Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Una saga medioevale
Una saga medioevale
Una saga medioevale
E-book634 pagine9 ore

Una saga medioevale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un romanzo avvincente, con tutti gli ingredienti per catturare la mente ed il cuore di ogni lettore.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2018
ISBN9788827824924
Una saga medioevale

Correlato a Una saga medioevale

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Una saga medioevale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Una saga medioevale - Alessia Ferrari Dream

    Indice

    - PREFAZIONE -

    SAGA

    IL CAVALIERE

    IL MENESTRELLO

    LA CONTESSINA

    IL RITORNO

    L’ADDIO

    IL CONTE

    IL CONSIGLIERE

    IL PRELATO

    IL RE

    LA PROCLAMA

    IL VIAGGIO

    LA PRINCIPESSA

    L'ATTESO

    IL SOLDATO

    L'OMAGGIO

    IL RICATTO

    LA REGINA

    RIVELAZIONI

    QUATTRO MORBIDE BRACCIA

    IN PARTENZA

    IL TAMBURINO

    IL MORTO

    LA MISSIONE

    IL VALENTE

    LE PAROLE NASCOSTE

    IL MEDICO

    GLI ALTI FINI

    UN GRANDIOSO DESTINO

    PIANTO DI GIOIA E DI DOLORE

    NEL NOME DEL POTERE

    GRIFO

    LA SERVENTE

    VERITA' E DELUSIONI

    L'INCONTRO

    PADRI E FIGLI

    IL MESSAGGIO

    IL SACRIFICIO

    FRATELLI

    LE FERITE

    IL BENE SINCERO

    SIR VIRTUOSO

    LA DEVOZIONE

    IL BATTITO DELLE ALI

    IL CIGNO

    LE TRAPPOLE

    IL FIDANZAMENTO

    LA FUGA

    GLI IMPREVISTI

    ANIME NOBILI

    IL CERCHIO DELLA VITA

    L'INDOLE NATURALE

    LE MADRI

    LE SORPRESE

    I BAMBINI

    LE DECISIONI

    LE RIVOLTE

    GLI ELEMENTI INCONTROLLABILI

    LE GIUSTE ATTENZIONI

    LA TEMPESTA

    L'EMPATIA

    LE REAZIONI

    IL SEME DEL PERICOLO

    IL RAPIMENTO

    LA SOTTOMISSIONE

    IL GIUSTO POSTO

    LE PREMONIZIONI

    I PIANI SEGRETI

    LA RISOLUTEZZA

    LE MOSSE

    DISTACCHI E UNIONI

    LE ARDITE IMPRESE

    L'ATTACCO

    I COMPROMESSI

    LA PRESA E LA RESA

    IL SANGUE E LA BATTAGLIA

    EPILOGO

    - NOTE BIOGRAFICHE -

    UNA SAGA

    MEDIOEVALE

    Alessia Ferrari Dream

    UNA SAGA MEDIOEVALE

    Alessia Ferrari Dream

    Cura dell’Opera

    Gioia Lomasti & Marcello Lombardo

    Image di copertina

    Simona Cipollina Martorella

    Elaborazione grafica di copertina

    Gioia Lomasti & Marcello Lombardo

    Prefazione a cura del

    Prof. Giangiacomo Amoretti

    Illustratrice

    Simona Cipollina Martorella

    Promozione Autori & Artisti

    vetrinadelleemozioni.com

    - PREFAZIONE -

    Un romanzo che sembra nascere come da un grandioso sogno ad occhi aperti, da una visione colorata e vivace di un mondo lontano da noi, governato soltanto dalle libere leggi della fantasia: un mondo che non ha e non vuole avere nulla di realistico e che, proprio per questo, l’autrice colloca in un Medioevo lontano dalla storia, entro coordinate geografiche del tutto vaghe e indefinite.

    È un Medioevo favoloso ed onirico – come è in larga parte la vicenda che viene narrata. E i personaggi, se per un verso vengono acquistando, nel corso della narrazione, una loro fisionomia precisa e sempre più riconoscibile, per altro verso partecipano a questo clima di onirica astrattezza, tanto che risultano privi di un nome proprio; o, per meglio dire, assumono in sostituzione, come cifra identificativa, il nome della loro funzione nella narrazione, del loro ruolo o del loro compito. Ecco così il Menestrello e il Consigliere, il Re e la Principessa, il Tamburino e il Conte e via dicendo: che, identificati in tal modo con la loro principale caratteristica, paiono quasi assumere un valore assoluto ed emblematico, come se fossero le figure, immobilizzate una volta per sempre, di immaginarie carte da gioco.

    E ad un variegato e affascinante gioco di carte assomiglia in effetti questo romanzo, con i personaggi che appaiono e scompaiono, si avvicinano e si allontanano, si cercano e si incontrano, ognuno ubbidendo alla propria specifica funzione nel meccanismo narrativo o, che è lo stesso, ai propri istinti e alle proprie inclinazioni. Così ci sono i buoni e i cattivi, gli umili e i nobili, i coraggiosi e i crudeli; e ognuno, sempre, con il proprio volto riconoscibile: un volto che – si direbbe – la narratrice vede ben vivo davanti a sé, proprio come se appartenesse a un individuo reale in carne ed ossa, al punto da riuscire a farlo vedere, pagina dopo pagina, anche al lettore.

    Non altro significato, del resto, hanno le immagini che accompagnano il libro: sono ritratti, effettuati con grande bravura dalla disegnatrice Simona Cipollina Martorella, dei personaggi principali della vicenda, miranti a garantire loro una forte consistenza anche visiva e quasi plastica, in aggiunta a quella narrativa. Così l’azione si svolge, davanti agli occhi del lettore, come sullo schermo di un film, o piuttosto come sulle pagine di un album di fumetti; e ogni episodio acquista un rilievo che, pur non avendo nulla – già lo si è detto – di realistico, ha l’evidenza colorata e vivacissima di una visione liberamente fantastica.

    In tale visione, tuttavia, nulla è lasciato al caso: i movimenti dei personaggi e le loro reciproche relazioni ubbidiscono a un congegno narrativo calcolato fin nei minimi particolari; e ogni figura vi recita un ruolo preciso e vi esplica una peculiare funzione. Al centro di questo meccanismo, quasi ne fosse il motore invisibile, c’è un personaggio particolarissimo, il quale, assente dall’azione perché messo a morte proprio all’inizio della vicenda, tuttavia è legato quasi ad ognuno dei protagonisti, influenzandone nascostamente le decisioni e i sentimenti. Si tratta della bella Strega, forse la figura più affascinante di tutto il romanzo: donna intelligente e dolcissima, affettuosa e sensuale, è il punto di riferimento, positivo per i buoni e negativo per i cattivi, di tutti gli altri personaggi. In lei si manifesta e si incarna quell’ideale di gioia di vivere, di libera sensualità e di delicata leggerezza cui si ispira chiaramente la narratrice; e quindi, in qualche modo, si rivela il senso profondo dell’intero gioco del romanzo, che su questo ideale si misura e in questo ideale trova – sembra – la sua ultima, più persuasiva giustificazione.

    A cura del Prof. Giangiacomo Amoretti

    Docente di letteratura italiana presso l’Università di Genova

    SAGA

    IL CAVALIERE

    Il drappello procedeva verso nord. Era il quinto giorno del loro lungo viaggio. Le truppe reclutate tra la povera gente si erano incamminate da più tempo, ma avrebbero battuto sentieri abitualmente percorsi e sarebbero comunque rimasti sotto il comando dell'esercito regolare. Loro erano invece un gruppo scelto: la croce di Malta veniva concessa solo ai migliori. I destrieri sbuffavano nuvolette bianche nell'aria fredda della foresta. Il comandante osservava ogni minimo dettaglio, perché il pericolo si celava ovunque. Tra la bruma qualcosa solleticò la sua esperienza. Diede istruzioni per organizzare l'accampamento nelle vicinanze, affidò il cavallo al suo secondo e si incamminò felpatamente nonostante l'armatura. Aveva affrontato molti agguati, gli anfratti dove banditi e balordi si rifugiavano gli erano ormai familiari; quando gli riusciva di scoprirne uno, preferiva attaccarlo per primo, prendendoli in contropiede e agire in solitaria, perché l'effetto sorpresa costituiva già un vantaggio sufficiente ed esporre tutti i suoi uomini al pericolo sarebbe stata una scelta troppo azzardata.

    Spostando un gruppo di sterpaglie, trovò l'ingresso. Rimase in ascolto con tutti i sensi in allerta. Una luce fioca proveniva dal profondo dell'antro e un buon odore gli stuzzicava l'appetito. Posò l'elmo e procedette con cautela, silente come un gatto in caccia. Giunse al cuore della grotta, vide la buca per il fuoco con sopra un paiolo colmo di minestra profumata. Un moccolo di candela si consumava in una lanterna. Osservò ogni minimo dettaglio possibile: in pochi minuti aveva dedotto non fosse covo di briganti o cacciatori.

    Su ripiani scavati nella roccia poggiavano vasi di svariate misure, intravide altro pentolame. Giunse alla sua tesi e agì di conseguenza: spostò di colpo un pannello di legno appeso al muro, facendo sferragliare decine di rudimentali attrezzi ciondolanti sopra. La vide lì dietro, appallottolata nel buio di un rifugio segreto. Alzò gli occhi nocciola, come una cerbiatta sorpresa nella radura.

    Esci. le intimò.

    Lei si mosse piano, ubbidendo. La afferrò per il polso, senza farle male, col sinistro la immobilizzò contro di sé. Poi con la spada liberò il foro che fungeva da camino sopra il centro dell'antro. Un po' di luce in più non guastò.

    Siete una guaritrice? le chiese.

    Sì.

    La dolcezza di quella donna lo aveva colpito più a fondo di una lancia. Lo fissava languida, senza sfida. Nonostante la sua formazione e tutti i trascorsi, non aveva mai creduto alle accuse di stregoneria lanciate alle donne. Conosceva bene la spietatezza e l'odio e non ne vedeva l'ombra, in lei. Il grano delle sue chiome profumava di fieno; sentiva di doverla liberare al più presto, si stava eccessivamente turbando per riuscire a continuare a ragionare a mente fredda. Le sfuggì un sorriso timido e all'improvviso gli fece scivolare fino al collo la maglia in ferro che gli proteggeva il capo. Quella specie di carezza lo devastò nell'anima.

    Venite... lo invitò tirandolo appena.

    Non aveva mai affrontato una resa: quella ebbe il sapore di erbe tiepide e pane fragrante. Lei gli si era seduta di fianco, col gatto in braccio.

    Mi arresterete, ora? sussurrò.

    Le stampò la risposta sulla bocca, nella bocca. Rimasero a scambiarsi effusioni a lungo, poi lei lo aiutò a togliere l'armatura. Quando il Crociato fu a contatto con la pelle nuda sul pagliericcio, pensò ci fossero delle braci sotto, da quanto si sentiva pervadere dal calore, ma quando lei si tolse quella veste lisa, credette di impazzire.

    Non era mai stato con una creatura del genere: lo accolse, lo avvolse e allo stesso tempo lo invase fino al nucleo dell'anima.

    Comandante, eravamo in pensiero... il secondo aveva eseguito gli ordini: l'indomani mattina il drappello si preparava per proseguire verso nord-est. Il Cavaliere era tornato al suo ruolo, seppur il piccolo amuleto che lei gli aveva appeso al collo lo solleticava ogni tanto sul petto, riportandogli ricordi e sensazioni ad esso legate.

    IL MENESTRELLO

    Era soddisfatto. Le ultime tappe nei paesi gli avevano fruttato bene, ma la città gli aveva veramente concesso oltre ogni aspettativa. Il suo carattere spigliato e gioviale, la parlantina fluente narrante incredibili avventure e il suo talento con la ribeca erano un lasciapassare per molte sale di signori danarosi, sempre desiderosi di intrattenimento. I commensali solitamente iniziavano ebbri solo di musica, parole, sogni, per finire zuppi di vini. Quello era il momento opportuno per arrotondare con piccoli bottini; era abbastanza scaltro per capire che se fosse stato troppo avido, prima o poi sarebbero risaliti a lui e sarebbero stati grossi guai. Un ulteriore aspetto non trascurabile di questa fase stava nel ritrovarsi, a volte, ad intrattenere qualche bella dama. Con la servitù non ci trovava troppa soddisfazione, perché si trattava di ragazze abituate ad accontentare gli uomini fin da giovanissime.

    L'alba era il momento più propizio per ripartire; anche quella volta era pronto con il fardello e lo strumento a tracolla. Avrebbe attraversato la parte più a nord della città, varcato una delle sue porte e viaggiato ramingo verso nuove avventure. Udì del trambusto nelle vicinanze: quando giunse nella piazza, un primo istante pensò che avrebbero allestito un mercato o una fiera. Osservò meglio però, e notò che trafficavano al centro con legname. Un brivido gli corse dalla nuca lungo tutta la schiena; si sentì inquieto e non riuscì a capirne il motivo. Le sue gambe si mossero verso quegli operai, mentre gli pareva di avere uno sciame di vespe nella testa. Si udì chiedere informazioni. Lo fissarono per qualche istante, poi gli risposero riprendendo il lavoro. Iniziò quindi a ripetersi una litania sommessamente: Non mi riguarda, ora proseguo e varco la porta nord della città.

    A mezzodì la gente gremiva l'ambiente; il Menestrello era ancora lì. Ogni tanto masticava, parlando a se stesso, di dover andare, ma i piedi erano come di piombo.

    Si udirono cavalli giungere, poi il carro. Aveva conquistato e conservato un posto davanti, per poter vedere bene e subito dopo partire. Era rimasto per riuscire a zittire quella vocina che continuava da ore a turbargli l'anima, ma appena riuscì a scorgere chi fosse sul carro, ebbe conferma di ciò che già sapeva fin dall'alba: la vide, legata, portata verso il rogo.

    Da quell'istante fu come se tutto procedesse a rallentatore, mentre i ricordi lo investirono come un'onda enorme. Tante immagini gli passarono nella mente e furono così vivide e fulgide, da fargli rivivere le sensazioni fisiche che aveva provato in quelle situazioni trascorse: udì il tintinnio della risata di quella donna, che gli aveva fatto vibrare l'anima diverse volte, percepì il calore della sua bocca, il suo tocco così speciale, il profumo del suo intimo fieno.

    Lei sentì lo sguardo di Menestrello su di sé e lo cercò nella moltitudine; non fosse stato per quella sottile energia che li accomunava e li attirava reciprocamente, non lo avrebbe individuato quasi subito: sul suo volto difatti la solita spavalderia era stata spodestata dallo sgomento. Lei ebbe la forza di donargli uno dei suoi sorrisi al miele; per lui fu davvero troppo: fuggì.

    LA CONTESSINA

    Aveva insistito col padre per poter assistere all'esecuzione. La Contessina era come una bambola di porcellana: osservava dalla vetrina della teca solo una piccola parte di ciò che c'è nel mondo di fuori. Il Conte organizzava spesso pranzi e spettacoli musicali per intrattenerla, ma non l'aveva mai lasciata uscire dalla residenza, solo nel cortile interno, dove aveva allestito un magnifico giardino. Durante i banchetti quindi lei ascoltava avidamente i racconti dei commensali, perché era un modo di conoscere ciò che non poteva scoprire da sé. Era capitato svariate volte che si mormorasse sulle streghe. Si diceva che esse fossero creature malvagie, in grado di praticare potenti magie e che avessero rapporti intimi col Demonio. Ella rimaneva ammutolita ad ascoltare; quando seppe che ci sarebbe stata l'esecuzione, non stette più nella pelle, fremeva di poter vedere coi propri occhi una vera, terribile seguace del Diavolo.

    I suoi genitori e i membri del Clero sarebbero stati su un palco proprio di fronte a dove stavano allestendo la pira; a lei fu concesso di poter guardare l'intero evento dal terrazzo affacciato sulla piazza. Fu comunque contenta, perché da lì non si sarebbe persa neppure il minimo particolare.

    Quel fatidico giorno udì trafficare fin dall'alba. Si era alzata e spiato dalla finestra: stavano quasi per ultimare il mucchio di legna da incendiare.

    Aprì le ante per sporgersi e guardare meglio: vide il Menestrello. Lo fissò molto attentamente; nonostante l'aspetto fisico corrispondesse, per assurdo non le parve lo stesso ragazzo che aveva conosciuto...

    Era accaduto un sabato soleggiato solo qualche tempo prima, in cui il Conte volle organizzare due giorni di banchetti, musica, danze e giochi. Egli aveva trascorso un periodo di impegni nella regione che lo avevano parecchio provato; era un osso duro, ma sentiva il bisogno di distrarsi e divertirsi.

    Dopo l'esibizione di un addomesticatore di cani, che fece saltellare e correre i propri animali per tutto il salone, fu la volta del musicista. Egli come sempre seppe catturare l'attenzione, raccontando rocambolesche avventure. Coinvolgeva il pubblico facendolo cantare il ritornello assieme a lui; tutti erano proiettati nel vivo delle incredibili vicende. Al termine, si rinfrescarono l'ugola in attesa fremente dell'inizio della caccia al tesoro.

    La Contessina e il padre erano sempre i primi a poter scegliere gli alleati, con grande rabbia repressa della madre, che schiumava muta come una lumaca in una gabbietta.

    Scelgo il musico! esclamò la ragazza.

    Onorato... si inchinò lui.

    Gli ospiti vennero così ripartiti in cinque gruppi e vennero distribuiti gli indizi. La Contessina diede il proprio al Menestrello: Guardate Voi, siete certamente scaltro!

    Vi aiuterò al meglio, damigella.

    La scelta tattica si rivelò giusta e l'adrenalina saliva ad ogni ricerca andata a buon fine.

    Il Menestrello lesse l'ultimo enigma e disse: Occorre dividersi: voi signori scendete in giardino e raccogliete dieci sassi bianchi e neri, mentre io vado alle stalle. Affrettiamoci.

    Io vengo con Voi, Messere. ribadì Contessina.

    Aveva avuto in mente un amoreggiamento leggero e poco spigliato, data la giovane età della ragazza; per qualche minuto Menestrello aveva rimuginato che potesse essere troppo rischioso azzardare delle avance alla figlia di un uomo senza scrupoli quale il Conte. Poi, fissando quella bocca, aveva ceduto alla propria indole focosa, ripetendosi che sarebbe stato attento e che non si sarebbe spinto oltre qualche bacio e lievi palpeggiamenti.

    Nella penombra, riparati dai mucchi di fieno, rimase sorpreso dalla reazione remissiva ma ardente della ragazza. Ella non prese iniziativa, ma quando lui le fece toccare il suo membro, Contessina glielo strinse e accarezzò con trasporto.

    Menestrello lì per lì pensò che fosse dovuto al fatto che si fosse eccitata parecchio; dopo un paio di minuti la libido crebbe al punto da fargli perdere il controllo, così le mise la mano destra dietro la nuca e, spingendola verso il basso: Succhiatelo tale ad un osso! le disse, senza avere più nient'altro in mente che il proprio godimento.

    Quando si rimise a posto i calzoni, si ritrovò a domandarsi quale soldato avesse istruito Contessina così presto e con così dovizia da renderla esperta, col rischio di venire decapitato: tra le sue davvero numerose esperienze, ritenne quella vissuta grazie a lei come una delle più appaganti in assoluto.

    Nel cortile la loro squadra li aspettava, in ansia. Per pochi istanti vinse però quella del Conte. Il Menestrello conosceva quanto potesse offendersi un nobile sconfitto, seppur in un semplice gioco, così finse di inciampare e rovesciò a terra tutti gli indizi trovati.

    La giovane continuò a osservarlo dalla terrazza: aspettò, nella speranza si voltasse, ma niente. Allora lo chiamò. Essendo la piazza ancora deserta, la sua voce rimbalzò e si espanse, ma lui non si mosse affatto. Gli operai si voltarono verso di lei e poi lo fissarono: fu come guardare una persona pietrificata da Medusa, per cui non persero altro tempo, concentrandosi sul loro lavoro; un ritardo avrebbe di certo fatto infuriare il Conte.

    Col trascorrere delle ore la gente iniziò a gremire la piazza, saliva l'eccitazione generale. Ogni tanto la Contessina ricontrollava il musicante, ma egli rimaneva lì impalato e alla fine lei optò per rivolgere la propria attenzione altrove. Osservava come presa da arsura per la vita, incamerava ogni dettaglio possibile nella propria mente.

    Finalmente scorse giungere il carro, che procedeva lento, esponendo l'accusata a insulti e lanci di vegetali putridi. La giovane nobile nella sua immaginazione aveva figurato le streghe come esseri di orribile aspetto, magari butterate sul volto, sdentate. Quando il carro passò sotto la sua postazione però, rimase basita. Vide una creatura sporca, ferita, coperta con un sudicio saio lacero, arruffata peggio di un gattino fradicio rimasto alle intemperie e, nonostante ciò, di una bellezza sbalorditiva. La sua pelle si intuiva di madreperla, tra lo sporco e le lacerazioni. A Contessina ricordò una grossa conchiglia che un giorno un ospite di suo padre le aveva portato in dono: aveva un brutto aspetto, fuori era tutta incrostata di robaccia verde e puzzava in modo terribile. La esortarono ad aprirla e lei, vincendo il ribrezzo, lo fece. All'interno era un incanto di colori tenui brillanti e c'era una perla liscissima, che trovò meravigliosa più di molte gemme, con la sua semplice bellezza priva di qualsiasi vanità.

    Il volto di quella donna esprimeva una enorme stanchezza, ma anche una dolcezza infinita; la Contessina pensò a tutte le dame, le nobildonne che conosceva e non ne trovò nessuna bella a suo pari, neppure sua madre col suo abito più trionfale. Provò pena per lei, seppur sapeva che fosse stata ritenuta colpevole; mentre la legavano sperò si dimenasse emettendo disumani lamenti, trasformando quel bel volto di pallida Luna in un mostro infernale, ma niente, rimase mite come un agnellino; ogni tanto qualche lacrima le rigava le guance, svelando quell'incarnato di avorio.

    Fu quindi pronta in breve tempo e il Prelato si alzò per pronunziare pubblicamente le accuse e il verdetto. In quei frangenti tutto si fermò, rimanendo col fiato sospeso; proprio in quel mentre il Menestrello parve risvegliarsi da un incantesimo: improvvisamente si voltò, si mise a spintonare la calca come un forsennato e infine a correre verso la porta nord, senza guardare indietro.

    Tre membri del clero si avvicinarono alla base della pira con delle torce e le diedero fuoco.

    Ben presto le fiamme si diffusero e il fumo iniziò a salire. La Contessina era molto turbata da ciò a cui stava assistendo, ma non riusciva a distogliere lo sguardo. La donna divenne fiamma lei stessa, pareva emettesse luce, perché un grande bagliore sprigionò dal suo corpo, diffondendosi attorno alla sua figura. Contessina strizzò gli occhi, vide che molti facevano ombra sul proprio sguardo con una o due mani.

    Tutto ad un tratto, il mormorio generale cambiò tono e ci fu un'acclamazione: il Capitano dei Cavalieri Crociati era tornato. La giovane rimase davvero sorpresa, perché egli invece di recarsi dinnanzi al palco, chinarsi davanti ai suoi genitori e agli alti membri della Chiesa per rendere omaggio, si diresse senza la minima esitazione, verso la pira.

    IL RITORNO

    Superata l'ultima curva che nascondeva alla vista le mura della città sull'altura di fronte a loro, videro il fumo salire. Il Capitano ebbe un sussulto al cuore al quale non seppe dare spiegazione. Guardava quelle nuvolette che si affrettavano verso il cielo e gli trasmettevano angoscia. Il vento portò poi code di grida, allora spronò il destriero al galoppo senza esitare un altro istante. Sentiva l'ansia strisciare come i cobra che aveva visto nei paesi arabi. Il ponte levatoio fu abbassato non appena scorsero la croce scarlatta, e giunse in piazza in breve tempo.

    La folla continuava a rumoreggiare; molti inveivano, altri recitavano preghiere e suppliche. Quando lo videro irrompere e a breve distanza il suo drappello, molti si misero ad esultare.

    Le fiamme del rogo si levavano alte, ma furono niente al confronto con quelle che Cavaliere sentì divampare dentro di sé. Brandì la spada e si avventò sulla pira con una furia che non aveva mai provato nemmeno contro il più sanguinario dei saraceni. Iniziò a colpire più legname possibile; dopo pochi minuti i fendenti continuarono alla cieca, il mantello prese fuoco, sentiva scottare il corpo sotto l'armatura.

    Capitano, vi prego, tornate indietro! udì urlare al secondo, tra il crepitio.

    Oramai era l'unica voce umana rimasta, il resto della folla fissava la scena totalmente ipnotizzata. Nonostante il fumo e la temperatura riuscì a guardare bene la Strega Guaritrice, la distinse nonostante fosse ormai una torcia umana. Sentì il proprio cuore liquefarsi e in un istante spronò il destriero per lanciarsi in quel rogo e fondersi con lei, come due rocce in una lingua lavica. Ma il secondo gli si parò contro e il cavallo si impennò, facendolo cadere.

    Si risvegliò fasciato in molte bende. Era ustionato su tante parti del corpo, ma non erano quelle ferite a procurargli il dolore più lancinante. Nonostante le raccomandazioni, volle alzarsi. Trovò il proprio drappello nel cortile, disposto a cerchio. Avevano portato un mucchio di fieno, dei fiori e vi avevano adagiato ciò che rimaneva di lei sopra, avvolta in un loro mantello. Cavaliere si trascinò e loro aprirono un varco per lasciarlo passare. Cadde in ginocchio, pianse, disperato. La accarezzava con estrema cautela, come fosse di nuvola, sussurrandole le più dolci parole. Alzò lo sguardo, per un breve istante e capì che, per impedire che violassero il corpo e lo portassero via per disperderlo, avevano combattuto: diversi presentavano ferite, il secondo era anch'egli ustionato in svariati punti e con un occhio nero. Si sentiva talmente disperato da non riuscire ad articolare un pensiero.

    Udì sibilare oltre il cerchio umano.

    Era una Strega, una meretrice, è stata condannata, l'ha meritato! l'uomo di Chiesa attorniato da un drappello di persone della parte ricca della città, si sentiva potente, gli ricordò un grasso pavone nell'aia.

    Ora ha pagato per i suoi peccati! replicò il Cavaliere, con voce ferma.

    Dobbiamo disperderne il corpo in Terra Consacrata, provò a obiettare l'altro consegnatecela, o sarete cond...

    Basta! tuonò il Crociato Ci penseremo noi...Vossignoria...

    Lo fissò in modo talmente autoritario, che il Prelato non riuscì a trovare il coraggio di opporsi. Si aggiustò il cappellaccio nero e impettito si voltò, iniziando a dondolare verso il palazzo di fronte, seguito dalla schiera di simpatizzanti.

    L’ADDIO

    Menestrello sentiva l'aria fendergli i polmoni pungendoli, il fianco dolergli in modo ormai quasi insopportabile. Non era avvezzo a certuni sforzi, ma non riusciva a fermare la corsa a rotta di collo che aveva intrapreso. Continuava quella sensazione che lo aveva pervaso diverse ore prima: la mente pareva chiusa a sé, assediata da troppi ricordi, mentre il corpo continuava a ribellarsi, come se avesse potuto staccarsi. Pensò a quella volta in cui suo padre tranciò la testa con l'accetta ad una gallina: per qualche istante continuò a zampettare disordinatamente per l'aia, mentre il capo mozzato pareva fissarla incredulo da terra.

    Si ritrovò nell'antro, un fascio di luce scendeva dal foro del camino. Non sapeva perché fosse voluto tornare lì, né come fosse possibile che quel rifugio fosse rimasto intatto... Fissò il vasellame, prese una piccola anfora, la annusò. La rivide con gli occhi della mente di fronte a sé, le dita unte, con quel suo sorriso che gli sprofondava il cuore...

    Restate sdraiato, rilassatevi... gli aveva detto la Strega Guaritrice perché lo aveva visto muoversi. Menestrello però aveva sollevato il busto poggiandosi sui gomiti e l'aveva improvvisamente avvinghiata; lei aveva emesso un gridolino e, ridendo aveva esclamato: Che fate, ho ancora unguento sulle mani!

    Beh, ne avete messo abbastanza su di me... aveva sogghignato lui, sdraiandola.

    Percepì un movimento che lo riportò alla realtà; trasalì, mettendo la mano sul pugnale. Pece era giunta, zampettando speranzosa, con la coda a spazzolino. Lui l'accarezzò, donando e ricevendo consolazione. Voleva ripartire immediatamente, ma si sentiva vuoto; era come un fiume di cui è rimasto solo il letto: tutti i suoi elementi chiamano e attendono l'acqua. Salutò la gatta, ma lei si voltò verso di lui e poi balzò sul giaciglio, iniziando a fare le fusa come se impastasse. Menestrello si sentì sopraffare dalla commozione e andò a raggomitolarsi là a fianco. Si addormentò e sognò la prima volta in cui si era intrufolato nella grotta. Era intenzionato a rubacchiare qualcosa, e frugava dappertutto come un topo. Trovò un sacchettino che gli parve interessante.

    Prendetelo pure, non mi serve, ho raccolto delle altre bacche dello stesso tipo e le ho già messe a seccare...

    Colto sul fatto, il musico era pronto ad una zuffa con fuga rocambolesca, ma quando si voltò rimase imbambolato da quel viso che gli sorrideva, timido e dolce.

    Sentì pungere sulla gola e spalancò gli occhi, tornando al presente. Il Cavaliere troneggiava in piedi davanti a lui.

    Cosa ci fate qui, uscite immediatamente rimettendo a posto ciò che avete maltolto.

    Sire, esordì il Menestrello dovete sapere che...

    Eseguite!

    Era un ordine perentorio; allora si alzò e si approntò a lasciare quel luogo per sempre. Cavaliere si guardò attorno, poi tolse il pannello che parava il nascondiglio; a tastoni cercava qualcosa che infine trovò: un vestito cucito un po' storto. Cedette alla tentazione e lo annusò. Il rogo l'aveva ridotta ad un tizzone spento: sebbene vederla così lo avesse dilaniato dentro, risentire il suo profumo attraverso quella stoffa gli provocò una malinconia profondissima, alla quale non riuscì a far fronte. Ricominciò a lacrimare, non potendo trovare conforto in nessun modo.

    Addio, Pece... mormorò Menestrello.

    Udendo quelle parole, Cavaliere si scosse e capì.

    Aspettate. Aiutatemi a chiudere questa grotta, cosicché nessuno possa violarla mai.

    Dopo qualche ora avevano fatto rotolare diverse rocce piuttosto grosse davanti all'ingresso. Il musicista rimaneva incredulo dinnanzi alla prestanza fisica del Crociato, che pareva intaccabile nonostante fosse ferito.

    Cercò di adoperarsi per farlo sforzare il meno possibile, ma questi non volle risparmiarsi affatto. Alla fine risultò un buon lavoro, sembrava una normale parete con qualche arbusto qua e là. I due uomini rimasero ad osservarla in silenzio per qualche minuto. Poi si guardarono ed entrambi spontaneamente si domandarono cosa avesse trovato di speciale lei, in quell'altro così diverso. Erano pronti dunque a congedarsi, quindi Menestrello porse la mano al Cavaliere.

    La troverete su quella collina, gli disse il Crociato proprio sul ciglio, dove la vista spazia sino all'orizzonte.

    Grazie, ma non tornerò mai più da queste parti...

    Non mentite...Sapete bene di essere un mercenario, seppur non per la guerra...

    Farò in modo che non mi trovino...Ho desiderio di andare parecchio lontano...

    Allora buona sorte, musicante...

    Grazie...Vegliatela voi... Sistemò lo strumento e, tra i movimenti, nascose lo scacciare le lacrime con le dita.

    No... Sarà lei a vegliare, su tutti noi...

    IL CONTE

    S ire, non siamo riusciti a prevalere sulla decisione del Crociato! Il Prelato era praticamente paonazzo; il Conte lo fissava, piuttosto annoiato. Non aveva mai sopportato le diatribe tra il Clero e la Corona, figurarsi impicciarsi di questioni tra la Chiesa e i suoi stessi soldati! Già si era visto costretto a fornire truppe per combattere in Terra Santa, uno sforzo bellico secondo lui inutile anzi, controproducente. Lo scorso anno l'agricoltura gli aveva reso molto meno a causa dell'assenza di un gran numero di uomini, la maggior parte dei quali non sarebbe mai tornata. L'unico vantaggio di questa specie di suicidio di massa stava nelle mogli abbandonate che aveva consolato a giro praticamente ogni notte. Se qualcuno avesse fatto ritorno, avrebbe anche trovato a sorpresa già piccole braccia che sarebbero presto cresciute e avrebbero aiutato nelle fattorie.

    Era un bellissimo uomo il Conte: alto, slanciato, fisico asciutto e muscoloso, lunghi capelli lisci corvini, barba e baffi ben curati, grandi occhi neri senza la minima ombra della paura.

    Non aveva dunque avuto praticamente mai problemi a piacere ad una donna, sebbene tra le campagnole, qualcuna gli si negasse; lui gradiva parecchio il loro essere genuine e schiette, trovava estremamente eccitante quel gioco, proprio come durante le battute di caccia, quando la preda ferita cercava riparo nella boscaglia e lui giungeva infine per infliggerle il colpo di grazia.

    Non perdete tempo in codeste questioni di poco conto, suvvia... il Conte cercava una scorciatoia perché il religioso smettesse di tediarlo Il Cavaliere vi ha assicurato che se ne occuperà personalmente, non oserà non seppellirla, ha pronunziato dei giuramenti, seguirà i dettami, state tranquillo, eccellenza.

    Quella...Quella Strega, quella meretrice, finalmente l'abbiamo annientata!

    Si udì un colpo. La Contessina si trovava sulla soglia e li fissava con un'espressione mista tra disprezzo e disgusto. Si voltò, affrettandosi lungo il corridoio e sulle scale.

    Spero di non aver turbato vostra figlia con questo mio tono, con questi termini ma Sire, voi sapete bene che...

    Non preoccupatevi, è una giovine con un carattere difficile.

    Col vostro permesso, le porterò qualche parola di conforto...

    Ma certo, fate pure.

    Il Conte si sentiva estremamente inquieto, di umore scuro; era ancora pervaso da quella sensazione che da qualche giorno aleggiava nel suo animo e non riusciva a scacciare. E più ci pensava, più si concentrava a liberarsi da quel peso sul petto, più non ci riusciva e gli doleva ogni qualvolta respirava.

    Di colpo scese alle stalle e montò a cavallo. Cercava un modo per sentirsi sollevato, ma il dolore allo sterno lo tormentava come un pugnale conficcato in profondità. Giunse davanti all'abitazione di una vedova che gli si concedeva volentieri senza limitazioni, facendolo sentire potente, adulandolo con mille lodi, gonfiando il suo ego come una rana il gozzo. Appena lo vide difatti lei gli si prostrò davanti e iniziò un ringraziamento per la sua preferenza che pareva non finire mai. Lui la fissava, lei iniziò a denudarsi. Quando fu pronta, si sdraiò, incoraggiandolo. Lui si avvicinò e le strattonò i capelli; lei mugolò e lo accarezzò, come aveva fatto molte altre volte, solo che con sua grande sorpresa, non sentì il suo solito turgore. Cercò di non far trasparire nulla e continuò in quel modo, aiutandolo anche a spogliarsi. Il Conte la lasciò fare; lei, non ottenendo risultati col tocco, decise di tentare con la bocca. Dopo qualche minuto, lui la staccò e la colpì, insultandola: Non siete capace! aggiunse.

    Uscì quindi come una furia: era accecato dalla rabbia e dalla frustrazione.

    Il dolore al petto non era affatto cessato anzi, lo tormentava senza sosta. Fermò il galoppo davanti al tribunale e scese quasi al volo. Volle entrare e chiese alle guardie di accompagnarlo al piano sotterraneo, nella sala degli interrogatori.

    Per vincere il malessere aveva tentato di smuovere la mente dagli ultimi avvenimenti, ma non aveva funzionato. Ora aveva deciso di affrontare i fantasmi che gli ronzavano nell'animo.

    Quando la porta del piano interrato fu aperta, egli entrò con una grossa torcia, si fece consegnare il mazzo delle chiavi e diede ordine ai soldati di rimanere lì fuori. Lungo il corridoio le torce erano accese, ma nella sala no; procedette quindi a farlo lui: pian piano si delineò l'ambiente.

    Era andato e tornato da quel luogo molte volte negli ultimi nove giorni. I prigionieri venivano tenuti in celle disposte a semicerchio di fronte ai mezzi di tortura: era una tattica psicologica per terrorizzare chi assisteva. Quando vi condussero la Strega fu contento, perché era diverso tempo che non si sollazzava con un prigioniero. L'assistente del Prelato iniziò ad elencare i capi di accusa, ma lui non riuscì ad intendere neanche una parola, gli pareva parlasse da un posto lontanissimo, in una lingua sconosciuta...Tutto il suo io era calamitato da quella donna. Lo innervosiva moltissimo essere turbato in tal modo, per cui si avvicinò al suo Consigliere di palazzo e gli bisbigliò: Cerchiamo di sbrigarci...Mi prudono le mani...

    Fu il primo di otto giorni in cui la donna venne torturata in molti modi; il Conte era sempre il regista e quasi sempre l'esecutore di queste pratiche. L'efferatezza di quell'uomo, il godurioso gusto per il sadismo, portavano qualunque imputato a confessare in poche ore e lei non fu certamente da meno. Dovettero poi quasi trascinarla sfinita dietro le grosse sbarre; il Conte entrò subito dietro.

    Lei lo osservò cheta, con la vista annebbiata. Torturare gli dava un'ebbrezza di potere enorme, lo caricava e lo eccitava: si preparava quindi a balzarle addosso come un giaguaro su di una gazzella.

    Ora desidero divertirmi, Strega.

    Non siete ancora pago dunque, Sire... mormorò lei.

    Osate proferire parola...Bene, allora penso che ci troverò ancora più gusto, adoro la lotta... così dicendo le teneva il mento sollevato con le dita inguantate. Il Conte riteneva di conoscere quelle come quella donna: erano fiere, ponevano resistenza con le unghie e i denti fino allo stremo. Ciò non poté che renderlo euforico nell'animo: non esisteva infatti nulla di più appagante per lui di possedere una femmina con brutalità. La osservò ancora per qualche istante, lei sostenne lo sguardo e lui si ritrovò a pensare che fosse la creatura più bella che avesse mai visto; fu contento fosse coraggiosa, perché ciò avrebbe significato una maggiore resistenza e conseguentemente più piacere da trarre per lui.

    Mentre il filo di questi pensieri volgeva al termine nella sua mente, lei si mosse; iniziò a far salire il saio che la copriva. Colto di sorpresa, il Conte rimase immobile a guardarla e quando la vide nuda, provò dolore all'inguine. Lei pose l'indumento a terra e vi si sdraiò sopra; poi aprì le gambe e puntò gli occhi nocciola, caldissimi e placidi, in quelli fiammeggianti del nobile. Un affronto del genere non l'avrebbe mai supposto.

    Le andò vicino e le afferrò la chioma. Lei non emise un solo sibilo.

    Il Conte la girò a carponi e la prese, insultandola come cagna tutto il tempo.

    Quella donna gli aveva procurato noie per parecchio tempo, lo aveva turbato e carpito il sonno; ora che finalmente era ridotta ad un nero tizzone spento, perché mai non riusciva a trovare pace?

    Cosa mi avete fatto? urlò con tutto se stesso.

    Cosa mi avete fatto, maledetta Strega?!

    Improvvisamente scorse i propri guanti di pelle poggiati in un angolo. Rammentava di averli ancora indosso quando aveva smesso di abusare di lei. Ricordò di essere rimasto impressionato perché, avendo preso a ricomporsi, aveva constatato che, sia la patta dei calzoni che il membro stesso, erano molto impregnati. A quel punto anche i guanti lo erano, divenendo troppo scivolosi per riuscire a terminare l'opera, perciò li aveva tolti. Ora li prese, e immediatamente sentì l'odore di lei.

    Provò la sensazione di una fiera affamata che percepisce il sangue nell'aria: era completamente fuori controllo, in preda ad una specie di attacco schizofrenico. Afferrò le chiavi, spalancò la cella dove era rimasta lei otto giorni e prese a masturbarsi con foga. Raggiunto l'apice, volle sporcare dove lei giaceva. Subito dopo fu per lui come risvegliarsi da una crisi epilettica: tornò in sé e lasciò quel posto.

    IL CONSIGLIERE

    Era tutto finito. Si sentiva così svuotato: era un uomo grosso, alto, un vero orso, eppure in quel momento avrebbe potuto prendere il posto della pelle dinnanzi al grande camino della sua stanza. Quella mattina all'alba si era giunti al nono giorno di grande trambusto, nella cittadina. Rievocò il pomeriggio in cui una compagnia di soldati del Prelato era tornata euforica: urlavano, sbraitavano a pieni polmoni: L'abbiamo presa! Sua Eccellenza!

    Egli si trovava nelle cucine, vi si recava non appena aveva un po' di tempo libero; gli piaceva rilassarsi preparando manicaretti, dando sfogo al proprio estro prima e appagando il palato, poi.

    Udendo quelle grida, si affacciò per controllare cosa stesse accadendo. Il comandante del drappello smontò ed entrò a palazzo per convocare il ministro della Chiesa, che si trovava nella sala principale del Conte.

    Continuando ad osservare, vide un corpo con lunghe gambe e un cappuccio sulla testa, sdraiato a pancia in giù sulla sella di un cavallo. Vivendo a stretto contatto col Conte sapeva che stavano cercando quella donna da parecchio tempo. Era tacciata di stregoneria e il Prelato ultimamente aveva insistito per intensificarne le ricerche, perché la fama delle sue doti aveva varcato i confini della loro regione; si era accorto che diverse persone straniere girovagavano per le campagne in cerca di lei e ciò lo aveva infastidito parecchio.

    Lo ritengo un affronto veramente fuori misura, Sire. aveva affermato una sera, alzando notevolmente il volume della voce, mentre cenava assieme al Conte Occorre organizzare più ronde, specie nei boschi o la situazione peggiorerà, e anche Voi farete la figura del fantoccio.

    Inteso! Il nobile conficcò un coltello nel tavolo, le parole del Prelato lo avevano innervosito.

    E sia, dunque! Battete pure a tappeto la zona.

    Vistola catturata quindi, il Consigliere capì che gli eventi sarebbero presto precipitati. Nelle ore seguenti seguì una gran confusione, un turbinio di persone, finché lei non fu condotta in una cella del Tribunale, nella sala degli interrogatori.

    Aveva abbastanza esperienza con le donne da sapere che un bel corpo non significasse per forza anche un volto armonioso, per cui quando le tolsero il cappuccio lasciò indugiare lo sguardo su quell'ovale. Scese dolcemente lungo i tratti di un viso che ritenne estasiante; esprimeva una tenerezza luminosa quanto una mattina di primavera. Gli occhi erano grandi, caldi e liquidi, le sopracciglia ben disegnate, la bocca carnosa, i denti bianchi e la pelle semplicemente favolosa: tenue nel colorito, liscia, gli ricordò i petali di una rosa.

    Il processo inquisitorio ebbe inizio; il Conte preparò vari attrezzi su di un tavolo. Il Consigliere ebbe un brivido lungo la schiena: aveva visto il suo padrone utilizzarli decine di volte, nelle maniere più disparate e crudeli; poco prima aveva manifestato la sua irrequietudine, sibilandogli di essere impaziente ad iniziare, il che confermava la sua bramosia tenuta a freno per diverso tempo, che avrebbe portato come risultato una profonda agonia per lei. Gli parve una prospettiva orribile, ma fu costretto a rimanere lì, impassibile, con le iridi scoperte. Difatti fu come vedere un roseto aulente e fiorito sotto una violenta grandinata quando, in taluni anni, le prime giornate troppo calde scatenano piogge di ghiaccio: rimane qualche rametto spelacchiato, le foglie tutte bucherellate, i petali strappati dai calici resi a brandelli dispersi ovunque...

    Lei confessò, ma il Conte continuò imperterrito fino quasi a sfinirla. Quando finalmente permise che la scortassero alla cella, fece un cenno al Consigliere; significava di dover recuperare e rimettere nel cofano gli attrezzi: iniziò quindi l'opera cercando di non dare a vedere il tremore che dalle ginocchia era salito fino alle dita. Si augurava di poter uscire da quella sala il prima possibile: come un soldato si prepara ad affrontare l'ultima parte della battaglia sperando di sopravvivere, così pose il suo animo in qualche modo pronto ad assistere all'atto finale di quella giornata.

    Inaspettatamente la scorse nuda, e si sentì pervadere dal desiderio. Fu come quando le nubi si scostano dalla Luna: improvvisamente si mostra in tutta la sua fulgente bellezza e tutto il creato si incanta a guardarla. Quella beatitudine durò solo pochi istanti, perché il Conte si avventò su di lei; dopo qualche minuto sentì una fitta lancinante alla mano destra e una sensazione di calore. Guardò in basso e vide sangue colare; aveva stretto un attrezzo sino a ferirsi.

    Pose rimedio usando lo stesso per strappare un lembo di stoffa dalla propria casacca e fasciarsi la mano. Indi pulì la lama e terminò di riordinare quegli strumenti del tormento. Il Conte si staccò da lei pochi istanti dopo: aveva un'espressione gloriosa e distesa, finalmente la belva era sazia.

    Mi ritiro per la notte, pensate voi ad organizzare la sorveglianza. Gli disse.

    Il Prelato lo seguì, insieme al codazzo di membri del Tribunale: al Consigliere parvero ratti che tornavano alle tane dopo aver razziato una dispensa. Egli diede ordini per i turni di guardia, pose due soldati fuori dalla porta; ma proprio quando fu sul punto di uscire, non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi verso la cella un'ultima volta.

    Lei giaceva immobile e lui si preoccupò. Mentre faceva scattare la serratura, una vocina gli diceva che era una cosa ben stupida da fare: avrebbe potuto essere un espediente per attuare un maleficio e fuggire...e, in caso contrario, sarebbe comunque morta tra pochi giorni...

    Lei udì la chiave girare e si sollevò pian piano. Consigliere era teso, ma non appena la Strega si voltò, sentì il proprio cuore strizzarsi come una spugna. Si tolse la casacca e la coprì. Andò poi a procurarsi una brocca con dell'acqua e degli stracci puliti. Posò il tutto a terra.

    Grazie. disse lei, porgendogli l'indumento per restituirglielo.

    Riprendetela, già correte grande pericolo, a usarmi queste gentilezze...

    Mentre lui allungava la mano, la donna gliela prese.

    Siete ferito... affermò, con una lieve preoccupazione nella voce; si mise allora prontamente a trafficare per togliere la stoffa che lui aveva stretto attorno al palmo.

    Il Consigliere si commosse dinnanzi a quella creatura, che martoriata e violentata, gli pulì il taglio con cura e glielo fasciò diligentemente con una pezza. Rimase ammutolito.

    Lei lo guardò intensamente negli occhi verde scuro, attese qualche istante, poi gli sussurrò: Avete altre ferite, ben più profonde, qui... e gli passò l'indice sul petto Vi dolgono e la notte ululano peggio dei lupi, quando dormite, vero? continuò, sempre fissandolo.

    Sì, è così... ammise lui.

    Allora lei prese la casacca e la adagiò sul pagliericcio.

    Sdraiatevi a pancia in giù. gli disse.

    Egli si sentiva inebetito, ma fece ciò che lei gli aveva chiesto. La Strega Guaritrice iniziò a massaggiarlo sulla schiena e, molto lentamente, salì sino alle spalle, poi sul collo e alle tempie. Lui percepiva la sua energia e si domandava come potesse essere possibile, dopo i tormenti trascorsi. Infine si sdraiò nuda sulla sua schiena, a peso morto.

    Iniziamo a respirare insieme... Seguitemi... lo esortò in un sussurro.

    Si addormentarono, egli vide una luce fulgida. Da un lontanissimo meandro della mente gli sovvenne di doversi alzare e tornare a palazzo, così si mosse e la svegliò, con la maggior dolcezza che gli fu possibile.

    Tornò segretamente nel sotterraneo la notte seguente. Si sentiva un verme, perché gli pareva di approfittarsi della situazione, ma il bisogno di lei era impossibile da controllare. Aveva anche compiuto, per la prima volta in vita sua, qualcosa di realmente pericoloso per la propria incolumità: aveva difatti sottratto della polvere che aiutava a liberare gli intestini del Prelato e li aveva sciolti nella brocca del suo padrone. Non voleva che quest'ultimo potesse comparire all'improvviso là sotto.

    Esitava fuori dalle sbarre, con lo sguardo basso.

    Beh, ma che fate lì, contate le formiche e gli scarafaggi? Rise lei, spezzando il ghiaccio.

    Il Consigliere aprì la cella, entrò, ma era ancora impacciato. La Strega gli si avvicinò e gli accarezzò la testa calva. Lui aveva portato delle coperte e le sistemarono a terra. Lei lo massaggiò con più dovizia, questa volta non tralasciando nemmeno un punto; poi nuovamente unirono i respiri.

    A volte, le anime fanno l'amore prima dei corpi... gli bisbigliò all'orecchio.

    Egli si sentiva estasiato, ad un livello superiore di quando si appagava con una donna, eppure il desiderio carnale per lei era enorme.

    La terza notte entrò senza tentennamenti, la prese tra le braccia dicendole: Oggi invece, lo faranno prima i corpi... e la baciò con trasporto.

    In quella manciata di giorni, Consigliere immaginò di fuggire insieme e di vivere nella macchia, di espedienti, ma felici.

    Mio bocciolo di rosa, siete la svolta della mia vita. Voglio prendermi cura di voi e....

    Lei gli posò i polpastrelli sulle labbra. Lo guardò fisso: Non usate la bocca per dipingere un sogno nella mente, ma per altro.

    Mentre si fondevano, si prefissò di dimostrarle le sue intenzioni: non poteva, non doveva perderla. Lei lo voltò di schiena e ricominciò a guidargli il respiro per un volteggio delle anime; qualche attimo prima di assopirsi gli disse: Devo affidarvi alcuni segreti...Perdonatemi, per codesto fardello che vi graverà, ma vi sono costretta...

    Il Consigliere sentiva il volto caldissimo, le guance e il collo fradici. Era caduto in ginocchio troppo vicino al camino e, chissà da quanto, piangeva copiosamente. Quella vista annebbiata non bastò a far sparire il fagotto che aveva preparato per la fuga che aveva poi abbandonato senza esitazioni in un angolo la sera precedente, non appena aveva udito il Conte che nel cortile dava ordine di convocarlo.

    IL PRELATO

    Il Prelato riteneva che il Conte fosse un uomo troppo superficiale, in talune occasioni. Quella mattina, vedendo il Cavaliere comportarsi in quel modo totalmente scellerato, aveva pensato fosse preda della possessione demoniaca. Anche i suoi soldati, che avevano difeso e protetto il corpo carbonizzato di quella Strega, dovevano essere tutti usciti di senno. Si impose di ritrovare la lucidità mentale: presto il Re avrebbe palesato le proprie rimostranze, in quanto il messaggero diretto a Corte per informare il Sovrano dell'esecuzione aveva ricevuto ordine di partire solo il settimo giorno della prigionia della donna. D'altro canto, egli non doveva rispondere delle proprie azioni direttamente alla Corona, ma al Pontefice per cui, si disse, non valeva la pena angustiarsi.

    Dopo aver discusso col Conte, si era affrettato a seguire i passi della figlia e aveva bussato alla porta delle sue stanze. Una serva si affacciò.

    Riferite alla Contessina che sono arrivato: è giunta l'ora della lettura delle Sacre Scritture e della preghiera serale.

    Venne fatto entrare, si sedette a fianco alla giovine e le porse un grosso tomo, mentre lui ne aveva un altro, quasi sulle ginocchia. Lui le diceva che brani doveva leggere e lei eseguiva. Ogni tanto la interrompeva e si sporgeva verso il suo libro per correggere la sua pronunzia o indicare delle parole di cui voleva controllare avesse studiato il significato. La Contessina si ritrovò a fissare quelle dita tozze e grassocce, un leggero tremito la assalì, non le riusciva di scacciarlo. Ella aveva avvertito il cambiamento in sé, nell'ultimo anno: rimirava nello specchio l'aspetto di una donna, seppur ancora un po' acerba. Le era accaduto svariate volte di svegliarsi con un senso di gran calore e di incantarsi a fissare diversi giovani. Aveva anche spiato gli uomini di suo padre baciare con foga in qualche angolo nascosto le serve e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1