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Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500
Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500
Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500
E-book182 pagine2 ore

Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500

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Di loro si dice:
Da alcuni studiosi è considerato il più importante novelliere del Rinascimento. Molto probabilmente William Shakespeare conobbe la traduzione francese delle novelle di Bandello, da cui trasse il soggetto per le commedie Molto rumore per nulla e La dodicesima notte. Anche la tragedia Romeo e Giulietta si ispirerebbe ad un testo di Bandello. 
Colto patrizio veneziano, archeologo, numismatico, tradut­tore di Platone, mise insieme 36 novelle col titolo Le sei gior­nate, nelle quali sotto diversi fortunati ed infelici avvenimenti
Lando coi personaggi ben delineati e con la narrazione arguta, piana e chiara riesce uno dei più piacevoli novellatori del secolo.
Gentiluomo mantovano, trascorse lunghi anni militando in varie regioni d'Europa. Datosi agli studi, si acquistò la stima dello stesso Tasso. Pubblicò nel 1585 un gruppo di 15 novelle, legate l'una all'altra con una dedicatoria.

ARETINO PIETRO (1492-1556); BANDELLO MATTEO(1485-1561); BARGAGLI SCIPIONE (1540-1612); CASTIGLIONE BALDESAR (1478-1529).  DE’ MORI ASCANIO (1535-1591); DONI ANTON FRANCESCO (1515-1574)ERIZZOSEBASTIANO(1525- 5);FIORENZUOLA AGNOLO(1493-1543)    FORTINI Pietro (1500-1562); LANDO Ortensio(1512-1553);
PARABOSCO Girolamo (1524-1537); STRAPAROLA Giovan Francesco (????-1557)
LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2019
ISBN9788899481353
Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500

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    Racconti e Novelle del millecinquecento italiano 500 - autori vari

    Racconti e novelle

    del

    Millecinquecento italiano

    Table Of Contents

           Aretino 4

           Bandello  8

             Bargagli 26

             Castiglione 39

            De’ Mori 41

             Doni 48

            Erizzo 54

             Fortini 72

            Lando 77

              Parabosco 80

              Straparola 92

    EditoreBorelliPublisher

           Aretino

    Aretino Pietro

    1492-1556

    Il notissimo panegirista e libellista che trascorse la vita avventurosa e dissoluta maneggiando la penna ora come strumento di elogio sperticato, ora come pugnale di freddo ricatto per piegare i potenti a comprare con laute donazioni o la parola o il silenzio di lui; lo spregiudicato scrittore che non senti mai la nobiltà dell'arte che educa, anzi si compiacque d'infangarla di oscenità per appagare il suo egoismo di gaudente e per divertire gli altri, non rinunziò a portare in qualche suo scritto la nota briosa della narrazione piacevole. Poche sono queste narrazioni, per lo più burle, che non hanno neppure il pregio della novità; ma tutte si ricordano per la spigliatezza della forma e la freschezza della lingua.

    Un Barone francese ruba un oriuolo di gran valuta nella camera del re Luigi, e viene accusato del furto dal sonare dell'ore; di che rimane svergognato alla presenza dei cortigiani e del Re, che ridendone gli perdona, e di più lo regala dell'oriuolo.

    Un barone francese, avendo giuocato fino al credito ch'egli aveva in sulla fede, per buscar danari fece il più bel tratto che s'udisse mai. Essendo egli nella camera del re Luigi insieme con una gran frotta di signori, i quali dovevano far compagnia a Sua Maestà a un vespro solenne, adocchiato sopra una tavoletta uno oriuolo fornito d'oro massiccio, si recò nel gesto che fa l'uccello vista la civetta Ma per non ci essere i migliori custodi della robba loro che i padroni propri, il re si accorse che il cotal signore gliene voleva carpir suso; per la qual cosa fingendo di por mente altrove, vede che l'amico se lo mette destramente in la manica. Visto tal novella, il re ritenendo a pena le risa, se ne uscì della camera, e dato mezza volta per sala, si pose con le spalle appoggiate al muro di quella porta per cui si scendeva giuso la scala; e messosi a parlar con un suo, attendeva con le orecchie tese il sonare delle cotante ore. Passeggiava il barone con la turba dell'altra baronia, quando il tin, tin, tin, fece ristringere le brigate in sè stesse; e continuando il suono del replicato tintinnio, ognuno si guardava intorno alle mani e ai piedi. Il valente uomo, sbigottito da senno, stringeva pure il braccio, mentre l'ore non restavano di sonare; e perchè il suo stringerselo al petto non acquetava l'oriuolo, entrò in un tremito di vergogna sì mescolata di paura che pareva nel viso e di terra e di fuoco. Se la brigata nell'accorgersene ne rise e stupì, crediamo che tu ce lo creda. Cotale suo stupore allegro fu attonito e ridicolo in un tratto: attonito per non comprendere così al primo di donde venisse il suono, e ridicolo per la piacevole novità di sì bel caso. Ma quel che cresceva la festa in ciascuno era la tosse venuta al Re per le risa che non lo lasciava parlare. Il Francese trattosi in ginocchioni cominciò: Sire, gli stimoli della forza del giuoco sono sì possenti che spingono altri a ogni villana codardia. Nè seguitò più oltre, però che la magnanima Sua Maestade gli ruppe le parole dicendo: Signore, il piacere che abbiamo sentito avanza in modo il danno che voi ci avete fatto, che l'oriuolo è vostro.

    Il Brandana ito al focolare per accendere il lume prende per brado ardente gli occhi di una gatta che gli si avventa alla faccia; e i corsi alle strida di lui, credendosi che egli abbia a fare col diavolo, si fuggono a gambe. Il Brandana stesso racconta una sottil gherminella fatta dal diavolo ad un Romito.

    Il Brandana fu non meno scelerato che giuocatore, e per non sapere altro mestiero faceva l'arte dei vizii. Ritrovandosi una notte in giuoco, il vento della carta data giù con furia gli spense il lume, e spegnendogliene, corso al fuoco che stava ricoperto dalla sua cenere, venutogli alle mani certo solfanello, credendosi che gli occhi della gatta, che si giacea sul focolare, fossero carboni isfavillanti, gliene ficcò dentro in modo ch'ella se gli aventò al collo con i graffi e al volto con i morsi. Nel gridare egli, che si sentiva lacerare, graffiare: Io son morto, fece tutto iscuoter colui che lo stava aspettando con le carte. Intanto alcuni che vegghiavano in una stanza appartata, udito il grido bestiale, corsi là con un pezzo di torchia ardente, veduto il gatton vecchio e nero, nero che malmenava il Brandana, credendolo il demonio, lasciatosi cadere il torchio, che non si spense, giù in terra, la dierono a gambe. Parendo al graffiato e morduto di averne andare nello inferno di peso, promesse a Dio di farsi romito casalingo iscampando. Sì fatto brigante tre sere in prima dell'intravenir del caso, dovendo contare una delle sue baie in certo luogo, che si tace per bene, avendo la mano della sua amicizia in mano, disse che il satanasso si dava al diavolo, bontà d'un padre solitario che non istimava punto le sue tentazioni. Onde tutto l'inferno si era messo alla prova per farlo prevaricare; ma il reverendo non si movea per mostra di tesoro, nè per offerta di gradi, nè volontà di libidine. Alla fine un gaglioffuzzo, ischiuma, cadere, delle fraudi degli spiriti maligni, disse: Ride Plutone, che non giugne l'alba che l'amico è de' nostri. Ciò detto, ecco trasformarlo in un pastore più presso all'età di fanciullo che di garzone. Nè si tosto fu in cotal figura che se ne venne alla cella dell'uomo mezzo santo con il maggior fracasso di vento, di pioggia e di grandine che mai s'udisse. Intanto accostatosi all'uscetino del romitorio, cominciò a bussarlo con un fremito di denti, con un tremito di membra e con un languor di voci che averla fatto pietosa la sua propria crudeltade. Sentiva sua paternitade il pianto tutto, e se gli apriva il cuore di compassione; ma temea in modo le insidie diaboliche, che si stava sospeso tra il vado aprirgli, o il pongomi in orazione. All'ultimo amor nei prossimo togliendolo fuora dell'ambiguità, lo condusse allo sportello con un lumicino, che ispentosi prima che l'aprisse, ritornò per un istizzolo, tizzone, di fuoco, il quale sentito il borea, forte vento, faceva l'uffizio d'una fiacola ardente. Era cosa da notare e da riderne insieme il vedere come il nimico stava all'erta circa il por mente al romito; e nell'alzar egli il braccio, ser diavolo chiudeva gli occhi per non avere a fuggire il segno della croce. Aperto che gli ebbe, la creatura ottima non s'accorse che il traditore si serrava l'orecchie con le dita, dubitando che non s ricordasse il nome del Signore. Una brancata di sermenti secchi secchissimi acquietò il pastorcino tremante, che fingendo che gli fusse ritornata la favella, contò il come si eri smarito, delle pecore disperse, et il dolore che del suo non essere a casa avria la mamma, e tutto. Il romito, fattoli parte del pane, con cui rompeva il capo al digiuno, e ristoratolo con una ciottola di vino assai buono, non dava cura a lui, che ristrettosi in sè stesso pareva la purità postasi là in gesto semplice. Da una sua beretaccia rotta nel mezzo germogliavano alcune ciocche di capegli splendidi come l'oro filato; e le macchie dell'eremo dov'egli erano, non produssero mai vermiglie rose nè bianche che pareggiassero i bianco et il vermiglio delle sue guancie tenere e tuffollotte. Gli stracci che gli ricoprivano le gambe, per non poterne far altro, lasciavano discoperte le lor polpe, come se la necessiti fusse arte; e la gonnella cinta d'un vincastro campeggiava si bene in su la sua isvelta personcina, che se Cupido si vestisse si fatto abito di bisgiello, panno grosso, non sarebbe altrimenti. Il tentatore, che aveva i denti e le labbra simiglianti gli acini delle melagrane acerbe e mature, per essere isfibiato dinanzi, mostrava nel petto candido duo pomi lattei che era un pericolo a guardarli. Egli nel di fuora si fece maschio, e nel di dentro femina; e ciò gli parve perchè il romito non gli averebbe aperto nella sembianza muliebre. Gli occhi eremitani senza mai porre il casto del mirar loro nelle vaghezze dello aversario, per esserne più che ora, si gettò in un letticciolo di foglie; e perchè il pastorello si riposasse anch'egli, se lo fece colcare a piedi, così semplicemente come se fusse stato un bambino. Il maledetto non fu si tosto giù che cominciò a strugiolarsegli tra le dita in modo, che il romito a lume spento et a fuoco ricoperto, vedeva e sentiva quel certo che, da cui l'uomo, se ben lo comprende, non sa perciò guardarsene. Che t'ho io a dire? Il penitente, persuaso dallo stimolo del pensarci e dalle lusinghe del non ci pensare, cadde in tentazione. Subito che il diavolo fu venuto alle sue, ispiccato là un salto, disse con uno iscoppio di risa: "Sappi, padre, ch'io sono il fistolo, lo spirito maligno, che ti ci ho pur colto. "Adunque tu che mi hai fatto iscappucciare, cadere in fallo, sè il demonio? Si, rispose egli. Se così è, soggiunse il valente uomo, io ci ho pur colto avendo scoperti li tuoi lacciuoli.

           Bandello

    Bandello Matteo

    1485-1561

    Di Castelnuovo Scrivia; frate domenicano, dopo una vita di peregrinazione per l'Italia e la Francia, che gli dette agio di guadagnarsi amici e protettori, e di conoscere uomini e cose, finì vescovo di Agen. Presto si dette a scrivere novelle; e ad esse dedicò con serietà d'artista la sua lunga esistenza, avendo a modello il Boccaccio, ma tenendosene lontano nella intelaiatura dell'ampia raccolta, sono 215 novelle! Per la varietà dei soggetti, per l'ampiezza del disegno, per la felice inquadratura d'ogni novella in una dedicatoria, l'esempio glielo aveva dato Masuccio Salernitano, e per certe doti di narratore garbato, non scevro di spirito comico e di una certa efficacia, è stato chiamato il Boccaccio lombardo. Certo il B., nonostante la scarsa originalità di molti dei suoi racconti, suggeriti e talvolta troppo pedissequamente presi da altri, nonostante la prolissità in cui essi si perdono uggiosamente, e la oscenità in cui troppi di essi diguazzano, è il difetto, si può dire, di tutti i novellieri, è il più importante novellatore del secolo e per l'importanza storica che i suoi racconti, e particolarmente le dedicatorie, hanno conducendoci nella intimità della società contemporanea, e per un certo vigore narrativo e rappresentativo che non gli si può negare.

    BANDELLO

    All’illustrissimo signore Sforza Bentivoglio

    Mentre che la molto gentile e dotta signora Cecilia Gallerana contessa Bergamina, è la nota favorita di Ludovico il Moro, prendeva questi dì passati l'acqua dei bagni di Acquario, per fortificar la debolezza dello stomaco, era di continovo da molti gentiluomini e gentildonne visitata, sì per esser quella piacevole e vertuosa signora che è, come altresì che tutto il dì i più elevati e belli ingegni di Milano e di stranieri che in Milano si ritruovano sono in sua compagnia. Quivi gli uomini militari dell'arte del soldo, dell'assoldare, cioè di raccogliere mercenari e tenere soldati, ragionano, i musici cantano, gli architetti ed i pittori disegnano, i filosofi delle cose naturali questionano, ed i poeti le loro e d'altrui composizioni recitano, di modo che ciascuno, che di virtù o ragionare od udir disputar si diletti, trova cibo convenevole al suo appetito; per ciò che sempre alla presenza di questa eroina. di cose piacevoli, vertuose e gentili si ragiona. Ora avvenne un giorno che, essendosi  lungamente di cose poetiche tra dui famosi spiriti disputato, cioè tra il signor Antonio Fregoso Fileremo cavaliere, e messer Lancino Curzio, Un genovese, che visse a lungo presso gli Sforza a Milano, Il dotto e piacevole messer Girolamo Cittadino' prese le Cento Novelle del leggiadrissimo Boccaccio in mano, e disse :Signora contessa e voi signori, poichè la disputazione della poesia si è finita, io sarei di parere che entrassimo in alcun ragionamento più basso e piacevole, ovvero che si leggesse una o due delle novelle del Boccaccio, come più a voi piacerà. Bene ha parlato, disse allora la signora Camilla Scararnpa, il nostro Cittadino, acciocchè gli affaticati intelletti per le cose dotte disputate, alquanto con ragionamenti piacevoli e di leggera speculazione siano ricreati. A questo soggiunse la signora Gostanza Bentivoglia, moglie del signor conte Lorenzo Strozzo: Ed io ancor sono del parere vostro; ma perchè chiunque è qui ha più volte lette e udite le Cento Novelle, io sarei di openione che alcuno di voi dicesse di quelle o istorie o novelle, che così non sono divolgate. Si faccia, si faccia disse quasi tutta la brigata, quando la signora Cecilia pregò il signor Manfredi dei signori di Correggio, giovine costumato e piacevole, che una novella volesse dire. Il quale dopo alcuna escusazione alla fine una ne narrò, che molto alla lieta compagnia piacque. Onde io avendola scritta, e in eco pensando a cui donarla dovessi, voi tra molti mi occorreste, al quale meglio che a nessun altro ella conviene; essendo voi negli anni della florida giovanezza, oltre le molte doti che in voi sono, di maturi costumi e di provida discrezione dotato. Ed io porto ferma openione che mai non sareste stato così trascurato, come furono i dui Ongari nella novella nominati. Il perchè leggendo le loro pazzie, vi sforzarete più di giorno in giorno misurare le operazioni vostre, come saggiamente fate, col compasso della ragione, ed avanzar la espettazione che la buona creanza" vostra sempre ci ha dato. State sano.

    Io non so, signora Cecilia molto amabile ed onoranda, se così di leggero mi debbia, avendomene voi pregato, porre a novellare, non essendo io molto pratico di cotal mestiero, nel quale veggio alcuni in questa nobile ed onorata compagnia, che vie meglio di me con maggior sodisfazione di tutti, essendo in quello essercitati, si diportarebbero, ed io più volentieri ad udirli me ne dimorami, che esser io il dicitore. Ma perchè voglio che sempre i vostri cortesi prieghi abbiano appo me luogo di comandamento, io alla meglio che sapere', dirò una novella, la quale, non sono molti anni, il signor Niccolò di Correggi, traduttore di commedie, che fu caro agli Estensi", mio zio, narrò, essendo dal regno d'Ongaria tornato, ove per commessione" del duca Lodovico Sforza era ito per accompagnar il signor donno Ippolito da Este, cardinal di Ferrara, che a prender la possessione del vescovado di

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