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Anteprima del libro
#IOGIOCO - Linda Colombo
Ky
Era ormai pomeriggio inoltrato, ma il sole picchiava ancora forte. La giornata era stata splendida e non si scorgeva una nuvola in tutto l’orizzonte. A dire il vero, erano giorni che il cielo era limpido. Tutto ciò non faceva altro che influire positivamente sul mio umore. Amavo tutto dell’estate: le lunghe giornate di luce, il riso freddo, i fuochi d’artificio, gli infradito, le t-shirts che lasciavano finalmente visibili i miei tatuaggi, quella sensazione di perdere la cognizione del tempo e non sapere più che giorno è, ma, soprattutto, amavo la piscina dei Morris.
Sdraiata sopra il mio salvagente a forma di fenicottero, con le mani e i piedi immersi nell’acqua, mi stavo godendo le ultime ore di vacanza, in uno stato di dormiveglia.
Quell’estate sarebbe iniziata la mia quarta stagione ai Lions.
Ky, senti cosa scrivono su di te sul Football Journal!
Lexi mi chiamò entusiasta.
Lexi era appena tornata da un lungo tour nei Caraibi. Era così abbronzata, che il colore della sua pelle contrastava, in maniera netta, con il bianco del suo costume da bagno. E dire che era rientrata dal viaggio con una settimana di anticipo. Dopo una lite furiosa, aveva piantato in asso il suo ultimo ragazzo, Samuel O’Connor, su una delle isole delle Bahamas. La loro storia era durata ben due mesi, quasi un record, ma lei non mi sembrò affatto disperata per la rottura e di Sam non si ebbero più notizie.
Un paio di giorni prima, nel bel mezzo della notte, ricevetti una sua telefonata.
Ciao Ky, mi vieni a prendere all’aeroporto?
Ancora nel mondo dei sogni, faticai a realizzare che avrei dovuto svegliarmi, vestirmi e guidare. Farfugliai parole incomprensibili.
Allora?
Non dovevi arrivare mercoledì?
Il mio cervello cominciò a connettere.
Sì, ma sono qui adesso. Mi vieni a prendere?
E Sam?
Sam chi? Non lo so, sono tornata da sola. Allora, mi vieni a prendere?
Stai bene?
Sì, voglio solo tornare a casa.
Bastarono uno Spritz, un pacchetto di sigarette e un tuffo in piscina, per farle tornare il buon umore.
Capitolo chiuso.
Ora, dopo aver sfogliato le riviste di gossip più in voga del momento e avermi aggiornata sul chi stava con chi, si stava dedicando a letture più impegnate, come il Football Journal che, alla vigilia dell’inizio della nuova stagione calcistica, presentava le squadre e le giocatrici possibili protagoniste del campionato.
Quando mi chiamò, non le diedi retta, sperando mi avrebbe lasciata in pace; mi sentivo talmente bene in quello stato di totale rilassamento che non mi balenò, nemmeno lontanamente, l’idea di risponderle.
Ky!
Ovviamente Lexi non aveva nessuna intenzione di lasciarmi in pace.
Che dicono?
le chiesi fingendomi interessata.
C’è una pagina intera dedicata ai Lions e qui parlano di te: Kilie Hanson è l’instancabile capitano e indiscusso leader dei Lions. Mancina, si adatta a tutti i ruoli di centrocampo. Dotata di buona resistenza, dinamismo, velocità e grinta, è in grado di aiutare le compagne in fase di copertura e di supportare attivamente l’azione offensiva, non disdegnando gli inserimenti in zona gol. Dimostra di avere ancora notevoli margini di miglioramento, ma, a Saint Leo, la sua maturazione come calciatrice ha avuto una svolta: cresciuta in termini di visione di gioco e senso della posizione in campo, da incontrista, che sradica i palloni dai piedi degli avversari, si è trasformata in un’incursore con il vizio del gol, migliorando di molto, negli ultimi anni, la sua media realizzativa. Cazzo, sembri davvero forte!
Lexi ridacchiava.
Che significa sembro?
Forse in quell’articolo avevano esagerato un po’. Tornai a bordo piscina con non poca difficoltà, poi abbandonai mestamente il mio fenicottero e mi avvicinai a Lexi. Fammi vedere!
Le tolsi il giornale dalle mani.
Ma questa non sono io!
protestai.
Come no? C’è scritto il tuo nome!
No, non quella dell’articolo, questa nella foto!
Gliela indicai.
In effetti no, non sei tu. La tipa nella foto è decisamente più alta e slanciata di te
, aggiunse con aria divertita.
Cosa vorresti dire?
Finsi di arrabbiarmi.
Niente…
ribatté sorridendo, poi proseguì, Ma chi è questa allora?
Rilessi quell’articolo un’infinità di volte. Lexi aveva ragione: descritta in quel modo, sembravo veramente forte.
Leader indiscusso… Io? Un leader?
Dovevo riconoscere che, negli ultimi anni, l’interesse nei miei confronti era notevolmente cresciuto e questo mi metteva a disagio.
Ero piuttosto schiva e riservata, non amavo stare al centro dell’attenzione.
Io volevo correre e giocare a calcio, perché sapevo fare quello; tutto ciò che girava intorno, gli articoli di giornale e le interviste, non mi interessava.
Ero cresciuta nel settore giovanile delle Ladybirds, una delle squadre più importanti del Sunset.
A quei tempi giocavo a calcio in cortile, in casa, in classe, ovunque, creando non pochi grattacapi ai miei genitori. Mio padre non poté più ignorare la mia esistenza quando il signor Bailey, il nostro vicino di casa, lo chiamò infuriato, mostrandogli quanto fossi stata brava a colpire e mettere ko, uno dopo l’altro, tutti i vasi del suo giardino. Fu allora che, su richiesta disperata di mia madre, decise di accompagnarmi al campo delle Lady e di lasciarmi lì a sfogare tutta la mia energia.
Wow!
Quel rettangolo verde era uno spettacolo per i miei occhi.
Ora sei contenta?
mi chiese lui. I miei genitori avevano finalmente trovato il modo per togliersi dai piedi la loro amata bambina che, con quel pallone, era in grado solo di causare danni. Alzai le spalle. Sarei stata lontana da casa e avrei dovuto cambiare scuola, ma avrei giocato a calcio in una vera squadra; non era il massimo della vita?
Esordii in prima squadra, durante un’amichevole, all’età di tredici anni, quando ancora non potevo giocare gare ufficiali per questioni di età.
Ero così piccola che la maglietta mi arrivava fino alle ginocchia e dovetti rimboccare le maniche più volte per non vedermele penzolare mentre correvo.
Giocai l’ultima mezz’ora di quella partita. Prima del mio ingresso, come un buon padre, il mister mi fece una serie di raccomandazioni: Stai tranquilla, fai le cose semplici, non preoccuparti se sbagli.
A me l’unico che sembrava in ansia pareva essere lui.
Ti sembro preoccupata? Io vado a divertirmi pensavo tra me e me.
Per anni quello fu lo stato d’animo con cui affrontai ogni partita, con l’incoscienza di chi non sente su di sé alcuna pressione. Avevo un pallone tra i piedi, non potevo chiedere di più.
Giocai esterno di fascia sinistra. Superata la diffidenza iniziale, le mie compagne iniziarono a coinvolgermi nelle loro giocate. In pochi minuti, macinai chilometri e recuperai un’infinità di palloni. Contarono dodici miei cross in trenta minuti di gioco. Altro che ansia o paura. Quell’esperienza fu indimenticabile.
Io non ero sicura se fosse questo che intendevano per ‘essere forte’ o ‘essere un leader’, ma, come quella prima volta, qualunque fosse l’avversario, entravo in campo senza paura e correvo.
Io ero questa.
Arrivai a Saint Leo quasi per caso, dopo l’esperienza con le Flies, squadra tra le più blasonate a livello nazionale.
Mi stavo godendo Casey, un tizio che avevo appena conosciuto, il sole e il mare, quando lo squillo del telefono mi distolse dalle mie spensierate attività.
Kilie Hanson?
Sì sono io, chi parla?
Sono Harry McCain, presidente dei Lions di Saint Leo.
Non conoscevo McCain e dei Lions sapevo, a malapena, che erano una squadra di medio-bassa classifica della seconda categoria. Ciò che mi sorprese fu essere contattata direttamente dal loro presidente e non da qualche intermediario.
McCain aveva assunto la presidenza della squadra da quasi due anni e le sue idee mi conquistarono. Voleva creare una squadra competitiva che potesse aspirare, in breve tempo, alla promozione in prima categoria. Per quanto il suo sembrasse un progetto serio di una persona seria, parlavamo comunque di una squadra obiettivamente di basso livello.
In verità, quell’estate, avevo già firmato per i Parrots, squadra di prima categoria con buone ambizioni di classifica.
Nonostante girassero voci insistenti sulla crisi finanziaria del gruppo che controllava la società, fui rassicurata che non ci sarebbero stati problemi e che io sarei stata uno dei perni fondamentali sui quali puntare per la stagione successiva. Mi fidai.
Il risultato fu che, a pochi giorni dall’inizio del campionato, i Parrots dichiararono il fallimento e si ritirarono; io rimasi a piedi, svincolata, alla disperata ricerca di una squadra in cui giocare. Delusa, me ne andai al mare a divertirmi con Casey, con l’orecchio teso verso il telefono, speranzosa che qualcuno, chiunque, mi chiamasse per un nuovo ingaggio.
Per evitare il rischio di rimanere ferma per mesi, in attesa che qualche squadra importante mi cercasse, non ebbi molte esitazioni e firmai per i Lions, certa che, alla riapertura del calciomercato a gennaio, sarei tornata dritta in prima categoria.
Le occasioni non mancarono. Come previsto, qualche mese più tardi, ricevetti diverse offerte molto interessanti, quasi irrinunciabili.
Nel frattempo, però, da un paio di mesi, ero diventata il capitano dei Lions, scelta all’unanimità dalle ragazze della squadra.
Mi innamorai di Saint Leo e della sua gente. Instaurai un rapporto speciale con la tifoseria che mi dimostrò sempre grande fiducia, anche e soprattutto nei momenti bui della squadra.
Mi vergognai di aver pensato che i Lions potessero rappresentare solo un ‘passatempo’ per tenermi allenata, in vista di ingaggi più allettanti.
Saint Leo divenne presto la mia casa e l’obiettivo di McCain divenne il mio obiettivo: portare i Lions in prima categoria.
Allora, leader indiscusso? Posso riavere il mio giornale?
La voce di Lexi mi riportò alla realtà. Vuoi che ritagli l’articolo?
Colsi un filo di ironia nelle sue parole.
Buttalo!
Non esitai un solo istante.
Allontanai tutti i pensieri dalla mia testa e mi rituffai in piscina.
Testa o croce
Quando arrivai a Saint Leo, come detto, i Lions galleggiavano nelle posizioni di medio-bassa classifica della seconda categoria nazionale. I primi non furono anni facili. Lo scetticismo intorno alla squadra era evidente. Ci fu un succedersi di allenatori che avevano idee piuttosto confuse e non avevano realmente né le capacità né la pazienza per far crescere un gruppo di ragazze che avevano tutto da imparare. I risultati furono deludenti e, per un lungo periodo, continuammo ad occupare le ultime posizioni della classifica. Non che da noi qualcuno si aspettasse altro.
Mi fu chiaro, fin da subito, che l’ambizioso progetto di McCain di portare la squadra ai massimi livelli avrebbe avuto bisogno di tanto tempo e tanti sacrifici.
Tutto ciò non mi spaventava e non temevo neppure la negatività dell’ambiente. Per questioni di carattere non ero solita lasciarmi abbattere dalle difficoltà; quando le cose non andavano per il verso giusto, alzavo le spalle e continuavo a correre, certa che, prima o poi, saremmo riuscite a toglierci le nostre soddisfazioni.
Nell’ultima stagione, la società decise di affidare la panchina a Michael Earl.
Earl era stato un calciatore di ottimo livello. Terminata la carriera di giocatore, iniziò ad allenare ottenendo risultati soddisfacenti, sia in campo maschile che femminile. McCain riuscì ad anticipare diverse altre società che erano interessate al suo ingaggio. La presenza di Earl convinse diverse giocatrici di buon livello a trasferirsi ai Lions, su tutte Bonnie Williams, Carol Bennett e Holly Webb, nomi di assoluto rilievo nel panorama calcistico nazionale.
Bonnie proveniva dalla prima categoria. Era un’attaccante veloce, forte fisicamente e, soprattutto, faceva gol, insomma, il tipo di giocatrice che ai Lions era sempre mancata.
Earl aveva voluto a tutti i costi il suo ingaggio. Se arriva Bonnie, qui cambia tutto!
ripeteva. Dopo un’estenuante trattativa, Bonnie accettò l’offerta dei Lions.
Earl si portò dalle Black Sheep due giocatrici fidate, Carol e Holly. Carol giocava sulla fascia, mentre Holly ricopriva il ruolo di centrocampista centrale.
Quella fu vista da tutti come una campagna acquisti trionfale e la gente iniziò a pensare che l’obiettivo promozione potesse essere finalmente percorribile.
Peccato che, presto, quella stagione si trasformò in un incubo e la squadra non seppe sfruttare le sue buone potenzialità; fin da subito, i risultati non furono quelli sperati e l’insoddisfazione e le polemiche, all’interno dello spogliatoio, alla fine ebbero la meglio.
Le nuove arrivate dimostrarono notevoli difficoltà di inserimento. Deludemmo le aspettative di tutti, società e tifosi compresi, e non riuscimmo ad andare al di là di un insignificante nono posto.
Gli stessi tifosi, che avevano sostenuto la squadra con entusiasmo nei primi mesi della stagione, lentamente ci abbandonarono.
Earl era uno tosto. Dedicava parecchio tempo alla preparazione degli allenamenti e non lasciava mai nulla al caso. Durante la stagione aveva cercato di inculcare nelle ragazze la sua mentalità vincente. Il risultato era stato una gestione discutibile delle scelte e una squadra senza personalità.
Aveva fallito