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Alla periferia del progresso: Le correnti politiche ottocentesche  in Eça de Queirós e  Leopoldo Alas “Clarín”
Alla periferia del progresso: Le correnti politiche ottocentesche  in Eça de Queirós e  Leopoldo Alas “Clarín”
Alla periferia del progresso: Le correnti politiche ottocentesche  in Eça de Queirós e  Leopoldo Alas “Clarín”
E-book317 pagine4 ore

Alla periferia del progresso: Le correnti politiche ottocentesche in Eça de Queirós e Leopoldo Alas “Clarín”

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Se c’è un concetto che, nell’immaginario collettivo, è intrinseco e finanche consustanziale a quello di modernità, tale concetto è quello di progresso. Sin dalla fine del XVIII secolo, l’Europa occidentale aveva conosciuto una grande trasformazione economica e sociale: l’incremento del sistema bancario e dei trasporti, ma soprattutto le rivoluzioni industriali, avevano spostato l’asse delle economie nazionali dall’agricoltura al secondo settore. La nascita delle fabbriche cambiava il volto delle metropoli, con l’ampliamento e il degrado delle periferie e l’arricchimento dei centri. Il nuovo assetto economico, tuttavia, non fu, in massima parte, foriero di un livellamento sociale e ciò provocò violente ribellioni che diedero vita a rivolte segnate dal sangue. In questo scenario, quale posto occupavano il Portogallo di José Maria Eça de Queirós (1845-1900) e la Spagna di Leopoldo Alas ‘Clarín’ (1852-1901)? Entrambe le nazioni iberiche stentavano a inserirsi nell’alveo dell’Occidente evoluto per ragioni politiche, economiche e culturali. Eça e Clarín fecero parte, rispettivamente, della Geração de 70 e della Generación de 68; tale analogia si accompagna alla condivisione della corrente letteraria e all’assonanza delle vicende storiche dei rispettivi Paesi. 
LinguaItaliano
Data di uscita27 dic 2019
ISBN9788878536944
Alla periferia del progresso: Le correnti politiche ottocentesche  in Eça de Queirós e  Leopoldo Alas “Clarín”

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    Anteprima del libro

    Alla periferia del progresso - Maria Serena Felici

    Bibliografia

    PREFAZIONE

    Mariagrazia Russo

    Per due nazioni come il Portogallo e la Spagna, che dal XV sino a tutto il XVII secolo avevano dominato la scena mondiale in quanto potenze coloniali, l’Ottocento si apre sull’onda tragica delle guerre napoleoniche; si sviluppa con l’avvento di sanguinose guerre civili – la guerra di successione per il trono lasciato vacante in Portogallo da D. Pedro, che guidò l’indipendenza del Brasile, e la guerra carlista in Spagna; si chiude con l’ Ultimatum inglese per il Portogallo, doloroso vulnus nazionale, e con perdite coloniali disastrose per la Spagna, segnando dunque una parabola discendente per entrambe le nazioni sul piano economico, politico e sociale. Tutto ciò ne fa un’epoca di svolta tanto nel ruolo della Penisola Iberica sullo scenario europeo e mondiale quanto nell’autopercezione dei due popoli rispetto alle altre potenze occidentali: vedendo il peso dei propri Paesi scendere sensibilmente nello scacchiere mondiale, portoghesi e spagnoli risentirono profondamente dell’estinguersi del sogno imperialista. In Portogallo, questo ebbe ampie ripercussioni dal punto di vista politico, con l’avvento della Repubblica, che avrebbe dovuto sostituire una monarchia considerata artefice del fallimento, ma che non tardò a deludere le aspettative nazional-popolari dando terreno fertile al golpe militare del 1926; e da quello culturale, con la ripresa di miti legati al glorioso passato colonialista, come quello di D. Sebastião, sublimato nell’attesa di un riscatto nazionale, e la nascita, già nei primi decenni del XX secolo, di una generazione letteraria nazionalista che si radunò attorno al gruppo della Renascença Portuguesa e che trovò la sua massima espressione nel saudosismo di Teixeira de Pascoaes. Si può affermare, dunque, che nell’Ottocento iniziano a delinearsi il Portogallo e la Spagna dei nostri giorni, con contraddizioni più o meno risolte ed elementi culturali tuttora caratterizzanti. Eça de Queirós e Leopoldo Alas Clarín, oggetto di studio di Maria Serena Felici, entrarono nel vivo del dibattito intellettuale, rispettivamente, del Portogallo e della Spagna, Paesi natali, esprimendo la proprio posizione su ogni aspetto della società moderna.

    Tali posizioni e il modo in cui esse emergono dalla produzione letteraria e saggistica dei due scrittori è il focus dell’autrice di questo volume, che la nostra collana ospita con piacere. Il volume si inserisce negli studi sulla letteratura portoghese del XIX secolo, sottolineando l’esemplare specularità delle vicende storiche dei due Paesi iberici e del pensiero dei due scrittori e aprendo la strada a nuovi possibili lavori che prendano in esame altri esponenti delle letterature portoghese e spagnola per cogliere eventuali altri elementi di continuità.

    La scelta di introdurre questa monografia nella presente collana deriva dal solido impianto scientifico che esso presenta: Maria Serena Felici prende in esame l’intera opera di Eça e di Clarín, narrativa e saggistico-giornalistica e si serve di una base di studi critici molto ampia per arrivare a formulare un contributo nuovo nell’ambito della lusitanistica e dell’iberistica.

    Mariagrazia Russo

    Professore Ordinario di Lingua e Traduzione Portoghese e Brasiliana

    presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT)

    INTRODUZIONE

    Giorgio de Marchis

    Maria Serena Felici sceglie un titolo felice per il suo studio dedicato al pensiero politico di José Maria Eça de Queirós e di Leopoldo Alas «Clarín», due romanzieri iberici – portoghese il primo, spagnolo il secondo – della seconda metà dell’Ottocento: Alla periferia del progresso . Al di là dell’omaggio a Roberto Schwarz e al suo celebre studio su Machado de Assis, il titolo ribadisce che il XIX secolo, come qualunque altra periodizzazione storica, non può essere considerato un contenitore omogeneo e monolitico; al contrario, è un tempo scandito al suo interno da temporalità diverse, che evidenziano una nitida gerarchizzazione culturale. Nell’Europa ottocentesca, in sostanza, vi sono culture nazionali che, consapevoli della propria marginalità, sembrano muoversi in una lontana periferia dalla quale avvertono non tanto l’idea predominante di inarrestabile progresso quanto l’affannoso ritardo che da esso le separa. Da questo punto di vista, come giustamente ha scritto Eduardo Lourenço in uno dei suoi saggi più noti, nell’Ottocento ormai da tempo convivono due ragioni in Europa, o meglio, esiste l’Europa al di là e l’Europa al di qua dei Pirenei [1] ; così, dal momento in cui la catena pirenaica è diventata una frontiera prima culturale che geografica, la storia della penisola è stata simultaneamente quella di una resistenza di varia natura alle istanze di rinnovamento che arrivavano da Parigi, Londra e Berlino (l’Europa che pensa, stando alle parole di Antero de Quental) e quella del tentativo da parte di un’élite progressista, minoritaria ed estrangeirada di assimilazione del modello razionalista-illuminista avvertito come imprescindibile strumento di modernità scientifica. Clarín ed Eça de Queirós sono senza dubbio figure di primo piano di questa illuminata intellighenzia iberica che ha guardato all’Europa come a un modello da imitare – ma non pedissequamente, seguendo i dettami di un superficiale francesismo – e da introdurre anche attraverso la letteratura, il romanzo naturalista e post-naturalista e una produzione giornalistica che dialogava – come dimostra Maria Serena Felici – in maniera serrata con il resto della propria produzione letteraria.

    Pur soffermandosi su un secolo come il XIX che vede il trionfo dell’idea di nazione, questo libro – che si inserisce con merito all’interno della rinnovata tradizione degli Studi iberici – ha il merito di proporre un confronto tra realtà culturali che valicano i propri confini politici, presentando un’analisi dettagliata e comparata di un vasto corpus di testi, grazie alla quale il lettore avrà modo di cogliere la notevole varietà culturale propria della Penisola Iberica vista, come recentemente hanno affermato Antonio Sáez Delgado e Santiago Pérez Isasi, come un sistema complejo de interrelaciones históricas, susceptibles de ser estudiadas conjuntamente mas allá de las tradicionales divisiones lingüísticos-literarias [2] . In quest’ottica, nell’ultimo trentennio dell’Ottocento si coglie una chiara sincronia estetica tra le due nazioni, provocata dalla ricezione del Naturalismo in Spagna e in Portogallo. All’interno di questo fenomeno, Eça de Queirós – rapidamente tradotto, letto e commentato da diversi scrittori e critici spagnoli, a cominciare dallo stesso Clarín, che ben presto riconosce la grandezza dell’autore di O Primo Basílio – diventa il punto di riferimento per un Naturalismo di matrice inevitabilmente francese ma anche profondamente iberico. In un quadro continentale caratterizzato da scambi culturali squilibrati e asimmetrici, la grandezza di due geniali periferici come Eça de Queirós e Clarín risiede, infatti, nella comune capacità di andare ben oltre la mera imitazione degli ammirati e inevitabili modelli stranieri – in entrambi i casi, Flaubert più che Zola. Del resto, come ricorda Antonio Candido, in ambiti culturali non predominanti, la creazione letteraria subisce l’impatto dei testi elaborati nelle culture centrali ma, allo stesso tempo, imperiosa è anche la sollecitazione del contesto sociale in cui l’autore è immerso [3] . Ecco perché Eça de Queirós e Clarín non imitano ma piegano i propri modelli alle specifiche esigenze nazionali – nazionali ma condivise, in una dimensione peninsulare di scoraggiante ritardo culturale – per riflettere anche attraverso i propri personaggi romanzeschi sull’eredità del colonialismo, sui limiti dell’Iberismo, sulle opportunità di una svolta repubblicana, ma anche sui condizionamenti e le ingerenze di un clero immorale e reazionario e sulla questione femminile in Spagna e in Portogallo. Temi e problemi sociali su cui prendono posizione anche attraverso articoli pubblicati su quotidiani e riviste, saggi e conferenze. In ciò risiede la grandezza di entrambi gli autori e la natura militante del loro impegno intellettuale. Come giustamente scrive Maria Serena Felici in conclusione del suo studio, al di là delle divergenze stilistiche e dei mezzi più idonei per mettere politicamente in pratica una trasformazione laica del proprio paese, per Eça de Queirós e Leopoldo Alas «Clarín» lo scrittore, anche vestendo i panni del giornalista, doveva contribuire al progresso della nazione, permettendo così di affrancare la Spagna e il Portogallo dall’avvilente condizione di obsoleta e decaduta periferia dell’Europa.

    Giorgio de Marchis

    Professore Ordinario di Letteratura Portoghese e Brasiliana

    presso l'Università degli Studi Roma Tre


    [1] Eduardo Lourenço, Il tempo dell’Europa, Venezia, Marsilio, 2002, p. 27.

    [2] Antonio Sáez Delgado; Santiago Pérez Isasi, De espaldas abiertas: relaciones literarias y culturales ibéricas (1870-1930), Granada, Editorial Comares, 2018, pp. 2-3.

    [3] Antonio Candido, De Cortiço a Cortiço, in Id. , O Discurso e a Cidade, São Paulo – Rio de Janeiro, Duas Cidades – Ouro sobre Azul, 2004, pp. 105-129.

    1. EUROPA E PENISOLA IBERICA NELL’OTTOCENTO: BREVE CONTESTUALIZZAZIONE

    Se c’è un concetto che, nell’immaginario collettivo, è intrinseco e finanche consustanziale a quello di modernità – che, non a caso, oggi non riveste più una funzione di mera categoria cronologica – tale concetto è quello di progresso. Sin dalla fine del XVIII secolo, l’Europa occidentale aveva conosciuto una grande trasformazione economica e sociale: l’incremento del sistema bancario e dei trasporti anche internazionali su rotaia, ma soprattutto le rivoluzioni industriali, avevano di fatto spostato l’asse delle economie nazionali dall’agricoltura al secondo settore. Sul piano delle idee, ciò portò allo sviluppo di un’idea di progresso [1] che assunse varie forme di pensiero politico: anzitutto, il fiorire delle dottrine liberali [2] , che deprecavano l’intervento dello Stato in economia e incoraggiavano l’iniziativa imprenditoriale; se Mill [3] e Tocqueville [4] , tra i principali teorizzatori, erano portatori di ideali progressisti in materia di diritti civili, un’ala liberale era decisamente conservatrice, come quella espressa dall’iberico Donoso Cortés [5] . Spencer, altro grande esponente liberale, si rifaceva alle teorie evoluzioniste per illustrare un individualismo sociale secondo cui

    La povertà degli incapaci, le pene che affliggono gli imprudenti, la fame degli oziosi e le spallate con cui i forti si fanno largo spingendo da parte i deboli, con il che tanta gente viene lasciata nei bassifondi e in miseria, sono i decreti di una grande e previdente benevolenza [6] .

    Tra le classi più alte cambiavano, contemporaneamente, i consumi culturali, con l’introduzione dell’editoria a grande tiratura che rendeva più fruibile la lettura soprattutto nelle grandi città. In letteratura, al romanticismo in voga nei primi decenni del secolo si oppose, in Francia, il realismo di Stendhal, Balzac e Flaubert, con la sua evoluzione naturalista introdotta da Zola, che al sentimentalismo voleva opporre l’asettica descrizione della realtà sociale e dei suoi meccanismi intrinseci. La Chiesa vedeva la propria linea di pensiero oscillare tra posizioni conservatrici, come quella di papa Pio IX, e democratiche, come quella di Leone XIII. La nascita delle fabbriche, fenomeno prevalentemente urbano, cambiava il volto delle metropoli, con l’ampliamento e il degrado delle periferie dato dall’afflusso di contadini indigenti desiderosi di riconvertirsi come operai e l’arricchimento dei centri conseguente al lussureggiare delle case di una sempre più folta borghesia imprenditoriale [7] .

    Il nuovo assetto economico, tuttavia, non fu, in massima parte, foriero di un livellamento sociale e ciò provocò violente ribellioni delle classi disagiate che diedero vita a rivolte segnate dal sangue – su tutte, si ricorderanno i moti del ’48 e la Comune di Parigi. Il divario sociale fu colto e osteggiato dal pensiero socialista, che si articolò in diverse branche: dai cartisti di Owen, in Inghilterra, di ispirazione saint-simoniana [8] , Fourier e Blanc in Francia e Rodbertus in Germania, che proponevano una linea moderata, pragmatica e antirivoluzionaria; al comunismo rivoluzionario di Marx, che, ne Il Capitale (1867), illustrava i nei del sistema capitalista e promuoveva la dittatura del proletariato successiva alla rivoluzione. Nel corso della prima Internazionale socialista, del 1869, a Marx ed Engels si oppose la linea di Proudhon, che deprecava la rivoluzione per preferirvi l’attessa del fallimento del capitalismo, considerato inevitabile [9] .

    Contemporaneamente, l’Ottocento ha segnato la nascita degli Stati-nazione, con un corollario ideologico molto spesso [10] , in cui campeggia il nome di Ernest Renan [11] , e dell’idea di ispirazione rousseauiana di repubblicanesimo in Portogallo e Spagna fortemente legato alla dottrina iberista [12] ed Europa federale. La spinta progressista, dal canto suo, incoraggiava rivendicazioni sul piano dei diritti civili tra cui si ricorderà quella per il suffragio femminile, di matrice liberale, guidato da Harriet Taylor [13] , e quella socialista di Emma Goldman. In tale contesto, venne a determinarsi e definirsi anche un solco tra le nazioni, che opponeva quelle più industrializzate e progressiste a quelle ove modelli economici e culturali permanevano legati al passato.

    In questo scenario, quale posto occupavano il Portogallo di José Maria Eça de Queirós e la Spagna di Leopoldo Alas ‘Clarín’? Secondo Boaventura de Sousa Santos, il Portogallo era uma sociedade de desenvolvimento intermédio [14] , economicamente e culturalmente periferica rispetto ai Paesi industrializzati dell’Europa centrale e, al contempo, centro di un impero coloniale destinato a costituire, nel secolo successivo, il cosiddetto ‘terzo mondo’. Dopo il disastro dell’invasione napoleonica, che aveva portato la Corona a rifugiarsi in Brasile agevolando anche la perdita dell’immensa colonia sudamericana, resasi indipendente nel 1822, una sanguinosa guerra di successione dinastica aveva dilaniato il popolo portoghese che, dopo una ripresa economica sotto il regno di D. Maria II nella seconda metà del secolo – periodo significativamente passato alla storia come Regeneração – terminò il secolo sotto l’onta dell’Ultimatum con cui l’Inghilterra intimava la ritirata lusitana dai territori africani compresi fra Angola e Mozambico. Alla crisi politica e sociale, ma soprattutto all’idea di un mancato appuntamento con il progresso culturale, rispondeva la Geração de 70, gruppo di intellettuali nato nell’Università di Coimbra che contrastò tenacemente l’intellettualità conservatrice e, maxime, quella romantica, considerata retrograda e parassitaria [15] . Solo la letteratura realista, secondo Antero de Quental, Oliveira Martins, Teófilo Braga, Ramalho Ortigão, Adolfo Coelho, Salomão Sáragga, José Fontana, Batalha Reis, Guerra Junqueiro e altri, avrebbe potuto farsi portatrice di un messaggio culturale progressista e democratico. La trasformazione del gruppo in Vencidos da vida, negli ultimi anni ‘80 – certamente ispirato anche dal diffuso sentimento di decadenza finisecolare che, come scrive Giovanni Macchia, faceva avvertire un generalizzato brivido dell’immensa velatura del progresso [16] – non rende l’idea della rivoluzione culturale che essi, introducendo idee, dottrine, opere saggistiche e letterarie dall’estero, seppero introdurre nel Paese [17] .

    In Spagna, doloroso teatro di guerra napoleonica, la ferita sociale data dalle guerra carliste aveva creato un’instabilità politica ed economica allarmante, amplificata dallo sgretolamento dell’impero coloniale e suggellata dal desastre cubano del 1898. Una sempre maggiore frammentazione nazionale era accompagnata da fenomeni come le rivendicazioni indipendentiste da parte di gruppi armati regionalisti, tra cui si ricorderanno il Partido Regionalista Vasco e la Unió Catalanista, ma anche i partiti galiziani, aragonesi e andalusi; il fenomeno del caciquismo, il potere ricattatorio esercitato dai politici e signorotti locali, contribuiva ad annientare la credibilità di una classe politica già in forte depressione. A ciò reagivano iniziative culturali e filosofiche di notevole spessore, come il diffondersi del krausismo, dottrina proveniente dalla Germania e introdotta in Spagna da Giner de los Ríos [18] che puntava all’educazione di una nuova generazione ispanica sulla base dell’eguaglianza tra i sessi, della spiritualità antidogmatica, della democrazia e della necessità di rendere l’istruzione accessibile a ogni censo; e la cosiddetta Generación de 68, che riuniva scrittori del calibro di Benito Pérez Galdós, Armando Palacio Valdés, Emilia Pardo Bazán, Pedro Antonio de Alarcón e Juan Valera, tra gli altri, che introdussero il realismo letterario nel Paese [19] . Entrambe le nazioni iberiche, dunque, stentavano a inserirsi nell’alveo dell’Occidente evoluto per ragioni politiche, economiche e culturali: solo l’incremento delle vie di comunicazione, facilitando i viaggi e agevolando i soggiorni studio per i giovani delle classi più abbienti, consentì un maggiore afflusso di opere letterarie, scientifiche e filosofiche in una Penisola fortemente ancorata alla tradizione e al costumbrismo.

    Eça de Queirós (1845-1900) e Leopoldo Alas ‘Clarín’ (1852-1901) fecero parte, rispettivamente, della Geração de 70 e della Generación de 68; tale analogia si accompagna alla condivisione della corrente letteraria e all’assonanza delle vicende storiche dei rispettivi Paesi. Questo lavoro vuole approfondire le posizioni che assunsero Eça e Clarín dinanzi alle vicende storiche nazionali e continentali e le possibili influenze che esercitarono su di loro le dottrine politiche che si svilupparono in Europa nel corso del XIX secolo. In un primo momento si tratteranno i due autori separatamente e, per ciascuno, si analizzerà la posizione riguardo i medesimi macrotemi che caratterizzarono il dibattito intellettuale ottocentesco: il tema del progresso e l’idea che i due avevano di società all’avanguardia; quello della nazione e, collegato ad esso, il parere sul colonialismo; la questione femminile e il legato culturale che essa traeva con sé. Il primo di questi macrotemi, che è anche quello più ampio e più ricorrente nell’opera queirosiana e clariniana, è diviso in due focus che costituiscono i punti nodali della visione progressista dei due autori: il divario sociale, la formazione di nuove generazioni nazionali e la classe politica, da un lato; il ruolo del clero nella società e il proprio, personale, sentimento religioso dall’altro.

    Un ultimo capitolo sarà, infine, dedicato a una proposta comparativista tra Eça e Clarín, alla luce di quanto evidenziato nelle sezioni precedenti, cercando di individuare, se le premesse lo consentiranno, un sostrato comune alla produzione letteraria – e all’intellettualità nel suo complesso – iberica del XIX secolo.


    [1] Cfr. John Bury, Storia dell’idea di progresso, Milano, Feltrinelli, 1964.

    [2] Cfr. Guido De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari, Laterza, 1995.

    [3] Cfr. John Stuart Mill, Principi di economia politica, Torino, UTET, 1983.

    [4] Cfr. Alexis de Tocqueville, Scritti politici, Torino, Utet, 1968.

    [5] Cfr. Juan Donoso Cortés, Obras completas, II, Madrid, Bac, 1970 e Gaetano Mosca, Storia delle dottrine politiche, Bari, Laterza, 1978.

    [6] Cfr. Herbert Spencer, L’individuo contro lo Stato, Roma, Bariletti, 1989 e Id., Principi di sociologia, II, Torino, Utet, 1967.

    [7] Cfr. Eric John Hobsbawm, Il trionfo della borghesia. 1848-1875, Roma-Bari, Laterza, 1976.

    [8] Cfr. Claude-Henri de Saint-Simon, Opere, Torino, UTET, 1975.

    [9] Cfr. George D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, II e III, Bari, Laterza, 1977.

    [10] Cfr. Federico Chabod, L’idea di nazione, Bari, Laterza, 1961, p. 61.

    [11] Cfr. Ernest Renan, Che cos’è una nazione, Roma, Donzelli, 1993.

    [12] Cfr. Maurizio Ridolfi, Terras republicanas: tradições e culturas políticas na Europa meridional, in Armando Malheiro da Silva, Maria Luiza Tucci, Stefano Salmi, República, Republicanismo e Republicanos. Brasil, Portugal, Itália, Coimbra, Imprensa da Universidade, 2011, pp. 39-57.

    [13] Cfr. John Stuart Mill; Harriet Taylor, Sull’uguaglianza e l’emancipazione femminile, Torino, Einaudi, 2008.

    [14] Cfr. Boaventura de Sousa Santos, Onze teses por uma ocasião de mais uma descoberta de Portugal, in Id., Pela mão de Alice. O Político e o Social na Pós-Modernidade, Porto, Afrontamento, 1994, p. 53.

    [15] Giorgio de Marchis, L’Ottocento. L’Europa come miraggio (1862-1900), in Giulia Lanciani (a cura di), Il Settecento e l’Ottocento in Portogallo, Roma, Universitalia, 2014, p. 198.

    [16] Giovanni Macchia, Le rovine di Parigi, Milano, Mondadori, 1985, p. 412. Sul sentimento di decadenza intrinseco all’idea di progresso, si vedano anche Paolo Rossi, Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Bologna, il Mulino, 1995 e Gennaro Sasso, Tramonto di un mito. L’idea di «progresso» tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1984.

    [17] Cfr. Vitorino Nemésio, La génération portugaise de 1870, in Regards sur la génération portuguaise de 1870, Parigi, Fundação Calouste Gulbenkian-Centro Cultural Português, 1971 e João Gaspar Simões, A Geração de 70: alguns tópicos para a sua história, Lisboa, Inquérito, [s.d.].

    [18] Cfr. Gonzalo de Miguel Capellán, La España armónica. El proyecto del krausismo español para una sociedad en conflicto, Madrid, Ed. Biblioteca Nueva, 2006.

    [19] Cfr. Manuel Tuñón de Lara, La España del siglo XIX, Barcelona, Ed. Laia, 1974.

    2. UN INTELLETTUALE CONTRO LA FRAMMENTAZIONE E LA DECADENZA DELLA SOCIETÀ: JOSÉ MARIA EÇA DE QUEIRÓS

    2.1. IL PROGRESSO NEL PENSIERO QUEIROSIANO

    2.1.1. Società, politica e istruzione

    José Maria Eça de Queirós nacque a Póvoa de Varzim, piccola località sulla zona costiera del Portogallo settentrionale, il 25 novembre del 1845, figlio naturale del magistrato José Maria de Almeida Texeira de Queirós e Carolina Augusta Pereira de Eça. Per la legge dell’epoca, il suo riconoscimento ufficiale da parte dei genitori poteva avvenire solo dopo le loro nozze; prima di allora, egli fu affidato ai nonni, con cui visse fino al 1855, quando si trasferì a Porto per studiare nel Colégio da Lapa, diretto dal padre di Ramalho Ortigão. Nel 1861, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Coimbra e questo fu indubbiamente il periodo che più lo segnò e tracciò il sentiero del suo percorso intellettuale: qui, infatti, ebbe compagni di corso con cui, già terminati gli studi e trasferitosi a Lisbona per esercitare la professione di avvocato, fondò il Cenacolo [1] . Appena iniziato a frequentare i corsi universitari, il giovane Eça de Queirós si rese conto dell’inattualità di un sistema educativo basato sul nozionismo anziché sull’approfondimento critico; la frequentazione di coloro con cui avrebbe fondato il Cenacolo, contemporaneamente, gli pose dinanzi il problema di una letteratura nazionale ancorata a paradigmi a tratti vetusti o scandalosi. Presto, dunque, lo scrittore maturò l’idea di promuovere una riforma in campo artistico e culturale e, in quest’ottica, si trovò ad affrontare vari punti salienti: il tema del progresso europeo e del peso che assumeva il fatto che una modernizzazione puramente tecnologica non fosse accompagnata da un superamento del divario sociale; il tema della politica e delle sue responsabilità in tale quadro; la questione, infine, di quanto accadeva fuori dai confini nazionali, e dei rapporti tra la patria e l’Occidente più avanzato. Questi tre punti e tutti i loro molteplici sviluppi lo accompagnarono durante tutta la sua produzione letteraria, oltre che durante la sua intera esistenza.

    Sin dalla giovinezza, l’autore di Os Maias aveva dimostrato interesse per i temi di attualità che riguardavano l’estero e i rapporti internazionali. Leggeva di politica estera soprattutto francese; era, pertanto, cosciente e permeabile alle nuove idee positiviste con cui l’uomo ottocentesco contava di portare alla luce tutte le leggi fisiche che reggono l’universo. Ebbe inizio, in questo periodo, la prima fase della produzione giornalistico-letteraria e letteraria di Eça: quella giovanile, caratterizzata da una critica mordace, spavalda e tagliente a una classe politica considerata truffaldina e inefficiente e ai costumi anacronistici e insalubri della società contemporanea: a partire dal 1866, Eça scrisse alcuni testi di carattere politico e sociale, che furono radunati e pubblicati postumi nel 1909 con il titolo di Prosas Bárbaras. Alla fine dello stesso anno, partì per Évora, dove fondò e diresse il giornale d’opposizione Distrito de Évora. Apostrofando la classe dirigente liberale della Regeneração, scriveva durante gli anni di Évora:

    Ah! Vós dizeis que amais o progresso. Amais o progresso que vos inventa cadeiras mais cómodas; o progresso que vos monta operetas de Offenbach para acompanhar alegremente a digestão do jantar; o progresso que descobre melhores limas para cortardes os calos! Esse progresso decerto o amais! Mas o que não amais é o progresso político, porque esse traria uma ordem de coisas que extinguira os vossos ordenados, levantaria as vossas décimas sonegadas, transtornaria as vossas posições – isto é este progresso tirar-vos-ia os meios de poderdes gozar o outro. E aí está o que vós não quereis, amáveis bandidos! [2]

    Questo brano, scritto ancora negli anni ’60, inaugurava di fatto una lunga riflessione sul tema del progresso, che le esperienze all’estero, date da viaggi personali e incarichi diplomatici, avrebbero arricchito di elementi; avrebbe scritto a Ramalho nel 1873 da Montréal:

    Nova Iorque não tem civilização. [...] Civilização não é ter uma máquina para tudo – e um milhão para cada coisa: a civilização é um sentimento, não é uma construção. […] Os homens públicos de alto a baixo, são um rolo de ladrões. […] Ladrões! Nova Iorque transborda de ladrões: veste-os, exporta-os, vende-os – e quantos mais enforca, mais lhe nascem. Se você sai do seu hotel e encara alguma das grandes ruas de Nova Iorque, fica aterrado: aquela agitação, estrondo, ruído, febre, rostos consumidos e secos, toilettes únicas, carruagens nos passeios, ónibus aos lados […] [3] .

    Durante il periodo di Évora, si nota una crescente polarizzazione nella sua visione

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