tu, io e Týr siamo entrati in gioco per contrastarlo, il suo esercito ha cominciato a subire delle battute d’arresto».

    «Come vorrei usare i nostri poteri! Ci basterebbe poco e questa guerra finirebbe».

    Baldr abbozzò un’espressione delusa. «Thòrr, lo sai che non possiamo. Se Óðinn scoprisse il nostro ruolo in tutto ciò, la sua ira sarebbe smisurata. Noi stiamo interferendo nelle faccende di Miðgarðr, ricordalo».

    «Ma solo per fermare Loki!», esclamò Thòrr.

    «Tu pensi che Óðinn comprenderebbe?».

    Il dio del tuono non rispose, mentre si univano ai loro compagni di plotone per mettersi in marcia, attraverso le colline, nel rigido clima invernale del Belgio.

    «Neppure Loki ha l’ardire di usare i suoi poteri per influenzare l’esito di questo conflitto», proseguì Baldr. «Non vuole che il nostro sovrano e i suoi corvi Huginn e Muninn lo notino».

    Thòrr assentì.

    «La vittoria degli Alleati si sta approssimando. Neanche il dio del caos può impedirla, ormai».

    In quel momento, un carro armato si mise in marcia, e le due divinità lo affiancarono insieme ad altri soldati, imbracciando i loro Garand per scortarlo fuori del villaggio.

    Dal cielo plumbeo fiocchi di neve ripresero a cadere, volteggiando nell’aria, per deporsi sulle colline ricoperte di foreste.

    «Stiamo all’erta, senza abbassare la guardia. Non è finita. Non ancora».

    Mentre la neve scendeva sempre più fitta, la 2ª divisione corazzata lasciò Houffalize diretta a Est, proseguendo il suo cammino all’inseguimento delle truppe naziste in ritirata. Due mesi più tardi, all’inizio di aprile, era già entrata nel cuore della Germania, dopo aver attraversato il Reno, e si stava avvicinando all’Elba, puntando verso Berlino.

    L’esercito tedesco, ormai ridotto a 60 divisioni sul fronte occidentale dopo il fallimento dell’operazione Herbstnebel nelle Ardenne, indietreggiava cercando di limitare le perdite, mentre si preparava alla battaglia finale, quella per la difesa della capitale del Reich. Ogni tanto riusciva a impegnare gli Alleati con deboli contrattacchi, che però erano in grado solo di rallentare la marcia dei soldati americani e britannici.

    Una mattina, mentre si faceva giorno e i raggi del sole provavano a filtrare tra le nubi grigie, i tedeschi assalirono il plotone di Thòrr e Baldr su un falsopiano, sbucando fuori da un bosco e tentando di sfruttare il vantaggio di avere la luce alle spalle.

    Dopo un primo momento di sorpresa, che costò la vita a diversi commilitoni, gli Alleati risposero al fuoco, facendo indietreggiare i nazisti verso gli alberi da cui erano arrivati.

    Mentre i due immortali guidavano il contrattacco, di colpo percepirono un’altra aura di Ásgarðr.

    «Loki!», esclamò Baldr.

    «È lì, tra quei nazisti, il maledetto!», gli fece eco Thòrr.

    E poi lo videro.

    Agli occhi degli abitanti di Miðgarðr appariva come un ufficiale delle SS, dal cui mitra MP 40 partivano brevi, ma micidiali raffiche di proiettili calibro 9mm, che falcidiavano i nemici.

    Però le sue reali spoglie non potevano essere nascoste ai due Æsir. Il dio del caos portava un mantello verde sopra l’armatura di Ásgarðr, con i folti capelli neri scompigliati che gli coprivano la fronte.

    «Loki!», urlò Thòrr. «Fermati!».

    Gli occhi verdi del fratellastro di Óðinn lo fissarono da sopra il naso aquilino.

    Loki scoppiò in una risata. «Troppo tardi, stolti», gridò di rimando. «Non potete fermare il corso degli eventi che ho messo in moto».

    Thòrr e Baldr si staccarono dal resto del plotone correndo verso l’altro Áss, che a sua volta retrocesse nel bosco alle sue spalle.

    «Non facciamocelo scappare», disse Baldr a Thòrr, mentre la distanza tra loro e Loki si accorciava.

    Quando entrarono nella fitta boscaglia, la luce del sole scomparve quasi del tutto e il sottobosco fu avvolto dalla penombra.

    L’aura di Loki scomparve dietro alcuni tronchi, per poi riapparire di colpo.

    «Fermo! Non hai più scampo!», gli intimò il dio del tuono.

    Loki si voltò verso di lui, con un sorriso di scherno dipinto sul volto. «Perché dovrei arrendermi, Thòrr?», disse con voce melliflua.

    «Ti sei immischiato nelle vite dei mortali, contro il volere del nostro sovrano. Con le tue bugie e i tuoi inganni li hai portati a questa guerra. Non ti bastano decine di milioni di morti?».

    Loki rise in maniera fragorosa. «Adoro giocare con le creazioni di Óðinn. Gli umani sono predisposti alla carneficina e all’assassinio. Basta dar loro un po’ di corda. Sì, ho mostrato loro la via, ma la maggior parte di questo banchetto di sangue è merito loro».

    «Bugiardo!», urlò Baldr.

    «Oh, sappiamo che dico la verità. Gli abitanti di Miðgarðr hanno affinato l’arte di portare la morte ai loro simili. Con o senza di me. Ma adesso basta perdere tempo con voi. La partita non è ancora giunta al capolinea».

    «Di cosa stai parlando?», chiese Thòrr mentre lui e Baldr, con cautela, si avvicinavano.

    «Avete ragione quando dite che questa guerra sta per terminare. E io agirò affinché lo faccia con stile. E che ciò sia utile per i miei piani futuri».

    Poi l’Áss fece un rapido gesto con il braccio sinistro e, dietro di lui, l’aria parve accartocciarsi su se stessa, formando una breccia tra le molecole.

    «Cosa stai per fare?», domandò Baldr, scandendo le parole e scattando in avanti insieme al dio del tuono.

    Il dio del caos fu più veloce di loro e spiccò un salto dentro il varco. «Non avete ancora vinto!», gridò, ridendo in modo sguaiato mentre l’apertura si richiudeva alle sue spalle, non lasciando alcuna traccia dove era stata un secondo prima.

    Thòrr e Baldr piombarono nel punto dove era appena scomparso Loki.

    «È riuscito a teletrasportarsi via, quel maledetto!», imprecò Baldr.

    Thòrr si guardò intorno, sperando di veder riapparire Loki.

    In quel momento vennero sorpassati dai loro compagni che, guidati dal sergente Caruso, correvano tra gli alberi, avanzando con le armi spianate all’inseguimento dei tedeschi in ritirata.

    «Hillis! McNeill!», urlò il sergente, sparando un paio di colpi dal Garand verso i nemici. «Muovete il culo! Li abbiamo respinti, quei dannati nazisti, ma non dobbiamo dar loro modo di riorganizzarsi e attaccarci di nuovo. Seguitemi!».

    I due Æsir si guardarono per un istante, mentre il resto del plotone passava, sparso e di corsa, ai loro fianchi.

    «Dove riapparirà?», chiese Baldr.

    «Non lo so, fratello», rispose Thòrr. «Non riesco più a vedere la sua aura. Deve essere fuggito molto lontano».

    «Ma ormai i tedeschi hanno perso questa guerra. Cosa potrà fare ancora Loki?».

    Thòrr lo fissò con la mascella indurita. «È Loki, non dimenticarlo. Quando c’è di mezzo lui, qualsiasi inganno o bugia è possibile. Ho timore che abbia in mente qualcosa di terribile. Lo conosciamo».

    *

    Le molecole dell’aria si ritirarono su loro stesse, creando un varco, e Loki comparve a Washington, in Pennsylvania Avenue. Nessuno dei passanti si accorse dell’improvvisa apparizione.

    D’altra parte, chi lo notò di sfuggita vide solo un uomo come tanti, vestito con un completo grigio, cappello in tinta e cravatta blu, il cui sguardo pareva attirato dall’edificio al di là della cancellata metallica che delimitava il marciapiede.

    La Casa Bianca.

    Camuffato alla vista dei mortali dall’incantesimo di Ásgarðr, Loki studiò la dimora del presidente degli Stati Uniti. Nei mesi passati aveva tenuto d’occhio il capo supremo della nazione americana, Roosevelt. Aveva visto la sua salute peggiorare, avvicinandolo a una morte ormai imminente.

    Sapeva anche del piano che Roosevelt aveva iniziato da qualche anno: il progetto «Manhattan», la creazione della bomba atomica.

    Loki sorrise.

    Era al posto giusto nel momento giusto.

    Con la scomparsa di Roosevelt di lì a breve, il suo vice, Truman, sarebbe diventato il nuovo presidente e avrebbe avuto la possibilità di decidere se usare o meno la nuova terribile arma.

    Manipolarlo sarà uno scherzo, pensò il dio dell’inganno. E una volta che la bomba atomica sarà fatta esplodere per la prima volta, il cammino verso il destino che ho previsto per i Nove mondi sarà ineluttabile.

    Il Ragnarǫk.

    Il sorriso si trasformò in un ghigno sul suo volto, mentre gli occhi smeraldini brillavano di malvagità.

    1. Al di là del tempo e dello spazio

    Óðinn si toccò la benda, in leggerissima maglia di ferro, che copriva il buco dove una volta si trovava il suo occhio destro e ripensò a quando, innumerevoli millenni prima, se lo era strappato per darlo al gigante onnisciente Mimir. In cambio, quest’ultimo gli aveva permesso di bere un sorso di idromele da Mímisbrunnr, la fonte magica della saggezza, situata nella terra dei giganti Jötunheimr. Da quel viaggio, Óðinn era tornato con la testa recisa di Mimir, che a volte consultava come un oracolo, mentre il suo occhio destro era rimasto nella fontana. Ma da allora aveva appreso i misteri dei Nove mondi e l’ordine delle loro stirpi, oltre al destino degli uomini e al fato stesso dell’universo. O, almeno, di gran parte di esso.

    Allora, pensò, perché non ho saputo prevedere questo?.

    Lasciò vagare lo sguardo nella sala ancora un po’, finché non fissò le quattro figure davanti a lui.

    Baldr. Týr. Loki. Thòrr.

    Nonostante la loro testa china, vide la smorfia divertita sul volto di Loki. «Trovi la cosa buffa?», tuonò. «Se è così, dovresti spiegarmene il motivo».

    Il dio del caos alzò il capo, lo sguardo di nuovo serio, ma con gli occhi verdi che trattenevano a fatica il divertimento. «No, mio signore. Non ora, almeno».

    «E voi altri», riprese Óðinn, «non avete niente da dire? Qualcosa che giustifichi il vostro comportamento? Baldr, Týr?».

    Il silenzio regnava nell’ampia sala.

    «Nemmeno tu, Thòrr?».

    Óðinn sedeva sul suo trono Hliðskjálf all’interno del palazzo di Váli, Válaskjálf, sull’immensa rocca di Ásgarðr, in cima ai Nove mondi.

    Al suo fianco stava Frigg, sua sposa e madre di Baldr e Höðr. L’Ásynja portava i lunghi capelli biondo cenere raccolti in una coda, mentre scrutava la sala con gli occhi marroni, posandoli sui volti degli altri immortali.

    Óðinn indossava una splendente armatura dell’acciaio più pregiato, e un mantello indaco ricadeva dalle sue spalle fino ai piedi del seggio. Una folta barba grigia e lunghi capelli dello stesso colore adornavano il viso del dio, mentre nella mano destra teneva Gungnir, la sua lancia infallibile.

    Il suo occhio sinistro, anch’esso grigio, si posava sugli altri dei all’interno della sala, le cui pareti erano sgombre da arazzi e quadri, ma adornate di spade, lance e scudi di vari materiali e forme.

    Sif, con la lunga chioma bionda, moglie di Thòrr, con i figli Þrúðr e Ullr. Sága, la divinità marina dai corti capelli neri, e di fianco a lei Fulla, Gná e Hlín, le tre ancelle di Frigg. Il bellissimo, ma pavido, dio Hoenir bisbigliava qualcosa a Nanna e Forseti, rispettivamente moglie e figlio di Baldr. La numerosa prole di Óðinn, dal cieco Höðr al possente Víðarr; dal padrone del palazzo dove si teneva l’adunata, Váli, a Bragi, il dio della poesia, stava sparsa all’interno dell’enorme sala dall’alto soffitto attraversato da travi massicce di legno e con le finestre a lasciar entrare la luce divina del Reame eterno.

    I due corvi, Huginn e Muninn, erano appoggiati alle due estremità di Hliðskjálf e sembravano a loro volta scrutare tutti gli Æsir che si erano radunati su ordine di colui che era il creatore del mondo.

    Solo il dio guardiano Heimdallr, fratello di Sif, non era presente, rimasto a sorvegliare il ponte dell’arcobaleno, Bifröst, che collegava Ásgarðr a Miðgarðr.

    Il volto di Óðinn non lasciava trapelare la rabbia che, però, tratteneva solo a stento.

    Si soffermò sugli dei davanti al suo trono. Erano entrati per ultimi, e si erano posizionati di fronte al loro signore con il capo chino e il ginocchio destro appoggiato per terra, in segno di riverenza. Tutti e quattro erano in armatura, mantelli e spade al fianco.

    Baldr, dalla chioma candida e occhi del colore del mare d’inverno, il più bello di tutti gli dei, figlio suo e di Frigg.

    Týr, il dio guerriero, figlio del gigante Hymir, corti capelli castani e occhi neri, l’unico che aveva la spada sguainata, stretta nella mano sinistra, il braccio destro monco dopo che il lupo infernale Fenrir glielo aveva sbranato, eoni prima.

    Loki, l’astuto dio del caos, fratello di sangue di Óðinn, con gli occhi verdi socchiusi e i capelli neri che gli cadevano sulla fronte.

    E infine, con il leggendario martello Mjöllnir infilato nella cintura, suo figlio Thòrr, dagli occhi azzurri, il più forte degli dei, concepito con la dea Jörð. Il suo prediletto e il suo successore come regnante di Ásgarðr.

    Il dio del tuono, capelli e barba del colore del grano maturo, guardò suo padre. «Mio signore, quello che posso dire è che non ho iniziato io questa guerra. Ho solo cercato di fermarla. Con Baldr e Týr, ci abbiamo provato. E ci siamo riusciti».

    «Io ho fermato questa guerra!», lo incalzò Loki, il naso aquilino sovrastato dagli occhi smeraldini. «Senza di me, voi tre non avreste combinato nulla».

    Týr si alzò di scatto, brandendo la spada. «Maledetto!», ruggì. «Ti taglierò la lingua e poi avrai smesso per sempre di dire menzogne!».

    «Fermo!», ordinò il creatore del mondo. «Frena la tua lama, Týr. Solo io, Óðinn, posso decidere la vostra punizione e il vostro destino».

    Il dio della guerra si bloccò. Poi si rimise in ginocchio. «Perdonami, mio signore. Non intendevo contrastare il tuo volere».

    «Sei scusato, Týr. Per il momento. Sto ancora riflettendo sulla gravità di quanto avete fatto». Óðinn puntò l’indice sinistro verso Baldr. «E tu, figlio mio, puoi spiegarmi cosa è successo? Hai qualcosa da dirmi che possa giustificare voi tutti, e che possa placare la mia ira?».

    Il più bello di tutti gli dei squadrò i suoi tre compagni di sventura, poi alzò gli occhi verso Óðinn. «Padre, so che abbiamo agito nel modo migliore, ma qualcosa è andato storto».

    «Certo che qualcosa è andato storto!», tuonò Óðinn, con rabbia.

    «Hai ragione, padre. Non voglio cercare scuse. Non voglio neanche dare tutte le colpe a Loki, anche se non può negare che tutto sia iniziato con lui».

    Gli Æsir stavano in silenzio, intimoriti dalla furia di Óðinn, trattenuta a stento.

    «Loki ha cominciato tutto questo. Lui ha appiccato il fuoco e noi abbiamo provato a spegnerlo, ma abbiamo, forse, peggiorato la situazione».

    Si fermò e guardò Thòrr e Týr.

    «Siamo dei, ma ci siamo comportati come gli abitanti di Miðgarðr. Ci siamo immischiati nelle loro faccende e li abbiamo portati dove forse loro, da soli, non sarebbero arrivati. Da quando furono creati si sono evoluti, ma si sono macchiati di ogni tipo di crimine. A volte, per capriccio, abbiamo contribuito a peggiorare i loro peggiori istinti. Ma mai come questa volta. Mai».

    Baldr fissò il padre, poi indicò con il dito Loki, alzando la voce. «Per sapere come tutto è incominciato, mio signore, chiedilo al grande ingannatore, al dio dell’ambiguità e dell’amoralità…».

    Loki sorrise in maniera maligna.

    «Ebbene, fratello?», chiese Óðinn, guardandolo.

    «Beh, mio signore, non dovresti lamentarti», disse Loki. «Il tuo palazzo e la sua sala Valhalla non sono mai stati così pieni di eroi morti, come pure la dimora di Freyja, Folkvangar. Certo, anche la landa oscura e gelata di Helheimr non ha mai ricevuto così tante anime in tale breve tempo. Mia figlia Hel ne è molto lieta».

    Al sentire il nome della dea degli inferi, Huginn e Muninn, che erano stati regalati da Hel a Óðinn come ringraziamento per aver ricevuto in dono il regno di Helheimr, sbatterono le ali e cambiarono la loro posizione sul trono, abbassandosi per mormorare nelle orecchie del sovrano.

    «Loki, non pensare al tuo signore come a uno stupido. Conosco la profezia di come tu, Hel, il lupo Fenrir e il serpente marino Jormungand, guiderete i morti di Helheimr e gli schieramenti del male durante il Ragnarǫk e distruggerete Ásgarðr. Ma esistono tanti vaticini e non tutti si avverano. Solo le Norne, pare, conoscono quanto sono lunghi i nostri fili sul loro telaio. Neanche io, il creatore del mondo, lo so. A volte le profezie sono solo leggende inventate dagli uomini, che non si realizzeranno mai».

    «Forse questa… sì», sibilò Loki, carico di veleno.

    «Se così sarà, allora combatteremo, fratello», disse Óðinn sospirando. «Ma, prima di allora, hai degli obblighi verso il padre di tutti gli dei. E in questo momento devi raccontarmi cosa hai fatto».

    Loki si lisciò i capelli e assunse un’aria falsamente corrucciata. «Potrei cominciare con il dirti dove ho sparso i primi semi. In quella parte di Miðgarðr chiamata Europa. Quando? Di tutte le misurazioni del tempo degli uomini userò quella più comune, il calendario gregoriano di quei miscredenti chiamati cristiani. D’altra parte oggi, su Miðgarðr, sono tutti miscredenti. E hanno dimenticato noi, i veri dei…».

    «Loki…».

    «Va bene, facciamola corta. Il calendario gregoriano indicava l’anno 1920 e la regione chiamata Europa era appena uscita da quella che veniva chiamata Prima guerra mondiale».

    Loki eruppe in una risata. Poi guardò Thòrr, Baldr e Týr con aria di commiserazione e rise di nuovo. «Certo, senza questi tre tra i piedi, avrei potuto operare molto meglio. O forse, il loro intervento ha perfino aumentato la grandezza del mio gioco, rendendolo ancora più divertente. Comunque, l’Europa era in rovina e capii subito che sarebbe stato difficile arrivare a una pace duratura. Usando le mie capacità camaleontiche, mi sono mischiato alle masse soffiando sul fuoco del malcontento, e mi sono affiancato ai capi dei loro movimenti, consigliandoli, plagiandoli, spingendoli nella direzione che avevo deciso. Uomini che si credevano forti, semidei, diventarono creta nelle mani del dio del caos. Hitler, Mussolini, Franco, Hirohito, tutti burattini di Loki. E così, nell’anno 1939, questi pazzi hanno cominciato quella che ora viene chiamata Seconda guerra mondiale. Devo dire che il risultato è andato oltre le mie più rosee aspettative. Sei anni di guerra, 60 milioni di morti. E io ho solo dato qualche spintarella qua e là. Il resto ce lo hanno messo gli uomini e i loro ideali perversi e ambigui. Ma tale successo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di questi tre», concluse Loki, fissando Thòrr, Baldr e Týr.

    Nessuno dei tre Æsir replicò.

    «Non dite niente, voi?», chiese allora Óðinn con decisione.

    Fu Thòrr a prendere la parola. «Padre, quando questa guerra entrò nel vivo, con tutti i suoi orrori, ne sentimmo l’eco fin qui ad Ásgarðr. Anche il frassino Yggdrasill venne scosso e gli effetti rischiarono di ripercuotersi in tutti i Nove mondi. Quando capimmo che c’era Loki dietro tutto ciò, non potemmo esimerci dall’intervenire per cercare di fermare il conflitto, anche se in incognito».

    «E come sareste intervenuti?», domandò Óðinn, accigliandosi.

    Thòrr abbassò lo sguardo. «Purtroppo, vista la grandezza del problema, non abbiamo potuto fare altro che usare gli stessi metodi di Loki. Nasconderci tra gli umani. Plagiarli. Manovrarli. Circuirli».

    «Chi avreste circuito?».

    «I nemici degli umani guidati da Loki. I loro capi. Roosevelt, Churchill, Stalin, solo per nominarne qualcuno. Li abbiamo spinti a non arrendersi, a contrattaccare. Li abbiamo anche aiutati sui campi di battaglia, nascosti nell’ombra. D’altronde, niente di più di quanto il dio del caos stesse facendo dall’altra parte del fronte».

    I due corvi si piegarono ancora a sussurrare nelle orecchie di Óðinn. «Thòrr, da come stai parlando, sembrerebbe una cosa di poco conto. Una partita tra dei. Ma qui stiamo parlando di qualcosa che ha rischiato di minare l’esistenza dei Nove mondi, della realtà che ho creato. Se era un gioco, vi è sfuggito di mano».

    «Perdonami, mio signore», si intromise Baldr, «ma, per quanto tu possa avere ragione, avevamo tutto sotto controllo. Eravamo arrivati al punto in cui nessuna delle due parti sarebbe stata in grado di prevalere sull’altra. Si sarebbe giunti, se non alla conclusione del conflitto, almeno a una tregua duratura».

    «Ma?», lo incalzò Óðinn.

    «Ma al dio del caos non piace perdere. Ogni mezzo gli sembra lecito per raggiungere i suoi fini».

    «Sono io che ho posto fine alla guerra!», disse Loki. «Non può esistere la pace se nessuno dei contendenti perde. Ho riparato quello che era stato danneggiato».

    «Bugiardo!», gli gridò Týr.

    «Invece è la pura verità!», proseguì Loki. «Quante volte ho aiutato tutti voi Æsir? Innumerevoli! Certo, non posso dire di non aver combinato qualche guaio qui e là…».

    Si fermò un attimo nel tentativo malriuscito di soffocare una risata. «… Ma alla fine ho sempre sistemato tutto, o quasi».

    Óðinn lo guardò. «E come avresti riparato questa volta il danno, Loki?».

    «Ho seguito la corrente del fiume».

    «Cosa vuoi dire?».

    «Conosci gli uomini, Óðinn. Tu li hai creati, e non li hai fatti perfetti. Sono per la maggior parte senza scrupoli, predatori, assassini. Sono delle perfette macchine da guerra. E durante questo conflitto, anzi già prima, le loro menti più elevate si sono prodigate per trovare l’arma definitiva, quella che avrebbe permesso loro di sconfiggere il nemico per sempre. Io ho solo affiancato una delle due parti, quella che consideravo la più potente, e l’ho accompagnata lungo il cammino che era già scritto. E così l’uomo chiamato Truman, da me consigliato, ha concluso la guerra facendo esplodere, per ben due volte, l’ordigno chiamato bomba atomica. In questo modo ho posto rimedio a qualsiasi guaio potessi aver causato prima. Guai che, oltretutto, si sono ingranditi perlopiù a causa dell’intervento sconsiderato di Thòrr e dei suoi due compagni».

    «E così hai aiutato i mortali a creare qualcosa di mostruoso, e che

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