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Spietata verità
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E-book353 pagine5 ore

Spietata verità

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Info su questo ebook

La vita di Cassandra Paril, brillante biologa di un importante parco nazionale, viene improvvisamente sconvolta dalla notizia di una strana ma brutale aggressione subita dalla sua cara amica Amélie. La ragazza, ricoverata sotto shock, ricorda che il suo assalitore ha fatto proprio il nome di Cassandra. Per lei si spalanca un abisso di dubbio e di timore. Si trova in pericolo? Chi è a minacciarla, e a quale scopo? Come può conoscerla?
Ma Cassandra non è certo una donna che si fa intimidire facilmente: pure in mezzo alle difficoltà, non rinuncia alla propria vita, al lavoro che ama e agli amici di sempre. Proprio al loro fianco Cassandra intraprende un intenso percorso alla ricerca di una verità crudamente inaspettata. Oltre alla sua affettuosa famiglia, le sono vicini i compagni di mille avventure fin dai tempi dell’università, con i quali da allora la vicinanza non si è mai allentata: soprattutto Luca, poliziotto impulsivo e determinato, e Andrea, preparato e sensibile psichiatra. Insieme indagheranno su una storia oscura e imprevedibile, che li avvolgerà sempre più nelle proprie spire, fino a metterli di fronte a certe sinistre e insondabili profondità dell’animo umano, che lasceranno su tutti tracce indelebili.
Un thriller appassionante dallo stile chiaro e realistico, che mescola con abilità tensione e tenerezza, storie di amicizia e segreti del passato, tinte drammatiche e suggestioni amorose, in una cornice naturale affascinante.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2019
ISBN9788832924251
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    Anteprima del libro

    Spietata verità - Alessandra Perilli

    tranquilla.

    1

    Dai Cassy, così la chiamavano gli amici più intimi, non puoi non venire, ci saremo tutti, non fare l’asociale come al solito.

    Non faccio l’asociale. È che sono veramente sfinita, mi sento svuotata di tutte le forze.

    Era veramente stanca. Stava subendo il classico calo di adrenalina che le capitava ogni volta dopo aver fatto qualcosa che richiedeva un elevato livello di concentrazione. Tutto sommato era una sensazione gradevole, ma in quel momento voleva solo abbandonarsi alla stanchezza, rilassarsi facendo un bagno caldo e godersi il traguardo appena raggiunto.

    Ad ascoltarla, quel giorno, erano andati Susanna e Giulio, i suoi genitori, che non se la sarebbero mai persa, tanto erano orgogliosi che Cassandra si laureasse; Giulio non parlava molto, ma si potevano vedere sempre chiaramente le sue emozioni negli occhi lucidi. Susanna era di tutt’altro carattere, estroversa e vulcanica: si era messa addirittura a scherzare con il relatore di Cassandra, la quale provò anche un certo imbarazzo a vedere il suo professore ridere alle battute di sua madre.

    Con loro era venuto anche Alessandro, suo cognato, mentre sua sorella Sara e Olivia, la nipotina di quattro anni, erano rimaste a casa: avrebbero festeggiato insieme il giorno seguente. Erano ripartiti quasi subito una volta terminata la discussione, lasciando Cassandra ai festeggiamenti con i suoi amici: quella sera si sarebbero incontrati tutti in un locale vicino all’università, pieno di studenti pronti a inaugurare un nuovo fine settimana con la solita sbronza.

    L’università per Cassandra era stata un’esperienza importante, l’aveva fatta crescere e maturare. Ora che era finalmente conclusa, non si sentiva solo una dottoressa, ma una donna. L’impegno era stato notevole, anche perché la decisione di iscriversi a Biologia era arrivata con un certo ritardo rispetto al consueto.

    Alla fine del liceo, Susanna aveva provato in tutti i modi a farle continuare gli studi, ma lei non ne aveva voluto sapere. Era proprio testarda: aveva voluto fare altre esperienze dopo il liceo, cercare quell’indipendenza che tutti gli adolescenti sono convinti di avere a portata di mano. Ma la realtà fece sì che le sue sicurezze si infrangessero in più occasioni. E così, a distanza di cinque anni dalla fine delle superiori, le era balenata in testa l’idea di ricominciare a studiare.

    Non ne era stata subito convinta: studiare non le era mai piaciuto un granché, per lei era un dovere, non certo un piacere. Nonostante questo, gli anni del liceo erano trascorsi senza intoppi e non era stata mai bocciata: aveva capito che sarebbe stato meglio studiare per il tempo necessario piuttosto che rischiare di perdere un anno e rimanere sui libri più del dovuto.

    Ma a quel punto si trattava di qualcosa di diverso: avrebbe approfondito quella che nel tempo era diventata una delle sue passioni, la conservazione delle specie selvatiche. Gli animali le erano sempre piaciuti: li aveva visti sempre come bisognosi di aiuto, vittime della limitata visione antropocentrica del mondo propria di tante persone che, a suo avviso, avrebbe portato alla distruzione di tutto ciò che c’era di più bello, ovvero l’enorme biodiversità del pianeta.

    Quando Cassandra aveva comunicato alla madre l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Biologia, lei era rimasta colpita. Quel giorno aveva appena infornato la crostata di prugne, un classico di casa Paril. Non appena Cassandra aveva pronunciato le parole sai mamma, lei si era seduta al tavolo della cucina. Cassandra aveva capito subito che la conversazione sarebbe durata più di quanto avesse voluto.

    Rimasero più di due ore sedute a parlare, non solo di ciò che avrebbe significato riprendere a studiare dopo tanti anni di pausa e delle inevitabili difficoltà che Cassandra avrebbe incontrato nell’intraprendere un percorso così diverso dagli studi che l’avevano formata fino a quel momento. Poiché in passato si era concentrata su materie prevalentemente di stampo umanistico, una facoltà di impronta prettamente scientifica sarebbe stata davvero una sfida, ma Susanna non aveva avuto dubbi che sua figlia l’avrebbe superata con successo, o almeno era stata molto brava a trasmetterle quest’impressione: Se è veramente quello che vuoi, sappi che avrai l’appoggio sia mio sia di tuo padre. Del resto ti abbiamo detto da sempre che sarebbe stata la decisione giusta. Siamo contenti che ti sia finalmente decisa.

    Parlarono anche del conseguente trasferimento di Cassandra. L’università scelta si trovava in una cittadina che in realtà non era così lontana da casa, ma per la madre, anche se si fosse trasferita nel palazzo di fronte sarebbe stata troppo lontana.

    L’aria si era riempita dell’odore della crostata ormai giunta a cottura. Susanna la aveva sfornata e fatta un po’ freddare prima di tagliarne due fette. Avevano parlato anche delle amiche del liceo di Cassandra: sua madre le conosceva tutte, un tempo passavano intere giornate in quella casa, soprattutto d’estate. C’era un giardino grande e quando il caldo si faceva torrido, Giulio montava sempre una grande piscina dove potevano tutte trovare un po’ di refrigerio. La frequentazione si era poi diradata: vuoi per motivi di lavoro, come per Viola e Giulia, vuoi per ragioni di studio in un’altra città, come per Adele, Ginevra e Martina. Comunque, non appena si presentava l’occasione propizia le ragazze si riunivano ancora tutte sotto il portico a gustarsi una fetta di crostata e condividere le loro esperienze e risate.

    Era uno dei modi in cui Cassandra amava vivere l’amicizia, in maniera intima, condividendo le esperienze. Così si sentiva veramente vicina alle sue amiche, e poteva trovare in loro un appoggio e offrirlo a sua volta.

    Negli anni trascorsi all’università, questa abitudine si era fatta molto più sporadica: Cassandra passava la maggior parte dei fine settimana a studiare. Non voleva rischiare di finire fuori corso e per questo doveva riuscire a dare tutti gli esami previsti dal piano di studio. In questo la sua testardaggine le era stata d’aiuto. Solo d’estate tornava a godersi le sue amiche, con le quali tuttavia non smetteva mai di rimanere in contatto durante l’inverno.

    Alle amiche di vecchia data, ovviamente, se ne erano aggiunte di nuove, come Amélie, di madre francese, e Angelica, con la quale condivideva il corso di laurea, ma anche Dalila e Federica, le ragazze con cui divideva la casa. Le sue coinquiline erano tutte simpatiche, e tra loro andavano d’accordo. C’era solo una ragazza, Francesca, con cui a volte era difficile vivere: era la classica ragazza viziata, abituata a non far nulla in casa, perché circondata da domestiche e convinta che lo stesso ruolo sarebbe dovuto toccare alle sue coinquiline; certe volte era davvero insopportabile.

    Vedrai che ci divertiremo, insistette Amélie quella sera, e poi se sei stanca non devi mica fare per forza l’alba. Ti prometto che non faremo tardi.

    Okay, vengo, basta che non mi ripeti che sono un’asociale, non lo sopporto!

    Lo so, ormai ti conosco talmente bene che so quali corde scuotere per farti cedere.

    Fammi fare solo una doccia e poi andiamo.

    Negli anni universitari Cassandra e Amélie avevano instaurato un rapporto profondo di amicizia. Amélie era una persona in gamba.

    All’inizio Cassandra aveva faticato a instaurare con lei un rapporto: come sempre del resto. Quando incontrava una persona, sulle prime era diffidente, ma quando capiva chi aveva di fronte diventava un’altra. Era molto selettiva nelle sue amicizie per questo a molti risultava antipatica, ma le persone con le quali si apriva la conoscevano per quella che realmente era, ovvero una persona autoironica alla quale piaceva scherzare.

    Amélie si era laureata appena un paio di giorni prima in Giurisprudenza. Aveva sempre voluto fare l’avvocato, e Cassandra era certa che sarebbe diventata bravissima nel mestiere dei suoi sogni. Aveva il carattere e il carisma necessari per ottenere ottimi risultati. Amava la giustizia e odiava le scorrettezze, aveva un gran senso del dovere e, caratteristica che Cassandra aveva sempre considerato fondamentale, era molto polemica. Non si dimenticava mai nulla, notava ogni minimo particolare, odiava le prepotenze e amava la legge. Diceva sempre che se tutti avessero senso civico, rispetto per gli altri, avremmo avuto bisogno della metà, se non meno, delle norme che dettavano le regole del vivere in società. Il padre di Amélie, un generale dell’aeronautica che insegnava ai cadetti della scuola di Viterbo, era stato assente in molti periodi della vita di sua figlia, mentre la madre insegnava francese alle superiori. Lei aveva completato i suoi studi con determinazione. Sì, sarebbe diventata un ottimo avvocato.

    Arrivarono all’Apple Beer mezz’ora dopo l’orario previsto per l’appuntamento. Il locale, che si trovava al centro della città, era stracolmo di gente. Quella sera in particolare avrebbero trasmesso la partita di calcio decisiva per il campionato e questo aveva contribuito a moltiplicare le presenze. Cassandra non aveva mai seguito il calcio, era uno sport che non le piaceva proprio, lo considerava noioso. Non capiva che ragione ci potesse essere per pagare così tanto delle persone per correre dietro a un pallone, e poi non sopportava le discussioni che scaturivano inevitabili dopo ogni partita e duravano fino a quella successiva. Non amava il calcio, ma amava lo sport: aveva fatto tennis, pallavolo, ginnastica e ora praticava lo sci, e quando possibile frequentava abitualmente la palestra. Le piaceva mantenersi in forma.

    Per fortuna trasmetteranno la partita, non avevo proprio voglia di perdermela! disse Amélie, che al contrario di Cassandra il calcio lo seguiva eccome: era tifosa della Roma, e quella sera la sua squadra si sarebbe giocata una parte importante dello scudetto con la Fiorentina. Spero proprio che vinceremo noi!

    Già, che fortuna, disse Cassandra senza entusiasmo mentre Amélie le stringeva elettrizzata la mano.

    Mirko e gli altri avevano prenotato un tavolo: stavano agitando le mani nella loro direzione per farsi riconoscere in mezzo alla folla e tra la nebbia delle sigarette. Nessuna delle due fumava, e l’odore di fumo che le investì non appena entrarono le disgustò. Una volta tornate a casa avrebbero dovuto lavare tutti i vestiti che indossavano, che senz’altro si sarebbero impregnati di quel puzzo insopportabile.

    Nel locale c’era una lampada per ogni tavolo, che arrivava quasi all’altezza delle teste di chi era seduto e che più che i volti evidenziava le sagome delle persone, tanto era flebile. Non fu facile per Cassandra e Amélie riconoscere i loro amici.

    Ah guarda, eccoli lì! Ci sono già tutti, è arrivata anche Federica. Nel nostro tavolo ci saranno entrambe le curve questa sera! disse Amélie con tono ironico.

    Fantastico, pensò Cassandra rivolgendo all’amica uno dei suoi sorrisi sarcastici.

    Non ci posso credere sei venuta!

    Ciao Luca, fa piacere anche a me vederti. Ma dov’è la tua Valeria? chiese Cassandra.

    Questo fine settimana è dovuta tornare dai suoi. Meglio così, avevamo pure litigato.

    Come al solito, disse Andrea con un tono vagamente polemico; in realtà, aveva sempre avuto una cotta per Valeria, ma non lo aveva mai detto a Luca: erano troppo amici, anche se non sopportava che lui la trattasse con una certa sufficienza.

    Andrea aveva la stessa età di Cassandra. I due avevano un rapporto di amicizia profondo. Erano diventati l’uno il confidente dell’altra per ogni circostanza nella quale sentivano il bisogno di sfogarsi. Dopo essersi laureato in Medicina, aveva deciso di specializzarsi in Psichiatria, e ormai gli mancavano pochi esami. Era sempre stato affascinato dalla mente umana, dal modo in cui questa reagisce, e dal fatto che l’equilibrio della macchina perfetta che pare essere il corpo umano in realtà sia molto precario e fragile.

    Vorrei vedere te a combattere con una lunatica come Valeria! replicò Luca. Vuoi sapere cosa mi ha fatto giovedì scorso?

    No grazie, credo che a nessuno interessi il vostro ennesimo litigio, che sarà lo stesso del mese scorso e di quello precedente. Ora godiamoci la serata: del resto siamo qui per festeggiare non una ma ben due dottoresse, giusto? disse Andrea.

    Giusto! Congratulazioni alla dottoressa Cassandra Paril e alla dottoressa Amélie Riolo! rispose Luca, un po’ risentito in realtà per l’interruzione subita. Era un gran bel ragazzo, alto, moro, con gli occhi di un nero così intenso che rendevano il suo sguardo magnetico, cosa che lui ben sapeva e sfruttava. Gli piaceva rendere sempre partecipi i propri amici di tutto ciò che gli accadeva, era un ragazzo molto estroverso. Aveva iniziato anni prima lo stesso percorso universitario di Andrea, ma dopo aver dato solo pochi esami aveva deciso di cambiare strada. Desiderava aiutare gli altri, ma si accorse presto che, per lui, la strada giusta non era quella della medicina. Grazie anche allo zio, comandante dei carabinieri, aveva maturato grande ammirazione per tutti i corpi delle forze dell’ordine e quelle armate, soprattutto per i reparti speciali. Sentiva forte in lui il senso del giusto, del rispetto delle regole e della legge. Voleva arruolarsi, per contribuire a rendere migliore e più sicuro il suo paese. Ciò che più desiderava era diventare un agente operativo. Si vedeva già in divisa.

    Venne chiamato il primo brindisi con i drink che Mirko aveva ordinato, repentinamente interrotto da grida di disapprovazione per un goal mancato della Roma. Per Cassandra, Mirko aveva preso un analcolico con succo di arancia, limone, ananas e pompelmo, guarnito con delle foglie di menta e della frutta fresca.

    Mirko conosceva bene la ragazza: avevano avuto una storia, circa un anno prima. Erano stati bene insieme, ma si erano resi presto conto delle loro differenze. Cassandra aveva capito che Mirko non possedeva quelle caratteristiche che avrebbe dovuto avere chi le stava accanto: lui aveva tre anni meno di lei, e la differenza di età si era fatta sentire tutta. Cassandra lo considerava un bravo ragazzo, sensibile ma un po’ immaturo e troppo poco risoluto. Lui l’amava, lei gli voleva bene.

    Si era sentita un po’ in colpa, perché Mirko era sempre stato affettuoso e gentile con lei; ma forse appunto lo era stato troppo. Non che lei desiderasse una persona fredda e distaccata al suo fianco, anzi, ma il troppo la infastidiva, in ogni circostanza.

    Cassandra aveva attribuito quel particolare atteggiamento di Mirko alla sua condizione familiare. Quando era andata a casa di lui, in un paesino alle porte di Roma, aveva conosciuto la nonna di cui Mirko si prendeva cura: la accompagnava a messa, le preparava il pranzo, le metteva il suo programma preferito alla tv e con grande pazienza svolgeva per lei altri mille piccoli e grandi servizi. L’anziana si era aggrappata a quell’unico nipote in maniera quasi morbosa.

    Il padre di Mirko lavorava sulle navi: questo comportava che restasse per lunghi periodi lontano da casa. La madre invece era una maestra d’asilo e stava fuori gran parte della giornata: Cassandra l’aveva vista solo una volta, quando erano passati da casa a prendere degli appunti dell’università che Mirko si era dimenticato, distrazione insolita per lui che nello studio era molto scrupoloso, e teneva ad avere tutti trenta. Cassandra lo aveva aspettato in macchina. A un certo punto aveva udito delle grida; poco dopo Mirko era tornato, e quando Cassandra gli aveva chiesto se anche lui le avesse sentite, le rispose che provenivano dalla casa dei vicini e che era un fatto che succedeva spesso. Dall’uscio della propria abitazione la mamma di Mirko li aveva guardati andar via con sguardo triste, evidentemente stanca di quelle discussioni sempre più accese e frequenti. Cassandra le aveva fatto un gesto di saluto a cui la donna aveva risposto a stento, e in quel momento si era accorta che dietro la finestra del primo piano della casa accanto c’era un uomo che fissava tutta la scena. Cassandra aveva provato una sensazione di disagio, ma non aveva detto nulla.

    Al momento di interrompere la loro storia, avevano convenuto entrambi che si trattava della decisione giusta, sebbene Mirko più di Cassandra avesse avuto delle riserve, non fosse stato proprio convinto di concludere il loro rapporto. Erano rimasti comunque in buoni rapporti.

    Quella all’Apple Beer fu una serata veramente piacevole. Bevvero diversi drink, e a un certo punto Cassandra si rese conto che addirittura le facevano male gli addominali a causa delle incessanti risa provocate dai racconti di Luca. Avevano dovuto alzare il tono della voce, attorno a loro il tifo era diventato sempre più da stadio. Amélie e Federica seguivano la partita con più attenzione di quanto ascoltassero Luca e ogni tanto si punzecchiavano. Nel momento in cui la Fiorentina passò in vantaggio, insieme a Federica si levarono altre tre o quattro voci di esultanza, probabilmente altri studenti toscani: gli sguardi di sfida di tutto il locale si diressero verso di loro. Dopo poco venne assegnato un rigore alla Roma: ci fu un silenzio di tomba, sembrò vigesse il divieto anche di respirare. Cassandra alzò gli occhi al cielo e diede un lungo sorso al suo cocktail. Luca la guardò accennando un sorriso complice, neanche a lui piaceva il calcio, e diede anche lui un sorso al suo drink. Quasi tremò il pavimento quando tutti iniziarono a saltare e gridare per il goal realizzato dal capitano della squadra. Cassandra incassò un po’ la testa tra le spalle come a volersi proteggere da quel frastuono.

    In quel momento si girò verso sinistra e notò un ragazzo, immobile, con i gomiti appoggiati sul tavolo accanto al loro. Era da solo, e con le mani giocherellava con il boccale di birra mezzo pieno che aveva di fronte. Avrà avuto pochi anni più di lei, due o forse tre. Cassandra incrociò il suo sguardo e si soffermò su quegli occhi, talmente chiari da sembrare finti, in uno sguardo così profondo e intenso da estraniarla da tutto il resto, come ipnotizzarla, e le sorrise, ma lei non riuscì a captare l’essenza di quel sorriso, e non lo ricambiò. Non le era piaciuto. Ora non sentiva più neanche le grida di esultanza né nient’altro, era come stregata, insonorizzata dal resto del locale. Lui fece il cenno del brindisi verso di lei, che ancora non ricambiò. Il ragazzo le sorrise di nuovo.

    Amélie si accorse di quel che stava accadendo: Hai fatto colpo, vedo.

    Non direi, rispose seria Cassandra.

    A me sembra proprio di sì invece! disse l’altra dandole una leggera gomitata come segno d’intesa.

    Dopo l’esplosione di urla, nel locale tornò presto a regnare quel tipico brusio dovuto a una moltitudine di persone che parlano nello stesso momento in un luogo chiuso, senza che si riescano a distinguere i vari discorsi.

    Per gli amici Cassandra era un libro aperto: non sapeva nascondere nulla, la sua espressività la tradiva sempre. In quel momento Andrea si accorse che qualcosa l’aveva turbata: Cassy, tutto bene? le chiese chinandosi un po’ verso di lei.

    Sì, grazie. Sto bene, è tutto okay. Sentiva ancora gli occhi di quel tipo addosso.

    Cassy, io ti conosco, lo so che qualcosa ti ha turbata, insisté Andrea.

    Ha solo fatto colpo su un tipo, intervenne Amélie, subito distratta da un rigore negato alla sua squadra.

    In realtà ho visto quel ragazzo che… Cassandra si voltò per indicare lo sconosciuto agli amici, ma lui non c’era più, era rimasto solo il boccale al centro del tavolo. Lei restò stupita: Ma era lì due secondi fa, non è possibile che sia scomparso!

    Tranquilla, magari se n’è solo andato.

    Non so, rispose dubbiosa, mi ha lasciato una strana sensazione addosso.

    Amélie scattò in piedi strillando: Idiota di un arbitro! Questo era rigore! Poi si sedette di nuovo, prese una manciata di noccioline e disse con tono seccato: Quello voleva solo il tuo numero, te lo dico io, ma ha visto che non era aria e se n’è andato, tutto qui. Cos’è, ora ti fanno paura i corteggiatori? Non essere ridicola cazzo! E poi anche tu, Andrea, basta a starla sempre a proteggere: dio santo, non è mica una ragazzina! Poi si voltò tornando a occuparsi della partita.

    Cassandra e Andrea la guardarono stupiti, era la prima volta che Amélie usava quel tono. Pensarono che il calcio le facesse un brutto effetto. Dai Cassy, bevici su, magari tifa Fiorentina e c’è rimasta male del goal. Cerca di goderti questa serata, te la sei meritata, le disse Andrea.

    Un brindisi? Luca, accortosi sia del cambio di umore di Cassandra, sia della strana reazione di Amélie, si alzò e portò in alto il suo prosecco, invitandola ad alzarsi e riportandola nel vero spirito di quella serata: Brindiamo a noi, alla nostra amicizia e al nostro futuro!

    A noi! risposero tutti in coro, tranne Cassandra che abbozzò a fatica un sorriso.

    Le ore trascorsero senza che nessuno se ne rendesse conto, e si fece molto tardi. Addirittura il gestore del locale andò a comunicargli che di lì a poco avrebbe chiuso. La partita era finita da un pezzo. Il risultato era stato un pareggio, altra cosa che Cassandra non capiva di quello sport: per lei o vincevi o perdevi, finire pari non aveva senso. La pensava così praticamente su tutto: era una persona dalle decisioni drastiche, non vedeva mai grigio, per lei era tutto o bianco o nero, e negli anni era riuscita appena a smussare questo lato del suo carattere.

    Era stata una serata divertente per tutti, ma a Cassandra non parve vero di tornare a respirare aria fresca. Fece un gran respiro per svuotare i polmoni del fumo che aveva respirato per tutto il tempo. Fuori dal locale c’erano ancora gruppi di ragazzi che discutevano sulla partita. I pochi tifosi della Fiorentina criticavano le decisioni dell’arbitro, che secondo loro erano state prese per avvantaggiare la squadra avversaria, mentre i tifosi della Roma difendevano l’operato del direttore di gara.

    Il giorno dopo sia Cassandra sia Amélie sarebbero tornate nelle rispettive città. Si scambiarono tutti la buonanotte, dandosi appuntamento alla mattina seguente per i saluti. Cassandra e Federica si diressero verso casa. Per fortuna Federica non se l’era presa più di tanto per l’esito della partita. Era tifosa sì, ma non troppo fanatica: alla fine era solo un gioco e un modo per stare insieme agli amici.

    Quella notte di fine aprile Cassandra faticò ad addormentarsi. In genere una doccia l’aiutava sempre a rilassarsi e a conciliarle il sonno, e nonostante l’ora tarda, quella sera ne fece una bella lunga anche per togliersi di dosso la puzza di fumo. Ma non servì: per ore continuò a girarsi e rigirarsi nel letto. Non potevano essere i drink che aveva bevuto, in fondo erano solo analcolici.

    Improvvisamente venne invasa da una sensazione di allerta, come se dovesse stare attenta a qualcosa. Le tornò in mente quel ragazzo: c’era qualcosa in quello sguardo che non la faceva stare tranquilla, e non riusciva a toglierselo dalla testa. Le tornò in mente anche il tono usato da Amélie, colmo di disprezzo, che le sembrò del tutto fuori luogo. Si convinse di aver ingigantito una sciocchezza e frainteso tutto.

    Erano le quattro del mattino, e il sonno si faceva ancora attendere. Cassandra accese la televisione: a quell’ora venivano trasmessi programmi noiosissimi, che forse avrebbero potuto finalmente farla addormentare. Infatti poco dopo cedette alla stanchezza.

    Si concluse così una serata che sarebbe stata rivelatrice, e avrebbe portato Cassandra e i suoi amici a fare i conti con una realtà che ancora ignoravano, ma che presto si sarebbe palesata davanti ai loro occhi.

    2

    Nonostante avesse fatto le ore piccole, Cassandra si alzò molto presto, fece colazione e iniziò a preparare i bagagli. Era il giorno del ritorno a casa. Sapeva che sua madre avrebbe cominciato già di buon mattino a preparare il pranzo: le piaceva cucinare ma soprattutto le piaceva che le sue figlie mangiassero bene, e bene voleva dire preparato da lei.

    Caricò i bagagli e salì in macchina. I suoi abitavano a Roma, a un centinaio di chilometri di distanza da dove si trovava lei. Per raggiungerli impiegava circa un’ora, usando l’autostrada.

    Quella mattina in realtà ci mise un po’ di più. Decise di prendersela con comodo, imboccò la statale con la musica in macchina alta. Le piaceva sentirla così: cantò tutti i suoi brani preferiti. La musica le piaceva tutta, non aveva un genere preferito, se una canzone era bella l’ascoltava, indipendentemente da chi fosse a cantarla. Guidò invasa da una sensazione di leggerezza mai provata prima, pronta ad affrontare tutte le sfide alle quali l’avrebbe sottoposta il suo destino.

    La strada statale attraversava la campagna, e a lei piaceva. Quella zona in un lontano passato era stata interessata da eruzioni vulcaniche che avevano plasmato la forma delle fertili colline che caratterizzavano il territorio. Ogni casa aveva almeno un dettaglio in peperino, la pietra tipica della regione: chi l’aveva utilizzato per un arco intorno alla porta di ingresso o alle finestre, chi per i davanzali sui quali venivano posti vasi traboccanti di fiori dai mille colori e sfumature.

    Della residua attività geologica Cassandra e i suoi amici avevano prova ogni volta che andavano a passare dei pomeriggi nelle vasche di acqua sulfurea appena fuori città. Attorno a esse, si stendevano a perdita d’occhio le piantagioni di mele, soprattutto rosse, e di viti, e si vedevano anche campi di ulivi, dai cui frutti nasceva uno degli oli più buoni che Cassandra avesse mai assaggiato, di quelli che pizzicano leggermente e che donano al pane bruscato un sapore degno del pranzo di un re. Nella parte più alta dei monti si stendevano boschi di castagni, noccioli e faggi. Erano luoghi in cui in autunno si raccoglievano degli ottimi funghi e che d’estate fornivano sempre l’occasione per fare belle passeggiate, un’alternativa al lago, anch’esso a poca distanza, sulle cui rive Cassandra, che fosse da sola o in compagnia, passava volentieri del tempo a passeggiare e a rilassarsi.

    La ragazza, guidando agilmente, aveva passato già due dei quattro paesi che avrebbe incontrato durante il percorso; ma a un tratto si trovò davanti un trattore che, procedendo lentamente, la costrinse a rallentare. Normalmente avrebbe cercato di superarlo appena possibile, ma quel giorno non lo fece; d’altronde non aveva fretta, era ancora presto. Con i suoi enormi pneumatici, il trattore alzava un polverone bianco che avvolse la macchina: Cassandra fece in tempo a chiudere il finestrino per evitare che la

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