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E-book362 pagine5 ore

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Info su questo ebook

New York, un ormai piccolo uomo tradito da una tresca tra moglie e migliore amico, ubriaco, ondeggia su di un ponte sull'Hudson e, qualcuno, lo punta!
Perché scriverne? È una storia come tante sembrerebbe ma, quel nessuno che intanto raggiungono, e derubano, e accoltellano, si lancia nel vuoto verso i gorghi del fiume invece che cercare aiuto, ancora tutto normale, straziante, ma banale, e invece no! Chi arma la mano degli assassini, lo conosce, chi guida gli eventi, sa!
Sceglie il momento preciso, attraversa il tempo, e coincide eventi diversi di disparati spazi e tempi, che condensa, in quel preciso momento: mentre cade, infatti, un'astronave lascia la transdimen-sionalità proprio nello stesso spazio e tempo che occupa lui lanciato a fiume, ma perché?
Milioni di mondi, dipendono da quella scintilla appena scaturita da un caso sapientemente indirizzato, e quella, animerà un fuoco che arderà attraverso lo spazio come un’eco. Ciò che deve accadere è stabilito. Starà a lui solo svelarsi, come svolgere il suo compito com'è scritto.  Ma come? Potrà, ora da abbandonato su di un planetoide minerario esaurito, alieno, e lontano da tutto? No! Ma, chi ha stabilito il succedersi degli eventi…
LinguaItaliano
Data di uscita26 feb 2019
ISBN9788869632006
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    Anteprima del libro

    M1N3rS - Tommaso Giachetti

    9788869632006

    PROLOGO

    Gli Hyxyhii

    Eoni prima di oggi ed in una galassia densa al centro dell’universo, un pianeta d’acqua, ospitava la casa dei tutti.

    Ma quando gli spazi marini andarono esaurendosi tanti furono di loro ad abitarli, dissidi, nacquero dove prima era solo pace ed armonia! Vennero allora costruiti enormi acquari orbitanti ma, ormai, l’innocenza era perduta. Così, le case rappresentanti i vari strati di quella società fino allora felice, in quegli acquari, non videro altro che il mezzo per colonizzare le lune di Argos, il loro pianeta, e la casa dei tutti. Accadde allora, che la tredicesima casa da muta che era, desse voce alle istanze dei molti che reclamavano il ritorno della casa dei tutti ormai estinta. E sotto i colpi dell’odio e del rancore, divisa per sempre nei dodici anelli, che dal polo si avviavano, ed all’altro polo si richiudevano, perpendicolarmente, e dividendo per sempre ognuna casa dalle altre. La tredicesima muta, era il numero dispari che rendeva il pari delle dodici perfetto, l’ago della bilancia nelle dispute, e per quello appunto, era muta per il resto del tempo. Ma questa volta, parlò: pretese per se le città dell’aria, così erano stati nominati gli acquari orbitanti, e radunò là tutte le genti neutrali. Poi però, quando la guerra infuriò fratricida, e vedendo che nessuno mai l’avrebbe frenata, partirono per l’ignoto. Trainarono con potenti vettori le città dell’aria come fossero un treno, e così, vagarono attraverso l’universo in cerca d’una nuova casa. La trovarono millenni dopo e, il nome che dettero alla loro nuova acqua, fu Hyxyh: che nella loro lingua, significava unione. Come popolo, ma anche come procreazione, vita dunque, armonia, e rinascita. La loro diaspora però, non li aveva solamente portati lontano dal resto del loro popolo, in quel lungo viaggio, avevano potuto osservare innumerevoli fenomeni, mondi, e culture. La loro scienza, perciò, si era evoluta, tanto, da poter essere in grado di solcare l’universo ed evolvere ancora. Quello che avevano scoperto di più importante, erano i tunnel spaziotemporali, ed attraverso quelli, un giorno e da una di quelle loro missioni, arrivò ciò che avrebbe per sempre mutato il loro destino: una strana e gelatinosa sostanza, che scoprirono essere un simbionte. Ma ci vollero ancora molti anni ed una altrettanto straordinaria scoperta perché divenissero ciò che era destino fossero, e cioè, gli Hyxyhii: giganti incontrastati nell’universo conosciuto, primi tra i primi, e custodi del sommo sapere. Cosa, che avvenne quando uno dei loro sommi scienziati, unì al simbionte l’altra straordinaria scoperta, le naniti! Il simbionte, chissà come riuscì ad unirsi a queste ritenendole organismo ospite anche se inorganiche e, le moltiplicò di numero, come era nella progettazione delle stesse naniti fare. Ma, per numero di naniti, per costo e per velocità di riproduzione, fu un avanzamento tecnologico senza pari. Adesso dunque, gli Hyxyhii, poterono essere asserviti soltanto al proprio genio e non altro, furono in grado di produrre astronavi con la sola gestazione di poche naniti e metalli, e dettero il via a viaggi astronomici sempre più evoluti e lontani. Finché un giorno… tra le mille destinazioni dei viaggi Hyxyhii, uno, partì alla volta di un sistema solare composto di otto pianeti, ed i terzo dal sole, era la meta primaria di quella spedizione. Prima di approdare sul terzo pianeta di quel sistema sperduto, avrebbe viaggiato e visitato innumerevoli altri mondi.

    Altrettanti, ne avrebbe visitati sulla via del ritorno ma, quel piccolo pianeta di quel sistema sperduto, avrebbe determinato il momento della fine del viaggio di andata e  … tanto, tanto altro ancora.

    CAPITOLO I

    Ismael

    Buio, per uno sbattere di ciglia. Poi, come lo statico di un televisore. Si dissolve, lascia il posto ad una nube purpurea e scura. Qualcosa, appare indistinto, vago. Via via, si vanno dissipando i fumi e stringono le immagini. Ecco  … il quadro:

    l’immagine, lo trascina in istanti affannati, dove immerso tra salse e sapori, è preso nell’intuire l’avanzare della cottura dal crepitio delle pietanze, e nel mentre, è come al solito intento a disporre eleganti i colori delle portate sui piatti di servizio. Eppure, la sua concentrazione viene a tratti rapita e va perdendosi al di là dei vetri, che incastonati sui riquadri a legno della porta, si affacciano dalla cucina sul piccolo corridoio di servizio dirimpetto. Là dove lui, può scorgere le due cameriere prone, armeggiare tra stoviglie e posate come udirne i discorsi. Le due, sono intente a stipare il carrello che useranno poi per la preparazione della sala, ed in quel ricordo, le osservava senza volere e senza riuscire ad opporsi.

    In quell’immagine, hanno le gonne strette e, le giacche, sono stirate di fresco. La schiena è piegata in avanti, ed i glutei sono protesi al punto giusto. Portano calze nere, e i capelli sono raccolti. Intanto, un erezione abbozzata si estinse alle prime parole di quel ricordo: «Visto quello nuovo?» disse la prima cameriera, e l’altra: «Chi? Il cuoco?» ancora la prima: «Sì! Giovanino eh?»

    Le rispose invece meditativa l’altra: «Mm  … Carino  … un po pingue per i miei gusti, basso pure, ma carino!»

    «Lascia perdere gioia, non fa per te!»

    «Mica ci tengo  … dico solo che non è poi malaccio!» ribatté allora l’altra, e subito, però aggiunse: «Ma non è il mio tipo!»

    «Perché, hai un tipo?» rise la prima, poi, rincarò la dose:

    «Per me, te li faresti tutti!»

    «Stronza!» le replicò l’altra, ed ancora la prima:

    «Comunque, quello, vedrai che ci rimane poco!»

    «Cioè? Che intendi?» disse l’amica, allora, quella proseguì:

    «Prima, quando è arrivato, io c’ero e  … m’ha salutata in punto e virgola  … buona sera signora e manco un ciao! Poi, quando ha finito di parlare con Antonio, è entrato in cucina e non ne è più uscito. Ma io, mentre entrava l’ho beccato e mi ci sono strofinata ben bene, gli ho sfiorato il ginocchio e sorriso e sbattuto le ciglia, ma niente. Non ha provato nemmeno a darmi un buffetto sul culo o un’occhiata alle tette, e sì che avevo la camicetta sbottonata e, si vedeva tutto  … lo sai che li porto solo a balconcino!»

    «La solita troietta, eh?»

    Ancora la prima: «Beh non ho mica più vent’anni come te. Oh, manco son da buttare eh! Ma vado per gli anta e, me le devo cercare anche un po, altrimenti  … hai voglia a strofinarla, mica e la lampada di Aladino che poi esce il genio e ti si fa!»

    Risero, poi, sempre quella riprese a parlare: «Comunque, dicevo che per come sembra professionale e, per come è giovane, i casi sono due: primo, è un rimpiazzo e quindi nel panico al primo impiego, e dura poco  … oppure, è uno bravo bravo, e qui, non ci rimane!» l’altra, la riprese! Come se stesse sputando nel piatto dove mangiavano entrambe: «Beh, comunque non e poi merda lavorare da Antonio!» l’altra, allora si spiegò:

    «No no, il ristorante è buono, ma questo, mi pare di un’altra categoria. Mah? Magari è solo introverso e apprensivo  … o frocio!»

    Risero ancora di gusto. Poi, con un gomito, una toccò l’altra. Gli sguardi si incrociarono, e scorsero Antonio arrivare, avviarono allora il carrello ricolmo di piatti e posate verso la sala, veloci, e silenziose.

    Il menù lo aveva studiato da tempo, le mani erano abili.

    Sapeva insegnare, e sapeva spiegare quel che voleva ottenere, eppure la tensione per il suo primo incarico da master chef nel suo primo giorno di lavoro, era palese. Dopo il quinquennio di alberghiera aveva lavorato due anni al servizio di abili chef, aveva imparato, ed era stato premiato col grado di vice del master chef. Aveva lavorato a piatti suoi nel tempo libero, li aveva curati, rivisti, assaggiati, e fatti assaggiare, ed ora, ne avrebbe colto i frutti.

    Una luce, traspariva bluastra e scura. Due battiti di ciglia, una nebbia, delle onde, come quelle di un vecchio televisore in bianco e nero cui veniva ruotata la manopola della sintonia da un canale all’altro, gli apparvero nell’indefinito delle palpebre chiuse. Producendone immagini distorte, fino a tradurle in righe intermittenti ed in statico, ora, nuovamente in righe, poi linee, ed ora, ancora in immagini.

    Il sole alto scaldava la sabbia, fu lì che la vide. Si bagnò solo per poterla osservare più da vicino giocare tra le amiche sulla battigia. Lo raggiunse Leo, che infilando in mare deciso gli impedì di rimanere lì come un pesce lesso: «Che aspetti? Dai che non morde  … tuffati!» gli disse così Leo.

    Ma sì, che avrebbe risolto aggirandosi tra la sabbia e le onde come un deficiente? Si tuffò! Nuotavano scherzando e schizzando come due scemi, eppure, lo sguardo tornava a quel pallone mentre volava ed a quel seno che sobbalzava, ai capelli biondi e fluenti, ed a quel volto preso di risa giocose; ed al cercare gli sguardi di lei che sperava di incrociare soprattutto! Quegli occhi dolci che parevano sorridergli tra le ciglia, anche a costo di rendersi ridicolo, non li avrebbe mollati mai; e Leo, lo notò!

    «Dagli! Guarda com’è preso, è preso!» lui tentò di glissare invece, e così: «Ho la roba in spiaggia» rispose sommesso.

    «Se se  …» dicendolo, svanì poi tra le onde Leo, e lui, se lo perse. Tornò ad osservare, ma era sparita! Era bella, forse troppo per lui, eppure, l’avrebbe voluta! Raro che provasse così nitido l’istinto di vincere la propria timidezza, eppure, quella volta non aveva indecisioni. Leo ricomparse, lo schizzò, lo incalzò, e giocarono ancora. Mentre tornavano sulla spiaggia e verso le sdraio, gli cinse il collo, e fregandogli le nocche sui capelli, disse: «Ma chi era quella che puntavi eh? La biondina col bichini psichedelico?» «Ma no, avevo la roba in spiaggia» rispose ancora lui. Ridendo invece beffardo, Leo, lo schernì ancora: «Ah, ah, ah, beccato! Ha puntato la bionda  … e bravo! Bonazza pero!»

    Allora, lui, alzò uno sguardo strizzato nel rispondere a Leo, che fu di sbieco, e tra il sole; quindi, sparò il suo con una calma gelida da duro dei film e: «Beh male non era» gli disse.

    «Ah vedi? Ha ha ha, beccato pieno!» rispose così Leo, e passando come uno schiacciasassi sull’indecisione che lo frenava. C’era rimasto di sasso in realtà, non lo aveva mai visto così; un lato del carattere del suo amico, che non conosceva, che gli incuté timore e riverenza e, che non volle ammettere mai di aver visto! Poi, Leo, lo lasciò col compito di recuperare la roba dalle sdraio e corse via atletico, facendo sobbalzare la cesta di capelli biondi e ricci, anche quando erano bagnati e: «Ci troviamo al bar»

    «Oh veloce eh  …» lo aggiunse svanendo.

    Se lo vide tornare di corsa come se ne era andato.

    «Dai dai, molla la sacca!»

    «Ma come? Qui? C’è la nostra roba dentro oh!»

    «E chi se la piglia? E che te frega poi di due magliette e due bermuda? Ma la fai finita di fare lo stronzo? T’ho agganciato la biondina scemo. Molla sta sacca e corri! Oh baldanza eh!» si avviarono e, poco più avanti, ancora Leo: «Buono buono, ferma. Eccole, lascia fare a me, entra solo se ti viene, ma pure no!»

    Poi aggiunse: «Dai e, tranquillo ho già apparecchiato. Basta solo un richiamino, poi te la giochi al party  …»

    Incrociarono le ragazze e, Leo, partì a parlargli sicuro: «Ah allora  … eccolo eh!» ancora Leo, e senza che le ragazze potessero riprendere fiato: «è lui eh  … è un grande! Da paura ragazze! Vi fa assaggiare roba da urlo, garantito! Allora alle otto, ok?»

    «Ok» risposero le ragazze in coro mentre procedevano allontanandosi e verso la spiaggia.

    Leo, preso l’amico sotto braccio indagò: «Allora, contento?»

    «Beh sì, ma che gli hai raccontato?»

    «La verità, che sei un mago ai fornelli e che abbiamo organizzato un party per questa sera.» «Ma noi, non abbiamo organizzato nessun party!»

    Leo lo mandò a quel paese, e continuò deciso: «Eh che palla zio! Lo organizziamo ora! Anzi, tu pensa ai viveri, che al resto ci penso io, bene?»

    Avevano frizzato tutto il pomeriggio, organizzato, preparato e chiamato gente; sperava si facessero vive! Beh si, sarebbe comunque stata una bella festa ma, aveva passato troppo tempo a preparare leccornie per non fargliele poi assaggiare.

    La sera, incombeva sul giorno, e le luci rossastre, creavano magiche striature che attendevano solo l’avvento della notte per morire. La lunga fila di tavoli diseguali ed uniti tra loro, con accanto altrettante sedie spaiate, si andava riempiendo di commensali ridenti e rumorosi. Cominciò a servire pietanze curate, e tra un sorso ed una battuta, i profumi si sparsero per il giardino e nei sensi degli invitati inebriandoli. La festa si animò, ed il suo lavoro fu apprezzato. Gli elogi elargiti lo fecero risaltare e, in quel momento la scorse, approfittò dell’attimo di gloria, ed afferrata una sedia, disse: «Fatemi posto dai, che tocca pure a me azzannare qualcosa mo’» e, strategicamente, le sedette di fronte.

    Invece di abbandonarsi alla fame, gustò lento ed aggraziato, e rispondendo alle domande sulle portate, incassò ancora elogi catalizzando l’attenzione su di sé. Intanto se la curava, e trovandone sovente lo sguardo su di lui come sperava, attese che tra le tante ci fossero le sue parole, ed allora, prese a parlarle lasciando che la conversazione con lei fosse costante, e le altre sporadiche. Considerò di volta in volta altri argomenti ed altre persone, ma, senza mai lasciar cadere con lei quell’intensità, che voleva per la loro di conversazione, e, badando che questa non divenisse scontata o noiosa, ma tenendola avvincente e vivida, la sostenne. Approfittò anche della sua momentanea popolarità e lasciò che fosse lei, a doversi guadagnare la sua attenzione, ed intanto, rinfocolando ed infittendo sempre più le frasi rivolte a lei rispetto alle altre, la attrasse a sé. Finché in fine, furono loro che sparlavano degli altri: l’aveva portata dunque a quel Noi che l’avrebbe catturata. Poi, poi fu la volta della musica, dei drink, dei balli. La perse, e la ritrovò in quello che doveva essere un interesse scostante ma vivo, casuale, eppure intrigante. Aveva un asso nella manica. Si era svenato per una bottiglia di whisky pregiato che aveva nascosto e, che avrebbe estratto al momento opportuno; e fregiandosene, ne avrebbe usata la squisitezza come scusa per un tete à tete. Così avvenne, quando la vide intenta a rovistare sul tavolo dei drink, e tra le poche birre rimaste. Non era sola, stava con un tipo probabilmente ubriaco, ma le si accostò comunque, le prese la mano, e le sussurrò: «Molla, se vuoi qualcosa di serio e decisamente invecchiato! Ho qualcosa di assolutamente squisito e solo per il palato di pochi! Seguimi senza farti notare, e vedrai che non te ne penti, fidati!»

    Lei gli sorrise, fu incuriosita. Lui, la trasse a se e le sfiorò le guance, la cinse in vita, e la trascinò via con un fare tra l’arrogante ed il languido. Lei, lo seguì senza parlare ed indugiando prima un poco, tra il divertito, l’affascinante e l’alticcio, ma per poi avviarsi con lui ovunque avesse voluto.

    Sorseggiavano quel distillato di pregio seduti sull’erba del retro del villino, parlarono della festa, di chi fosse chi, degli intrecci tra gli amici e, di chi conoscesse chi, e con chi si accompagnasse o con chi si volesse accompagnare. Il whisky, si faceva sentire. Lui ristette, gli occhi, erano rapiti e fissi su di lei che osservava ridere e scherzare, e lei, bellissima e conscia di esserlo, specie lì ed adesso strizzata com’era in quel vestitino a fiori, gli sorrise, abbassò gli occhi, e sussurrò: «Che hai da guardare?»

    «Tutto serio poi?»

    Ora, lo scrutava interrogativa ed imbronciata in volto. Ma lui non rispose ai suoi segnali, e lei si lasciò andare alle risa, e scostando i capelli, allentò per un attimo quel filo di tensione. Fece teatro poi, e scrollando il capo, cacciò un urlo quasi squittisse e, rise ancora, e portò la bottiglia alle labbra, ma non bevve, attese, e tornò poi invece a fissarlo, seria, e proprio come voleva. Lui, solo allora si decise: «Ma  … non ci siamo nemmeno presentati?»

    Cercava anche lui di allontanare quella tensione che tornava ad addensarsi, voleva poter ripartire dalle parole e prendersi il tempo di un altro sorso.

    «Emma!» sillabò intanto lei sbarazzina e, prese ad attenderlo ed incalzarlo, cercandone lo sguardo per avere risposta.

    «Ismael, piacere.» disse lui, e le porse la mano anche, ma lei, cadde in una fragorosa risata, scosse il capo chinandolo, ed aggiunse soffocando a stento le risa: «No no, scusa» e singhiozzando, ripeté: «No, scusa, cioè  …» tornò a ridere, senza ritegno e, dopo una pausa: «Ok  …» ma non riuscì a trattenersi e rise, e ancora poi: «Ok, no, scusa ma, quindi … ma sei circonciso?» e scoppiò a ridere, questa volta, definitivamente!

    «Beh no» ribatté lui, e lei: «Ma sei ebreo, no?»

    «Beh sì, ma  …» rise Ismael, rise di gusto, e dopo, fu quasi serio invece nello spiegare: «Beh, mio padre sì, e da parte della sua famiglia, avrebbero voluto in effetti. Ma mia madre è cattolica, quindi, hanno deciso che avrei dovuto scegliere io, all’età della ragione!» lei lo incalzò: «E allora?»

    «Se mai ci arrivo, ti giuro che te lo faccio sapere!» risero entrambi.

    Lei lo guardò, ed Ismael, le passò la mani tra i capelli. I loro sguardi non si lasciarono più, le labbra si sfiorarono dolcemente, ed i loro corpi, si adagiarono l’uno sull’altro. Si amarono in una brezza quasi mattutina, fredda, e che nemmeno sospettarono.

    La mattina seguente, mentre Emma si tuffava in mare, Ismael, mise l’asciugamano vicino alle sdraio delle ragazze, si adagiò, e leggermente si assopì al sole. Quando le ragazze tornarono, finse un sonno pesante. Quelle, lo lasciarono dormire e si misero sulle sdraio vicine. Di lì a poco, cominciarono a spettegolare, e, dopo una breve strategica introduzione, la tipa accanto ad Emma, affondò il colpo:

    «Allora, com’è il tappo?»

    «E che ne so io!» ribatté Emma.

    «Eddaii  …» le replicò l’amica senza mollare la presa.

    «Ma no, non ci ho mica fatto nulla!» si difese Emma, ma l’altra, non le avrebbe mai consentito di divincolarsi e rincarò la dose: «See, spariti insieme e riapparsi la mattina dopo, insieme! E dai, mica lo metto su Facebook!»

    «Ma se ti ho detto che non abbiamo fatto nulla?»

    Come se nemmeno fosse in discussione che lo avessero fatto, l’amica, proseguì l’interrogatorio: «Ma almeno scopa bene? Perché figo, proprio non lo è eh!»

    Scoppiò dopo un intenso giro di sguardi una risata strozzata tra le due ragazze, che Emma, volle altrettanto strategicamente interrompere: «Zitta dai, che ci sente!»

    Ma l’altra: «Ma che ci sente? … dorme  … daiiii  … spiffera!»

    «Uh  … ma che vuoi? Abbiamo solo limonato ecco.»

    «Ah la santarellina  … ma le dimensioni?»

    «Uffa … ma la fai finita?»

    «Eh che sarà mai?  … Mica ti sei presa una cotta eh?»

    «Ma di chi? Di quello? See  …»

    S’imbroncio Emma, poi rise, poi ancora:

    «Mi andava, tutto qua!»

    «Allora?» la incalzò l’altra.

    «Allora niente!»

    «Uffa, e smettila di fare la stronza dai, racconta!»

    «Te l’ho detto, mi andava, poi  …»

    «Poi?»

    «Poi, è carino. Almeno, ieri sera mi pareva carino. Cioè ora, col giornale in testa e la buzza all’aria, mica tanto carino!» scoppiò l’ennesima risata poi, Emma tornò seria e continuò dicendo: «Beh  … alla festa era carino però. Poi è stato bravo, mi ha intortata bene bene. Era dolce dolce  …» strabuzzò poi gli occhi all’amica ed aggiunse: «E simpatico! Cioè meglio, brillante, e poi, poi ero sbronza  … e comunque oh  … di viso, è uno schianto il tipo, eh? Dai, dimmi di no!»

    «SÌ, ma  …»

    Emma, però insistette: «Ok d’accordo, nell’insieme non dico di no. Però, di viso ripeto, è belloccio forte dai!» «Va beh, ormai comunque è andata, ti rifarai, capita!» sentenziò invece l’amica, stigmatizzandone con le risa la pesante sentenza. Poi, tornò come niente fosse alle domande: «Insomma, ma almeno scopa bene?»

    «Da Dio! Tié!»

    Ismael, non l’avrebbe più cercata. La incontrò ancora, eppure, tra loro si era eretto un muro che lui non riuscì a scalare. Intuiva che tra le parole di lei ed i suoi sorrisi ci fosse più di quello che traspariva, ma non fu abbastanza.

    Le palpebre ballavano, stropicciò gli occhi e, la flebile luce, filtrava attraverso la finestra socchiusa, il colore tenue dell’alba forse. Si raggomitolò ancora tra le coperte, e riprese a dormire. Il buio attraverso cui scrutava, restò stagnante e senza regalargli altre immagini. Si perse, lentamente, si ritrovò nel mezzo di una strada piovosa e la rivide: era entrata nel pub di primo pomeriggio, gli parve strano anche ora, come allora. La seguì, dapprima non la trovò, poi una voce gli arrivò alle spalle e, subito la riconobbe, era Emma! Serviva al bancone, e gli stava chiedendo cosa volesse, finse di non riconoscerla, ed ordinò. Le stava per parlare, quando fu lei a riconoscerlo, si scambiarono i numeri di telefono giurandosi che si sarebbero dovuti assolutamente rivedere!

    La stanza, era immersa di una luce chiara.

    Cercò di protendersi fino al cellulare e vedere che ora fosse ma, le braccia erano intorpidite, e la sveglia non aveva ancora suonato. Rigirò il capo tra i cuscini cercando ancora il viso di lei, la luce grigiastra delle onde prendeva strane forme, che di lì a poco, si trasformarono in immagini nuovamente. Erano dettagli sporadici, momenti, cristallizzati nella mente: le prime uscite!

    Ricordò le risa e le promesse negli sguardi, i baci, e la speranza condivisa di un futuro radioso. Avevano deciso di farcela insieme. Lei alle prese con l’università pagata col lavoro al pub, lui in procinto di aprire un suo ristorante, con Leo, l’amico di sempre. In effetti, Leo di ristorazione non ne capiva molto ma, aveva una laurea in economia che avrebbe fatto comodo, e poi, da solo, coi soldi non ce l’avrebbe fatta a metterlo su. Leo, lo avrebbe sostenuto per il trenta per cento grazie ai soldi di papa, che Ismael, avrebbe poi reso. Così Leo, avrebbe potuto finalmente porsi come uno con la testa a posto. Indurre il padre a sganciare e trovare un impiego decoroso ma con un impegno minimo, sarebbe stato possibile solo così, ed era esattamente quello che cercava Leo. Consentendo ad Ismael di avere il suo ristorante come desiderava, avrebbe infatti avuto lui stesso il suo tornaconto, e tutti, sarebbero stati felici.

    Ad un tratto, una nube nera lo sovrastò portandogli un dolore intenso, e passò trasportata dal vento, lasciandogli in bocca un sapore amaro. Lo attanagliò un magone, ed un attimo dopo furono di nuovo i giorni intensi e luminosi a capeggiare i vagheggianti ricordi, e l’immagine di lei bellissima sull’altare, apparve prima, ed il ritorno dal viaggio di nozze, ancora pieno di mare e sole, di amore e di sesso, arrivò per seconda, ed in ultimo, arrivò il momento in cui lei gli disse che avrebbe abbandonato l’università, e quello in cui invece scoprì che non c’era mai stata, fu quello che concluse! E gli strinse lo stomaco tanto, che ne ebbe dolore. Lo pervase un senso d’angoscia, e aprì gli occhi!

    Trovò la forza, di allungare la mano, ed uscire fuori da quel tepore che lo avvolgeva, per raggiungere il cellulare, e con quello l’ora: Già chissà che ora è? Le dieci, le dieci e trenta del mattino. Si rigirò dall’altro lato, e rintuzzò le coperte.

    Lo statico lo avvolgeva di nuovo. Era come in una nube, e parevano passargli davanti gli anni, veloci, ed infidi. D’un tratto, si ritrovò a mettere insieme quello che al tracciarne le linee tra i punti, appariva un disegno prestabilito, nitido, e crudele. Ma che in fondo, magari neanche lo era stato.

    Eppure, quanto male faceva! Rivide Leo che la baciava, rivide il ristorante in rovina, e se stesso in quella stanza di ospedale. Univa i punti, e più scorreva, e più bruciava. Ad un tratto si svegliò, si spinse all’indietro, e fu seduto. Ebbe nella mente la consapevolezza nitida dell’accaduto, e questo, riportò l’immediatezza del sogno nel vago, e la memoria nel certo: Come ho fatto? Come ho potuto lasciare che tutto questo accadesse? si disse.

    Il gorgoglio che gli agitava la pancia, non era solo dovuto a quei pensieri: si accorse del senso di fame che fin lì, ignorava.

    Ma tornò lo stesso a coprirsi, eppure la sua mente era lanciata, non avrebbe più dormito se lo sentiva. Avrebbe rivisto tutto e non voleva, chiuse gli occhi forzandosi a non pensare e, gli balenò in mente l’immagine di un succulento hot-dog. Un hot-dog fumante, con senape, senape, crauti, e mayonnaise. Sì, da Hamed. Sarebbe andato da Hamed e ne avrebbe preso uno. Fu trasportato nuovamente nel sonno dagli odori del chiosco di Hamed. Tornarono le nubi, come le immagini poi, e quelle che presumeva ora, anche se ancora indistinte, le sapeva crudeli!

    Lo agitavano prima che le potesse vedere, poi mise a fuoco, e fu lì nel pieno del susseguirsi di quegli eventi: il momento della fitta ed il trasporto in ambulanza, l’operazione al cuore, la degenza, e le parole di lei, amorevole e dolce al suo capezzale; affranta, e bella seppure con gli occhi gonfi ed il trucco sbavato, e Leo  … Leo che invece lo rassicurava, e gli parlava del ristorante e di come si fosse assicurato un cuoco di grido tramite i suoi innumerevoli amici, ed invece, quei due lo stavano tradendo! Stavano sbancando il ristorante, stavano prendendo prestiti da banche e strozzini, ed avevano una tresca.

    Li rivide gemere nel suo letto e nella sua casa, e licenziare il personale per assumerne di inetto a salario minimo e, così, perdere per sempre il buon nome del ristorante ed i clienti. Come anche, li rivide acquistare sempre più merce rivendendola dal retro a poco prezzo, e cambiare fornitori quando pretendevano il loro, per altri nuovi con cui continuare il ballo.

    Poi, li vide baciarsi nel ristorante deserto ed era il giorno in cui li sorprese: dopo settimane e colto dal sospetto, aveva finito per alzarsi dal letto. Non si fidava di Leo nella gestione del ristorante ma, mai, avrebbe creduto tanto! Aveva preso un taxi ed era andato a verificare, aveva la speranza che Leo, se la fosse in qualche modo cavata e, nonostante il medico glielo avesse proibito intimandogli l’assoluto riposo, andò. Quando li scorse, non lo credette vero. Il vecchio calzolaio che aveva il negozio accanto al ristorante, lo vide accasciarsi e subito accorse: «Che avete Ismael? Vi sentite male?»

    Il cuore, pulsava come una locomotiva, il petto doleva, ma Ismael, chiese comunque con quell’unico filo di voce al vecchio:

    «Chi sono quei due nel mio ristorante?» «Eh beh … due!»

    Non ebbe il coraggio di dirglielo. Ed Ismael, non ebbe il coraggio di guardare ancora, eppure, sapeva! Incalzò il vecchio però:

    «Albert dimmelo, dimmi che succede!» Il vecchio, dapprima indugiò ma poi rispose: «Eh Ismael  … le hanno giocato un brutto tiro caro mio.» «E Il ristorante? I camerieri? Chi c’è, in cucina?» si preoccupò di chiederlo Ismael, nonostante il malore.

    Il vecchio scosse però il capo, e solo poi, aggiunse:

    «Lasci stare Ismal, si rifarà! Vedrà che tutto si aggiusta!»

    «Anche il ristorante?» chiese lui ma già rassegnato.

    Il vecchio non rispose, ma Ismael tornò a chiedere, ed alzando la voce e per quanto poteva, ribadì le domande!

    Il vecchio lo guardò, ristette, e scosse il capo, ed Ismael, cadde riverso! «, hei voi! C’è Ismael qui, si sente male!» Urlò il vecchio ai due amanti. Quella, fu l’ultima cosa che sentì Ismael prima di un buio profondo!

    Era sveglio, si stropicciò ancora gli occhi e pianse, si rannicchiò tra le coperte come fosse nel bozzo in cui il ragno avvolge le prede, ed anche il capo, lo immerse completamente sotto le lenzuola. Fuori si gelava, e dentro, quel tepore rassicurante lo atterriva di sogni e di ricordi: Chissà che ora è? Pensò solo più questo.

    Si allungò fuori e nel gelo, e brancolò tastoni fino al cellulare. Era spinto se non altro da quel borbottare dello stomaco, avrebbe dovuto mangiare: Le 12,30! Pensò che fosse un orario meschino per un hot-dog, specie da Hamed. Era l’ora di punta, e lo avrebbe servito alla spiccia per non far attendere i clienti sempre di fretta per pranzo. Decise che sarebbe stato molto meglio posticipare, e dormire ancora, sempre che ci fosse riuscito.

    Si abbandonò all’immagine succulenta dell’hot-dog ma non riprese sonno, almeno non abbastanza da sognare, e comunque non abbastanza per ricordarsene. Il

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