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Operazione Cigno Bianco
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E-book664 pagine9 ore

Operazione Cigno Bianco

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Info su questo ebook

Sullo sfondo dei rapporti Est-Ovest tra il '78 e l'81 - prima della caduta del muro di Berlino, con la Chiesa di Roma a fare da "tramite" fra i due blocchi, fino all'attentato a Papa Wojtyla del 13 maggio 1981 - con "Operazione Cigno Bianco" l'autore costruisce un thriller che si dipana tra Cracovia, Roma e un luogo imprecisato dei monti Tatra.
Tre sono i protagonisti del romanzo che innescano e intrecciano i piani narrativi: un giovane sacerdote (padre Thomas Lack), che viene ricattato dai servizi segreti polacchi perchè diventi una loro spia in Vaticano; una giovane studentessa di Cracovia (Hania Tejko) che, dopo essere stata utilizzata per sedurre il giovane prete, viene inviata a Roma a dirigere una nuova "cellula di spie" - ma nella Capitale scoprirà il piano diabolico che ha portato all'assassinio del padre - ; e un fantomatico, misterioso personaggio, Mister Darkman, istigatore di tutte le incredibili azioni del racconto.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2018
ISBN9788828323181
Operazione Cigno Bianco

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    Anteprima del libro

    Operazione Cigno Bianco - Amedeo Caramanica

    terrore.

    CAPITOLO I - UNA MORTE MISTERIOSA

    Il 1° ottobre del 1978, in un angolo del cimitero monumentale di Cracovia in Polonia, una piccola folla dava l’estremo saluto ad un eroe dei Servizi Segreti del Dipartimento della città, il Capitano Wit Tejko, che era morto in missione di spionaggio a Roma, davanti ai Musei Vaticani, ucciso, come avevano raccontato i suoi compagni di missione, da una pattuglia delle Guardie Vaticane. Erano presenti quella mattina, con uno sparuto plotone di soldati, il Generale Vitaly Pavlov, capo dei Servizi Segreti di Varsavia, che era venuto a rendere omaggio alla salma; Leonard Roback, colonnello dei Servizi Segreti di Cracovia, Responsabile del Dipartimento Speciale (DS) per gli Affari Sociali e Religiosi della stessa città e diretto superiore del Capitano; il suo secondo Julius Pickacz, che era, al momento del tragico evento, con il capitano in missione a Roma, ed era riuscito a recuperare la salma. In primo piano, infine, la signora Lysa, la seconda moglie del capitano, e la figlia, Hania, pure lei nei Servizi Segreti Polacchi, che insieme avevano ricevuto gli ultimi effetti personali del capitano.

    Dopo la cerimonia, il colonnello Roback si era avvicinato al Generale e in linea confidenziale gli aveva sussurrato all’orecchio: - " Compagno Generale, il capitano Tejko è morto da eroe, facendo fino in fondo il suo dovere. Leggi…" E gli passò un fogliettino che, disse, i suoi compagni avevano trovato stretto nella sua mano destra. Il Generale prese il prezioso pezzo di carta, lo aprì e lesse: - " Braccato milizie vaticane, temo il peggio…" Ovviamente, mentre il Generale leggeva, Roback rincarò la dose: - " È l’atto di accusa di un moribondo che chiede giustizia …E quello che mi fa più rabbia è il fatto che tutto questo, nonostante il dialogo e i buoni rapporti che da qualche tempo si sono venuti costruendo con la Chiesa di Roma, attraverso la liberazione dal carcere del Cardinale Primate di Polonia, Stefan Wyszynski, l’apertura nei confronti dei cattolici polacchi e la visita del nostro Presidente Edward Gierek in Vaticano. Ma stavolta non bisogna fargliela passare liscia…"

    Il Capo di Varsavia lo guardò, scosse la testa, s’infilò il bigliettino in tasca e si avviò verso l’automobile che lo attendeva. Roback accompagnandolo gli fece anche presente che ora la " piazza di Roma" era sguarnita e…in un momento così particolare. Il generale Pavlov rispose che ci avrebbe pensato e gli avrebbe fatto sapere il da farsi dopo l’incontro dei Dirigenti dei Paesi dell’Est già programmato. E partì.

    Il colonnello, invece, si avvicinò alla signora Lysa e alla figlia Hania e si offrì di accompagnarle a casa. Le due donne accettarono, Lysa con molto piacere, Hania con un po’ di ritrosia, poiché sapeva che la matrigna era facile ad appiccicarsi agli uomini.

    E, come sempre avviene nelle missioni difficili e segrete, mentre le autorità polacche inoltravano le loro rimostranze contro la Santa Sede e il Governo Italiano, e queste, a loro volta, inviavano le loro controdeduzioni e le loro proteste, in capo a qualche settimana la morte di Wit Tejko fu archiviata in attesa di un nuovo rimpiazzo.

    Non furono archiviate, invece, come aveva previsto Hania, le frequentazioni sempre più intensificate di Roback a casa Tejko.

    La signora Lysa, infatti, sui cinquant’anni, era ancora una bella donna, piacente, vivace, spigliata, amante dell’arte, orgogliosa di essere spesso al centro dell’attenzione, soprattutto degli uomini. Per questo suo carattere un po’ esuberante aveva fatto girare la testa a più di qualche ufficiale dei servizi segreti, sempre comunque tenuti a bada. Ma questo suo comportamento le aveva procurato a volte contrasti con il Capitano, spesso dissapori malcelati con la figliastra.

    Ora che era rimasta vedova, manifestò subito un sacro terrore di dover vivere isolata, segregata. Perciò con piacere aveva accettato il particolare interesse che il Colonnello aveva mostrato per lei, nonostante i mugugni della figliastra, la quale non solo non perdonava alla matrigna la totale mancanza di rispetto per il padre, non ancora raffreddato completamente dalla morte e dall’oblio, ma anche perché disprezzava in cuor suo quell’uomo dalla doppia personalità: garbato e malizioso, vanitoso e dimesso, paterno e severo.

    Comunque le attenzioni sempre più pressanti e premurose del Colonnello per la signora, in poco tempo, divennero di dominio pubblico. Perciò non si nascosero più e la signora Lysa potette ben presto riprendersi dalla morte del marito.

    Chi, invece, continuò ad addolorarsi e a piangere per il povero Capitano fu solo Hania, legata al padre fin da bambina da un affetto fuori del comune, soprattutto quando le era venuta a mancare la madre all’età di dieci anni.

    Il suo dolore a poco a poco per la morte del padre per mano dei papalini si era trasformato in un odio profondo e feroce per i preti, i vescovi, il Papa e il nome stesso del Vaticano. Anzi in un momento di maggiore sconforto chiese a Roback di poter essere utilizzata in qualsiasi incarico, pur di poter cooperare a distruggere quella brutta genìa di corvi neri e a vendicare la morte del padre. Roback le aveva sorriso e aveva risposto che, prima o poi, l’occasione non sarebbe mancata.

    Qualche settimana più tardi, mentre metteva in ordine in un baule gli effetti personali del padre e gli abiti del suo ultimo fatale travestimento: la talare, la fascia rossa da monsignore e il cappello da prete, fu attirata da un piccolo rigonfiamento della piega dell’abito nero in basso. Prese subito le forbici, scucì il risvolto e, sapientemente mimetizzato nel sacchetto di cellofan, trovò un bigliettino con la grafia del padre. La ragazza trasalì. Il capitano Tejko non avrebbe potuto andarsene, senza lasciare almeno una traccia, un indizio alla famiglia di ciò che gli era capitato.

    E l’altro bigliettino trovato nella mano destra del capitano dai compagni dei Servizi segreti? Non sapeva perché, ma alla ragazza sembrava veramente strano. Braccato, avrebbe avuto il tempo di scrivere un biglietto? E poi, perché i gendarmi vaticani avrebbero dovuto ucciderlo? Prigioniero sarebbe stato senz’altro un’arma in più nelle loro mani. Né si spiegava perché avrebbero lasciato che il corpo fosse stato recuperato dai suoi stessi commilitoni. Caso mai lo avrebbero preso e portato in una cella frigorifero, come corpo del reato e strumento di accusa, in attesa di lasciarlo alla famiglia? Insomma parecchie cose non quadravano. Ed ora questo biglietto sapientemente e abilmente nascosto.

    Con circospezione aprì il cellofan, prese il fogliettino e lesse:

    Scrinio Loquax – DI – GAR – IT: 899 (43); 1576 (35); 1613 (24) (i); (dell’) 633(4); 518 (13-ti); 1OO2 (6-i); (da) 1903 (17); 1061 (19); 389 (33-ti); (anche) 1942 (17-i); 1126 (23-a); 1618 (10); 1286 (3-a); 1803 (9); 1057 (11-a); 1960 (10).

    E che cosa vuol dire tutto ciò? Che cosa voleva comunicare? Questi benedetti funzionari dei servizi segreti che non utilizzano mai il linguaggio degli altri mortali!

    Ripetette più volte la strana sequela di lettere e numeri, ma la frase rimaneva muta. Doveva senz’altro essere una comunicazione crittografica. Ma perché l’aveva nascosta nel risvolto della talare e non stretta nella mano morente, in modo che giungesse subito ai suoi superiori, come aveva fatto con l’altro biglietto? Era scritta, però, con mano ferma, quindi non poteva essere stata scritta dopo essere stato colpito. E poi, era scritta in italiano o in polacco? E ancora, indirizzata ai servizi segreti o alla famiglia? Tutti interrogativi che continuavano a frullarle nella testa, ma non l’aiutavano affatto a decifrare lo scritto. Avrebbe voluto tenere la cosa per sé, senza farne parola neppure alla matrigna. Ma questa se ne accorse e, dopo un furioso battibecco, riuscì a toglierle il fogliettino dalle mani. Lo lesse e decise di farlo vedere al Colonnello, l’unica persona che avrebbe potuto capirci qualcosa.

    - E se fosse un estremo saluto, un ultimo pensiero per la sua famiglia? Che c’entra il Colonnello? - obiettò la ragazza.

    - L’avrebbe scritto in semplice polacco, senza utilizzare un codice segreto - controbatté la matrigna e troncò la discussione.

    Quella sera stessa, quando il Capo dei servizi segreti di Cracovia venne a fare visita alla signora Lysa, fu messo subito a parte del misterioso biglietto. Roback lo lesse, non ci capì niente, ma si insospettì. Perciò lasciò subito Casa Tejko e, accompagnato dalle due donne, si diresse verso la Torre del Municipio della Rynet Glowny (Piazza Mercato) e affidò nelle mani esperte dei decrittatori dei servizi segreti il prezioso documento. Anzi, mentre le donne aspettavano nella sala accanto, ordinò ai suoi uomini di decifrare lo scritto, ma di comunicare il misterioso messaggio solo a lui. Ragioni di segretezza. «E alle due donne?» chiese uno degli esperti. Avrebbe pensato lui ad imbastire una qualche menzogna.

    Furono fatti vari tentativi, utilizzate varie chiavi, diversi registri identificativi, ma nessuno corrispondeva a quelli in possesso degli esperti. Alla fine Julius Pickacz, il vice di Roback, e più vicino testimone del capitano Tejko al momento dell’attentato, basando la sua interpretazione sull’azione di spionaggio che il Capitano stava svolgendo a Roma, utilizzando un particolare codice numerico e verbale polacco-italiano decriptò così:

    SCRINIO LOQUAX = L’archivio segreto vaticano è abbastanza fornito; DI = (ingl. to dig = scavare, decriptare nel GAR= giardino = codice; IT = italiano; 899 (Nessun); 1576(Pericolo); 1613 (Vaticano); 633 (Tranquillo); 518 (Minaccia); 1002 (Gialli=Cinesi); 1903(Distacco); 1061 (Regime) ,389 (Sovietico), anche 1942 (Avvicinamento),1126 (Avversari=Americani); 1618 (Nuova) 1286 (Economia); 1803 (Papa) 1057 (Morto) 1960 (Naturalmente).

    ARCHIVIO VATICANO RICCO DI NOTIZIE; DECRIPTAZIONE SECONDO CODICE ITALIANO: NESSUN PERICOLO; VATICANO TRANQUILLO; LA MINACCIA (VIENE) DAI CINESI: (PER) DISTACCO DAL REGIME SOVIETICO, ANCHE PER AVVICINAMENTO AGLI AMERICANI E PER UNA NUOVA ECONOMIA; PAPA MORTO NATURALMENTE.

    Questa sembrò l’interpretazione più ovvia. Ancora una volta, ligio al suo dovere, Wit Tejko aveva svolto come meglio non poteva la sua missione.

    Ovviamente l’interpretazione soddisfece la signora Lysa, un po’ meno Hania che, però, non lasciò trasparire la sua delusione, con il proposito di indagare per conto suo sul misterioso messaggio.

    L’interpretazione del biglietto fu subito comunicata a Varsavia e da lì al Cremlino e a tutte le capitali comuniste, che da una parte tirarono un sospiro di sollievo per il caso vaticano, dall’altra attivarono ogni strumento di attenzione per il caso Cina. E per il momento la cosa finì lì. Non finì però per Hania. In particolare una considerazione la tormentava: il padre non avrebbe corso l’estremo pericolo per una comunicazione segreta, a suo dire, così insulsa e sconclusionata.

    E ancora almanaccava che, per una comunicazione di un messaggio ai servizi segreti polacchi, non avrebbe affatto utilizzato l’italiano, come aveva detto Julius Pickacz. Anzi si convinceva sempre più che il padre aveva utilizzato questa lingua, per comunicare qualcosa che dovesse restare sconosciuto proprio ai servizi segreti e ai capi polacchi.

    Quindi, abbandonando il polacco, cercò di decifrare il biglietto nella lingua italiana, che lei conosceva molto bene. Tentò varie soluzioni, ma non venne a capo di niente e, per il momento, lasciò perdere, tornando solo saltuariamente sulle varie parti del bigliettino, soffermandosi ora sulle lettere ora sui numeri. Passò pure in rassegna il codice utilizzato da Pickacz. Ma più lo utilizzava, più si convinceva che l’interpretazione del vice del Colonnello era stata soltanto una forzatura, se non una voluta e misteriosa storpiatura. «E perché poi?» I dubbi crescevano e si ingigantivano. Ma non ne parlò con nessuno, riservandosi di continuare ad indagare personalmente, magari, se ne avesse avuto l’opportunità, anche a Roma, negli stessi luoghi dell’agguato.

    CAPITOLO II - UN PAPA VENUTO DAL FREDDO

    Nonostante la pseudo decifrazione del bigliettino di Wit Tejko, il 16 ottobre 1978 un terremoto improvviso, e in un certo modo inatteso, si abbatté con i suoi effetti devastanti lungo la churchilliana Cortina di ferro, con epicentro a Roma e con ripercussione, silenziosa ma intensa, su tutta la linea divisoria dei due sistemi post-bellici europei, quello occidentale e quello orientale, con particolari effetti allarmanti in Polonia: l’elezione al Soglio Pontificio di un cardinale polacco, il più giovane, il più combattivo, l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, che prendeva il nome di papa Giovanni Paolo II.

    Al suono disteso delle campane di S. Pietro in Roma, che annunciavano alla cattolicità l’habemus Papam, a quello della campana Sigismondo della cattedrale di Wawel di Cracovia e a quello del campanone della cattedrale di Varsavia, che davano a tutta la Polonia il lieto annunzio, si contrappose subito il silenzio incredulo dei Comunisti dell’Europa dell’Est. Alla gioia e all’esultanza dei cattolici si contrappose la preoccupazione, l’ansia e il turbamento dei vari Capi comunisti. All’audacia, al coraggio e alla speranza dei popoli oppressi e perseguitati si contrappose il timore, l’agitazione, la trepidazione e, in qualche caso, la disperazione dei Reggitori dei regimi totalitari, anche se pubblicamente fingevano calma, disinteresse e indifferenza.

    Un Papa, che aveva conosciuto in prima persona le torture e le uccisioni esecrabili del regime nazista e gli effetti di un ateismo programmatico diffuso dalle ideologie comuniste, che aveva sperimentato gli orrori della guerra nazista e la mancanza di libertà del regime comunista, a cui lui si era sempre opposto, anche se con molto tatto, da prete e da vescovo, doveva per forza far paura ai vari regimi totalitari, in particolare a quelli dell’Est europeo.

    Anche se tra USA e URSS c’erano segni di distensione e di disgelo (per esempio i vari incontri del leader sovietico Leonid Breznev con i Presidenti statunitensi: Nixon, Ford e Carter, per la limitazione sia delle armi strategiche, sia di quelle nucleari), le tensioni interne ed esterne nei vari scacchieri del mondo erano all’ordine del giorno.

    In molti Paesi, a regime dittatoriale, saliva l’onda della ribellione dei popoli, privi dei diritti più elementari, mentre nei Paesi satelliti dell’URSS si diffondeva sempre più l’aspirazione alla " Via nazionale" ad un socialismo dal volto più umano e aperto all’Occidente.

    Molti Paesi dell’Est, infatti, in crisi economicamente, avevano avuto contatti commerciali con i Paesi dell’Europa Occidentale e continuavano ad essere interessati da movimenti interni di operai e intellettuali, che continuavano a mettere a dura prova i vari governi, anche se presto sconfessati e perseguitati. Basti pensare al Movimento di " Charta 77 in Cecoslovacchia, guidato dal drammaturgo Vaclav Havel; ai Movimenti dei lavoratori" dei cantieri di Danzica, Stettino, Lublino, non ancora costituiti in "Sindacato libero, ma lì per costituirsi; alle Università Volanti" dei dissidenti che organizzavano corsi di istruzione alternativi, ecc.

    Non si era ancora spento l’eco del suono delle campane di Roma e di quelle della Polonia che i Dirigenti dei Paesi dell’Est, con i Rappresentanti più in vista sei Servizi Segreti (KGB, DS, STASI, ecc.) furono invitati a MOSCA, per un Congresso Straordinario. Come sempre fu scelta come sede del plenum il complesso imponente del Cremlino, costruito su di un colle a 40 metri sul livello della Moscova, che lambisce le lunghe mura con le sue acque.

    Sotto la presidenza nientemeno che del leader sovietico, Leonid Breznev, si incontrarono Gustav Husak per la Cecoslovacchia, Todor Zivkov per la Bulgaria, Janos Kadar per l’Ungheria, Erich Honecker per la Germania Democratica, Nicolau Ceausescu per la Romania, Eduard Gierek per la Polonia, ognuno con proprie delegazioni e osservatori dei Servizi Segreti. Vi parteciparono anche dei Dirigenti dei Partiti Comunisti dell’Europa Occidentale, Enrico Berlinguer per l’Italia, George Marchais per la Francia e Santiago Carrillo per la Spagna, i quali il 2 marzo del 1976 avevano sottoscritto a Madrid la " Carta dell’Eurocomunismo, prendendo le distanze da Mosca e puntando su di una via nazionale al comunismo".

    Ad accogliere tutti fu l’ampio salone del Gran Palazzo del Cremlino, sede del POLITBURO Sovietico. Intorno all’ampio tavolo ovale sedettero i Dirigenti, circondati, un po’ più indietro, dalle loro delegazioni. Agli angoli della sala, invece, presero posto i Comandanti dei servizi segreti. Per la Polonia, oltre al Dirigente Centrale di Varsavia, Vitaly Pavlov, erano presenti anche il colonnello Roback del Dipartimento di Cracovia, il suo vice Pickacz e Hania Tejko, che avrebbe dovuto ricevere una medaglia alla memoria per il padre ucciso a Roma.

    Prima di iniziare, la parola d’ordine fu di non stilare nessun documento ufficiale della seduta. Solo uno scambio di opinioni per un agire comune, anche se con azioni diversificate da parte dei singoli Stati. Al massimo, alla fine, un nastro registrato su una microspia sarebbe stato consegnato alle singole delegazioni.

    In apertura Breznev puntualizzò senza mezzi termini che il momento storico era molto delicato e mise sul tappeto i vari problemi.

    Dopo ampia discussione, in cui si parlò, anche in modo acceso, soprattutto tra Breznev e Ceausescu, delle ingerenze americane in Russia, dell’apertura della Cina al " socialismo di libero mercato, della situazione economica del sistema comunista e dell’aspirazione dei Paesi Satelliti ad una via nazionale al comunismo", si finì per evidenziare anche i timori che potevano derivare ai Paesi Comunisti dall’elezione sulla cattedra romana di Pietro di un cardinale di un Paese appunto comunista, come l’arcivescovo di Cracovia, il card. Karol Wojtyla, con il nome di Giovanni Paolo II. Ma il Dirigente del Partito Comunista Polacco, Eduard Gierek, ben consapevole che il 98% della popolazione polacca era cattolica, sostenne, invece, che era stato un bene allontanare dalla sua patria un soggetto così ostinato e combattivo, che avrebbe senz’altro potuto continuare a seminare malumori e odi contro il comunismo tra la nostra gente. Perciò prudenza, ma non eccessivo allarmismo.

    Lo appoggiò subito il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, il quale riferì che dal Vaticano non bisognava attendersi chissà quali manovre destabilizzanti. I Partiti Comunisti Europei, infatti, convivevano benissimo con le democrazie occidentali, perché, per i famosi Patti di Yalta vigeva il pluripartitismo e i rapporti erano buoni anche con il Vaticano, perché con " l’apertura del Concilio Vaticano II" la Chiesa di Roma aveva cominciato ad agire per " il dialogo, la pace, la giustizia, il rispetto e la libertà dei popoli".

    « Chiacchiere, compagni! Chiacchiere!», interruppe improvvisa una voce di donna del gruppo dei funzionari dei servizi segreti polacchi. Era Hania Tejko. Per farsi sentire si era alzata anche in piedi. « Zitta! Che vuoi fare?», sibilò subito Roback, strattonandola e cercando di farla sedere. « Lasciami…» continuò la giovane . «Devono pur sapere che in Vaticano non sono tutti santi con l’aureola. Predicano la giustizia sociale ed economica e riempiono le banche di danaro; predicano la povertà e i loro riti e le loro chiese pullulano di sfarzo ; predicano la pace, ma solo a parole, perché poi accolgono nelle loro sale i guerrafondai; predicano i diritti dell’uomo, ma hanno un’istituzione basata sulla più intransigente monarchia assoluta; predicano la tolleranza, ma non cambiano una virgola al loro credo per venire incontro alle altre religioni; predicano il dialogo e la coerenza, il sì… sì – no… no evangelico e poi agiscono solo per il loro tornaconto, per il loro particulare; predicano che la vita è sacra e nel passato hanno organizzato le terribili crociate e, nel presente, non esitano ad uccidere uomini dei servizi segreti che fanno solo il loro dovere…Sì…proprio come hanno ucciso mio padre ed io non li perdonerò mai… mai…Sì, li odio…Odio il papa – e con la lettera minuscola! Ma chi è? Dio in terra? - Odio i cardinali, i vescovi, i preti e tutti i loro leccapiedi. Odio i cristiani che hanno gli occhi chiusi e non s’accorgono dell’inganno…E voi parlate di dialogo, di pace, di giustizia, di libertà dei popoli, di rispetto, di prudenza?!» Tacque e sedette, mentre si asciugava gli occhi pieni di lacrime. Un silenzio di tomba aleggiò nella sala settecentesca. Tutti, prima diressero i loro sguardi verso Hania, poi li rivolsero verso Breznev. Roback, in attesa della reazione, si fece piccolo piccolo sulla sedia. Sarebbe voluto sparire. Julius Pickacz, invece, aveva il volto terreo.

    «Chi è questa donna? E chi le dà l’ardire di parlare?», tuonò con voce cupa Breznev.

    «È la figlia del capitano Tejko, compagno Presidente…», intervenne Gierek. «È venuta per ritirare la medaglia al valore per il padre, ucciso in Vaticano.»

    «E la meriterebbe pure lei…», tuonò improvvisamente una voce, facendo seguire una battuta di mano. «Brava! Brava davvero! Perbacco, una giovane donna è riuscita a guardare nel futuro più di ciascuno di voi esperti di politica e di economia. Odio il papa … E con la lettera minuscola!!! Che forza!», e accompagnò la frase con una risata.

    Tutti si voltarono verso un individuo che era comparso su di una delle enormi e spaziose porte intarsiate della sala. Era avvolto da un ampio mantello nero e aveva la testa e il volto coperti da un cappuccio alla Ku Klux Klan. Era inoltre circondato e spalleggiato da quattro individui, i blackmen, pure loro con il corpo, la testa e il volto coperti dagli stessi indumenti che li rendevano irriconoscibili. Pensando a degli intrusi o peggio a degli attentatori, si erano tutti alzati in piedi e gli agenti dei Servizi Segreti già si lanciavano verso di loro, quando Breznev fermò tutti. «Fermi! È Mister Darkman, il nostro nuovo Consulente Generale del Dipartimento Affari Sociali e Religiosi del Kgb sovietico, il quale ha avuto mandato di coordinare gli altri Dipartimenti Speciali (Ds) dei Paesi del Patto, con il grado di Direttore Generale. Si è già distinto come responsabile in altri Settori. Molti di voi lo conoscono come il " Cavaliere Nero"». « Il Cavaliere Nero?!», esclamarono tutti, più impauriti che meravigliati, dato che quel nome, circondato da un alone di mistero, suonava un po’ sinistro per tutti.

    «Non ama mostrarsi in pubblico a volto scoperto – precisò il Presidente sovietico – per ovvii motivi di sicurezza, ma vi assicuro che conosce gli intrighi del Vaticano meglio del papa. Anzi quello che mi sta suggerendo in questi mesi vi posso assicurare che è veramente vangelo. Perciò gli do carta bianca. Si accomodi, mister…»

    Il capo supremo dei Servizi Segreti sovietici e il suo vice andarono subito a salutarlo con deferenza, gli altri alti funzionari inchinarono il capo in segno di rispetto. Insomma era palpabile la sua autorità. L’uomo misterioso, guardando un po’ tutti dall’alto in basso, si accomodò accanto al Primo Dirigente Sovietico. Poi diresse uno sguardo compiaciuto verso Hania e abbozzò un sorriso.

    «Sei la figlia del Capitano Tejko?» «Sissignore…E mi scuso per l’intrusione.»

    «Proprio come tuo padre, senza peli sulla lingua… (p)apa con la lettera minuscola!!! Brava!»

    Tutti i volti, ormai più rilassati, si rivolsero verso il nuovo arrivato, con le orecchie pronte a captare anche i minimi movimenti delle sue labbra.

    CAPITOLO III - I PRESAGI DEL CAVALIERE NERO

    Mister Darkman, utilizzando tutta la gamma dei toni di voce, cominciò: «Chiedo scusa innanzitutto al Primo Dirigente e poi a tutti voi per il ritardo, ma impegni di gran lunga più importanti di quelli vaticani mi hanno attardato. Io, esimi capi dirigenti e responsabili, non sono uso parlare del passato, ma del presente e soprattutto del futuro. Infatti quasi sempre mi soffermo sul presente per andare al futuro, perché le inquietudini del presente sono sempre preludio ai fallimenti e alle angosce del futuro…E solo prevedendo il futuro si possono prendere le misure adeguate, per allentare le angosce ed evitare i possibili fallimenti del presente. E che cosa ci dice il presente?»

    D’improvviso cambiò tono di voce e, con un linguaggio colorito e apocalittico, proseguì: « Oooh! Ecco…Io vedo…io vedo…uno scontro di luce e di tenebre, di felicità di infelicità, di vita e di morte…Vedo un Cigno bianco volitare qua e là per il mondo, incontrarsi con altri spocchiosi volatili, mostrando loro occhi mesti di perdono e di dialogo …Vedo una folla variegata e multietnica, attonita, visi in cielo, mani tese, avanzare al grido disperato di pace, libertà, dignità, giustizia, solidarietà, umanità. Ma ecco! D’improvviso un vento impetuoso, distruttore invade la Terra…Un mondo crolla … Cadono dal cielo tenebroso le pallide stelle … Una pioggia incessante di ipocrisia, falsità, menefreghismo, consumismo e iniquità di ogni genere inonda il globo…, bagna le brume ali di un nibbio che, a stento, riesce a librarsi nell’aria, carica di eventi e di veleni…Oooh! È la fine! La fine! Vigilate, vigilate, perché tutto questo non accada! Ma il futuro è nero, nero di pece… Vedo un mare blu tingersi improvvisamente di rosso sangue e poi trasformarsi in belletta nera…Vedo onde enormi sollevarsi e travolgere spiagge orientali. Vedo neri corvi gracchianti beccati a morte da bianche colombe improvvisamente divenute enormi, giganti, rapaci! Agite! Agite! O è la fine!!!»

    Mister Darkman tacque, rinsavì e sedette pesantemente al suo posto.

    Occhi attoniti e interrogativi si incrociarono. Un mormorio sordo e indistinto cominciò a volteggiare nella sala, ma nessuno osava alzarsi, interrogare… Gli alti capi sovietici e quelli degli altri Paesi dell’Est conoscevano il parlare enigmatico dell’uomo misterioso, ma nessuno ne conosceva l’identità e il volto. Però, quasi sempre, quello che aveva profetizzato nei grandi raduni si era poi inspiegabilmente avverato. E questo aumentava il mistero sulla sua persona. Fino a che non era diventato Dirigente Generale degli Affari Sociali e Religiosi, lo conoscevano genericamente come " Consulente dei servizi segreti, ma nessuno sapeva di che nazionalità fosse e dove avesse la sua arcana e inaccessibile dimora, o meglio le sue misteriose dimore, perché ne aveva più di una e nei luoghi più impervi, che rendevano il Cavaliere Nero" quasi irraggiungibile. Alcuni l’avevano visto volteggiare con un nero elicottero sugli Alti Tatra tra la Cecoslovacchia e la Polonia, altri sul monte Lysa Hora nei Beschidi, altri sui Monti dei Giganti tra la Slesia e il Nord della Cecoslovacchia, senza contare spesso la sua permanenza o nei castelli della Polonia o in altri siti segreti del Kgb.

    Nessuno però era stato mai ammesso alla sua presenza a volto scoperto nei suoi innumerevoli rifugi. Gli unici che vi avevano libero accesso erano: un rappresentante del Kgb sovietico, con il nome in codice di " Red Kite (Nibbio Rosso") e il colonnello Roback di Cracovia, i quali insieme con Darkman decidevano le missioni più segrete e meno ufficiali.

    Perciò dopo le apocalittiche esternazioni, nella sala grande del Cremlino nessuno osava fiatare. Solo un incosciente, uno, che lo sentiva parlare per la prima volta e non conosceva le regole di questi plenum, poteva rivolgergli la parola. E, poiché Hania già si era esposta, sobillò Roback a chiedergli che cosa avesse voluto dire. Il capo dei servizi segreti di Cracovia scosse un po’ la testa, le fece cenno di star buona e non creare altre incresciose situazioni, e rifiutò di esporsi. Allora la ragazza fece cenno di alzarsi e di volersi esporre in prima persona. Roback la fece sedere con forza e, ob torto collo, fu costretto ad esporsi. Si alzò e con la voce rotta dall’emozione: «Mister Darkman…» cominciò.

    Tutti si voltarono verso di lui. Il Dirigente dei Servizi Segreti di Varsavia, Vitaly Pavlov e Gierek, in particolare, si fecero scuri in volto e lo guardarono torvi. Julius Pickacz per poco non finiva sotto la sedia per impicciolirsi e scomparire… A questo punto Roback non se la sentì di proseguire e se ne uscì con un: «Mister Darkman…volevo dirle…grazie per le sue parole.» E sedette. Hania, come una furia, si alzò in piedi e rivolta a tutti: «Ma chi è mister Darkman? Una belva feroce? Un diavolo in carne ed ossa, che non gli si può rivolgere nemmeno la parola? Mister, avete farneticato di vigilare, ma su che cosa dobbiamo vigilare? Avete almanaccato di cigni, di nibbi, di corvi neri, di enormi colombe, di pioggia d’ipocrisia, di false stelle? Ma siate più preciso, per la miseria! Non profetizzate come quegli esseri misteriosi della Bibbia che non venivano mai ascoltati, perché utilizzavano un linguaggio criptico e incomprensibile!»

    «Ancora, ragazza? Ma come osi?», la interruppe Breznev.

    «Perdonala, compagno presidente, è nuova, da poco arruolata nei Servizi», intervenne il generale polacco di Varsavia.

    «Lasciatela parlare», la difese il Cavaliere Nero. «Le persone audaci mi piacciono. Questa ragazza farà molta strada… Allora che vuoi sapere?»

    «Quello che ho già chiesto. Lo so che nei servizi segreti ogni funzionario deve avere un calcolatore elettronico in testa, che ascolta, immagazzina, conserva e al momento opportuno richiama e agisce…»

    «Brava! E che deve avere anche una macchina fotografica particolare che scatta, percepisce, intuisce e decripta istantaneamente…»

    «Ma sono qualità che si acquisiscono con l’esperienza, non le pare, Mister?»

    «Giusto! Glielo spieghi allora un uomo di esperienza, un veterano dei servizi segreti, sù…»

    Tutti i funzionari abbassarono la testa, i dirigenti si agitarono in attesa di una risposta, ma nessuno parlava.

    «Vai, colonnello Roback, rispondi tu…», ingiunse, in tono autoritario, il generale di Varsavia.

    «Io ?!», si agitò il povero interrogato. «È una della tua sezione, tocca a te…»

    «Sì… ecco… Il Cigno bianco dovrebbe essere il nuovo papa di Roma che con le sue parole e le sue azioni potrebbe venire in aiuto delle colombe, cioè dei cristiani perseguitati, e mettere in crisi un nibbio rapace, cioè un suo presunto nemico, forse un antipapa, un Anticristo, che potrebbe cedere sotto l’incalzare di questo vento impetuoso che viene appunto da Roma…»

    «Un evento, quindi, all’interno del solo mondo vaticano?», riprese l’uomo incappucciato. E proseguì: «I Paesi dell’Est, quindi, possono dormire sonni tranquilli?»

    «Io credo di sì…Tutti temiamo gli Occidentali, gli Americani, non il Vaticano, uno Stato non militarizzato che guida popolazioni inermi.» Roback si fermò e si guardò attorno imbarazzato.

    Gierek allora gli venne in aiuto. «Credo che abbia ragione…La religione cattolica in Polonia, negli altri Stati dell’Est, ma anche altrove, non ha mai avuto il sopravvento, siamo sempre riusciti a tenerla a bada, come voi in Unione Sovietica tenete a bada la religione ortodossa. Non penso affatto, quindi, che anche adesso da Roma possa venire un pericoloso cataclisma.»

    «Noi che ci viviamo all’ombra –aggiunsero i politici comunisti occidentali- siamo dello stesso avviso.»

    «Be’, pure a noi questo eccesso di preoccupazione, di apprensione, di timore per un capo religioso non militare, per un capo di un piccolissimo Stato, tutto spirito e nessun potere da impensierire, ci sembra veramente ridicolo…», sostennero alcuni con parola, altri con gesti, sia Honecker che Husak, Kadar e Zivkov.

    Breznev abbassò la testa, tossì e poi si rivolse verso mister Darkman. L’uomo mascherato si levò di scatto, guardò torvo di qua e di là, poi con voce cavernosa e adirata fulminò gli astanti.

    «Troppo duri, troppo duri a intuire i pericoli! Ma volete capire che gli altri papi parlavano, predicavano, indicevano e diffondevano sì i documenti conciliari, ma con prudenza, diplomazia, tatto politico. Questo, invece, grida, tuona, incalza in modo accorato…È voce di Colui che grida nel deserto del mondo: Appianate le strade…Tornate a Cristo… Egli non è solo un filosofo, un teologo, un moralista che incanta con le sue parole, ma un Giovanni Battista, un testimone che, alzando la sua voce potente, fa molto male, tanto male…Egli è un uomo inquieto, perché sdegnato che l’uomo esilia Dio e vuole agire da solo, che l’uomo pensa di essere solo un essere materialista che crede di poter fare a meno di Dio…E lui non si fermerà finché non farà tutto il possibile per recuperarlo. Vuole, insomma, che Cristo torni nella società. Nella nostra società comunista c’è Dio? No… Allora siete, siamo in pericolo…La Chiesa dell’Est finora era ridotta al silenzio…Ora ha una voce, la sua voce…Lo sapete che cosa pensa del comunismo? Che è un’" eruzione del male" che ha violato le coscienze con l’invasione ideologica e la propaganda politica, ma che al male dei totalitarismi "la Provvidenza ha imposto dei limiti". Si batte, quindi, perché il male interrompa il suo corso… Questo futuro caratterizzerà il pontificato di questo papa…E voi dite che non c’è pericolo? E sapete a quale altro inganno sta dando forza?» Tutti ancora una volta lo guardarono interrogativi e tacquero. «Ma a quella fantasiosa profezia – continuò - che a Fatima nel 1917, lo stesso anno della Rivoluzione d’ottobre, quella pseudo figura di donna pronunciò: la conversione della Russia. E lui ne è completamente convinto e farà di tutto perché si avveri. E voi tergiversate, dubitate, tentennate? Ma correte, correte ai ripari o sarà tardi, molto tardi…»

    Detto questo, sedette. Tutti si guardarono imbarazzati. Poi fissarono i Responsabili dei servizi segreti polacchi, gli unici che conoscevano di persona il nuovo Papa polacco. Allora il Direttore Generale dei DS polacchi, Pavlov, fu costretto suo malgrado ad intervenire: «Mister Darkman ha pienamente ragione… Tutti coloro che conoscono l’ex cardinale di Cracovia come uno dei più attivi oppositori del socialismo sanno che la posizione del Vaticano può diventare una pericolosa minaccia, perché è molto probabile che il nuovo papa tenterà con ogni mezzo di trasformare circa 900 milioni di cattolici e la struttura stessa della Chiesa di Roma in un solo nemico del comunismo. La minaccia che si prospetta per il futuro è tra le più serie

    Il direttore generale del Kgb sovietico si disse d’accordo con Pavlov. Gli altri dirigenti dei servizi segreti presenti fecero altrettanto.

    Breznev si levò in piedi e in tono che non ammette repliche disse: «Certo il problema esiste, ma non vorrei creare un incidente diplomatico. Gli Stati dell’Est – ripeto - non dovranno mai, dico mai, essere immischiati direttamente. Comunque, giacché c’è preoccupazione da parte dei servizi segreti, se ne occupino loro. Anzi, compagni direttori, poiché il vostro convegno è già fissato in Polonia, si colga tale occasione per mettere all’ordine del giorno anche la questione vaticana. Vi guiderà nella nuova missione il direttore del nostro Dipartimento Speciale, il compagno Red Kite, mentre mister Darkman vi suggerirà il da farsi.» E si allontanò seguito dagli altri capi e dirigenti sovietici.

    Come suggerito dal leader sovietico, i responsabili dei servizi segreti si diedero appuntamento tre giorni dopo a Cracovia.

    CAPITOLO IV - UNO STRANO E MISTERIOSO INCONTRO

    Mister Darkman raggiunse il suo elicottero e diede ordine al pilota di levarsi in volo. Una volta in viaggio si tolse il cappuccio e il mantello nero e ritornò momentaneamente il conte Dabski. Poi si appoggiò con la testa allo schienale e riandò con la mente a quello che era capitato quel giorno al Cremlino: lo scossone delle elezioni del papa polacco; le tensioni tra i capi; le paventate ingerenze dell’Occidente; le renitenze dei capi politici comunisti ad essere coinvolti; la patata bollente posta nelle mani dei servizi segreti non sempre facilmente manovrabili.

    Ma soprattutto gli si parava davanti agli occhi voluttuosi il volto battagliero e provocante di una giovane donna.

    «Forte, però, quella giovincella, eh! E che carattere!» E, imitando la voce di Hania, proseguì: " Ma chi è mister Darkman?! Una belva feroce?! Un diavolo in carne ed ossa?!" Forte! Forte! Forte, cocciuta e pimpante…»

    «Ti ha colpito, vero? La fanciulla ti ha proprio stregato…Che mandrillo!», lo apostrofò una voce con tono canzonatorio. Il conte si alzò di scatto e si guardò istintivamente attorno. Nessun estraneo nell’abitacolo. Il pilota, isolato da lui, continuava a seguire la rotta, senza distrarsi.

    Allora capì ed ebbe un moto di stizza. Era la solita voce metallica e ironica che, giungendo dal suo subconscio, cominciò a rivolgergli la parola. Era successo per la verità altre volte, eppure ogni volta lo trovava impreparato e incosciente. Il suo " strizza cervelli", all’apparir del fenomeno, l’aveva giudicato un particolare sdoppiamento della personalità, formata – gli aveva detto - da due nuclei organizzati, diversi dell’agire, spesso in contrasto tra di loro, a volte d’accordo, che generavano in lui talora momenti improvvisi d’isteria, in casi estremi colpi di schizofrenia. Quando lo psichiatra gli aveva detto queste cose, lui subito aveva reagito in malo modo, ricordando anche i referti infausti che i suoi colleghi spesso avevano fatto visitando i rampolli della sua famiglia: «Allora, secondo lei, pure io sono un pazzo?!»

    «Sono cose che alla nostra mente possono capitare», gli aveva risposto il medico.

    «Ma quando mai? Quando non sapete fare una diagnosi, vi rifugiate nella schizofrenia e nella pazzia… Siete dei ciarlatani!», aveva ribattuto lui incredulo.

    Poi, alzandosi dal lettino, gli si era scagliato contro, gridandogli: «Sa che le dico? Vada in malora lei e tutta la sua pseudo scienza!» Ed era scappato via, maledicendo tutti gli strizza cervelli di questo mondo. Lo sdoppiamento, però, gli era rimasto, anzi si era acuito di giorno in giorno sempre di più. Era come se agisse in lui un " Alter Ego, che, a volte, mostrava il suo volto in uno specchio, spesso, invece, faceva sentire solo la sua voce. Ma soprattutto era molto cattivo. Quando poi la cattiveria delle due personalità si sommavano, diventava un toro scatenato, un aguzzino crudele e inumano. All’inizio, l’accresciuto potere delle sue facoltà mentali e della sua forza fisica e l’inspiegabile arresto dell’avanzar dell’età, gli avevano dato un’ebbrezza quasi sovrumana e aveva spesso sublimato il suo Alter Ego". Ma, a lungo andare, con il crescere della prepotenza, dell’arroganza e dell’oppressione dell’ALTRO, questa strana situazione aveva cominciato a dargli fastidio e a pesargli. A volte tentava anche di ribellarsi, ma l’altro, che appariva di gran lunga più forte e con poteri spesso inspiegabili, lo minacciava, molte volte addirittura lo torturava. Allora desisteva e si piegava.

    Tutto era cominciato un giorno di una ventina di anni addietro con la malattia del nipote Stanislao, che aveva allora cinque anni. Il nonno, il conte Dabski, allora già molto avanti negli anni, dopo la morte della moglie e del figlio, aveva riversato su quel nipote tutto il suo affetto e le sue attenzioni. E, quando si manifestarono i primi sintomi della malattia, corse di qua e di là come un pazzo, per restituirgli la salute. L’aveva fatto visitare dai migliori medici, gli aveva fatto somministrare le medicine più costose, l’aveva fatto sottoporre alle terapie più all’avanguardia. Purtroppo quel giovane virgulto della Famiglia Dabski appassiva di giorno in giorno sempre più.

    Schizofrenia all’ultimo stadio avevano sentenziato tutti i medici, resa più grave da una inspiegabile e perniciosa anemia, che indeboliva giorno dopo giorno la già provata costituzione fisica del ragazzo.

    Dopo aver fatto però tutti i tentativi possibili, i medici si erano arresi e avevano lasciato il fanciullo in balia della malattia e il nonno in balia della sua rabbia e della sua incredulità.

    L’unica spiegazione, che allora cominciò a farsi strada sulla bocca della madre del ragazzo e su quella degli altri parenti, fu che la malattia era una conseguenza della maledizione che aveva colpito la Famiglia Dabski nel XVIII secolo.

    Correva voce, attraverso le Cronache di Vincenzo Kadlubek, che, dopo l’uccisione per squartamento (le membra poi si sarebbero riattaccate da sole) del santo vescovo Stanislao da Szczepanowo da parte del re Boleslao II, l’Ardito, in pieno Medioevo, fosse stata lanciata una profezia, secondo la quale nessuno che portasse lo stesso nome del Santo avrebbe mai potuto occupare il trono o la cattedra vescovile (nel caso fosse sede governativa) di Cracovia. E proprio nel XVIII secolo uno Stanislao Dabski, non tenendo conto di questa ammonizione, si fece nominare vescovo della città. Egli morì, però, prima di assumere la carica e, per questa sua arroganza, si era sparsa la voce che avesse originato una maledizione contro la Famiglia Dabski.

    Il conte Dabski, miscredente e razionalista per natura, si era sempre opposto alle dicerie della maledizione e continuava ad attribuire a tare ereditarie le malattie dei primogeniti di seconda generazione dei Dabski. Ma, in seguito alle disperate insistenze della nuora, si era piegato. Aveva fatto fare un triduo di preghiere ben pagato nella cappella del Santo nella cattedrale del Wawel. Niente, nessun risultato. Aveva fatto varie donazioni in nome del Santo Vescovo. Niente. Ne aveva parlato con sacerdoti e vescovi. Ma essi per tutta risposta gli avevano detto che non esisteva nessuna maledizione e che la sua era solo una fissazione. Ma come? Una maledizione, che veniva da un Santo, da un martire cattolico, era una fissazione?!

    Aveva così cominciato ad odiare la Chiesa, i preti, i vescovi, il Papa e la stessa religione, finché un giorno uno sconosciuto, dall’età indecifrabile, il volto spigoloso provvisto di baffetti e pizzetto, ben vestito, non l’aveva avvicinato e gli aveva insinuato che gli ecclesiastici non potevano rispondere diversamente, perché sapevano che la " famosa maledizione" si poteva sconfiggere solo con un’azione eclatante contro una eminente personalità ecclesiastica polacca. Gli aveva anche promesso che gli sarebbe stato sempre accanto, che lo avrebbe guidato e lo avrebbe mantenuto giovanilmente in forma, finché non avesse compiuto l’opera. Il conte Dabski l’aveva fissato un po’ torvo. Poi, credendolo un ciarlatano, un gabbamondo che volesse trarre profitto dalla situazione, lo aveva allontanato in malo modo. « Ora ho da fare altrove», gli aveva risposto lo sconosciuto. « Tempi bui si preparano per gli esseri umani. Ma fra qualche tempo tornerò e sarai tu stesso a chiedermi di aiutarti…» E si dileguò nella nebbia autunnale.

    Dopo alcuni giorni quello strano incontro fu dimenticato e il conte Dabski ritornò alle sue pene per il nipote Stanislao.

    Passarono gli anni. La Polonia, dopo aver sofferto la guerra e l’occupazione nazista, aveva visto l’instaurarsi del regime comunista, la religione relegata nel privato, gli ecclesiastici tenuti sotto controllo, lo strapotere dei Sovietici. Insomma nessuna eminente personalità clericale che potesse avvalorare le parole dello sconosciuto.

    Intanto il nipote era cresciuto, era diventato giovane, ma con problemi di epilessia, paranoia e schizofrenia sempre più gravi. Era diventato un mostro: la testa enormemente cresciuta, il viso stravolto, gli occhi biechi, la bocca digrignata verso l’alto in una smorfia di esecrazione, il corpo contratto, le braccia contorte, le mani rattrappite. Era un tormento, una disperazione solo a vederlo.

    Stranamente all’inizio del ’64, mentre in Vaticano pontificava il nuovo papa Giovan Battista Montini (Paolo VI), negli Usa era presidente Lyndon Johnson e in URSS era cominciato da poco il potere di Breznev, lo sconosciuto era nuovamente comparso nella vita del conte Dabski.

    «Salve!» lo aveva salutato, guardandolo fisso negli occhi. «Salve! Hai mantenuto la parola…», gli rispose il conte, rivolgendosi a lui in tono più amichevole.

    «Io mantengo sempre la parola…E tuo nipote?» «Meglio non parlarne…» E il suo volto si era improvvisamente rabbuiato. Lo sconosciuto lo guardò sornione, sorrise di soddisfazione, poi, scandendo le parole, gli fece: «Se vuoi, la mia proposta è sempre valida…»

    Il conte lo guardò stranamente ancora una volta, ma più per il dolore che lo attanagliava che per l’assurdità della sua proposta. Ebbe soltanto la forza di rintuzzargli: «Ma perché ora vedi qualche eminente personalità ecclesiastica cattolica in primo piano in Polonia?»

    Lo sconosciuto sorrise e, in tono quasi sibillino, gli rispose: «Ti assicuro che c’è. Non ancora eminente, ma lo diventerà molto presto. Tu, però, puoi già preparare la trappola… Con me potrai diventare una figura di primo piano dei Servizi Segreti dei Paesi dell’Est, ascoltato e riverito. Così potrai guidare la tua azione, circondato e obbedito da persone che sposeranno in pieno la tua causa. Non vedi? Una parte delle promesse non si è già avverata?»

    «Veramente?! Quale?» «Quanti anni hai sul groppone?», gli fece. «Boh?! Dovrebbero essere ottantotto se ricordo bene…» «E il tuo sembra il fisico di un ottantottenne?» «Già… Hai ragione… Mi sento in forma, forte e pimpante come se fossi nel fiore dei miei anni.» «E neppure il viso mi pare ti inganni…» «È vero. Mi sembra un miracolo!» «Perciò sei il soggetto adatto per l’altro miracolo: stroncare finalmente la maledizione, guarire tuo nipote e liberare la tua famiglia…»

    Ad un tratto, da lontano, il conte vide un uomo vestito di bianco, che con la mano gli faceva segno di no. Il conte Dabski lo inquadrò per un momento, aguzzò la vista, per individuarne almeno i lineamenti, ma lo " sconosciuto, con un movimento naturale, si parò davanti e lo tolse completamente alla sua vista. Credendo, poi, che quei segni fossero rivolti a qualcun altro che lui non riusciva a vedere, lasciò perdere e si rivolse nuovamente allo sconosciuto".

    «Allora dicevi?»

    «Che è arrivato il momento di allontanare quella maledetta profezia…Se vuoi, ovviamente…» «Ma certo che voglio! Che cosa devo fare?» «Niente. Farò tutto io. Tu dovrai obbedire solo alla mia voce e a i miei comandi. Io sarò la tua coscienza, la tua guida, il tuo consigliere, ma anche il tuo pungolo fastidioso, il tuo tormento giornaliero, il tuo incubo notturno.»

    Il conte lo guardò un poco dubbioso, ma gli venne in mente il nipote e ogni dubbio svanì.

    «D’accordo…», gli rispose categorico. «Bene», sottolineò soddisfatto l’altro.

    «Un momento, ma chi sei tu? Qual è il tuo nome?», lo incalzò il conte.

    «Il mio nome non ha importanza. È importante, invece, quello che riusciremo a fare insieme.» «Sì, ma io sono conosciuto come il conte Dabski e sono visto come una peste nella società, come un fissato tra i preti, come farò a farmi accettare dalle autorità comuniste e ad avvicinarmi alle alte cariche della gerarchia ecclesiastica?»

    «Anche a questo penserò io. In privato resterai sempre il conte Dabski, ma giovanile e scattante come sei adesso, in pubblico delle maschere aderenti ti modelleranno un volto nuovo, diverso a seconda delle circostanze e degli interlocutori. Come eminente personalità dei Servizi Segreti, infine, prenderai il nome in codice di Darkman, mister Darkman, e ti mostrerai sempre con un mantello e un cappuccio in testa alla Ku-Klux-Klan, di colore nero, che ti daranno un aspetto sinistro, sibillino e misterioso, una personalità indecifrabile, come si conviene ad un agente segreto.»

    «Mister Darkman? Un nome inglese?»

    «Sì. Un uomo oscuro, sconosciuto, misterioso. All’inglese, poi, sarai meno individuabile e ti darà un alone di magia. Attento, però! I preti tenteranno di vendicarsi e soffrirai molto… Ma tu non mollare, non desistere e otterrai quello che vuoi.»

    «Ma tu chi sei? Un mago?» «Aaah! Un mago ?!», rise fragorosamente lo sconosciuto. «Ti pare che io abbia le fattezze e i poteri di quei melensi di ciarlatani che ingannano gli sprovveduti?» «Allora sei un diavolo?» «Aaah! E tu credi a questa frottola dei preti?! Proprio tu? Un razionalista, un materialista?» «E chi sei allora? Io non sono abituato a seguire uno che non conosco…»

    «Lo vuoi proprio sapere? Diciamo che sono una persona che ha scoperto di essere dotato di poteri eccezionali che ora vorrebbe usare per aiutare un suo simile…Ma se non vuoi, io posso continuare a lasciarti al tuo destino.» E fece per andarsene. «No, aspetta! Sono pronto, a tua completa disposizione…» «Bene, hai fatto una buona scelta. E ora a noi…».

    In quel momento il conte Dabski ebbe il corpo percorso da un calore indicibile, poi si elettrizzò, si sentì scosso dalla testa ai piedi e improvvisamente ebbe la sensazione di essere un ALTRO, come se una forza nuova, un’energia giovanile, un vigore fuori del comune, una virilità prorompente si fosse impossessato di lui. Lo sconosciuto, invece, era improvvisamente sparito.

    Intanto con la sua lungimiranza, le sue premonizioni, sempre verificate, e i suoi consigli sempre fruttuosi e utili, in poco tempo era riuscito a fare una brillante carriera nei Servizi Segreti, fino a raggiungere i vertici e ad entrare nelle grazie e nella piena fiducia delle autorità supreme. Tanto che agiva quasi in modo autonomo.

    Purtroppo si verificò anche quello che l’Altro gli aveva preannunciato: la vendetta dei preti. Un giorno vicino al nipote aveva trovato un anziano prete, chiamato dalla nuora per un esorcismo. Ma il giovane, durante il trattamento, era morto. Lui, come un forsennato, aveva tentato di aggredire l’anziano prete, di strangolarlo, solo gli altri parenti erano riusciti a fermarlo. Per quel momento. Poco dopo, infatti, il vecchio prete fu trovato morto nella Vistola e contemporaneamente il conte Dabski sparì dalla circolazione. Morto per la disperazione fu la versione ufficiale. E il conte fu dimenticato.

    Lo conosceva, invece, molto bene l’Alter Ego, lo strano mister Darkman che, puntando sull’odio smisurato che ormai il conte nutriva per il clero e la religione, se ne continuò a servire per i suoi loschi e diabolici progetti.

    A questo punto era giunta l’avventura del conte Dabski- Darkman, quando il cardinale Karol Wojtyla era stato eletto Papa, e lui era giunto a partecipare al plenum straordinario dei Paesi comunisti.

    CAPITOLO V - UN RITORNO DELIRANTE

    Ora ritornava al suo maniero, con il vivo desiderio, il delirio passionale per quella giovane donna che in piena assemblea aveva osato sfidarlo. L’altro, che conosceva la sua debolezza per le donne, soprattutto giovani e procaci, quel giorno in elicottero cominciò ad incalzarlo senza posa.

    «Hai visto che corpo sinuoso? Che protuberanze appetitose? Che fremiti repressi? Di’ la verità, quel visino slavato e ingenuo, quell’erotismo irrefrenabile che sprizzavano i suoi occhi, la sua bocca, i suoi atteggiamenti, ti hanno fatto girare la testa, non è così?»

    «Ma quando mai ?!» Ristette un po’, poi con voce eccitata: «Sì, sì…Al suo pensiero freme tutto il mio corpo…»

    «Che delizia, eh, avere da vecchio e navigato Don Giovanni un corpo ancora giovane, sessualmente attivo, gagliardo, focoso, passionale!» «Sì, sì… Hai ragione. Nessuna mi ha mai elettrizzato, eccitato, attizzato, come lei!» «Anche se è la figlia di Wit Tejko?»

    «Meglio… Nemesis post mortem, dicevano i latini…»

    «Ti ha proprio stregato … Aaaah!» e scoppiò a ridere fragorosamente. D’improvviso smise, lasciò passare qualche attimo, poi solenne aggiunse: «Tra qualche giorno, la metterò nelle tue mani e nel tuo letto.» «Tra qualche giorno?! Perché non subito?» «Non essere così impaziente…» Poi cambiò discorso, perché gli premeva puntualizzare anche il problema della vendetta contro i preti.

    «Bravo! Complimenti! Stamattina sei riuscito ad intorbidare ed agitare le acque proprio bene. Ora la giuncaia dell’Est trema e si prepara a resistere alle bianche onde spumeggianti, increspate dall’agitare della Croce… Aaah! Ma che creduloni! E vorrebbero dominare il mondo! " Lavoro e bisogni uguali per tutti! Ci pensa lo Stato!, gridano. E non si rendono conto che, per sconfiggere il Mio naturale e imporre Il tutto di tutti", lo Stato deve spazzar via: libertà, diritti, credenze, valori e utilizzare la sferza… Asino tira…che alla fine avrai la tua porzione di fieno! Cala la testa e cammina! Ma l’uomo non è un asino che assorbe legnate, piega la testa e cammina, senza ribellarsi… No! Prima o poi l’uomo si ribella. Vuole solo l’abbrivo e poi nessuno lo ferma più…E questo non hanno ancora capito i cari compagni dirigenti. Questo slancio iniziale si deve assolutamente tarpare, questa forza scatenante si deve imbrigliare, magari anche con un gesto eclatante…»

    «Eclatante? Un gesto eclatante?! Ho capito bene?» «Hai capito benissimo. Qualsiasi strumento morale, immorale, fatale, letale, purché non ci sia più questa spinta, quest’impulso. Perché, lo sa bene il Cigno Bianco, questo dell’Est è un regime costruito sulla sabbia… Prima o poi cadrà…»

    «E io, maledizione, non potrò più avere la mia vendetta! No! No! Non lo permetterò! Abominevoli capi! Perché, perché

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