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Il principe della notte (eLit): eLit
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E-book303 pagine4 ore

Il principe della notte (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Wings in the night 9

Più antico della leggenda, l'immortale Vlad Dracul vaga da secoli sulla terra cercando la reincarnazione di sua moglie Elisabeta. Ora è convinto di averla trovata nella giovane Stormy, ed è deciso a farla sua per l'eternità. Lei però non ha intenzione di cedere né alle lusinghe del fascinoso vampiro né alla presenza che da molto tempo avverte dentro di sé. Ma Elisabeta scopre quali sono i veri sentimenti di Vlad, e la sua collera non conosce confini...
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788858988817
Il principe della notte (eLit): eLit
Autore

Maggie Shayne

RITA Award winning, New York Times bestselling author Maggie Shayne has published over 50 novels, including mini-series Wings in the Night (vampires), Secrets of Shadow Falls (suspense) and The Portal (witchcraft). A Wiccan High Priestess, tarot reader, advice columnist and former soap opera writer, Maggie lives in Cortland County, NY, with soulmate Lance and their furry family.

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    Anteprima del libro

    Il principe della notte (eLit) - Maggie Shayne

    Titolo originale delle edizioni in lingua inglese:

    Prince of Twilight

    Mira Books

    © 2006 Margaret Benson

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-881-7

    Prologo

    Romania, XV secolo

    «Dobbiamo seppellirla, figliolo.»

    Vlad si trovava nella piccola cappella di pietra accanto alla sua adorata novella sposa. La pelle di Elisabeta era fredda come il catafalco di roccia su cui giaceva. Indossava l’abito di nozze verde chiaro che i domestici le avevano trovato il giorno in cui erano stati scambiati i loro frettolosi voti nuziali. La gonna creava un drappeggio su entrambi i lati, avvolgendo di bellezza la lastra di pietra. I suoi capelli, pallidi come argento filato e infinitamente lunghi, si allargavano attorno alla testa, formando una nuvola.

    «Figliolo...» Stavolta le parole dell’anziano prete furono accompagnate dal gesto della mano, che gli afferrò la spalla.

    Vlad si girò di scatto. «No! Non dev’essere messa nella terra. Non ancora. Non lo permetterò.»

    Un po’ di paura si unì alla pietà negli occhi del vecchio. «So che è difficile... lo so. Ma merita di essere condotta al suo riposo.»

    «Ho detto no.» Il tono era stanco, il cuore morto. Poi lui si concentrò di nuovo su di lei, sulla sua sposa.

    Il loro tempo insieme era stato troppo breve. Una notte e poi parte di una seconda, prima che lui venisse chiamato in battaglia. Non era giusto.

    Il sacerdote indugiava ancora.

    «Esci, prima che io estragga la mia lama e ti mandi fuori in pezzi.» Le parole furono appena più di un rauco sussurro, tuttavia abbastanza colme di minaccia da strappare al chierico un ansito spezzato.

    «Manderò dentro vostro padre. Forse lui potrà...»

    Vlad si voltò a scoccare un’occhiata ammonitrice da sopra la spalla. Breve, ma potente a sufficienza da ridurre alle lacrime la maggior parte dei mortali.

    «Sto andando, mio sovrano.» Il prete fece un lieve inchino e indietreggiò uscendo dalla porta della cappella.

    Vlad sospirò di sollievo quando i battenti tornarono a chiudersi, lasciandolo solo col suo dolore.

    Si chinò sul corpo di Elisabeta, appoggiò la testa sul suo petto, e lasciò che le lacrime inzuppassero il vestito. «Perché, amor mio? Perché hai fatto questo? Il nostro amore non valeva un solo giorno di lutto? Ti avevo detto che sarei tornato. Perché non hai saputo credere in me?»

    Un lieve cigolio, accompagnato dalla rigida brezza notturna e dal sommesso schiarirsi di una gola già anziana, gli disse che la tregua era finita.

    Vlad si costrinse a raddrizzarsi, e a voltarsi fronteggiando suo padre... In verità, quell’uomo era diventato per lui un padre quanto nessuno era stato dopo Utnapishtim.

    Il vecchio re era pallido e malfermo. Aveva perduto una nuora che già era stato prossimo ad amare... e aveva creduto di aver perso anche il figlio.

    Attraversò la piccola sala, l’andatura malferma e lenta, poi cinse le spalle di Vlad con le braccia fragili e lo abbracciò forte quanto le sue energie permettevano. «Vivo» borbottò. «Per gli dei, figlio mio, sei vivo, dopotutto.»

    Vlad chiuse gli occhi mentre ricambiava l’abbraccio. «Vivo, padre, ma non troppo lieto di esserlo, in questo momento.» Mentre lo diceva, guardò la sua sposa.

    Così fece anche l’anziano, lasciando la presa su di lui per spostarsi più vicino al catafalco. «Non so dirti quanto mi affligga vederti in un tale dolore, tantomeno assistere alla perdita di una giovane donna così eccelsa come Elisabeta.»

    «Lo so.»

    «La tua amica, la straniera... ti ha raccontato cos’è accaduto?»

    Vlad annuì. «Rhiannon è... una vecchia amica. E cara. Ha detto di essere arrivata qui per farmi visita appena dopo che fui chiamato a difendere i nostri confini.»

    «Così fece. Le offrimmo alloggio. Una pignola, e non credo avesse un’alta opinione della tua sposa. Voi due eravate...?»

    «Vicini quanto due persone possono essere» gli disse Vlad. «Ma non avevamo diritti l’uno sull’altro. Non sarebbe stata gelosa.»

    «Chiamava la principessa... Orbene, qual era la parola che usava...? Ah, sì: piagnucolona» mormorò il re. «In faccia a lei, nientemeno.»

    Vlad annuì, non dubitandone.

    «Quando giunse notizia che eri stato ucciso sul campo di battaglia, la povera Elisabeta si ritirò nella camera della torre e sprangò la porta. Mandai subito degli uomini a cercare di abbatterla, finché...»

    «Lo so, padre. So che hai fatto tutto ciò che era in tuo potere.»

    Il re chinò la testa, forse per celare il fiotto di lacrime negli azzurri occhi nebulosi. «Dimmi che cosa posso fare per alleviare il tuo dolore.»

    Vlad ci pensò, ci pensò intensamente. Rhiannon non era una donna comune, ma un’antica sacerdotessa di Iside e figlia di un faraone. Era esperta nelle arti occulte, e gli aveva assicurato che avrebbe ritrovato Elisabeta... lei l’aveva previsto... entro un lasso di cinquecento anni, se fosse riuscito a vivere così a lungo. Ciò che lei non aveva promesso era che Beta sarebbe stata la stessa donna che lui aveva amato e perduto, o che l’avrebbe ricordato e amato di nuovo.

    «C’è qualcosa che posso fare per te» mormorò il vecchio re. «Riesco a vederlo nei tuoi occhi. Nominala, figlio mio, e sarà fatta, qualunque sia.»

    Vlad incontrò gli occhi del padre e provò amore. Vero amore, benché non fosse il suo vero genitore. «Non posso lasciare che la seppelliscano. Non ancora. Ho bisogno che tu invii i nostri migliori cavalieri sulle cavalcature più veloci. Mandali fuori nella campagna a radunare i più esperti stregoni, indovini, maghi e streghe del territorio. Non m’importa quanto ci vorrà. Devo averli qui prima che la mia amata venga posta nella fredda terra.»

    Il re lo guardò negli occhi, preoccupato. «Figlio mio, devi sapere che neppure il mago più esperto sarà in grado di riportarla indietro. Sepolta o no, lei abita tra i morti ormai.»

    Lui annuì una volta, chiuse gli occhi a quello sguardo indagatore, amorevole. «Questo lo so, padre. Ho solo bisogno di assicurarmi che lei sia in pace.»

    «Ma il prete...»

    «Le sue preghiere non sono abbastanza. Voglio essere sicuro. Ti prego, padre, hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa per alleviare la mia pena. Questo l’allevierà, se mai qualcosa può farlo.»

    «Allora sarà fatto.»

    «E, padre... finché non arriveranno, tieni chiunque lontano da qui. E anche allora, lasciali entrare solo di notte.»

    Il vecchio era abituato alla natura notturna del principe. Annuì con la testa, e Vlad seppe che la promessa sarebbe stata mantenuta.

    Il re se ne andò, e lui estrasse la spada macchiata di sangue, poi si pose tra il catafalco e la porta della cappella. Quando si levò il sole, sbarrò la porta, staccò un arazzo dalla parete e vi si avvolse. Quando il sole tornò a tramontare, Vlad fu costretto a stendere la tela sopra il corpo di Elisabeta per non assistere al cambiamento che la morte compiva sul giovane corpo. E prima che la terza notte fosse iniziata, l’odore di decomposizione gravava pesante nell’aria.

    Ma infine, a mezzanotte della terza notte, i battenti della cappella tornarono ad aprirsi ed entrarono svariati uomini. Non c’erano donne tra loro. Fecero il loro ingresso in una folata di vento, la maggior parte vestiti in abiti da viaggio di lana di un bianco opaco, anche se uno indossava una stoffa più raffinata in ricche tonalità marrone rossiccio, i bordi ricamati con un motivo di tralci verdi che si intrecciavano.

    Tutti poggiarono un ginocchio a terra, inchinandosi profondamente davanti a lui.

    Quello in marrone disse: «Mio principe, siamo venuti più in fretta che potevamo. I nostri cuori sono gonfi di dolore per la perdita della principessa».

    «Sì» rispose Vlad. «Alzatevi. Mi serve il vostro aiuto.»

    Gli uomini si guardarono l’un l’altro con nervosismo. Erano cinque. In massima parte gente del luogo, anche se uno sembrava venire dall’Est, e un altro sembrava moresco dall’aspetto.

    «Siamo onorati se possiamo essere di aiuto» rispose quello che sembrava il portavoce. «Ma non so che cosa possiamo fare. Contro la morte, perfino noi siamo impotenti.»

    Vlad annuì e pensò a Gilgamesh, il leggendario re di Sumeria. La sua disperata ricerca della chiave della vita era sfociata nella creazione di un’intera razza... i non-morti. Vampiri. Come Vlad, e Rhiannon, e molti altri. Ma non aveva mai avuto come risultato il ritorno dalla morte del caro amico Enkidu.

    Forse, pensò Vlad, la propria ricerca era altrettanto folle. Ma doveva tentare.

    «Non vi chiedo di sconfiggere la morte. Solo di assicurare che, quando la ritroverò, io la riconosca... e che lei riconosca me. E ricordi. E mi ami ancora.»

    Maghi e stregoni si accigliarono, cercando la comprensione ciascuno sul viso degli altri.

    «Un potente veggente mi ha assicurato che la principessa tornerà da me in un’altra vita. Ma sarà nel lontano futuro.»

    «Mio signore, voi sareste anziano e lei soltanto un’infante.»

    «Questo non è affar tuo, stregone. Voglio solo assicurarmi che quando lei tornerà... e raggiungerà un’età idonea... ricordi tutto ciò che è stato prima; che sia la donna che era in questa vita. Potete o non potete esaudire questa richiesta?»

    Un uomo cominciò a bisbigliare a un altro, e Vlad colse le parole innaturale e immorale, ma l’uomo in marrone alzò una mano per zittirli. Poi si accostò pian piano al principe, guardingo, e alla fine annuì. «Possiamo e lo faremo, mio signore. Andate, prendete cibo e riposo. Lei sarà al sicuro sotto le nostre cure, ve lo prometto.»

    Lui sbirciò la sagoma sotto l’arazzo. Non più la sua Elisabeta, ma un guscio che un tempo aveva contenuto la sua essenza. Guardò di nuovo gli uomini. «Non abbiate paura di tentare. È molto ciò che vi chiedo. Vi do la mia parola, non impartirò punizioni se doveste fallire, a patto che facciate il meglio che potete. Sulla memoria di lei, ve lo giuro.»

    Gli uomini si inchinarono profondamente, e lui scorse sollievo sui loro volti. In verità, non era noto per la misericordia o la comprensione.

    Li lasciò al loro lavoro. Ma non riposò, e non si nutrì. Non poteva... non finché non avesse saputo.

    Erano trascorse quattro ore quando un paggio lo raggiunse per ricondurlo alla cappella, e quando lui vi si precipitò vide che la porta era aperta e il prete ne stava uscendo, agitando un incensiere davanti a sé. Dietro, venivano uomini che portavano il cadavere su una lettiga, sommerso di fiori.

    E poi passarono maghi e stregoni, che guardarono Vlad negli occhi per rassicurarlo: avevano avuto successo. L’uomo in marrone si avvicinò, mentre gli altri proseguirono lentamente dietro il corteo funebre.

    L’accolito del sacerdote suonò una campanella, e il chierico dalla voce burbera intonò forte le sue preghiere, cosicché altri del castello e del villaggio si aggregarono al passaggio, molti portando candele o lampade. Nessuno al villaggio aveva dormito, in attesa delle esequie della principessa, e così la processione si ingrandì e si allungò, un serpente che si contorceva punteggiato di luci.

    «Mio principe» disse l’uomo in marrone. «L’abbiamo fatto. Prendete questo.»

    Gli porse un rotolo, avvolto strettamente e trattenuto da un anello di rubino... l’anello che lui aveva dato a Elisabeta. Era stato al suo dito. Vederlo fece sì che il dolore lo trafiggesse nel profondo, e Vlad inalò un brusco respiro.

    «Non capisco» disse. «Le avete tolto l’anello nuziale. Perché?»

    «Abbiamo celebrato un rituale potente, ordinando a una parte della sua essenza di rimanere legata alla terra. L’anello è la chiave che la imprigiona e un giorno la libererà. Quando una futura incarnazione di Elisabeta tornerà da voi, tutto ciò che vi occorrerà fare è metterle al dito quest’anello ed eseguire il rito contenuto in questo rotolo, e lei sarà ripristinata nella stessa Elisabeta che era prima. Ricorderà ogni cosa. E vi amerà di nuovo.»

    «Siete sicuri?» domandò Vlad, timoroso di chiedere, di sperare.

    «Sulla mia vita, mio principe, vi giuro che è vero. C’è soltanto una clausola. E non ha potuto essere evitata, poiché rischiamo le nostre stesse anime immischiandoci nelle materie della vita e della morte e dell’aldilà. Agli dei dev’essere concessa l’ultima parola.»

    «Gli dei. Sono loro che hanno ritenuto bene portarmela via in questo modo. All’inferno gli dei.»

    «Mio principe?» Lo stregone si guardò attorno come se temesse che la blasfemia potesse esser stata origliata dalle divinità stesse.

    «Dimmi di questa clausola, allora. Ma sii conciso. Devo assistere al funerale di mia moglie.»

    Arditamente l’uomo gli afferrò il braccio e prese a camminare accanto a lui, finché raggiunsero la processione, pur mantenendo una certa distanza. «Se il rito non sarà stato eseguito entro il momento in cui la Rossa Stella del Destino eclisserà Venere, la magia non funzionerà.»

    «E che cosa accadrà a Elisabeta?»

    «La sua anima sarà lasciata in libertà. Tutte le parti della sua anima, sia quella che noi abbiamo tenuto legata alla terra, sia le altre che possono rinascere nel regno fisico. Tutte saranno libere.»

    «E per libera intendete... morta» bisbigliò Vlad. Afferrò l’uomo per il davanti dei suoi paludamenti marroni e lo sollevò da terra. «Non avete fatto niente!»

    «La morte non è che un’illusione, mio signore! La vita è senza fine. E avrete tempo... molto tempo, per ritrovarla, lo giuro.»

    Vlad socchiuse gli occhi sullo stregone, tentato di estrarre la spada e infilarla tra le costole dell’uomo. Invece lo riappoggiò a terra. «Quanto tempo? Quando, con esattezza, questa vostra stella rossa eclisserà la prossima volta Venere?»

    «Solo tra poco più di cinquecentoventi anni, mio signore, per quanto precisamente riesco a calcolare.»

    Vlad inghiottì la pena e lo strazio. Rhiannon aveva predetto che lui avrebbe ritrovato la sua Elisabeta entro circa cinquecento anni. E la sua preoccupazione principale era stata chiedersi come accidenti potesse riuscire a sopravvivere così a lungo senza di lei; come avrebbe fatto a sopportare il dolore.

    Ora tuttavia aveva una preoccupazione in più. Quando l’avesse trovata, sarebbe stato in tempo per attivare l’incantesimo, eseguire il rito, e ricostituire la sua memoria e la sua anima?

    Per gli dei, doveva esserlo. Lui era deciso. Non doveva fallire.

    Non l’avrebbe fatto.

    Lui non era un vampiro qualunque.

    Lui era Dracula.

    1

    Oggi

    «Melina Roscova» disse la snella donna bionda, tendendo la mano. «Lei dev’essere Maxine Stuart.»

    «Sarebbe Maxine Malone; comunque no, non sono lei.» Stormy strinse la mano alla donna. Era fredda, e la sua presa molto forte. «Stormy Jones» si presentò. «Max e Lou sono impegnati in un altro caso, e non pensavamo occorressimo tutti e tre per condurre il colloquio preliminare.»

    «Capisco.» Melina ritirò la mano e se la infilò in tasca per prendere un biglietto da visita. «Deduco che questo non dev’essere aggiornato.»

    Stormy prese il biglietto, lo esaminò. Il logo SIS si sovrapponeva alle parole: Servizi Investigazioni Soprannaturali. In lettere più piccole c’erano i loro nomi: Maxine Stuart, Lou Malone, Tempest Jones e sotto, in caratteri artistici: Esperti - Professionali - Discreti, e un numero verde. Restituì il biglietto. «Già, è piuttosto vecchio. Maxie e Lou si sono ammanettati ormai sedici anni fa. Ovviamente non abbiamo fatto fare dei nuovi biglietti finché non abbiamo usato tutti quelli vecchi. Bisogna essere pratici, sa.»

    «Naturale.»

    «Dunque, qual è il mistero? E perché ha voluto che ci incontrassimo qui?»

    Mentre parlava, si spostarono dall’entrata ai corridoi a volta del Museo Nazionale Canadese. I loro passi echeggiavano mentre camminavano. Melina pagò in contanti i biglietti d’ingresso, e fece strada all’interno dell’edificio.

    «Nessun mistero. Voglio che lei tratti per me un caso delicato. La discrezione...» Si batté contro la nocca il vecchio biglietto da visita. «... è d’obbligo.»

    «Su questo può fidarsi di noi. Non saremmo ancora in attività dopotutto questo tempo, se non sapessimo tenere la bocca chiusa.» Guardò un arazzo consunto esposto dentro una teca di vetro. I colori ormai sbiaditi tendevano al grigio, e sembrava che un colpo di vento avrebbe potuto ridurlo a un mucchietto di fili. «Allora perché questo posto?»

    «Questo è dove è» rispose Melina, scrutando vari pezzi in argento annerito in un’altra vetrina. Ciotole, urne, pendenti.

    «Dove è cosa?»

    «Ciò che lei deve vedere. Ma non starà qui a lungo. Fa parte di una mostra itinerante. Manufatti scoperti durante un recente scavo archeologico nella regione settentrionale della Turchia.»

    Stormy la fissò, aspettando che dicesse dell’altro, ma Melina piombò nel silenzio e proseguì oltre lungo la sala, tra disegni a tratteggio e piantine di siti di scavo, incorniciati come opere d’arte. Poi si girò per entrare, da due battenti aperti, in una sala più grande. C’erano oggetti che ricoprivano le pareti, tutti quanti al sicuro dietro pannelli di vetro. Gingilli in ottone, lame d’acciaio con impugnature d’osso e d’avorio scolpite in modo elaborato.

    Stormy diede un’occhiata, poi si massaggiò le braccia, di colpo gelata fino alle ossa. «Penso che dovrebbero accendere il riscaldamento, qua dentro. Si gela» borbottò. Poi, per distrarsi dall’ondata di disagio, sfilò un pieghevole dalla pila in un vicino espositore e lo lesse.

    Secondo il testo, gli oggetti rinvenuti non si accordavano alla cultura dell’area in cui si trovavano, e si riteneva che molti fossero spoglie di guerra, portate a casa dai soldati che ne avevano fatto bottino in terre lontane e su nemici sconfitti. Si credeva che il sito di ritrovamento fosse stato una sorta di monastero... un luogo dove gli uomini andavano a studiare la magia e l’occulto.

    «Eccolo» annunciò Melina.

    Stormy spostò lo sguardo dal volantino alla donna, che era ferma, a pochi metri di distanza, davanti a un piccolo cubo di vetro collocato sopra un piedestallo. Dentro il cubo, deposto su una base trasparente, c’era un anello. Era grosso, la larga vera incisa in modo più elaborato dei più pacchiani anelli che lei avesse mai visto. Anche la scintillante pietra rossa era enorme, soltanto che lei era sicurissima che quella gemma fosse vera.

    «È un rubino» disse Melina, confermando il sospetto inespresso. «È inestimabile. Non è incredibile?»

    Stormy non rispose. Non riusciva a distogliere gli occhi da quell’oggetto. Per un momento fu come se lo stesse vedendo attraverso un lungo tunnel buio. Tutto attorno a lei si fece nero, la sua visuale inchiodata, gli occhi incapaci di vedere altro. E poi udì una voce.

    «Inelul else al meu!»

    La voce... veniva dalla sua stessa gola. Le sue labbra si muovevano, ma non le stava muovendo lei. Aveva la sensazione di essere diventata una marionetta, o un pupazzo durante l’esibizione di un ventriloquo. Il suo corpo si stava muovendo da solo, le mani si protendevano verso la teca di vetro, le palme premute ai due lati, e la sollevavano dal basamento.

    Una mano si chiuse forte sul suo braccio e la scosse. «Signora Jones, che diavolo sta facendo?»

    Stormy batté rapidamente le palpebre mentre il suo corpo tornava di scatto sotto controllo. Vide Melina che le stringeva il braccio guardandosi in giro per la stanza come se si aspettasse che vi facesse irruzione la versione canadese di una squadra di teste di cuoio. Si schiarì la gola. «Ho fatto scattare qualche allarme?»

    «Non penso. Ci sono dei sensori che si attivano solo se viene rimosso l’anello.»

    Accigliandosi mentre la testa le si schiariva, Stormy la fissò. «Come fa a saperlo?»

    «Sapere è il mio lavoro. Si sente bene?»

    Annuendo, Stormy evitò gli occhi della donna. «Sì. Benissimo. Io... ho solo avuto un attimo di confusione, tutto qui.»

    Non era tutto, invece. E lei non stava bene. Per niente. Non aveva avuto un episodio come quello in sedici anni, ma conosceva le sensazioni che l’avevano inondata. Le conosceva bene. Non avrebbe mai dimenticato. Mai. In sedici anni non si era mai sentita in quel modo, non dall’ultima volta in cui era stata con lui. Con Dracula. L’unico e solo. E benché la sua memoria sui dettagli di quel periodo fosse un buco nero, i suoi ricordi sul... sull’essere posseduta rimanevano. E ricordi di Dracula o meno, lei aveva udito la sua voce giusto un momento prima, che bisbigliava vicino a lei.

    Senza l’anello e il rotolo, temo non ci sia speranza.

    Che cosa voleva dire? Lui era lì? Vicino? E perché, quando lei ricordava così poco del loro tempo insieme, quella frase era venuta galleggiando alla sua memoria, proprio in quel momento?

    No. Non sarebbe tornato da lei sapendo ciò che faceva alla sua mente e al suo corpo. L’aveva lasciata andare pur di risparmiarle di dover passare ancora attraverso quella follia. O così le piaceva credere.

    Si era svegliata nel jet privato di Rhiannon, sulla via del ritorno a casa. E, come a tutte le vittime di Vlad prima di lei, la sua memoria del proprio tempo con lui era stata cancellata.

    Ma non i suoi sentimenti per lui. Inspiegabile o meno, aveva provato un profondo senso di perdita, e si era sentita morire dentro un po’ di più ogni singolo giorno che era trascorso da allora.

    Lui non era lì. Non l’avrebbe gettata di nuovo in quella situazione. A meno che...

    Guardò di nuovo l’anello. Dio, poteva essere quello l’anello di cui lui aveva parlato? E che cosa aveva inteso dire con quell’ermetica frase? Era l’inferno non ricordare. Puro inferno. Avrebbe dovuto odiarlo per aver giocato con la sua mente.

    Più e più volte si era sforzata e aveva lottato per far riemergere il tempo trascorso con lui, dopo che l’aveva rapita nel cuore della notte, così tanti anni prima. Aveva provato perfino l’ipnosi, ma non aveva funzionato. Niente aveva funzionato. Lui l’aveva derubata di ricordi che lei intuiva potessero essere tra i migliori della propria vita. Dannazione a lui, per quello.

    «Signora Jones? Stormy?»

    Voltandosi lentamente, incontrò gli occhi castani di Melina, di gran lunga troppo curiosi. «L’anello è la ragione per cui desidera assoldarci?»

    «Sì. Qual è il suo collegamento con esso?»

    «Non so che cosa intenda. Non ho nessun collegamento.»

    «Di certo ha avuto una forte reazione.»

    Lei scosse la testa. «Ebbi una ferita alla testa molto tempo fa. Dei blackout occasionali sono un effetto collaterale.»

    «Anche parlare lingue straniere?»

    «Sono farfugliamenti. Non significano nulla. Guardi, la condizione della mia testa non è proprio l’argomento, adesso. Ha intenzione di dirmi che cosa comporta questo lavoro, o no?»

    Melina la guardò, imbronciò le labbra e abbassò la voce. «Voglio che lei lo rubi» bisbigliò.

    Stormy non era sicura di cos’avesse detto quando aveva fatto la sua rapida uscita dal museo. Pensava di aver suggerito a Melina Roscova di andare a fare qualcosa di anatomicamente impossibile, e poi se n’era andata. Non si era fermata finché non era arrivata davanti al Royal Arms Hotel, dove aveva consegnato a un usciere le chiavi della macchina e una banconota da dieci.

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