Boris Vian - Il principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés
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Anteprima del libro
Boris Vian - Il principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés - Giangilberto Monti
Tavola dei Contenuti (TOC)
Prefazione patafisica di Roberto Mercadini
1. Jazz Hot (1941-1946)
2. J’irai cracher sur vos tombes (1946-1948)
3. Rive Gauche (1948-1949)
4. Cité Véron (1950-1952)
5. Le Déserteur (1953-1954)
6. La bande à Bonnot (1954-1955)
7. Chansons possibles et impossibles (1956)
8. Pizza musicale (1957)
9. En avant la zizique (1958)
10. Je voudrais pas crêver (1959)
Testi delle canzoni
j’suis snob
les pirates
berrò
je bois
valzer del sole
valse jaune
le déserteur
tango dei macellai
les joyeux bouchers
la giava delle bombe atomiche
la java des bombes atomiques
rock and roll-dog
rock and roll-mops
picchiami, johnny
fais-mois mal, johnny
non vorrei crepare
je voudrais pas crever
golem poesia
©
2017
Miraggi Edizioni
via mazzini
46
,
10123
Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
In copertina: foto dell’autrice
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di settembre
2017
da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
su carta Book Cream Avorio
80
gr.
Edizione cartacea: febbraio
2018
ISBN
978-88-96910-27-1
Edizione digitale: febbraio
2018
ISBN
978-88-96910-76-9
Prefazione patafisica
di Roberto Mercadini
Ci sono persone che, a un certo punto della vita, cambiano vita. E ci sono persone che nella vita cambiano vita tutti i giorni; nel senso che di vite ne hanno due o più, da vivere contemporaneamente, e sono costretti a saltare dall’una all’altra ogni santo giorno.
Può capitare poi che persone di questo genere, fra un salto e l’altro, un cambio d’abito e l’altro, una metamorfosi e l’altra, si incontrino fra loro.
Prima di essere un poeta e un narratore teatrale, anch’io ho avuto una vita doppia, un’esistenza bifronte, con mute di pelle continue e talora un po’ brusche: di giorno ero un ingegnere, e lavoravo come programmatore software presso un’azienda di vernici; di notte, invece, ero furtivamente ciò che poi sono rimasto a tempo pieno: poeta-teatrante, come si è detto.
Ma prima ancora di questa doppia vita, sono stato studente; uno studente iscritto alla facoltà di ingegneria che coltivava una passione smodata per la poesia. Ossia sono stato – ahimè! – aspirante ingegnere e, nel contempo, aspirante poeta. E in questo scampolo di vita piena di ansiose aspirazioni, acre, acerba, ma già irrimediabilmente biforcuta, ho incontrato due personaggi entusiasmanti e duplici.
Andiamo con ordine.
Poco più che ventenne, ho ascoltato fino a logorarla una audiocassetta (oggetto relativamente recente, anagraficamente mediano fra il vinile e il file audio, ma già ignoto alle giovani generazioni tanto quanto il telegrafo o la ceralacca).
La cassetta recava incise e ripeteva ripetutamente sotto la mia istigazione le magnifiche canzoni di Boris Vian (primo personaggio), genio a dir poco poliedrico e dalle vite assai molteplici: poeta, romanziere, trombettista jazz, autore di canzoni, cantante delle stesse e – strano ma vero – ingegnere.
Le canzoni di Vian non riuscivano davvero a stancarmi, le riascoltavo ad ondate; ogni volta mi inebriavano e mi sapevano suscitare una risata. E uno dei motivi essenziali di tutta questa soddisfazione, naturalmente, era che ne capivo i testi: parola per parola. Le canzoni di Vian in quella cassetta non erano, infatti, cantate nella lingua e nella versione originale, ossia in francese. Bensì erano state provvidenzialmente e perfettamente tradotte in italiano. E l’uomo che si era speso in questo faticoso contorsionismo, in questa perigliosa acrobazia, era lo stesso che con tanto entusiasmo ascoltavo cantare attraverso il mangiacassette: Giangilberto Monti (secondo personaggio), cantautore, traduttore, ricercatore paziente e sapiente e – ancora più strano, ma altrettanto vero – ingegnere!
Quante volte ascoltando e sghignazzando, ascoltando e indignandomi, sulle note di «Le scarpe che van di più», o di «Giava della bomba atomica», o di «Vendiamo armi» o di «La complessata», o del «Disertore», o di «Bella così da noi non c’è», ho pensato al signor Monti!
Ci saremmo mai incontrati di persona? E io avrei mai conquistato una laurea in ingegneria da affiancare alla sua, in quell’eventuale incontro? Oppure avrei fallito? E lui avrebbe guardato un po’ dall’alto in basso i miei risultati artistico-scolastici? Mi avrebbe snobbato o guardato con affetto e simpatia? A volte m’immaginavo giungere al rendez-vous impacciato fino alla balbuzie: S-s-salve s-s-signor Monti! Lieto di c-conoscerla! N-n-non sa quante volte ho ascoltato la c-c-cassetta!
.
Ma chi vive molte vite, per qualche strano motivo, finisce per vivere di persona anche tanti eventi che aveva sognato a occhi aperti; te li ritrovi di fronte in carne e ossa, i tuoi tanto vagheggiati eroi.
Così mi è successo, un giorno d’estate, di incontrarlo davvero, il signor Giangilberto Monti. Nella mia Cesenatico, in riva al mare, all’ora del caffè. Non mi guardava per niente dall’alto in basso, come avevo temuto. Era anzi gentile, affabile, amichevole. Lasciava persino che ci dessimo del tu senza battere ciglio. E io non mostravo nessun impulso a balbettare. Così gliel’ho detto senza inciampare sulle sillabe, sorseggiando sereno e sorridente il caffè: «Non sai quante volte l’ho ascoltata quella cassetta!».
Quel giorno stesso abbiamo deciso di scrivere insieme un monologo sul geniale ingegnere che, in qualche modo, ci aveva fatto conoscere: Boris Vian.
Uno spettacolo di canzoni, poesie, storie. Io mettendo sul piatto la mia modesta arte di narratore, Giangilberto le canzoni nonché una conoscenza sterminata dell’argomento.
Che dire? È stato davvero un incanto ascoltare Giangilberto che mi raccontava di Vian: conoscere l’origine di tante sue canzoni (che ho potuto comprendere così ancora più pienamente), gli aneddoti sulla sua spaventosa prolificità, e poi la Parigi di quegli anni, la scena degli chansonnier ecc. Sì, perché il signor Monti è uno studioso meticolosamente appassionato, uno di quelli che sanno ricostruire un periodo passato scendendo in dettagli minutissimi e, allo stesso tempo, capaci di sintesi folgoranti. È uno che ti sa rapire e portare di peso in posti e in luoghi dove, per irrimediabili motivi anagrafici, non è mai stato neppure lui.
Non so in quante altre forme, con quante altre vite ci incontreremo ancora Giangilberto Monti e io in questa vita. Magari, chissà, ci toccherà pure la ventura di collaborare in qualità di ingegneri. Allora spremeremmo le meningi fino a escogitare un qualche marchingegno che ci faccia viaggiare nel tempo, per tornare nella Parigi degli anni Cinquanta, a prenderci un tè con il nostro adorato Boris Vian.
Nel frattempo, probabilmente, la cosa più simile a un tale viaggio è affidarsi alla maestria del signor Monti e sprofondare nelle pagine del libro che avete in mano.
giangilberto monti
Boris Vian
Il principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés
1. Jazz Hot (1941-1946)
– Quindi, lei ci è andata?
– In che senso, giovanotto?
– Voglio dire… con Sartre.
– Jean-Paul Sartre? Per forza, gli facevo da segretaria.
– A casa sua?
– Certo, a casa sua. Quindi ci andavo.
– E poi?
– Ma lei è un giornalista o un poliziotto?
– Volevo dire… sa com’è… ci si vede tutti i giorni e poi…
– E poi, cosa?
La novantunenne Michelle Léglise, già moglie di Boris Vian, musa di Saint-Germain-des-Prés e assistente molto molto intima di Sartre, guardava il giovanotto curioso dal ciuffetto ribelle. Con le unghie smangiate di fresco e gli occhietti da onanismo a raffica, il giovanotto indossava un giubbottino di pelle con sciarpina a casaccio, seduto compostamente nel bilocale della rispettabile signora, mentre registrava qualunque respiro dell’intervistata, visibilmente scocciata.
– Come ha detto che si chiama?
– Veramente non gliel’ho detto, signora
– Però è scritto qui, sul suo biglietto da visita.
– Sì, in effetti… quindi lasciamo perdere Sartre, giusto?
– Giusto.
– E Boris?
– Quella è una storia lunga.
– Quanto lunga?
– Dipende, un altro po’ di caffè?
Michelle sposa Boris a poco meno di un anno dal loro incontro, quando sono entrambi ventenni. Gran bella donna Michelle–- chioma bionda vaporosa, sguardo divertito e polpacci forti – e poi saltava sui tavolini del Tabou che era un piacere. Le piaceva la musica alla musa, e le piacevano i jazzisti e gli intellettuali, ma era sposata con il genio di Parigi e questo le bastava, almeno fino a quando Boris decise per il divorzio. O era lei che l’aveva deciso?
– No, è stato Boris, nell’aprile del ’51. Sessant’anni fa…
– Era geloso?
– Sì, dei dischi di Duke Ellington e Fats Waller.
– Dei dischi?
– Proprio quelli. Se li è portati via tutti.
– E i libri?
– Quelli li ha scritti con me, i romanzi e le poesie, ma ha messo in valigia anche il manoscritto dell’Arrache cœur, che non era riuscito a finire.
– In che senso li ha scritti con me
?
– Lei come giornalista è un po’ lento… ero io che battevo a macchina i suoi testi.
Dopo il loro divorzio, nel 1952 Michelle entra a far parte dell’équipe di «Les Temps Modernes» – voce degli esistenzialisti e dei pensatori da barricata dell’epoca – dove dattilografa la maggior parte dei testi di Jean-Paul Sartre. Era la stessa rivista per la quale Boris collaborava dal ’46, con le sue ironiche e deliranti «Cronache bugiarde». Però si dice che la relazione tra il filosofo odiosamato da Vian e Michelle fosse iniziata già nel ’49. Storia di letto o liaison culturale?
– Quindi, per Boris e per Sartre… lei era una specie di segretaria.
– Oltre che lento è un po’ offensivo, giovanotto.
– Perché? Che ho detto di male?
– Quando Boris dettava, io lo correggevo, gli suggerivo dei passaggi. Certo, con Sartre era più difficile, gran brutto carattere… ma lei mi sta ascoltando, o registra e basta?
– Ecco, io… la registro per evitare d’inventarmi qualche sciocchezza.
– Solo che le pensa. Un altro caffè?
– Sarebbe il terzo, signora.
– Almeno si sveglia un po’.
Per chi s’interessi del Boris Vian scrittore, si può dire che Michelle ne sia stata il testimone per eccellenza. Nata come lui nel 1920, gli aveva dato due figli, Patrick e Carole, mentre lo aveva visto scrivere una decina di romanzi, più di sessanta racconti e innumerevoli poesie. Insieme, avevano inventato Saint-Germain e Saint-Tropez, tradotto Raymond Chandler e Richard Wright, frequentato Miles Davis, Charlie Parker e Orson Welles, organizzato feste a sorpresa innaffiate dal jazz. La stessa musica per cui Boris firmava critiche a tutto campo, sulle riviste dell’epoca.
– Quelle su «Jazz Hot»?
– Non solo. C’erano anche la rivista «Jazz news» e il quotidiano «Combat», dove scriveva le sue recensioni musicali.
– Quindi le ha lette tutte?
– Per forza, visto che le battevo a macchina. Solo che oggi, quelli come lei non hanno nemmeno idea di cosa volesse dire.
– In che senso, signora?
– Ha presente la carta carbone, il nastro e il correttore? Era un fatto fisico, non solo mentale.
– D’accordo, ma in tutto questo Sartre che faceva?
– Ah, ma lei è fissato… Sartre era sposato con Simone de Beauvoir.
– E lei con Boris Vian.
– Infatti, ma come in tutte le coppie c’erano alti e bassi.
– E con Sartre quanto è durata?
– Tutta la vita… la sua ovviamente, visto che è morto nel 1980.
– E anche lì… alti e bassi?
– Un altro po’ di caffè, giovanotto?
La coppia engagé Sartre & de Beauvoir fu la prima a riconoscere il talento letterario di Vian, così almeno recitavano le cronache del periodo, ma a Boris non bastava. Si era appassionato allo spirito di Jean-Paul Sartre prima di conoscerlo di persona, all’inizio del ’46, mentre pensava anche alla sua, di carriera. E forse non immaginava che quel signore, occhialuto e tanto osannato dalla critica, sarebbe poi finito nel letto di sua moglie. O viceversa.
– Allora è vero.
– Il divorzio fu un disastro per la mia vita, cosa crede?
– Be’, ma se lei passava i suoi giorni con Sartre…
– Avevo due ragazzini da tirare grandi. E Boris era incapace di occuparsene.
– Non capisco.
– Boris non era un padre, ma un figlio. Sartre, invece, era un uomo a tutti gli effetti. Insomma, aveva fascino.
– Be’, a vederlo in foto, sembra bruttarello.
– Era intelligente, vivace, polemico, iconoclasta, carismatico…
– Quanto Boris imprevedibile e divertente. O no?
– È per quello che lo chiamavano il principe di Saint-Germain-des-Prés
.
Bell’idea per un titolo, pensò il giovanotto curioso mentre usciva dall’angusto bilocale della signora âgé, nel vi arrondissement parigino. Sulla scrivania di Michelle Léglise troneggiavano un testo di Prévert e montagne di ritagli stampa. Non sembrava essersi arricchita, né dal suo matrimonio né dalle frequentazioni del suo amante iperintellettuale, ma aveva lo stesso sguardo ribelle di quelle nottate jazz intorno alla Senna. Il giovanotto ci sarebbe tornato in quel bilocale, un po’ perché la curiosità fa miracoli e un po’ perché lo avrebbero finalmente pagato bene.
Subito dopo la guerra, Vian diventò realmente il principe di quel quartiere parigino; non solo grazie al jazz, ovviamente, ma soprattutto per la sua personalità fuori da ogni schema. I suoi resoconti in chiave buffonesca delle conferenze di Sartre e i primi romanzi, scritti tra il ’42 e il ’44, facevano da contrappunto burlesco all’esistenzialismo del filosofo parigino. Alla quale Vian affiancò l’invenzione della patafisica – scienza delle soluzioni immaginarie e dissacrante parodia del pensiero accademico – ispirata alla visionarietà del drammaturgo francese Alfred Jarry, l’autore diUbu Roi, pietra miliare del teatro dell’assurdo.
– La sua parodia di quella coppia iperintellettuale, nell’Écume des jours, era indimenticabile: Jean-Sol Partre e la duchessa de Bovouard, se l’immagina?
– Veramente no, signora.
– Per forza, lei non c’era.
Dopo la separazione, i rapporti di Boris Vian con la banda Sartre si erano affievoliti. E forse fu anche per quello che il principe di Saint-Germain-des-Prés si consacrò a una filosofia anarcoide molto meno cerebrale e più gioiosa. Intanto il giovanotto era tornato il giorno appresso dalla signora Michelle, anche perché gli avevano anticipato le spese nella Ville Lumière. Niente di che, ma almeno l’albergo scelto dalla rigida amministrazione dell’emittente per la quale lavorava aveva i bagni puliti.
– Mi stava dicendo dell’Écume des jours… non è del 1947?
– Però l’aveva scritto l’anno prima. E me l’ha anche dedicato. Vuole che non lo sappia?
– Be’, visto che li riscriveva tutti lei.
– E subito dopo iniziò L’automne à Pekin. E nell’agosto del ’46 finì in due settimane J’irai cracher sur vos tombes, il suo best-seller.
– Non si fermava mai…
Boris Vian era un giovane signore della buona provincia francese, proveniente da una famiglia benestante e ricca di curiosità per tutto ciò che era arte, musica e poesia. E in quegli anni la musica che andava di moda era il jazz. Col fratello minore Lélio alla chitarra, e il primogenito Alain alla batteria, Boris nel 1937 scelse la tromba, nonostante la preoccupazione di tutti per la sua insufficienza cardiaca: una malformazione aortica che la famiglia tentò in tutti i modi di celargli, assecondando i suoi sogni, anche se sapeva che il ragazzo non avrebbe potuto vivere a lungo.
– Poi si è lanciato nella canzone.
– E quando?
– Dopo che ci siamo lasciati. Era disgustato dai suoi insuccessi letterari. Voleva guadagnare a tutti i costi. E in fretta.
– E perché?
– Perché era pieno di debiti. E i suoi non erano certo ricchi.
– Ma se possedevano una tenuta a Ville-d’Avray!
– Appunto, la possedevano. Subito dopo la guerra, avevamo un figlio da mantenere. E lo stipendio d’ingegnere di Boris bastava a malapena.
– Be’, ma anche lei lavorava, le sue traduzioni…
– A Boris piacevano i buoni ristoranti, i jazz club, le partite a scacchi, gli aeromodelli e le automobili. Che non aveva.
– Ma le desiderava…
– Vedo che ha capito.
Tra i primi amici di Boris, il giovane Yehudi Menuhin – nato a New York nel 1916 – che diventerà uno dei grandi violinisti del Novecento e alla cui famiglia il padre di Boris affitta la villa padronale, per rimediare al disastro finanziario in cui l’aveva trascinato la crisi del ’29. I Vian si trasferiscono in una dépendance del grande parco che circonda la casa, e che presto diventa luogo di ritrovo per i ragazzi del vicinato. Si organizzano serate a base di jazz e divertissement letterari, ci s’improvvisa poeti dell’assurdo, s’inventano calembours e giochi di società. Insomma, ilmilieu in cui cresce Boris è dei migliori, soprattutto per dimenticare le tragedie belliche incombenti. Studia al liceo Condorcet di Parigi, s’interessa di filosofia e matematica, e nel 1942 diventa ingegnere. Lo stesso anno termina il suo primo lavoro letterario, Trouble dans les Andains, un raccontone poliziesco in chiave ironica, uscito postumo.
– Ah… non ho mai dimenticato quegli anni… né la lite tra Albert Camus e Merleau-Ponty nella nostra sala da pranzo, né la notte nella quale preparavo patatine fritte per Duke Ellington.
– Merleau… chi?
– Ha mai letto qualche