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I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto
I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto
I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto
E-book1.065 pagine14 ore

I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto

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Info su questo ebook

Un Mondo sommamente dominato da Dodheimsgard, il più potente degli Zeidos. Ed egli è malvagio. Basta questo per immaginare in che stato si trovi l'Umanità. Un intero pantheon di dèi non è in grado di ribaltare la situazione. I fratelli dello Zeidos Nero, nonostante abbiano l'appoggio di Uomini eccezionali e dispongano di Poteri e mezzi, vedono la fine sempre più vicina. Del Mondo possiedono solo un buco nel sottosuolo, in cui sono rifugiati. Un amore impossibile è l'ultimo scoglio cui possano aggrapparsi... Tuttavia, la Ars Magica, che hanno infilato nell'etere per evitare che la conflagrazione di essa distruggesse l'intero Creato, forse potrebbe essere riconquistata. Ma al di là dei Cieli del Varco Abissale, dove è celata, li attendono i peggiori incubi che possano immaginare...
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788831641296
I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto

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    Anteprima del libro

    I Cieli del Varco Abissale - Steampunk Zeidos volume sesto - Evandro Straccini

    porta.

    PROLOGO

    ASSI DA GIOCARE

    Rimasto solo nella cella, Alexander Trantor ascoltò gli stivali del Grande Signore Dodheimsgard allontanarsi nel corridoio. Sceso il silenzio, ovattò la sua mente.

    Sprofondò in tenebrosi pensieri.

    Chiuse gli occhi. E nel farlo vide una luce: quella liquida che riversava il cuore dell'anima di Nova.

    Lei era venuta a liberarlo: un tentativo disperato, nulla più. Fu trafitta al petto dalla Spada Nera di Dodheimsgard, apparso dopo averne avvertita la presenza; per lui, un'interferenza inammissibile.

    Invece che sangue, la ferita riversò luce densa, liquida, consistente.

    Non pensò che fosse morta, non come intende la morte colui che vive; l'ovulo di luce che la conteneva era imploso, sparendo dalla cella.

    Passarono le ore, ma Alex continuava chiedersi a quale destino fosse andata incontro la sua Nova.

    Può morire un fantasma? E sopravvivere alla Spada Nera?... Potrebbe darsi.  In qualche modo che non conosciamo, presumo. O tramite qualche Potere elargito da Esos, forse.

    Sperò che l'avesse scampata, allora. "Anche se ciò significasse non vederti mai più, voglio che tu viva, Nova. Spettro, fantasma, o qualsiasi altra cosa tu sia. Non hai concluso la tua parte, amore mio. Lo sento".

    Quanto gli sarebbe pesato saperla viva e non poterla più rivedere?

    Sospirò. A ognuno il proprio destino, cara Nova. E i nostri non vogliono collimare. Non in questo Mondo. Che io maledico.

    Le sue ultime parole furono: Ricordati la luce azzurra. Soffrendo, Alex intuì a che cosa si riferisse lo spettro della sua amata donna. 

    La luce azzurra la teneva in pugno. Una specie di chiodo trasparente, con taglio a diamante allungato.

    Pietra del Richiamo: così si chiamava l'oggetto che teneva in pugno. Gli fu consegnata dal Supremo Reggente, in un tempo che ormai sembrava più remoto dell'Inizio dei Tempi.

    Era quella la sua unica speranza? D'altronde, Dodheimsgard gliela aveva lasciata, inconsapevole del pericolo che potesse rappresentare per lui. O forse fu spaventato (se il termine fosse adatto a una creatura simile) dalla luce azzurra. Invero Alex l'aveva stretta in pugno, durante la sua prigionia, e Dodheimsgard forse non l'aveva potuta osservare. Avrebbe potuto avvertirne la presenza, ma qualcosa l'aveva protetta: fu celata dalla stessa Luce di Endors delle Parole di Luce, in mano al Grande Signore; la stessa Luce di Endors contenuta nella Pietra del Richiamo. 

    Fin da quando fu imprigionato, sapeva di avere la mente scissa in due rami consapevoli. Uno di essi lo portava a essere disperatamente spaventato per la situazione in cui versava; ed era quello che si identificava con la realtà, lo immaginava. L'altro no. L'altro ramo della sua mente era quello che l'aveva tormentato con la presenza misteriosa di Davide Brasletti, il fu primo pilota di Phaeton.

    Phaeton, da tutti ricercato, da nessuno ottenuto, pensava sovente.

    Un mistero invalicabile, tranne la certezza che Alex avrebbe dovuto sostituire Davide. E questo gli Zeidos lo sapevano.

    Durante la prima battaglia di Varashta, Alex si era presentato a bordo dell'Ultimo Frutto di Hidioskjalf: così fu chiamato Phaeton nel Mondo da cui proveniva. Sarebbe stato meglio dire che fu da esso catturato. Immerso in una condizione onirica, dominato da Antiche Memorie, il ragazzo combatté ai comandi di quel portento di un altro Mondo. Sapere come avesse fatto, non fu in grado di dirlo.

    Successe quel che successe. Problema risolto, ormai. O meglio, ineluttabile, poiché Phaeton, dopo quella prima apparizione, tornò donde era venuto e nessuno riuscì più a richiamarlo, tanto meno Alex, che era destinato a pilotarlo. Gli Zeidos  provarono a ottenere Phaeton sfruttando innumerevoli congetture, progetti fallaci, tentativi esuberanti che quasi distrussero l'intero Creato. E ci provarono con ogni altro sotterfugio che si rivelò non meno che catastrofico. Nulla da fare: il portento continuò a starsene incastrato, e inconquistabile, nel fondale oceanico del sito archeologico di Oht.

    Ora Alex era rinchiuso in una prigione di Dagorast e ciò peggiorava le cose. Ma quella scissione mentale, quel lavorio cervellotico, si erano di nuovo infilati nella sua testa. Egli lavorava inconsciamente a qualcosa che propendeva... alla sua liberazione?

    Deve essere così... Altrimenti, cosa?

    Pietra del Richiamo e Luce di Antiche Memorie...

    Flash.

    Libero di pensare.

    Flash.

    Pensare a che cosa? Phaeton?... Impossibile. Questa volta le Antiche Memorie non lo rimembrano.

    Flash.

    Una ramificazione della mia mente, organizza un progetto. Lavora solo per me.

    Flash.

    "Pietra del Richiamo. Luce di Endors in essa contenuta. Parole di Luce nel Libro Nero, che occultano la Pietra... La duplice mente non è controllata. Dodheimsgard annaspa nel buio".

    Flash.

    L'anima di Nova. Lei ha provato a liberarmi...

    Flash

    Potere. Ho il Potere di...

    Flash.

    ... Fuggire.

    Con un lamento denso di sofferenza, Alex emerse dall'intorpidimento.

    Di nuovo la libertà. Questo suggerisce le Antiche Memorie. Questo è il Potere della scissione della mia mente. La Pietra del Richiamo nella prima ramificazione. Le Antiche Memorie nella seconda.

    Guardò le umide pareti che lo circondavano e capì che la libertà restava al di là di esse. Tutt'intorno si dipanava un'infinita base sotterranea: la roccaforte dell'atavico nemico del Mondo. Era situata addirittura sotto la rete della metropolitana, ormai distrutta, della sconfinata Landon.

    Come posso scavalcare simili ostacoli? I tunnel della metropolitana sono crollati, e io non sono una talpa. E i miei amici... Che ne sarà stato di loro?

    Alex ritenne impossibile fuggire. Memorie o non memorie, mente scissa o no.

    Quanti passi potrei fare, ammesso che avessi la possibilità di farli, prima di essere acciuffato di nuovo?

    Eppure la sua mente scissa preparava inconsciamente la fuga. Non aveva dubbi.

    Un ultimo...

    Flash

    Ariman?... Almeno lui è vivo, dunque... Numeri. Pietra del Richiamo.

    Camminò avanti e indietro. Tre passi in ogni direzione, vista la dimensione della cella.

    Luce di Antiche Memorie che si risvegliano. Qual è la via che mi stanno indicando? Questa volta non parlano di Phaeton, ma di Numeri.

    Catturato da molto tempo, ormai, Alex non aveva assistito all'intervento massiccio dei Numeri del vecchio Ariman. Quei Poteri che avevano consentito eventi di immensa portata, concentratisi a Oht, non aveva potuto osservarli, anche se lì era stato presente. Presente, ma continuamente torturato, rinchiuso in Volkablast, la fortezza volante di Dodheimsgard.

    Scosse la testa. Si buttò sulla branda, a faccia in giù. La sua porzione di mente razionale non vedeva come i Numeri potessero interagire con lui.

    Chi, cosa, come, dove, quando, perché, pensò Roger Stonehill, mentre infilava matita e taccuino degli appunti nella tasca interna della giacca. I dogmi del buon giornalista.

    Sono quelle le parole da tenere a mente, quelli i capisaldi per redigere un buon articolo. Ciò che distingue un articolo professionale da uno raffazzonato.

    E io ho intenzione di scriverne uno che non ha eguali. Chi, cosa, come, dove, quando, perché... gli Zeidos di Varashta, o giù di lì, di cui tanto si parla... eccetera, eccetera.

    Landon era distrutta, ma sapeva che fin da prima che ciò accadesse, gli Zeidos erano stati oggetto di accese discussioni. Perfino il Supremo Reggente, governatore dell'Ultimo Mondo, era andato alla loro ricerca. Ma non sapeva che solo lui era riuscito a trovarli, e solo grazie all'aiuto di capaci agenti segreti, comandati da Reginald Krups. Che poi gli Zeidos fossero contornati da molti altri individui di spicco, ai quali si devono aggiungere innumerevoli profughi, ne sapeva ancora meno.

    Anche Roger si sarebbe buttato alla loro ricerca. Lui era il miglior giornalista della tal testata, una che non è importante conoscere. Stavano per farlo capo redattore, quando i Melmoth, un anno prima, erano scesi sul Mondo per assoggettarlo, schiantarlo, distruggerlo. E quando quelle entità furono imprigionate grazie alla dimostrazione del Teorema della Realtà Diminuita, messa a punto dagli Zeidos e dai loro misteriosi compagni, ci aveva pensato il cataclisma del vascello-continente di Oht, piovuto dal cielo e sprofondato nell'Oceano Sears, a distruggere di nuovo la redazione appena rimessa in piedi.

    Ma i Melmoth, e la paradossale catastrofe di Oht, non avevano distratto Roger. I due eventi si erano prestati per scrivere molto. Conservò tutto con cura, per una cronaca di grande respiro... La Storia del Mondo, ecco che cosa voleva scrivere.

    Avrebbe pubblicato tutto, quando tutto sarebbe finito. Anche perché i giornali non esistevano più, e anche se avessero potuto stamparli, non li avrebbe letti nessuno, essendoci altre incombenze di fondamentale importanza cui pensare, viste le condizioni di vita sopravvenute.

    Tuttavia, il quasi capo redattore perseverava a vergare i fogli e aveva come obiettivo gli Zeidos; non se li sarebbe lasciati sfuggire nemmeno in conseguenza del più catastrofico degli eventi. E giacché la sede del giornale era ridotta in macerie, ne approfittò all'istante per imboccare le vie dell'Ultimo Mondo.

    - Be', io parto - aveva detto Roger ai suoi colleghi. - Me ne vado per le strade di Landon. Racconterò gli eventi dell'Ultimo Mondo, sarò cronista degli Zeidos. Ci credete, adesso, no? Vi conviene proprio, dopo tutto ciò che è capitato al Mondo. Loro esistono! E con essi molte altre personalità a cui, fidatevi, dobbiamo tutto. Nel bene e nel male. Avrete mie notizie, cari colleghi. Addio.

    La sede del giornale non era lontana dallo scalo aeroportuale di Varashta. Roger aveva appreso, sentito dire, intuito e visto con i propri occhi. Lì, erano capitati eventi che dovevano essere presi in considerazione. Lì, si erano svolte battaglie di grande importanza e, stando a ciò che aveva intuito, gli Zeidos, e non solo loro, erano stati protagonisti. Il Mondo attendeva di sapere. L'Umanità doveva essere artefice del proprio destino: per gli uomini non era più tempo di stare in disparte, impauriti, a guardare senza fare nulla. Roger Stonehill voleva essere il cronista di quella rinascita. La Storia del Mondo non poteva fermarsi davanti a nulla, nemmeno davanti agli Zeidos e ai loro nemici.

    Prima di Roger, Osvald Kramer pensò più o meno le stesse cose. In seguito, però, fu irretito dallo stesso Potere che deteneva, e la sua morte, avvenuta durante la battaglia nella dimensione parallela di Oht, aveva portato più benefici di un suo intervento diretto, ormai ritenuto fallimentare dagli Zeidos. Soprattutto perché era teso al proprio malvagio tornaconto.

    Chi, cosa, come, dove, quando, perché.

    Il credo del giornalista era la sua guida, il suo promemoria, la sua fede.

    Sarò un ficcanaso; mi ritirerò solo quando il Mondo saprà la verità.

    Ripensò ancora a quelle parole, quando mise piede fuori dalla redazione, incamminandosi fra le sofferenze del Mondo.

    I soggetti che stimolavano la curiosità del giornalista erano esattamente dove dovevano essere. Si erano rifugiati sotto la scricchiolante cupola protettiva del cosiddetto ultimo Numero di Ariman. All'avamposto nell'entroterra di Varashta, naturalmente.

    Erano incastrati.

    L'assedio del Grande Generale Marduk non dava scampo. Egli aveva il conforto delle Parole di Luce svelategli dal Grande Signore in persona. Un Potere che serviva a sgretolare la barriera energetica di Ariman; un Potere che stava riuscendo nel suo intento.

    Certo era, che i grattacapi del Grande Otyg non trovarono più posto nella sua testa, poiché erano così tanti da non riuscire più a entrarci.

    Tornati miracolosamente vivi dalla catastrofica missione nella dimensione di Oht, Otyg si ritrovò circondato da numerosi fratelli e amici, pieni di buona volontà e null'altro.

    Abbiamo questo. Abbiamo quest'altro. Vedrai, ce la faremo...

    La verità era che non avevano più niente e Otyg lo sapeva.

    Aveva rischiato di cedere. Lui che era una delle più potenti creature sull'Ultimo Mondo. Non fosse stato per le confortanti parole di Solefald, a quest'ora l'avamposto nell'entroterra di Varashta avrebbe dovuto fare a meno del proprio Condottiero. Ma non andò così: il Grande Otyg era forte, ringraziò suo fratello per il sostegno psicologico e cominciò a rimboccarsi le maniche.

    Il Supremo Reggente era con loro. Non poteva fare rientro ai suoi palazzi, occupati dagli uomini di Marduk. E poi gli Zeidos stavano mettendo mano alla realizzazione del suo nuovo mechazaurus, poiché i rottami di Dankorant ormai giacevano nei fondali dell'Oceano Sears, insieme a quelli di Halbadast, la fortezza volante degli Zeidos; insieme a quelli della piattaforma di Bullok e ai corpi di tanti loro amici.

    In stato di rottami erano ridotti Grengost e King Condor, e quei due portenti erano oggetti di febbrili lavori di riparazione, nei sotterranei scavati in fretta e furia nell'avamposto. Sapevano che se la barriera fosse crollata adesso, non sarebbero stati pronti a intervenire.

    Che cosa ci avevano guadagnato dalla sciagurata missione nella realtà parallela dell'antica civiltà di Oht? Avevano perduto amici e mezzi, e ciò che volevano ottenere, Phaeton, aveva beffato tutti quanti, anche Dodheimsgard. In ossequio a un paradosso temporale, Phaeton non si era mosso dal fondale del sito archeologico dell'antica civiltà di Oht, rimanendo nella realtà dell'Ultimo Mondo. Mai si era presentato in quella dell'antica civiltà di Oht, dove erano andati, convinti di ottenerlo sfruttando concetti rivelatisi indimostrabili. Phaeton rimase nel luogo dove era sempre stato sull'Ultimo Mondo. Tranne una sola volta. Ma ormai, il suo pilota designato, Alexander Trantor, la reincarnazione del suo originale conducente, giaceva nelle segrete di Dagorast.

    Tornati all'avamposto, bastonati a dovere, gli Zeidos rinunciarono quasi del tutto a ottenere Phaeton. Otyg palesò un unico dubbio: che fossero loro incapaci di mettere Esos in condizione di concederlo, come da Suo progetto originale. Secondo Otyg non era Lui a non essere pronto a donarlo, bensì loro incapaci di ottenerlo. Ma le parole restavano parole e i fatti erano di tutt'altra natura.

    Tra l'altro, si presentava loro un problema ancora più grosso: Ariman non riusciva più a sostenere l'ultimo Numero, quello che donava loro la cupola energetica a protezione dell'avamposto. Ed era un problema immediato, si capisce.

    Marduk era pronto ad artigliare la preda. Le Parole di Luce del Grande Signore erano potenti e qualcosa cominciava a girare per il verso giusto; all'inizio non ci aveva fatto affidamento, ma ora ci credeva.

    La barriera lampeggiava a lungo. Reggeva a stento le bordate dell'artiglieria del generale; e quest'ultimo non poteva ancora avvalersi delle mechabestia. Esse erano in fase di assemblaggio nelle tenebrose officine di Dagorast, sotto la diretta supervisione del generale Maldoror, capo progetto dei macchinari bellici.

    - Saltasse la barriera, che cosa faremmo?

    - Ci sto pensando - rispose secco Otyg. - Ma chiedo il tuo aiuto, Ariman. Chiedo l'aiuto di tutti. Riuniamoci.

    Exodus fu il primo a parlare. - Inutile ricordare che qualsiasi mezzo a nostra disposizione non possiamo sfruttarlo. La barriera regge o non regge; questo è il nodo cruciale.

    Guardò Ariman in tralice, mentre parlava.

    Il vecchio barbabianca avrebbe voluto avere con sé il cappello di Nova, ma anche quello era sparito di nuovo, dopo essere ricomparso insieme con il libro Elementi di Numerologia... Libro e cappello avevano collaborato con la Trasmigrazione per disperdere la Ars Magica nell'etere, poiché i Khalesh di Danko Regon e Dorian Gallop si erano spezzati durante la colossale battaglia di Oht. Di conseguenza la Ars Magica si era scatenata, rischiando di distruggere l'intero Disegno di Creazione... Ma quella era un'altra storia e non era il caso di rivangarla.

    - Regge o non regge? - ripeté Ariman. - Reggerà per poco, ne sono certo. La barriera è fortemente indebolita e non so perché. Intuisco che Marduk abbia dalla sua un Potere sconosciuto, qualcosa che ha escogitato Dodheimsgard, credo. Non fosse per questo, la cupola energetica reggerebbe contro qualsiasi arma convenzionale. Ma quelle in dotazione al generale sono fornite di qualche Potere misterioso.

    - Il Libro Nero - intervenne Otyg. - Dodheimsgard sa come sfruttarlo.

    Nessuno di loro sapeva delle Parole di Luce comparse in quel tomo di Esos. Tuttavia supposero che Dodheimsgard ne ottenesse vantaggi in ogni caso. Quel libro era finito in mano al Grande Signore dopo la dimostrazione del Teorema della Realtà Diminuita, ed era uno dei maggiori codici d'interpretazione della realtà.

    - Be', non importa sapere che cosa stia sfruttando - commentò Myriads. - È importante fermarlo al più presto.

    - Non correre - intimò Otyg, aggrottando la fronte. - Se invece lo sapessimo, porremmo rimedio. Ma purtroppo non abbiamo la possibilità di strapparglielo di mano. Non ora, almeno.

    Il Condottiero fece una pausa per permettere a tutti di assimilare il concetto.

    Dopo qualche istante, riprese: - Signor Tesla. Dobbiamo ottenere la Ars Magica dispersa nell'etere. Abbiamo capito che è possibile, se non sbaglio. A che punto siamo con la Trasmigrazione?

    Si girarono verso lo scienziato. La sua giacca era pulita; i suoi piccioni erano affogati tutti quanti dentro Halbadast e di ciò Exodus ne era quasi felice.

    - Cianfrusaglie, raccolte qua e là dagli amici del povero Rosko, ne abbiamo. Sto lavorando. Ma il cappello di Nova? Ricorderete che ha collaborato anche quel misterioso copricapo nel disperdere la Ars Magica.

    Otyg si strinse nelle spalle. - Non ne sappiamo nulla, purtroppo.

    Il copricapo era sparito un'altra volta. Non sapevano che Nova l'aveva ancora con sé, dopo aver tentato di liberare Alex.

    - Ho la Luce di Endors - intervenne il Supremo Reggente, il volto celato dal bagliore. - Finora non ha collaborato con l'ultimo Numero che ha creato la barriera. Tuttavia troverò il modo di rafforzarla con la Luce di Endors, ve lo prometto.

    - Allora fallo - suggerì Exodus.

    Un secco, prolungato crepitio fece friggere l'aria. - Sentito? - proseguì. - La cupola energetica sta per cedere. Non abbiamo più tempo.

    Il Re dei Re puntò lo sguardo su Ariman. - I Numeri hanno dimostrato di collaborare con la Ars Magica. Sospettiamo che la Luce di Endors sia la stessa cosa di quast'ultima, giusto? Sarebbe il caso di farla collaborare con i Numeri. Che ne dici?

    Il vecchio si passò in volto una mano tremante, che metteva in evidenza tutta la sua ansia. - Cosa dico? - ripeté. - Non lo so. Ci abbiamo già provato. Per adesso non ho altri suggerimenti.

    - Il problema è che dobbiamo fare in fretta - insistette Exodus.

    - Non ci porta da nessuna parte, la tua fretta! - lo assalì Solefald. - Stiamo lavorando su ogni fronte. Aggiungeremo anche quest'idea della Luce di Endors. Finito qui, Ariman, chiedo di riunirci; io, tu e il Supremo Reggente. Qualcosa ne ricaveremo.

    Tutt'a un tratto parve che la porta fosse scardinata, tanta era la forza con la quale fu spalancata.

    - Blip!

    L'impressionante aspetto di Danko Regon, il Mezzatesta, si stagliò fra gli stipiti. Tutti si girarono.

    - Grengost, blip!

    - Non pensarci nemmeno - lo raggelò Otyg. - Ho detto che non è pronto. Vuoi morire?

    - Morire, blip!

    - Appunto, lascia stare - intervenne Solefald.

    Non invitato alla riunione, Danko non si pose problemi a entrare e sedersi accanto agli altri.

    - Ho detto che potevi? - interrogò Otyg.

    - Potere, blip! Combattere, morire, barriera. Già morti, blip!

    Aveva ragione, ma per nessun motivo Otyg avrebbe permesso a Danko di uscire con Grengost. Di amici morti ne avevano contati abbastanza. Dovevano affrettarsi a riparare Grengost e lasciare stare ogni altra possibilità suggerita.

    Una volta crollata la barriera, allora sì che Grengost sarebbe la nostra unica speranza, meditò il Condottiero. Ma per allora dovrà essere integro.

    - A che punto siamo, Solefald?

    - Riguardo che cosa?

    - Grengost, blip! - rispose Danko in luogo di Exodus.

    Solefald fissò il Mezzatesta. - È come se non ci fosse. È uno scheletro, manca tutta la parte esterna. La corazza, capisci? Non può combattere. Le fonderie stanno lavorando al massimo delle loro possibilità, ma...

    - Ho detto che non se ne parla! - lo interruppe Otyg, con voce dura, perentoria. - Grengost sarà utilizzato solo a riparazione completata. Magari affiancato dal nuovo mechazaurus del Supremo Reggente. Perciò l'attesa sarà lunga.

    - Escogitiamo qualcos'altro, nel frattempo, o per noi è la fine - riassunse Rakot. Nebuloso, di poche parole, Rakot, insieme ad Ariman, era anche l'addestratore di Danko. Capiva meglio di ogni altro che il Mezzatesta non avrebbe potuto sfruttare in nessun modo il colosso d'acciaio. Non nelle condizioni attuali.

    - Blip! Che cosa? - li sorprese Danko.

    È proprio così rimuginò Otyg, fissandolo. Che cosa possiamo tirare fuori?

    Alla fine, convinto di non avere altra scelta, disse: - Prepariamoci a scendere nei sotterranei. Li aspetteremo a ogni angolo. Combatteremo con le unghie e i denti. E concentriamoci sulla riparazione di Grengost e la realizzazione del mechazaurus; lasciate stare ogni altra questione: i colossi d'acciaio sono la nostra unica possibilità.

    Nessuno obiettò, allora mise in campo l'unica verità che non aveva bisogno della domanda che fece: - La barriera non reggerà, vero Ariman?

    Era l'ultimo giorno utile, poiché giunse notizia che il Grande Otyg aveva ordinato la ritirata nei sotterranei dell'avamposto. Ma non potevano tornare indietro ancora una volta a mani vuote. Per quanto fosse serafico e paziente, Albert Trumont cominciava a mostrare un piccato disappunto. Pareva loro che fosse anche dimagrito...

    La barriera energetica crepitava, fulminava in continuazione; crepe e venature rosse palesavano la difficoltà con cui li proteggeva. Al di fuori di essa, cannonate sempre più convinte deflagravano sulla cupola e i quattro uomini cominciavano a preoccuparsi.

    - Dobbiamo rientrare - disse Aurelio Tomaini, che accompagnava i ricercatori. Il suo volto era tirato.

    Gli altri tre non avevano goduto di spazi sconfinati per cercare ciò che voleva il professore. Non potevano spingersi fuori dalla barriera, era chiaro; provarci voleva dire ridursi a un mucchietto di polvere che il vento avrebbe disperso fra le macerie dell'Ultimo Mondo.

    - Ma non possiamo! - protestò Bertold con un ruggito. Sembrò più un lamento,  ma almeno ci aveva provato. Controbattere Tomaini, che fin dall'inizio non si era certo rivelato amichevole, non era per niente facile. - Questa volta il ciccione ci farà fuori seduta stante.

    - Sono dieci giorni che cerchiamo - ribatté Tomaini. - Di rischiare la vita non ne ho più voglia. Non avete sentito gli ordini di Otyg?

    - Sì, ma di fallire ancora non mi va - s'impuntò Juan.

    Andrew rafforzò il concetto: - Ancora un'ora, via!

    - Volete fare i coraggiosi - affermò l'agente segreto. Una mano impugnò il calcio della pistola, infilata nel fodero del cinturone. Piegò la testa di lato. - Va bene. Di certo non sarò da meno. Ma al prossimo segnale che farò, rientreremo. Altrimenti vi lascio qui a morire, d'accordo?

    Nemmeno risposero. Non avevano tempo.

    Ottenuta un'altra preziosa ora, tornarono a vedere le trappole che avevano sparpagliato dove ritenuto utile.

    Gli insetti erano ancora lì, invischiati nella pece. Di predatori nemmeno l'ombra.

    - Per la cenere degli Zeidos! - imprecò Andrew. Di cenere lui se ne intendeva: una volta, quando il Mondo era ancora all'oscuro delle disgrazie che lo avrebbero demolito, faceva lo spazzacamino. - Niente di niente!

    Ma un'ora dopo, quando Tomaini annunciò che era ora di rientrare, Bertold, sorridente, teneva in mano una scatoletta. - Senti come si agitano! - esclamò. - Chissà che cosa diventeranno?

    Albert Trumont fu l'ultimo ad aspettarli al pertugio per i sotterranei. In volto un insolito cipiglio. Guardava la barriera lampeggiare sinistramente.

    Finalmente, spostò lo sguardo sui quattro uomini, che a passo svelto lo stavano raggiungendo.

    Si rasserenò un poco. - Bene, a quanto pare ce l'avete fatta - annunciò, lisciandosi il pizzetto tondo come una boccia. Con l'altra mano giocherellava con qualcosa infilata in tasca. - Che cosa mi avete portato? - domandò fissando la scatoletta in mano a Bertold.

    - Quattro lucertole - rispose quest'ultimo.

    Il pingue bioingegnere sorrise.

    Sceso nei sotterranei, entrò nei suoi laboratori. Aprì la scatoletta, tirò fuori di tasca l'ampolla verde e si mise subito all'opera.

    Irriconoscibile e vuoto, assoggetterà vita, luce e materia.

    Erano queste le Parole di Luce del Libro Nero che il Grande Signore fece leggere al generale Marduk. Ed erano impregnate di un nuovo Potere estrapolato dal Pozzo degli Incantesimi.

    Gli spiegò come avrebbero aiutato i macchinari da guerra ad abbattere la misteriosa barriera che proteggeva gli Zeidos nel loro avamposto. Che Marduk avesse capito o no non importava. Dopo qualche tempo Dodheimsgard le mise al lavoro, solo questo contava. E i risultati non tardarono ad arrivare.

    L'assottigliamento della barriera energetica è sotto gli occhi di tutti.

    Quando il Grande Signore si accorse che il tempo era venuto, prese con sé le due mechabestia appena forgiate dagli uomini di Maldoror e raggiunse la postazione semovente di comando di Marduk. Spostamenti che poteva eseguire all'istante grazie alla Macchina del Tempo infusa nella Spada Nera, dalla quale non si separava mai. In precedenza, era rientrato a Dagorast per risolvere parecchie questioni, e per convocare i generali Konkhra, Adversam e Abigor. Adesso anche loro avevano grandi missioni da portare a termine. La vittoria era vicina.

    - I nemici si sono rifugiati nei sotterranei - annunciò Marduk. Parole raschianti, che uscivano da dietro la maschera di ferro. - Come topi in trappola, Grande Signore.

    Quest'ultimo fissò il generale. - Hanno capito che per loro non c'è scampo. Prendono tempo, ma una volta saltata la barriera, li schiacceremo a uno a uno.

    - Guarda tu stesso, Grande Signore - confermò Marduk. - Di tempo non ne hanno più.

    Si avvicinarono alle vetrate del Ponte di Comando della postazione semovente e guardarono la barriera.

    I bombardamenti continuavano a ritmo serrato. - È sottile come un foglio di carta, ormai.

    - Grazie alle Parole di Luce - confermò il Grande Signore. - Grazie ai miei Poteri - aggiunse, girandosi di nuovo a scrutare il generale.

    Marduk sollevò un sopracciglio, ma tanto la maschera nascondeva tutto. - Come da te previsto, Grande Signore.

    - Manca poco, generale Marduk. Prepara gli uomini. Le mechabestia distruggeranno ogni apparato in superficie. Noi entreremo nei sotterranei e cercheremo gli Zeidos.

    Ho giusto qualche domanda da porre a Otyg.

    - Sarà fatto, Grande Signore. Con permesso -. Ciò detto, Marduk girò i tacchi e scese a impartire gli ordini.

    Che cosa aveva rivelato Dodheimsgard al generale quel giorno che gli aveva fatto leggere le Parole di Luce? Qual era questo Potere che permetteva alle cannonate di centuplicare la loro potenza di fuoco sulla cupola energetica?

    Irriconoscibile e vuoto, assoggetterà luce, vita e materia.

    Aveva già sfruttato quelle parole, e con successo. Accadde nella realtà parallela di Oht. Con esse aveva aiutato Ariman a chiudere lo strappo della realtà creatosi con la deflagrazione della Ars Magica dovuta alla rottura dei Khalesh di Danko e Dorian. Era stata una questione di vita o di morte che aveva coinvolto tutti quanti, amici e nemici.

    Il Grande Signore era potente e attraverso le Parole di Luce aveva intravisto una possibilità, che amplificò grazie a un Potere magico estratto dal Pozzo degli Incantesimi, il luogo nel cuore nero di Dagorast dove aveva stoccato la maggior parte dei Poteri da lui posseduti. 

    Ormai sapeva che quell'aula non era inviolabile. Burzum era misteriosamente riuscito ad accedervi, ma rimaneva comunque un contenitore ricolmo di grande forza.

    L'esperienza subita a Oht gli concesse di provare a unire Parole di Luce e Poteri del Pozzo degli Incantesimi. Coincideva con qualcosa nel Vuoto Atemporale, dove solo lui poteva andare, come già fatto per chiudere lo strappo nella realtà provocato dalla Ars Magica.

    Solo io posso intrecciare questi portenti. Solo io posso camminare nel Vuoto Atemporale. E questa, Otyg, è la differenza che c'è tra me e te: tra chi è potente e chi la potenza la cerca invano.

    Mentre radunava i suoi ufficiali per preparare l'assalto all'avamposto degli Zeidos, il generale Marduk ebbe il tempo di pensare alla promessa del Grande Signore: gli aveva domandato se volesse diventare il nuovo Luogotenente. All'inizio non ci aveva creduto, poiché Dodheimsgard aveva salvato ancora una volta Burzum, l'attuale Luogotenente. Marduk gli aveva fatto capire di sapere, ma ora il vento stava girando grazie al Potere delle Parole di Luce. Con esse avrebbe avuto un grande successo. Lì, nella tana di Otyg.

    Cominciava a crederci, dunque. Lui desiderava essere il Luogotenente del Grande Signore. Credeva, da sempre, di essere superiore a Burzum; forse lo aveva dimostrato in più di un'occasione.

    Osservando i suoi ufficiali, schierati in attesa di disposizioni, pensò a un progetto molto difficile da realizzare, ma che non poteva più rimandare: Ti ucciderò, Burzum, giusto per sgomberare il campo da ogni dubbio. Il tempo è venuto.

    Non aveva finito di parlare agli uomini che udì un tuono spaventoso, seguito da un crepitio prolungato, come se l'aria friggesse.

    Gettò lo sguardo fuori e...

    La barriera dell'ultimo Numero di Ariman non c'era più. Al suo posto, un tornado di luce cangiante s'innalzava avvitandosi in cielo. Poi implose con uno svolazzo, e tutto tacque.

    Sul Ponte di Comando, Dodheimsgard piegò le labbra in un ferale sorriso.

    Buon viaggio, barriera. Sei stata spedita nel Vuoto Atemporale.

    L'avamposto degli Zeidos adesso era perfettamente visibile, non più semi occultato dai riflessi della cupola.

    "Irriconoscibile e vuoto, assoggetterà luce, vita e materia", recitò a mente. "Che cosa indicano queste Parole di Luce, se non il Vuoto Atemporale? Un non luogo, sì. Che io posso dominare".

    Dopo qualche istante, dopo aver contribuito all'abbattimento della barriera (e soddisfatto Marduk, che si era lamentato di non averne a disposizione), le due mechabestia volanti piombarono sull'avamposto degli Zeidos.

    Furono seguite da un'immensa fortezza volante. Era come un'ombra che schiacciava ogni speranza; sorvolò l'area per cancellarla dall'Ultimo Mondo.

    I giorni che Dodheimsgard aveva impiegato a distruggere la barriera di Ariman avevano concesso al generale Maldoror di mettere a punto due mechabestia volanti, e non solo. Volkablast, del tutto riparato, scendeva di nuovo in campo.

    Preavvisato dal Grande Signore, Maldoror aveva assunto il comando di quell'orrore volante. Puntuale, si presentò nell'entroterra di Varashta.

    Dodheimsgard lasciò fare ai suoi sottoposti, rimanendo protetto nella stazione semovente di Marduk. Poi sarebbe sceso a torchiare i suoi fratelli.

    Di vedetta, su una garitta che s'innalzava all'angolo di una delle tante officine erette dagli uomini dell'avamposto, Reika Garamond era rimasta in attesa per giorni.

    Adesso poteva andarsene. Negli occhi, solo l'orrore che attendeva il loro destino: la barriera era saltata come il conflagrare di una stella. Le mechabestia avanzavano minacciose, e ora, con l'arrivo di Volkablast, la situazione era compromessa fino al punto di non ritorno.

    Tremante di paura, con la speranza schiacciata dagli eventi, rientrò nei sotterranei per diffondere la tremenda notizia.

    Marduk tornò sul Ponte di Comando. Vi trovò il Grande Signore che, mani dietro la schiena, guardava dalle vetrate. L'ombra di Volkablast ottenebrava l'avamposto degli Zeidos e le innumerevoli torri cannoniere erano rivolte verso i loro obiettivi.

    Le due mechabestia erano atterrate e avevano cominciato la loro opera di distruzione. Fiamme alte come palazzi avvolgevano le piantagioni di Trumont e gli edifici operativi. Le officine, dove Grengost veniva riparato, dove Solefald tentava di costruire una nuova fortezza volante e un nuovo mechazaurus, erano dislocate nei sotterranei. Ma sarebbe stata solo una questione di tempo; anche quelle sarebbero andate incontro a distruzione.

    Senza girarsi, Dodheimsgard parlò. - Il Palazzo del Governo e il Ministero della Sicurezza.

    Marduk intese, ma scelse di non rispondere. Di certo non aveva il dono dell'ubiquità. Ma se mi hai richiamato a Varashta...

    Giratosi, il Grande Signore lo fulminò con lo sguardo. - Erano il tuo nuovo quartier generale, e in essi avevi del lavoro da svolgere.

    Marduk vide nel suo padrone la consapevolezza, la piena certezza di sé. Una tale padronanza della situazione che gli permetteva di cambiare argomento nel momento cruciale. Avrebbe preferito concentrarsi sulla battaglia, un evento ormai conclamato. Essere interpellato su altre questioni lo irritò non poco. Gli serviva una vittoria pulita per dimostrare la sua efficienza; certo, con l'aiuto delle Parole di Luce del Grande Signore, ma tanto valeva. Pensava alla sua futura carica di Luogotenente e non era il caso di distrarsi introducendo altre questioni. Tanto era concentrato sull'avamposto degli Zeidos che aveva quasi dimenticato i doveri da portare a termine nei due palazzi del Supremo Reggente.

    - Non vedo l'ora di tornarci, Grande Signore. Dopo la vittoria che otterremo qui.

    Dodheimsgard tornò a guardare fuori. - Hai trascorso del tempo in quei palazzi. Che cosa hai ottenuto?

    - Be', non molto, Grande Signore. Non che abbia passato molti giorni in quelle rovine. Mi hai richiamato qui immediatamente.

    Il Grande Signore non mosse un pelo.

    Marduk capì che non bastava. Doveva dire altro. - Sono qui per obbedirti, Grande Signore, ma ho lasciato squadre di archeologi ai palazzi, soprattutto nel Ministero della Sicurezza. Sono guidate da Gunter Drasden; possiamo fidarci.

    Fece una pausa, nella quale Dodheimsgard ancora non si pronunciò. Non era sufficiente ciò che aveva rapportato.

    - È tutto sotto controllo, Grande Signore. Stiamo studiando il mosaico, quella specie di rosa dei venti, e abbiamo strappato gli occhi all'aquila d'acciaio; ogni segreto sarà rivelato. Queste sono le ultime notizie, fresche di stamane.

    Finalmente il Grande Signore annuì. Alle sue spalle, il generale se ne accorse appena, ma fu sufficiente.

    - Durante la dimostrazione del Teorema della Realtà Diminuita - ricominciò Dodheimsgard - con me e i miei fratelli collaborò anche il pilota di Grengost, quel mostro con metà testa. Danko Regon, credo si chiami. Lui ha un occhio posticcio che è simile a un rubino; interferì con gli occhi dell'aquila. Non so come, ma fu decisivo, e nella fase concitata in cui ci trovammo, non potei strappare a Otyg il segreto. Supponendo che conosca il segreto. Credo non lo sappia nemmeno il Supremo Reggente, anche se immagino abbia scoperto il nesso fra gli occhi dell'aquila sospesa sopra il suo trono e l'occhio del ragazzo con metà testa.

    Per un istante il Grande Signore attese, cercando di capire se la perspicacia di Marduk fosse risvegliata.

    - Per completare il quadro dei Poteri dobbiamo avere il ragazzo, non basta conoscere le peculiarità del mosaico e degli occhi rossi dell'aquila.

    Il Grande Signore aveva visto giusto: Marduk poteva essere il valido sostituto di Burzum. Si girò. - Istruisci i tuoi uomini, generale Marduk. - Voglio il ragazzo qui. Vivo.

    Nonostante fosse stato il primo a dirlo, catturare Danko era un problema per il feroce generale. Durante l'invasione dei sotterranei i nemici avrebbero lottato; di certo Otyg e i suoi fratelli non si sarebbero arresi. Marduk pensava di uccidere tutti per andare sul sicuro, invece Dodheimsgard faceva sempre un passo più degli altri.

    - Agli ordini, Grande Signore. Avrai il ragazzo.

    Nei sotterranei dell'avamposto non avevano bisogno delle notizie raccolte da Reika in superficie. Giungevano loro rumori e vibrazioni provocati dalle macchine belliche nemiche. Ed era bastato vederla arrivare colma di paura per avere la certezza che la barriera dell'ultimo Numero fosse saltata.

    La donna li guardò spaesata. Evitò di parlare.

    Ariman e il Supremo Reggente stavano discutendo animatamente con Solefald. Il Maestro si passava una mano sui capelli sparati in aria. Non sembrava avere la soluzione a portata di mano. Nemmeno per districarsi la chioma.

    Luce di Endors e Numeri non collaboravano, o almeno, Ariman non ne aveva escogitato ancora uno idoneo, un Numero che potesse lavorare con la potenza posseduta dal Re dei Re. Lo sentirono dire che assieme all'Arcanum erano andati perduti troppi libri che avrebbero potuto aiutarlo a risolvere il problema. Quelli che aveva salvato erano pochi e, a quanto pareva, già fruttati fino all'osso.

    Il Supremo Reggente aveva già scatenato la Luce di Endors. Con essa aveva avvolto la cupola dell'ultimo Numero di Ariman, ed era servito solamente a dimostrare che fra le due potenze non c'era collaborazione.

    Invero avevano discusso un progetto per far interagire i Numeri con la Luce di Endors e la Ars Magica, per tentare di risolvere il problema che la Ars Magica, una volta richiamata, si nutriva della Luce di Endors, poiché era un surrogato di quella potenza divina. Se non la stessa cosa. Ma ora la Ars Magica era dispersa nell'etere e non poteva rientrare in quel progetto. Senza mettere in conto che Tesla non era ancora pronto a fornire la Trasmigrazione, che avrebbe dovuto agire in quel proposito. Senza menzionare che la Ars Magica e i Numeri avevano creato un Drago di Luce che non poteva correre in loro aiuto perché la Ars Magica non c'era.

    O una cosa o l'altra, rimuginò Otyg, ascoltando i tre che confabulavano fra loro. Ne manca sempre una.

    - Che cosa facciamo? - domandò sbrigativo Exodus.

    Una domanda semplice ma terribile, alla quale il Grande Otyg doveva dare a tutti i costi una risposta. Ma purtroppo non ne aveva. - Li attendiamo qui - provò a suggerire. - Come avevamo deciso. Sempreché vogliano farci prigionieri e non ucciderci subito.

    - Una soluzione piena di dubbi... - borbottò fra sé Exodus. Ma questa volta non proseguì. Dare contro a suo fratello senza essere propositivi, aveva capito che non serviva a nulla.

    - Reginald! - chiamò Otyg. - Disponi i tuoi uomini... Ariman! Ci affidiamo a te: estrai un Numero, d'accordo? Fosse anche da inventare... Reika! Tu e le altre ragazze alle postazioni di osservazione interne: dobbiamo sapere il momento esatto che vorranno sfruttare per calarsi qui... Supremo Reggente, a te l'ultima difesa: confidiamo nella Luce di Endors, come eterna speranza.

    Il Grande Zeidos continuò così per un po', impartendo ordini perentori, ma dallo scarso conforto. Erano in trappola, e lo sapevano.

    Danko Regon, il Mezzatesta, nemmeno ascoltava. Non era in grado di parlare, ma il tocco di Esos lo aiutava a capire. A volte. Questa volta lui la soluzione la conosceva. Ce n'era solo una che poteva essere adottata. Solo che Otyg non sarebbe stato d'accordo.

    Nessun macchinario bellico poteva salire in superficie e ostacolare l'avanzata dei nemici. Molti dei mezzi degli Zeidos, come la fortezza volante Halbadast, li avevano addirittura perduti. Questa era la situazione contingente. Ma Danko non la pensava così. Guardò a lungo Dorian Gallop, l'occhio di rubino che scintillava. Ma il suo amico pensò solamente che il Mezzatesta stesse cercando conforto. Invece Danko gli stava suggerendo una soluzione che solo loro due potevano adottare.

    Azioni imprevedibili.

    Assi da giocare.

    Nel trambusto generale, Danko si ritrovò nelle officine. Davanti a lui, Grengost era in piedi e circondato da un ponteggio, sul quale lavoravano senza sosta uomini che avevano iniziato a montare le nuove armature. Il colosso d'acciaio si presentava come un endoscheletro quasi completamente nudo.

    - Dove credi di andare? - domandò Rudolph Diesel, che seguiva i lavori di riparazione.

    - Blip!

    Fu l'unica risposta di Danko. Un pensiero che non poteva elaborare e nemmeno far intendere.

    Il Mezzatesta si arrampicò sul ponteggio come una scimmia, facendo capire in qualche modo, agli uomini su di esso, di scendere a terra. Lassù, gli occhi di Grengost sembravano guardarlo, brillavano come se fossero d'accordo con lui.

    Mentre Diesel urlava il suo disappunto, Danko entrò nella testa del gigante di ferro dal portello laterale. Si mise ai comandi. Almeno lì, nella cabina di pilotaggio, il Mezzatesta constatò che le riparazioni erano finite. Sapeva che Grengost avrebbe funzionato anche privo di armature.

    In breve i motori di Grengost furono avviati; un tuono prolungato, come un rombo sommesso, ma inarrestabile. Gli ultimi uomini non erano ancora scesi dal ponteggio. Invero qualcuno fece appena in tempo a tuffarsi a terra.

    Fra stridori metallici, il colosso allargò un poco le braccia, un movimento sufficiente a far crollare il ponteggio che lo circondava. Sotto, gli uomini si diedero a una fuga precipitosa.

    Rimase Diesel. Salì sul ciarpame ammucchiato ai piedi di Grengost. - Non serve a nulla, ragazzo! - urlò.

    Danko, trenta metri più in alto, sigillato il portello della cabina, lo sentiva appena.

    - Non può funzionare - continuava l'ingegnere. - Rischierai Grengost e la tua vita!

    - Blip! Nemici. Uccidere. Distruggere!

    Con cigolii assordanti, il colosso di ferro mosse un passo. Anche Diesel dovette cercare riparo.

    Nelle altre sale, gli altri udirono. Sapevano solo che i nemici non potevano essere già scesi nei sotterranei.

    - Questi sono i movimenti di Grengost! - gridò Exodus. Guardò Rakot in cagnesco; credeva che avesse tenuto a bada il ragazzo. Che fosse d'accordo con Danko?

    Lo Zeidos tenebroso non si pronunciò.

    Non ci fu tempo per altre discussioni. Gli scossoni provocati da Grengost fecero cadere a terra tutti quanti.

    Dorian Gallop finalmente capì che cosa aveva voluto far intendere Danko con quello strano sguardo fisso su di lui. Si rialzò e corse alla rimessa. Occhi lo seguirono, ma non le parole.

    Lì trovò i fratelli Wright che guardavano le riparazioni di King Condor.

    Dorian notò tristemente che il motore in avaria non era ancora stato sostituito. Uno basterà.

    - Levatevi di torno! - sbraitò. - E attivate il montacarichi.

    Mentre i fratelli aviatori protestavano a viva voce, Dorian salì sul suo mezzo volante e accese l'unico motore utilizzabile.

    Orville Wright protestò ancora, ma una mano di Wilbur si posò sulla sua spalla. - Lasciamolo fare. Non hai sentito? Anche Grengost si sta muovendo. Forse Otyg ha cambiato idea e vuole mandare all'attacco i due portenti.

    Si sbagliava di grosso, ed era tardi per rimediare.

    Otyg entrò nella rimessa di corsa. La pedana era già in cima. Con le paratie dei sotterranei aperte, lo Zeidos vide uno scorcio di cielo, quasi del tutto occupato da Volkablast.

    - Sciagurati! - urlò Otyg, adirato. Si trattenne dal dire altro; ormai il guaio era ben confezionato.

    I fratelli Wright capirono di non aver capito.

    Danko aveva avviato Grengost nel lungo tunnel in pendenza, che in breve lo portò all'aperto.

    Due mechabestia erano in azione per schiantare ogni speranza, ma non avevano ancora demolito il boccaporto, discosto dall'arena centrale. Volkablast occupava l'intero cielo e cannoneggiava a profusione dall'altro lato delle mechabestia.

    Era un inferno di fuoco.

    Danko vide King Condor emergere alla superficie. - Blip!

    Dorian tirò a sé la cloche. King Condor rollò nell'arena e si sollevò in volo poco prima di schiantarsi nelle gambe delle mechabestia, che erano di spalle.

    Accortesi dei mezzi nemici, le mechabestia si sollevarono in volo per contrastarli.

    Danko! - chiamò Dorian. - Uniamoci!

    Con terrore tale da fermare il cuore, prima che le cannonate di Volkablast potessero colpirli, prima che le mechabestia si rivoltassero contro di loro, con una manovra ardita da rasentare la pazzia, i due ragazzi cercarono di unire i loro mezzi.

    Cosa che non avvenne. Dopo avere spiccato il salto, Grengost franò a terra; King Condor lo sorvolò, impotente, e riprese quota.

    Quando la Ars Magica fu dispersa nell'etere, grazie al lavoro di Ariman e gli altri, i due mezzi erano già uniti tramite il magnete, e così rimasero fino alla fine della battaglia. Ma adesso, ancora privi dei Khalesh, e senza Ars Magica, i ragazzi non potevano richiamare il Potere del Creato dell'Acciaio per agevolare il lavoro del magnete. Esso doveva attirare e unire il fondo piatto della fusoliera di King Condor con la schiena di Grengost; una schiena che, senza esoscheletro, era un ammasso di ingranaggi priva di una superficie piana.

    Abbiamo commesso un errore mostruoso pensò Dorian, terrorizzato. Otyg aveva ragione a non farci uscire se non a riparazioni avvenute.

    L'avventatezza si paga cara e i due ragazzi l'avrebbero constatato a loro spese.

    Era diventato simile a un tic nervoso. Continuava a passarsi nella nuca l'unica mano rimasta.

    Che io sia dannato, sto diventando come Maldoror. Lui e le sue labbra, che non stanno ferme un istante. Gli impedissero di dire castronerie, almeno!

    Camminava avanti e indietro nel suo studio personale, un ufficio che ultimamente non gli era servito molto: camminare e tastarsi la nuca erano i pochi movimenti concessi dal suo fisico ancora convalescente.

    Ne aveva passate di brutte a Oht. Invero era convinto di morirci, se non in quella realtà parallela, almeno quando si era disperatamente aggrappato all'unico relitto a cui potesse saldarsi in mezzo all'Oceano Sears.

    Invece, il Grande Signore era venuto a salvarlo. Ancora una volta. E adesso era lì, a Dagorast, in attesa di tornare al suo posto: quello di Luogotenente del Grande Signore. Forse.

    I suoi ufficiali lo tenevano informato. Sapeva che cosa stavano facendo Marduk e Dodheimsgard. Sapeva che una nuova battaglia era in svolgimento nell'entroterra di Varashta, quella terra ormai deturpata da innumerevoli scontri di Potere.

    Se il suo fisico ancora non gli permetteva di tornare a pieno servizio, la sua mente, d'altra parte, era sempre stata attiva. Fuori di dubbio una mente brillante, una delle più capaci dell'intera Umanità.

    Doveva dimostrare, più a se stesso che al Grande Signore, che lui era ancora importante, non fosse che i suoi personali interessi, agognati e non ottenuti, non collimassero quasi mai con quelli del suo padrone. D'altro canto, ogni sua personale iniziativa era naufragata nell'Oceano Sears. Insieme alla capsula, però, e da ciò ne trasse soddisfazione.

    Con tutto ciò che aveva scoperto nel Pozzo degli Incantesimi, lui poteva ancora avere voce in capitolo, se non addirittura le redini del gioco in mano. Almeno ci sperava. Tramite lui, Esos aveva tentato di uccidere Dodheimsgard. Ma i tre nove avevano fallito. O meglio, lui aveva fallito. Li aveva sfruttati malamente, quando gli incastri di quel dannato Potere non erano ancora perfezionati.

    Eppure, qualcosa mi dice che sarò ancora protagonista. Devo esserlo! Per dare significato a questa eterna esistenza: una condanna che si protrae oltre la morte, stante il richiamo in vita su questo Mondo.

    Ed era stata la peggiore condanna quella di non riuscire a trovare pace nemmeno nella morte.

    Lasciamo stare, e rimbocchiamoci le maniche... La manica, volevo dire. Si guardò il moncherino. Devo fare qualcosa anche per questo.

    La sua mente tornò alla realtà. Doveva rientrare nei giochi, o sarebbe impazzito. Doveva capire fino a che punto era estromesso dagli eventi. Decise di partire da una grave incongruenza.

    Sedette alla telescrivente a onde radio e si mise in contatto con quella della stazione semovente di comando di Marduk, dove sapeva che il Grande Signore era presente per seguire di persona le manovre sul campo di battaglia.

    Senza la capsula, perduta in mare, il suo padrone non poteva controllargli la mente, come aveva fatto finora; solo palesare la sua presenza. Perciò doveva scrivere. Rischiava, però, che Marduk s'intromettesse, leggendo ciò che la telescrivente sputava fuori. Ma il rischio era calcolato: scrisse apponendo il suo sigillo, intimando al marconista della telescrivente della stazione di comando che il messaggio era riservato al Grande Signore; che solo lui si avvicinasse alla telescrivente.

    Restò in attesa.

    Quando Dodheimsgard gli comunicò di procedere, scrisse che era ormai certo che le Parole di Luce fossero un Potere del Supremo Padre Divino. Che le avesse introdotte nel Libro Nero, che era Suo, così come aveva introdotto altri Poteri nel Pozzo degli Incantesimi. Perché Esos aveva prodotto le Parole di Luce? A Oht aveva pensato che fosse per distrarre il Grande Signore dal tentativo di ottenere Phaeton. Poteva essere molto vicino alla verità.

    Dodheimsgard rispose che in un primo momento era giunto a credere lo stesso motivo, anche se la questione poteva essere più complicata di quanto supposto. Infatti, le Parole di Luce gli erano servite per molte altre cose, e questo non lo disse. Aggiunse, però, che avevano funzionato, come da lui previsto, contro la barriera eretta da un Numero di Ariman. Quest'ultimo era la reincarnazione di Morrigan, suo figlio, vissuto in un Mondo che da lungi era stato cancellato. Allora, se le Parole di Luce fossero un inganno di Esos, perché gli aveva permesso di utilizzarle contro i Numeri, che dovevano per forza di cose essere un altro Potere donato da Esos ai suoi nemici?

    Dodheimsgard non diede credito alle teorie esposte dal suo Luogotenente.

    Io cammino nel Vuoto Atemporale furono le ultime parole scritte dal Grande Signore. Cosa che non può fare nemmeno Esos.

    Burzum si allontanò dalla telescrivente.

    Il Supremo Padre Divino è un tale mistero... Sappiamo, però, che lo è, e forse ancor di più, anche per Otyg. E io, che sia dannato in eterno, sono uno strumento di Esos.

    Per adesso lasciò macerare tali pensieri e andò a vedere se fosse possibile fare qualcosa per il suo moncherino.

    Nei sotterranei dell'avamposto giungevano rumori preoccupanti.

    Otyg lasciò i fratelli Wright, uscì dalla rimessa, salì in superficie per un istante a guardare la battaglia, poi tornò dai suoi fratelli.

    - Come avevo supposto! - ringhiò. - Danko e Dorian ci hanno elusi e sono usciti con Grengost e King Condor. E resteranno separati, lo sapete. Senza il Potere del Creato dell'Acciaio, il magnete di King Condor non può attrarre Grengost come dovrebbe. Fuori ci sono due mechabestia alate e la fortezza volante di Dodheimsgard -. Bruciò gli altri con uno sguardo infuocato. - Riparata in tempo utile, dannazione, mentre noi non abbiamo nulla che possa contrastarla. Stanno distruggendo tutto!

    Solefald cercò di calmare suo fratello. - Se sono stati più veloci di noi a riparare i loro mezzi e sfornarne addirittura di nuovi, non è colpa nostra. Dagorast è immensa e Dodheimsgard ormai possiede la maggior parte delle raffinerie e delle acciaierie dislocate sull'intero Mondo.

    - Le giustificazioni non m'interessano - ribatté Otyg. - Ora dobbiamo cambiare i piani. E alla svelta, anche. Ci mancava altro che qualcuno prendesse iniziative scavalcando i miei ordini! Dobbiamo prepararci a qualsiasi evenienza. Vediamo... - Cominciò a camminare su e giù. - Avvisate Reika e le sue ragazze, che salgano ai pertugi. Si tengano al sicuro, ma dobbiamo osservare in tempo reale lo svolgimento della battaglia. Organizzate staffette per portarmi notizie. Quaggiù siamo già dislocati. Ariman, Supremo Reggente; ascoltatemi. Non possiamo affidarci a Grengost e King Condor: non sono idonei alla battaglia. Numeri e Luce di Endors sono le uniche potenze alle quali possiamo affidarci.

    Il vecchio barbabianca stava già sfogliando Numeri Notevoli, e altri libri. I pochi salvati dalla sciagura di Halbadast, quelli che aveva con sé in quel tragico momento. La sua fronte era corrugata, riprova di una preoccupazione mai osservata in lui. D'altronde, disporre ancora di qualche Numero dovevano considerarlo un miracolo.

    - Ariman - lo distrasse Otyg. - Resterai quaggiù: i Numeri saranno la nostra ultima difesa. E tu, Supremo Reggente, ti prego di fare compagnia alle ragazze ai pertugi e proteggere con la Luce di Endors quei due sciagurati sui loro mezzi.

    Pareva che nemmeno Exodus avesse qualcosa da dire. Strano: forse quel giorno impararono ad affidarsi al loro Condottiero con maggior fiducia. D'altronde la realtà non concedeva altra soluzione.

    Uomini salirono in superficie insieme al Supremo Reggente. Chi rimase nei sotterranei sapeva che cosa fare: attendere e sperare.

    Gli agenti di Reginald Krups e gli amici di Rosko, ormai anche loro armati, si appostarono nei punti strategici. Laggiù il nemico non doveva entrare, sempreché non crollasse tutto, sempreché il nemico avesse interesse a catturarli e non ucciderli seduta stante.

    Otyg chiamò Nikola Tesla e Ariman. - Secondo voi non è possibile fare un tentativo, disperato che fosse?

    Tesla non diede modo di far capire se avesse inteso che cosa voleva dire il Condottiero.

    Ma Ariman sgranò gli occhi. - Tu stesso hai suggerito che probabilmente non si tratta di Esos che non è pronto a donarcelo, ma che siamo noi a non capire come indurre Esos a fornircelo. Se non risolviamo questo nuovo dubbio non possiamo progredire. Il tentativo a Oht è miseramente fallito. Sbaglio? 

    - D'accordo su tutto, ma dobbiamo spremerci le meningi. Adesso più che mai.

    - Trasmigrazione, Numeri, Realtà Occulta, Matrice e tutto ciò a cui ci eravamo affidati - intervenne Tesla - potrebbe darsi che funzionino. Invero, non possiamo saperlo perché a Oht le vicende presero una piega inaspettata. L'operazione fu impossibilitata dal crollo della piramide rovescia e da un'altra serie di eventi serrati, attraverso i quali non trovammo tempo sufficiente per attivare le procedure dei Poteri coinvolti. E rimane irrisolto il mistero della Materia Oscura. In seguito, per disperdere la Ars Magica nell'etere, abbiamo adottato una procedura simile, ma come possiamo vedere, ciò che vuoi veramente ottenere è ancora inchiodato in fondo al mare, avvolto nel mistero.

    - E il misterioso cappello di Nova, non è più con noi - aggiunse Ariman

    - Se è per questo non abbiamo nemmeno la Trasmigrazione - confermò Tesla. - I miei macchinari sono ancora in fase di assemblaggio.

    Otyg li guardò come volesse ucciderli. Non era da lui. - Ma qualcosa dobbiamo pur fare!

    Ariman scosse la testa.

    Tesla abbassò lo sguardo.

    Che cosa possiamo fare? si chiese il vecchio barbabianca. Ancora non so nemmeno che cosa siano di preciso questi Numeri. Mi gioco trecento anni della mia vita che non lo sa nemmeno Dodheimsgard, che può camminare nel Vuoto Atemporale e interrogare ogni realtà.

    Al silenzio che seguì, Otyg decise di non insistere. Phaeton rimaneva un sogno inavvicinabile, anzi, si stava trasformando in un incubo senza fine.

    Il suo volto espresse tutta la delusione di essere capitato in un Mondo che in nessun modo riusciva a proteggere.

    PARTE PRIMA

    L'AMORE A COMANDO

    6.0

    PIETRA E NUMERO

    Il vecchio Ariman compulsava freneticamente le pagine di Numeri Notevoli. Le bruciava letteralmente, gli occhi che danzavano sulle strane scritture stampate sulle pagine. Pareva che solo lui riuscisse a decifrarle.

    Otyg aveva provato a sbirciare più di una volta quando Ariman apriva i libri che trattavano i Numeri. Non ci aveva mai capito nulla. E questo nonostante i tomi gli appartenessero; erano stati custoditi per innumerevoli anni nell'Arcanum, la sua personale biblioteca, ormai scomparsa insieme ad Halbadast.

    I libri che contenevano il Potere dei Numeri facevano parte di quella schiera di volumi modificati da... Esos? In seguito a numerose discussioni con i suoi fratelli, Otyg ormai ne era quasi certo, ma nulla doveva essere dato per scontato. Libri modificati, o addirittura scritti ex novo, erano stati trovati e sfruttati da Nova, sia in vita, sia in forma di anima, dopo la sua morte terrena. Tramite essi gli Zeidos avevano risolto parecchi problemi, invero alcuni di fondamentale importanza, e speravano con tutte le loro forze che ciò accadesse di nuovo.

    Anche Solefald aveva guardato i libri che apriva Ariman, e nemmeno lui ci aveva capito qualcosa, nonostante fosse il Maestro degli Zeidos e capace in ogni arte. A quel punto fu chiaro che il tipo di scrittura stampata sulle pagine fosse interpretabile solo agli occhi di Ariman, in qualche modo riservata solo a lui. Otyg capì il perché: il Potere dei Numeri era a disposizione solo per il vecchio barbabianca; su questo ormai nessuno Zeidos aveva dubbi. Il tocco di Esos guidava Ariman, la reincarnazione di Morrigan.

    E alla fine, anche quel giorno, il vecchio estrapolò un Numero, ma che lì, nell'avamposto assalito dal nemico, non serviva a nulla.

    Ricordati la luce azzurra.

    La sua porzione di mente razionale si era arresa. Lasciò fare a quella che si era introdotta forzatamente, quella che era condizionata dalla Luce di Antiche Memorie; quella che gli aveva fatto capire chi fosse fin dal principio: la reincarnazione di Davide Brasletti. Una mente che ora cercava una via percorribile.

    Le pareti della cella furono rischiarate da un tenue lucore. Una nebbia luminescente stava trasudando dai muri; cominciò a illuminare le linee di congiunzione tra una pietra e l'altra.

    Alex abbassò lo sguardo: stava accadendo la stessa cosa con le mattonelle del pavimento. Scesa dalle pareti, la nebbia dorata strisciò per terra.

    Non formulò alcun pensiero, ma obbedendo all'istinto tirò fuori la Pietra del Richiamo.

    Non era cambiata per nulla; emetteva la consueta luce azzurra. Ma come se operasse in simbiosi con la luce gialla che s'irradiava dalle pareti, la luce azzurra incendiò la pietra. Un bagliore sorse in cima a quella specie di diamante allungato e vorticò, mescolandosi con la luce che aveva invaso la cella, realizzando una girandola gialla e azzurra.

    Ad Alex parve di avere in mano un lecca lecca trasformato in lampada. Non seppe quale ramo della sua mente intervenne, ma pensò: Ecco perché quando l'anima di Nova venne a liberarmi me la chiese, ma alla fine me la lasciò.

    Il lecca lecca di luce s'ingrandì a dismisura, fino a inglobare l'intera cella. Nelle spirali gialle, Alex vedeva vorticare e fluire un insieme di formule astruse: Numeri, un dipanarsi a guisa di formule matematiche. Ah! Ma guarda... questi Numeri mi ricordano qualcosa.

    La porta della cella si aprì.

    Non emise alcun rumore. Ruotò come fosse fatta d'acqua.

    Riacquistata la sua mente razionale, Alex rimase stupefatto.

    Un Numero elaborato da Ariman e la piccola porzione di Luce di Endors, contenuta nella Pietra del Richiamo, avevano collaborato. Fossero stati presenti Otyg e Solefald, e soprattutto il Supremo Reggente, avrebbero sgranato gli occhi. Lì, nelle profondità di Dagorast, non distante dall'aula del Trono Oscuro, le due potenze avevano interagito. E una porta si era aperta. Nell'avamposto degli Zeidos, nemmeno l'ombra di tale collaborazione.

    La Luce di Endors era univoca, espressione della potenza del Supremo Padre Divino, ma i Numeri da lui concessi erano quasi infiniti. Evidentemente si trattava di trovare quello giusto, che potesse interagire con la potenza divina. Era un passaggio che Ariman aveva già vagliato, senza considerare che molti libri che contenevano i Numeri, strumenti idonei per sfruttarli, non c'erano più. Eppure quell'unico Numero estrapolato pochi minuti prima, nella disperazione che lo aveva colto nei sotterranei dell'avamposto, aveva funzionato. 

    Sospinto da una volontà inarrestabile, espressa dalla sua mente razionale e da quella instauratasi in lui, Alex fece capolino nei corridoi.

    Non trovò nessuna creatura vivente, tranne l'ovulo di luce contenente l'anima di Nova.

    Lei era tornata da Alex. Se per salvarlo, o per morire insieme a lui, era una questione da valutare.

    Comunque sia, una porta si era aperta e una via di fuga sarebbe stata indicata dall'anima di Nova.

    Non appena Alex vide la sua amata, si meravigliò due volte: la prima nel vedere che aveva fatto ritorno; la seconda nel constatare la sua sofferenza.

    - Nova! - esclamò, soffocando un grido.

    Dal petto del fantasma, trafitto dalla Spada Nera di Dodheimsgard durante il precedente fallito tentativo di fuga, continuava a sgorgare quella misteriosa luce fluida. Era sangue... ma di luce. E questa volta fluiva anche se Dodheimsgard non era presente, andato a elargire i suoi tormenti all'avamposto degli Zeidos.

    Erano passati molti giorni da quando lei fu ferita.

    La mia Nova non guarisce comprese Alex. Un nuovo supplizio la tormenta. Nemmeno da morta riesce a trovare pace.

    Il volto della fanciulla era accartocciato in una smorfia di estremo dolore. Eppure era venuta a salvarlo. Alex sperò che questa volta riuscisse nell'impresa; lui, da solo, aveva già ottenuto il massimo che gli fu consentito.

    L'immagine diafana di Nova portava il cappello dal nastro rosso calcato in testa. Piegato di lato, come se stesse per scivolare a terra. Il Khalesh pendeva sul suo petto, spento, ma inondato dal sangue luminoso.

    - Vieni, Alex -. La sua voce era un lamento angosciante. A ogni parola, il luminoso fluido ematico sgorgava in fiotti più intensi.

    Lacrime scesero copiose sulle guance di Alex. - Ma che cosa ti è successo? Che cos'è quella luce che riversi?

    - Non perdiamo tempo - ribatté l'anima di Nova.

    Allungò una mano, con il palmo rivolto verso il basso... E Alex si ritrovò avvolto nell'ovulo di luce, come la prima volta che lei aveva tentato di liberarlo da quella prigionia.

    - Ho questa - disse Alex, mostrando la Pietra del Richiamo che emanava la girandola di luce gialla e azzurra.

    - Ci proteggerà. Non ha esaurito il suo compito aprendo la porta della cella. Io passo anche attraverso i muri, lo sai.

    - Allora a cosa serve?

    - L'ho detto. Ci proteggerà. È una barriera. È il necessario che debba concederci; non sarò trafitta di nuovo. Ma ora mettila via, prima che ne scorgano il bagliore. Senza di me non riusciresti a fuggire in ogni caso. Non c'è tempo per altre spiegazioni. Andiamo!

    Alex infilò in tasca la pietra del Richiamo, ma la girandola di luce gialla e azzurra inglobò anche l'ovulo di luce che conteneva lui e l'anima di Nova.

    Il ragazzo era a contatto con l'incorporea figura della sua amata. Ma la luce liquida che sgorgava dal suo petto possedeva lo stato fisico reale, e si diffuse sui suoi indumenti. Questa volta non tentò di baciarla: era atterrito dalla sua sofferenza.

    L'anima di Nova si piegò in avanti, come se stesse per accasciarsi, ma poi si riprese. - Andiamocene, prima che arrivi qualche guardia. 

    E così avvenne. Attraverso pareti, pietra, ferro e ogni altro strato di cui era formata la roccaforte, lo stato incorporeo di Nova trasportò Alex alla luce del Sole.

    Lui era sbalordito. Era passato attraverso corpi solidi, come se fosse anche lui fatto di nulla.

    L'ovulo di luce che contiene l'anima di Nova è potente. Magico. Un'armatura che solo la maledetta lama di Dodheimsgard ha potuto forare. Ed ecco perché ora abbiamo un'armatura supplementare fornita dalla Pietra del Richiamo e dal Potere contenuto nel nuovo Numero fusosi con essa.

    - Perché non proseguiamo? - domandò poi, notando che avevano smesso

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