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La rosa rossa
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E-book262 pagine3 ore

La rosa rossa

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Info su questo ebook

Intorno ad Anna e alla sua amica Antonella scoppia una serie di brutali omicidi. Anna ne è sconvolta mentre l'amica non sembra preoccupata. La squadra mobile del commissario Vincenzi indaga ma non riesce a fermare le uccisioni, mentre Anna trova rose rosse col gambo reciso ovunque vada. E se il libro sulla potenza del Male che si ritrova a leggere fosse un presagio? Se l'amica fosse ritornata dal passato per minacciare la sua vita?

Le morti continuano, arrivano sul luogo di lavoro di Anna. Perché l'hanno presa di mira? Perché il Male sembra sempre più stringere il cerchio attorno a lei e alla sua famiglia? Una storia di tensione e di delitti efferati, in cui la vita quotidiana di una persona normale viene investita da una malvagità senza nome.
LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2019
ISBN9788831616270
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    Anteprima del libro

    La rosa rossa - Ivana Massini

    Quarta

    Ivana Massini

    La ro­sa ros­sa

    Ro­man­zo

    You­can­print

    Ti­to­lo | La ro­sa ros­sa

    Au­to­re | Iva­na Mas­si­ni

    ISBN | 978-88-31680-62-2

    Pri­ma edi­zio­ne di­gi­ta­le: 2020

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re.

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'au­to­re.

    You­can­print Self-Pu­bli­shing

    Via Mar­co Bia­gi 6, 73100 Lec­ce

    www.you­can­print.it

    in­fo@you­can­print.it

    Qual­sia­si di­stri­bu­zio­ne o frui­zio­ne non au­to­riz­za­ta co­sti­tui­sce vio­la­zio­ne dei di­rit­ti dell’au­to­re e sa­rà san­zio­na­ta ci­vil­men­te e pe­nal­men­te se­con­do quan­to pre­vi­sto dal­la leg­ge 633/1941.

    Que­sto ro­man­zo è ope­ra del­la fan­ta­sia. No­mi, per­so­nag­gi, luo­ghi e av­ve­ni­men­ti so­no il pro­dot­to dell’im­ma­gi­na­zio­ne dell’Au­to­re o, se rea­li, so­no uti­liz­za­ti in mo­do fit­ti­zio. Ogni ri­fe­ri­men­to a fat­ti o per­so­ne vi­ven­ti o scom­par­se è del tut­to ca­sua­le.

    Ai miei fi­gli

    Se il dia­vo­lo non esi­ste e quin­di è sta­to crea­to dall’uo­mo, que­sti l’ha crea­to a pro­pria im­ma­gi­ne e so­mi­glian­za.

    Fë­dor Do­stoe­v­skij, I fra­tel­li Ka­ra­ma­zov

    1.

    An­na se­de­va sul­la pan­chi­na di pie­tra del giar­di­no, di­rim­pet­to al so­le, ec­ce­zio­nal­men­te cal­do per il me­se di ot­to­bre; i rag­gi so­la­ri la ri­scal­da­va­no e le­ni­va­no la sua sof­fe­ren­za, le re­cen­ti tur­bo­len­ze fa­mi­lia­ri l’ave­va­no re­sa stan­ca e pre­oc­cu­pa­ta.

    Os­ser­va­va as­sor­ta la na­tu­ra cir­co­stan­te: il pi­no sil­ve­stre si er­ge­va slan­cia­to, qua­si mi­nac­cio­so, so­vra­stan­do il tet­to del­la ca­sa e la gi­ne­stra sfio­ri­ta al­la sua de­stra non era più una vi­va­ce mac­chia di co­lo­re gial­lo, al con­tra­rio del­le ro­se ros­se an­co­ra ri­go­glio­se per il cal­do au­tun­no.

    I suoi pen­sie­ri fu­ro­no di­stol­ti, ad un trat­to, dal­la vi­sio­ne di una fa­mi­lia­re fi­gu­ra fem­mi­ni­le che tran­si­ta­va tran­quil­la nel­la stra­da sot­to­stan­te; il suo cuo­re ac­ce­le­rò i bat­ti­ti e un tur­ba­men­to l’as­sa­lì.

    Ri­co­nob­be, in quel­la fi­gu­ra, An­to­nel­la, la ca­ra ami­ca di un tem­po a cui era sta­ta mol­to le­ga­ta. La lo­ro ami­ci­zia si era a un cer­to pun­to, sen­za un ap­pa­ren­te mo­ti­vo, in­ter­rot­ta e cia­scu­na di lo­ro ave­va vis­su­to la sua vi­ta sen­za sa­pe­re nul­la dell’al­tra.

    Gli sguar­di si in­cro­cia­ro­no e An­na non eb­be esi­ta­zio­ne: di scat­to rin­cor­se l'ami­ca e la fer­mò.

    Si guar­da­ro­no ne­gli oc­chi sen­za dir­si nul­la, si ab­brac­cia­ro­no for­te e fu co­me se il tem­po, dall'ul­ti­mo gior­no in cui non si era­no più vi­ste, non fos­se tra­scor­so. «Od­dio, quan­to tem­po è pas­sa­to!», dis­se An­na ad An­to­nel­la, «co­me ti tro­vo be­ne, sei in ot­ti­ma for­ma, so­no fe­li­cis­si­ma di ve­der­ti. Quan­ta ac­qua sot­to i pon­ti è pas­sa­ta dall’ul­ti­ma vol­ta che ci sia­mo vi­ste!». «An­ch’io so­no con­ten­ta di ve­der­ti e non sei per nien­te cam­bia­ta, sei an­co­ra una bel­la don­na», le ri­spo­se An­to­nel­la, «per­ché tu no?», «Dai, vie­ni in ca­sa co­sì be­via­mo qual­co­sa», «vo­len­tie­ri», le ri­spo­se l’ami­ca.

    Si se­det­te­ro in cu­ci­na e An­na pre­pa­rò il tè al­la men­ta che si ri­cor­da­va pia­ces­se mol­to ad An­to­nel­la.

    «Spe­ro che i tuoi gu­sti non sia­no cam­bia­ti, ti ho pre­pa­ra­to il tè pre­fe­ri­to». «Ti rin­gra­zio, hai buo­na me­mo­ria, so­no un’abi­tu­di­na­ria, per me ri­ma­ne la be­van­da mi­glio­re».

    All'ini­zio fu­ro­no ti­tu­ban­ti, qua­si pu­di­che nel rac­con­tar­si la lo­ro vi­ta, ma pia­no pia­no ab­ban­do­na­ro­no ogni in­du­gio e ini­zia­ro­no a par­la­re sen­za fin­gi­men­to.

    Si era­no spo­sa­te con gli sto­ri­ci com­pa­gni, seb­be­ne, tra di lo­ro esi­stes­se­ro dif­fe­ren­ze cul­tu­ra­li e ca­rat­te­ria­li. An­to­nel­la ini­ziò a par­lar­le dei mo­men­ti sa­lien­ti del­la pro­pria vi­ta, fi­no all'in­ter­ru­zio­ne del­la lo­ro ami­ci­zia.

    «Sai An­na ho avu­to da Ovi­dio un so­lo fi­glio, Lu­ca. È un bra­vo ra­gaz­zo, un gran la­vo­ra­to­re e fi­no a og­gi mi ha da­to po­che pre­oc­cu­pa­zio­ni. Co­sa che in­ve­ce il pa­dre non è riu­sci­to a fa­re; il no­stro rap­por­to è dif­fi­ci­le, ci tro­via­mo d’ac­cor­do su po­che co­se», «co­me mi di­spia­ce!», ri­spo­se An­na.

    «Io, gra­zie a Dio con Hos­sein mi tro­vo be­ne an­che se in cer­ti mo­men­ti an­che noi li­ti­ghia­mo, ma spes­so per del­le scioc­chez­ze. In que­st’ul­ti­mo tem­po sia­mo un po’ te­si, il la­vo­ro este­nuan­te, Ele­na che se n’è an­da­ta, ci ha re­si par­ti­co­lar­men­te ner­vo­si. Pas­se­rà!

    I fi­gli stan­no be­ne: il pri­mo­ge­ni­to Mi­che­lan­ge­lo si è lau­rea­to in Sto­ria dell'Ar­te e vi­ve con la sua ra­gaz­za in un pic­co­lo ap­par­ta­men­to del cen­tro sto­ri­co di Fi­ren­ze, la­vo­ra­no en­tram­bi nel cam­po dell'ar­te e sem­bra­no fe­li­ci. Va­len­ti­no se­gue le or­me del pa­dre, stu­dia con pro­fit­to Ar­chi­tet­tu­ra. Ele­na, la più pic­co­la, è do­vu­ta emi­gra­re in Fran­cia.

    In Ita­lia non è riu­sci­ta a tro­va­re un la­vo­ro con­so­no al­le sue ca­pa­ci­tà e ai suoi stu­di. Lì ha tro­va­to un’oc­cu­pa­zio­ne pres­so una fab­bri­ca che pro­du­ce cham­pa­gne; fa un po' il fac­to­tum e si tro­va be­ne; mi man­ca mol­to».

    Di­scus­se­ro di tan­te al­tre co­se e non si ac­cor­se­ro che il so­le era già ca­la­to. «De­vo an­dar­me­ne An­na, si è fat­to tar­di, ma ti pro­met­to che ci ri­ve­dre­mo pre­sto», «man­tie­ni la pro­mes­sa, mi rac­co­man­do, le ri­spo­se l’ami­ca».

    An­na l'ac­com­pa­gnò fi­no al­la stra­da ora­mai buia e dei bri­vi­di di fred­do la co­strin­se­ro a rien­tra­re in fret­ta.

    Si re­cò nel sog­gior­no e si ada­giò, sten­den­do le gam­be, sul vec­chio di­va­no ver­de an­co­ra con­for­te­vo­le mal­gra­do i suoi tan­ti an­ni. Era po­si­zio­na­to di fron­te al ca­mi­no di mar­mo bian­co che do­na­va un toc­co di lu­ce all'in­te­ro am­bien­te, ar­re­da­to con mo­bi­li un po’ cu­pi, di un co­lo­re mar­ro­ne opa­co.

    An­na co­sì di­ste­sa ri­per­cor­se men­tal­men­te il tem­po tra­scor­so con An­to­nel­la. Ri­cor­dò il lo­ro sog­gior­no in una vec­chia ca­sa di cam­pa­gna, af­fit­ta­ta in­sie­me.

    2.

    An­to­nel­la ave­va per­du­to in bre­ve tem­po en­tram­bi i ge­ni­to­ri e nel­la lo­ro uni­ca ca­sa ri­ma­se il fra­tel­lo spo­sa­to, con i due fi­gli. Per il po­co spa­zio, fu co­stret­ta a la­sciar­la.

    Il tra­sfe­ri­men­to nel­la nuo­va abi­ta­zio­ne, con An­na, la re­se fe­li­ce. Il pic­co­lo ap­par­ta­men­to, era si­tua­to vi­ci­no a un pic­co­lo cen­tro abi­ta­to, in aper­ta cam­pa­gna.

    La con­vi­ven­za di­ven­ne pia­ce­vo­le e spen­sie­ra­ta, il lo­ro le­ga­me sem­pre più stret­to, fin­ché en­tram­be si spo­sa­ro­no: An­to­nel­la con il dol­ce e bel fi­dan­za­to, Ovi­dio, An­na con l'au­to­ri­ta­rio Hos­sein chia­ma­to da lei iro­ni­ca­men­te il mio bron­zo di Ria­ce, ta­le era la sua im­po­nen­za e av­ve­nen­za.

    Per An­na l'at­tra­zio­ne fi­si­ca nel­le sue sto­rie sen­ti­men­ta­li era sta­ta sem­pre de­ter­mi­nan­te e per que­sto non si era­no ri­ve­la­te sem­pre fe­li­ci.

    Le nu­me­ro­se pro­ble­ma­ti­che vis­su­te da An­na e An­to­nel­la nel­la lo­ro vi­ta ma­tri­mo­nia­le, la pro­fes­sio­ne e la na­sci­ta dei fi­gli, le ave­va­no poi pro­gres­si­va­men­te e ine­so­ra­bil­men­te al­lon­ta­na­te fin­ché, co­me per un blac­kout, ces­sa­ro­no di sen­tir­si e in­con­trar­si.

    Il ri­cor­do di An­to­nel­la di­ven­ne per An­na strug­gen­te, ma nel­lo stes­so tem­po, av­ver­ti­va un’in­quie­tu­di­ne in­spie­ga­bi­le.  Sof­fri­va per que­sta in­con­gruen­za.

    Il tem­po scor­re­va ine­so­ra­bi­le per le due ami­che, tra il la­vo­ro e la fa­mi­glia.

    Il rap­por­to di An­na con il ma­ri­to, era di­ve­nu­to ul­ti­ma­men­te più’ con­flit­tua­le, e le lo­ro di­ver­gen­ze di men­ta­li­tà si era­no acui­te, ri­guar­do so­prat­tut­to al de­si­de­rio di li­ber­tà di An­na.

    Ciò ave­va re­so la quo­ti­dia­ni­tà di An­na dif­fi­ci­le da ge­sti­re, so­prat­tut­to nei ri­guar­di dei tre fi­gli, co­stret­ti a vi­ve­re una si­tua­zio­ne fa­mi­lia­re spes­so non se­re­na.

    La sen­si­bi­li­tà e l'ot­ti­mi­smo di An­na di fron­te ad ogni even­to, si era­no pro­gres­si­va­men­te at­te­nua­te e ave­va­no la­scia­to il po­sto a un’in­dif­fe­ren­za e pes­si­mi­smo fi­no ad al­lo­ra per lei sco­no­sciu­ti. Ovi­dio il ma­ri­to di An­to­nel­la, in­ve­ce, non ave­va mai osta­co­la­to l’au­to­no­mia del­la mo­glie, pur es­sen­do­ci tra di lo­ro tan­te in­com­pren­sio­ni.

    Le lo­ro vi­te co­sì di­ver­se si era­no svol­te in pa­ral­le­lo, sen­za che cia­scu­na di lo­ro ne fos­se a co­no­scen­za.

    3.

    An­na si era spo­sta­ta nel­la ca­me­ra da let­to so­pra al sog­gior­no e lo sguar­do si con­cen­trò su di una vec­chia fo­to, po­si­zio­na­ta sul cas­set­to­ne. Ri­trae­va le due ami­che ab­brac­cia­te e sor­ri­den­ti. Al­le lo­ro spal­le si no­ta­va l'ama­ta ca­sa del­la lo­ro coa­bi­ta­zio­ne, cir­con­da­ta da mol­ti al­be­ri: ca­sta­gni ri­go­glio­si, ace­ri mon­ta­ni, piop­pi tre­mu­li e nu­me­ro­si ar­bu­sti.

    Fu bel­lo per lo­ro vi­ve­re in quel luo­go iso­la­to e tran­quil­lo, lon­ta­no dal caos e dall'in­qui­na­men­to del­la cit­tà, con­ten­te di po­ter go­de­re di quel me­ra­vi­glio­so spet­ta­co­lo na­tu­ra­le.

    La stra­da per rag­giun­ge­re l’abi­ta­zio­ne si iner­pi­ca­va ri­pi­da: una mol­ti­tu­di­ne di ve­ge­ta­zio­ne la cir­con­da­va. In esta­te il luo­go di­ve­ni­va un trion­fo di co­lo­ri: mar­ghe­ri­te gial­le e bian­che, pa­pa­ve­ri, gi­ne­stre, ane­mo­ni, vio­let­te, tu­be­ro­se, ro­sa ca­ni­na, bian­co­spi­no e al­tri fio­ri, si spar­ge­va­no ovun­que.

    All'estre­mi­tà del­la ca­sa si tro­va­va un pic­co­lo ri­ga­gno­lo, nei pres­si del qua­le un tron­co d'al­be­ro fun­ge­va da pan­chi­na. Più di una vol­ta le due ami­che vi si era­no se­du­te per am­mi­ra­re la na­tu­ra e os­ser­va­re i ra­noc­chi gra­ci­dan­ti che si tuf­fa­va­no nel­la cor­ren­te.

    An­na ri­cor­da­va le pas­seg­gia­te nel pe­rio­do del­la rac­col­ta del­le ca­sta­gne, quan­do la ve­ge­ta­zio­ne mo­stra­va una to­na­li­tà esplo­si­va, di un gial­lo ros­so fuo­co, che le ri­cor­da­va i qua­dri di Van Go­gh.

    Le le­ga­va un sen­ti­men­to for­te e con­so­li­da­to. Con­di­vi­de­va­no una spic­ca­ta pas­sio­ne per l'ar­te in ge­ne­ra­le, in par­ti­co­la­re per la let­te­ra­tu­ra, la poe­sia e la pit­tu­ra.

    An­to­nel­la di­pin­ge­va, men­tre An­na ave­va scrit­to nu­me­ro­se poe­sie mai fat­te pub­bli­ca­re, per una spe­cie di pu­do­re.

    I gior­ni tra­scor­re­va­no quie­ti e se­re­ni e le ami­che di­vi­de­va­no le gior­na­te tra di lo­ro, il la­vo­ro e i com­pa­gni.

    La ca­sa an­ti­ca in cui abi­ta­va­no era sta­ta edi­fi­ca­ta con la pie­tra se­re­na, ca­rat­te­ri­sti­ca del luo­go. Di fron­te un lec­cio gran­dis­si­mo e dal­la fol­ta chio­ma, fa­ce­va om­bra nel­le gior­na­te più cal­de. Nel­le sta­gio­ni pri­ma­ve­ri­le ed esti­va, mil­le fio­ri di va­rie spe­cie e co­lo­ri, spar­ge­va­no nell’aria un ine­brian­te pro­fu­mo.

    Dal pic­co­lo sog­gior­no sul re­tro, ar­re­da­to con mo­bi­li di ar­te po­ve­ra, si po­te­va os­ser­va­re uno scor­cio del­la val­le sot­to­stan­te e la ci­ma del­la mon­ta­gna che si sta­glia­va fie­ra su di es­sa.

    Nel co­mo­di­no mar­ro­ne vi­ci­no al suo let­to, An­na ave­va di­spo­sto un qua­dret­to in­cor­ni­cia­to del­la Ma­don­na del Car­del­li­no di Raf­fael­lo. Le era mol­to ca­ra quell’im­ma­gi­ne, seb­be­ne a quei tem­pi lei non fos­se cre­den­te; le pia­ce­va per l'in­ten­si­tà d'amo­re che lo sguar­do del­la ma­dre e del fi­glio­let­to espri­me­va­no.

    An­to­nel­la scher­zan­do, ca­po­vol­ge­va l'im­ma­gi­ne sa­cra o la ri­po­ne­va nel cas­set­to. In se­gno di scher­no di­ce­va all'ami­ca, «le hai re­ci­ta­te le tue pre­ghie­re sta­se­ra?», An­na ri­spon­de­va col sor­ri­so sul­le lab­bra, «Cer­ta­men­te, non po­trei di­men­ti­car­me­ne». Per An­to­nel­la es­se­re cre­den­ti si­gni­fi­ca­va igno­ran­za; era atea in mo­do as­so­lu­to per­ché rite­ne­va le re­li­gio­ni un in­gan­no per l’uma­ni­tà; per que­sto ri­fiu­ta­va ogni ti­po di cre­do.

    Le due ami­che, quan­do nel tar­do po­me­rig­gio rien­tra­va­no dal la­vo­ro, pre­pa­ra­va­no a tur­no una ce­na fru­ga­le per­ché non da­va­no mol­ta im­por­tan­za al ci­bo.

    Do­po, si se­de­va­no nel di­va­net­to di co­lo­re gial­lo pa­glie­ri­no, po­si­zio­na­to di­rim­pet­to al bel ca­mi­no in pie­tra, ac­can­to al ta­vo­lo da cu­ci­na.

    Quel­lo di­ven­ne il luo­go pre­fe­ri­to per le lo­ro in­ter­mi­na­bi­li e pia­ce­vo­li con­ver­sa­zio­ni.

    Es­se ave­va­no de­li­be­ra­ta­men­te esclu­so dal­la lo­ro ami­ci­zia i com­pa­gni, che fre­quen­ta­va­no se­pa­ra­ta­men­te.

    Il com­pa­gno di An­na, Hos­sein, non ave­va com­pre­so né con­di­vi­so, per un sen­so di ge­lo­sia, quell'in­ti­mi­tà; Ovi­dio, il com­pa­gno di An­to­nel­la, si era in­ve­ce mo­stra­to più tol­le­ran­te.

    Le due ami­che nu­tri­va­no un in­te­res­se par­ti­co­la­re per la mu­si­ca. Ad An­na pia­ce­va ascol­ta­re i bra­ni di mu­si­ca clas­si­ca, so­prat­tut­to di com­po­si­to­ri ro­man­ti­ci, qua­li Cho­pin e Tchai­ko­v­sky; le ca­pi­ta­va spes­so di com­muo­ver­si ascol­tan­do quel­la mu­si­ca me­lo­dio­sa; ama­va an­che l'ope­ra, in par­ti­co­lar mo­do la Ma­non Le­scaut e la Ma­da­me But­ter­fly che ave­va vi­sto, con al­tre ope­re a tea­tro, in­sie­me a Hos­sein.

    An­to­nel­la pre­fe­ri­va in­ve­ce ascol­ta­re la mu­si­ca rock, so­prat­tut­to quel­la hea­vy me­tal.

    An­na, quan­do ave­va bi­so­gno di ri­las­sar­si e di sta­re da so­la, in si­len­zio ascol­ta­va la mu­si­ca clas­si­ca che ave­va il po­te­re di tran­quil­liz­zar­la e di ren­der­la se­re­na. An­to­nel­la al con­tra­rio, non ne era coin­vol­ta, an­zi ne era qua­si in­fa­sti­di­ta; si ri­vol­ge­va all'ami­ca con mo­di un po' sgar­ba­ti, «ehi, puoi spe­gne­re quel­la pal­la di mu­si­ca? È ve­ra­men­te no­io­sa! Ascol­ta il me­tal in­ve­ce, ti da­reb­be una ca­ri­ca che nean­che im­ma­gi­ni». An­na le ri­spon­de­va, «ti rin­gra­zio ma non pos­so, mi in­ner­vo­si­sce e non ca­pi­sco co­me tu pos­sa ascol­tar­la per tan­to tem­po».

    Per il re­sto tra di lo­ro c’era sin­to­nia, ama­va­no i clas­si­ci del­la poe­sia, in mo­do par­ti­co­la­re Gia­co­mo Leo­par­di.

    An­to­nel­la spes­so di­pin­ge­va e quan­do le gior­na­te mo­stra­va­no una lu­ce par­ti­co­la­re, di­spo­ne­va il ca­val­let­to all’ester­no, sul ter­raz­zo vi­ci­no al­la por­ta prin­ci­pa­le. Ini­zia­va co­sì, a di­se­gna­re. Pri­vi­le­gia­va l'ar­te espres­sio­ni­sta; uno dei suoi qua­dri pre­fe­ri­ti era L’ur­lo di Mun­ch.

    I li­bri pre­fe­ri­ti di An­na era­no Or­go­glio e Pre­giu­di­zio di Ja­ne Au­sten e Guer­ra e Pa­ce di Tol­stoj; per An­to­nel­la in­ve­ce, i De­mo­ni di Do­stoe­v­skij e il Fau­st di Goe­the.

    Le due ami­che era­no so­li­te pas­seg­gia­re fi­no al bo­sco e per­cor­ren­do il sen­tie­ro die­tro la ca­sa di­scu­te­va­no del­le lo­ro let­tu­re, men­tre as­sa­po­ra­va­no l'at­mo­sfe­ra cam­pe­stre.

    4.

    An­to­nel­la la­vo­ra­va pres­so un la­bo­ra­to­rio di pit­tu­ra che pro­du­ce­va co­pie di gran­di ar­ti­sti; si tro­va­va a Fi­ren­ze, vi­ci­no al­la Piaz­zet­ta de Ciom­pi, po­co lon­ta­no dal­la Ba­si­li­ca di San­ta Cro­ce; un la­vo­ro, per lei, gra­ti­fi­can­te e in­te­res­san­te.

    An­na in­ve­ce in­se­gna­va Ita­lia­no e Sto­ria in un Isti­tu­to Su­pe­rio­re del cen­tro di Fi­ren­ze.

    In una del­le lo­ro nu­me­ro­se pas­seg­gia­te cre­pu­sco­la­ri, vi­ci­no al­la lo­ro ca­set­ta, An­na no­tò un bel­lis­si­mo ar­bu­sto, il Ci­sto Lau­ri­no, co­mu­ne­men­te det­to il fio­re del­la Ma­don­na. Un fio­re ra­ro; fu sor­pre­sa di tro­var­lo lì vi­ci­no ad un pic­co­lo fos­so.

    Di so­li­to cre­sce­va vi­ci­no a im­per­vi e roc­cio­si luo­ghi di col­li­na. Si chi­nò per os­ser­var­lo ed eb­be l'im­pul­so di rac­co­glier­lo, ta­le era la sua bel­lez­za.

    Si fer­mò ap­pe­na in tem­po: non era giu­sto né cor­ret­to, re­ci­der­lo per far­lo ap­pas­si­re in un ano­ni­mo va­so di fio­ri.

    Nel chi­nar­si, qua­si per ca­so, no­tò la pre­sen­za di una cro­ce cel­ti­ca di­pin­ta su di una pie­tra grez­za co­lo­ra­ta di ne­ro, in­tor­no a dei sim­bo­li eso­te­ri­ci. An­na eb­be un istin­ti­vo sen­so di re­pul­sio­ne, si gi­rò ver­so An­to­nel­la di­cen­do­le, «Od­dio co­sa so­no que­sti in­quie­tan­ti e stra­ni og­get­ti? Per­ché si tro­va­no qui, se­con­do te? Co­sa po­treb­be­ro si­gni­fi­ca­re?»

    An­to­nel­la con il vol­to e la vo­ce im­pas­si­bi­le, le ri­spo­se: «di co­sa ti pre­oc­cu­pi fi­fo­na? Non è nul­la di che. Per me è so­lo ope­ra di qual­che scioc­co ra­gaz­zi­no che si è di­ver­ti­to nel pen­sa­re di spa­ven­ta­re qual­cu­no. Tran­quil­la, non c’è nul­la di cui aver pau­ra».

    An­na ne fu par­zial­men­te con­vin­ta e il di­scor­so ter­mi­nò lì. In al­le­gria rien­tra­ro­no nel­la lo­ro abi­ta­zio­ne.

    Du­ran­te la not­te, An­na eb­be de­gli in­cu­bi. Le pa­re­va sen­tir qual­cu­no bus­sa­re al­la por­ta con dei for­ti col­pi, lei si al­za­va per apri­re e ve­ni­va as­sa­li­ta da una gros­sa lin­ce, con le cor­na e gli oc­chi di fuo­co. Si sve­gliò gri­dan­do, era ma­di­da di su­do­re. An­to­nel­la dor­mi­va nel­la pic­co­la stan­za ac­can­to e si sve­gliò uden­do l'ur­lo.

    Si pre­ci­pi­tò nel­la ca­me­ra dell'ami­ca e le chie­se: «An­na co­sa hai? Ti sen­ti be­ne? Hai avu­to un in­cu­bo?», An­na ri­spo­se, «ho fat­to un so­gno or­ri­bi­le e spa­ven­to­so, tre­mo tut­ta». An­to­nel­la l'ab­brac­ciò per tran­quil­liz­zar­la. An­na mol­to tur­ba­ta, non si ac­cor­se del tie­pi­do ab­brac­cio; An­to­nel­la le por­se un bic­chie­re d'ac­qua e la in­vi­tò a be­re. «Ades­so dor­mi te­so­ro, stai tran­quil­la, si è trat­ta­to sol­tan­to di un brut­to so­gno». An­na con fa­ti­ca si riad­dor­men­tò e so­gnò di nuo­vo. Sta­vol­ta, pe­rò, fu un so­gno d'amo­re: ve­de­va il bel vol­to dell'ama­to Hos­sein e i suoi oc­chi pe­ne­tran­ti che l'os­ser­va­va­no con pas­sio­ne, la sua boc­ca pro­te­sa ver­so la sua, nell’at­to di ba­ciar­la.

    5.

    Il rap­por­to con Hos­sein per An­na, di­ven­ne ul­ti­ma­men­te dif­fi­ci­le da ge­sti­re.

    Ciò ne ave­va con­di­zio­na­to il ca­rat­te­re. La sua sen­si­bi­li­tà e il suo pes­si­mi­smo si era­no ac­cen­tua­ti e so­prat­tut­to per il suo co­stan­te ag­gior­na­men­to, tra­mi­te i va­ri mass me­dia, su ciò che ac­ca­de­va nel mon­do.

    Hos­sein, al con­tra­rio, ave­va una vi­sio­ne fa­ta­li­sti­ca dei va­ri ac­ca­di­men­ti, re­tag­gio del­la sua cul­tu­ra. Non ama­va se­gui­re i so­cial né i quo­ti­dia­ni, ri­te­nen­do che la stam­pa e i me­dia in ge­ne­ra­le, non di­ces­se­ro qua­si mai la ve­ri­tà.

    Ave­va in­tra­pre­so stu­di scien­ti­fi­ci nel suo pae­se di ori­gi­ne. In Ita­lia, poi, ave­va stu­dia­to ar­chi­tet­tu­ra, lau­rean­do­si con il mas­si­mo dei vo­ti.

    Il suo ca­rat­te­re lo por­ta­va ad es­se­re mol­to em­pa­ti­co con le per­so­ne; per lui l’ospi­ta­li­tà era sa­cra. Il suo in­tran­si­gen­te atei­smo, lo por­ta­va a cre­de­re al­la stru­men­ta­liz­za­zio­ne del­le re­li­gio­ni per fi­ni po­li­ti­ci.

    An­na, al con­tra­rio, do­po un lun­go pe­rio­do di scet­ti­ci­smo, si era av­vi­ci­na­ta al­la re­li­gio­ne cri­stia­na. Ave­va av­ver­ti­to, all’im­prov­vi­so den­tro di sé, un for­te bi­so­gno di spi­ri­tua­li­tà.

    Tut­ti e due, pe­rò, cre­de­va­no in una po­li­ti­ca at­ten­ta ai bi­so­gni dei più po­ve­ri ed emar­gi­na­ti, seb­be­ne fos­se­ro con­sa­pe­vo­li del­la dif­fi­col­tà nel rea­liz­zar­la, da­ta la na­tu­ra ego­cen­tri­ca e in­di­vi­dua­li­sta dell'uo­mo.

    An­na,

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