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Ananas, ricordi d'infanzia
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E-book98 pagine1 ora

Ananas, ricordi d'infanzia

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Info su questo ebook

Aneddoti di una numerosa famiglia cagliaritana di fine 900
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita1 dic 2018
ISBN9788829564859
Ananas, ricordi d'infanzia

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    Anteprima del libro

    Ananas, ricordi d'infanzia - Carlo Basso

    nipoti

    Prefazione

    Non molto tempo fa mi recai, per sbrigare alcune fac­cende, nel quartiere dove sono nato e dove ho vissuto i miei primi diciotto anni. Dovendo parcheggiare l' auto un po' lontano, ne ap­profittai per passeggiare tra le strade che ben conoscevo, un po' cambiate, ma che mantenevano la stessa aria tran­quilla di quando ero bambino.

    Alcune vie erano diventate a senso unico, qualche casa era stata abbattuta e sostituita con eleganti palazzine, altre ristrutturate e trasformate in qualcosa di più moder­no.

    Passai davanti alla scuola elementare dove il maestro Tidu mi insegnò tanto. Era un bravo maestro, anziano, molto buono. Ogni giorno iniziava la lezione facendoci fare il segno della croce e terminava leggendo alcune pa­gine delle avventure di Pinocchio.

    Decisi di spingermi verso via Paruta, dove abitava il mio compagno di scuola Alberto. In quel tratto la strada asfaltata terminava e si proseguiva verso il quartiere Eu­ropeo attraverso una stretta stradina bianca che io percor­revo spesso in bicicletta. Ora il quartiere Europeo non è più raggiungibile: un muro interrompe la strada, esatta­mente sotto l' asse mediano, la nuova arteria a scorrimento veloce che ha trasformato l' aspetto della cittadina di un tempo in una moderna metropoli.

    Proprio in quel punto riesco a vedere anche il muro di cinta del giardino di zio Francesco, un giardino enorme che da piccolo mi sembrava sconfinato, nel quale si trova­va un campo da calcio, uno da tennis e un oliveto. In fon­do al giardino, un po' nascosta, sorgeva una chiesetta cam­pestre che riesco ancora a scorgere al di la del muro.

    Feci dietrofront e ripresi la strada maestra, percorsi un tratto di via Macchiavelli, girai in via Giusti, vidi il gommista e il bar delle signorine che ancora resistevano nonostante fosse passato tanto tempo. Svoltai in via Casti­glione e ritrovai il panificio dove tante volte andavo a comprare due chili di pane misto per duemila lire. Poi la farmacia, la rosticceria, un altro bar, un negozio di abbi­gliamento che non ricordavo e poi altri negozi.

    Feci le mie commissioni e poi ripresi la passeggiata. Percorsi un lato della piazza Giovanni ventitreesimo e vidi il bar che mostrava appetitose paste sul bancone, più avanti il noleggio delle corriere. Mi infilai in via Tomma­seo dove la saracinesca della bottega di signor Francesco, in cui tante volte acquistavamo a credito dicendo:Me lo segna? era inesorabilmente abbassata, mostrando fuori da ogni dubbio che i figli non avevano proseguito nell'at­tività dei genitori. Il garage era ancora li, come il frutti­vendolo, anche se al suo posto c' era una giovane donna intenta a servire un avventore. Sull'altro lato della strada vidi un ottico, dove tanto tempo prima c' era stato un ne­gozio di apparecchi elettronici che rimanevo incantato ad ammirare guardando le prime calcolatrici uscite sul mercato.

    I portici di via Pontano erano rimasti immutati con la pavimentazione liscia, perfetta per scivolare con i pattini e in cui mi divertivo con la bici. All'angolo con via Goldoni non c' era più la bottega dove compravamo i gelati con il naso di cingomma, ma una sartoria nuova di zecca. Infine svoltai a sinistra in via Boccaccio. La mia strada. Co­noscevo benissimo tutto di quella via, i numeri civici, gli alberi di oleandro che in estate la adornavano con un' esplosione di colori profumati. La casa di nonna Iole, quella di Chicco, dei Pirisi, dei Massa, dei Cadeddu, dei Pisano e dei Pirastu. Infine il numero diciassette, il civico in cui avevo vissuto la mia infanzia. Quanti ricordi,

    l' edera della siepe era ancora li, ne strappai una foglia come fosse un cimelio. Un forte odore di gatto mi riportò indietro negli anni, quando andavo a giocare nel cortile di signor Cadeddu, dalla cui falegnameria usciva sempre quell'odore.

    Tutto ciò mi consentì di fare un tuffo nel passato, ri­cordando il periodo della fanciullezza in cui, spensierato, passavo le giornate a giocare. Così è nato il desiderio di fermare quel tempo in un racconto, più o meno fedele, condito dai ricordi e dai racconti che ho sentito dai miei fratelli, dai miei zii e dai miei nipoti.

    Premessa di Paolo Basso

    L’ occhio più grande della pancia

    Questa storia che vi racconto, la raccontavo ai miei figli quando erano piccoli.

    Non è esattamente ciò che succedeva, ma riprende un po’ i fatti accaduti in via Boccaccio n°17. Loro non si stancavano mai di sentirla e me la facevano ripetere cento volte. Essendo in parte inventata, qualcosa variava ogni volta e loro se ne accorgevano.

    Quando ero piccolo vivevo in via Boccaccio n°17 in una casa grande con due piani e un giardino. La camera da pranzo era grande come tutta la nostra casa e il tavolo come il nostro soggiorno. All’ora di pranzo arrivava Iaia con un pentolone grande come il nostro tavolo con dentro la pastasciutta senza condimento e ci serviva.

    Dani come la vuoi?

    A me poca perché devo mantenere la linea

    Angi a te come?

    Io con le cipolle, il sedano e i peperoni non aveva vizi.

    Sandra tu?

    Io la voglio verde

    Mmmmh, vabhè, a te con il pesto

    Allora blu

    Mmmmh, col radicchio!

    Mauri per te?

    Io senza sugo e non lavata se no non la mangio

    Tranquillo è al burro

    Rani?

    Io alla pantegana

    Sempre il solito, devi sempre dire scemenze, prendi­la com’è

    Bebbe?

    Ecco io sempre ultimo, adesso non ce n’ è più, io la volevo per primo, adesso c’ è il burro, non è giusto.

    Tieni Bebbe, prendila così che va bene

    Paolo?

    Io ne voglio molta

    Ecco tieni

    No, non mi basta, ne voglio di più

    Ta segamentu! Guarda di non lasciarla

    Lullu tu?

    Io voglio la pasta rossa, il piatto rosso, le posate ros­se…

    Vabhè, vabhè, abbiamo capito

    Carlo?

    Io veramente..vorrei…mi piacerebbe..non lo so…poca, anzi molta…

    Thò, mangia e citidì

    Cino?

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