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Crimine di Stato. Cronaca di un delitto imperfetto: 26 settembre 2019  Sciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Misterbianco
Crimine di Stato. Cronaca di un delitto imperfetto: 26 settembre 2019  Sciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Misterbianco
Crimine di Stato. Cronaca di un delitto imperfetto: 26 settembre 2019  Sciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Misterbianco
E-book152 pagine1 ora

Crimine di Stato. Cronaca di un delitto imperfetto: 26 settembre 2019 Sciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Misterbianco

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“… Nino Di Guardo, nel suo libro, analizza i fatti posti a fondamento della proposta del Prefetto di sciogliere il Consiglio comunale di Misterbianco e, sulla basa di una critica serrata, ne mette a nudo in modo sobrio ed efficace l’assoluta inconsistenza. L’eccesso di potere nella forma dello sviamento appare evidente. Si è tratto spunto da una vicenda che nessuna influenza aveva avuto nella vita del Comune di Misterbianco al fine di sciogliere il Consiglio per una finalità del tutto estranca a quella di legge.”
(dalla Prefazione)
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788868229047
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    Crimine di Stato. Cronaca di un delitto imperfetto - Nino Di Guardo

    NINO DI GUARDO

    CRIMINE DI STATO

    Cronaca di un delitto imperfetto

    26 settembre 2019

    Sciolto per infiltrazioni mafiose il

    Consiglio comunale di Misterbianco

    Prefazione
    Prof. Carmelo D’Urso
    missing image file

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2020

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Siti internet: www.pellegrinieditore.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A mia moglie,

    a Carla, Paola, Livia

    e agli altri che verranno

    Presso lo stesso ruscello erano giunti un lupo e un agnello spinti dalla sete. Di sopra stava il lupo e di gran lunga più in basso l’agnello. Allora il birbante, mosso dall’insaziabile gola, cercò un pretesto di litigio. Perché disse hai reso torbida l’acqua a me che bevo? Il lanuto, di rimando, timoroso Come posso, di grazia, far ciò io, lupo? L’acqua scorre da te ai miei sorsi. Infastidito dalla forza della verità quello ribatte Sei mesi fa hai detto male di me. Rispose l’agnello Per la verità non ero nato. "Tuo padre, per Ercole – disse quello – ha parlato male di me." E così, afferratolo, lo fa fuori con ingiusta uccisione. Questa favola è stata scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con motivazioni inventate.

    Così il poeta latino Fedro, ma questa volta la forza della ragione prevarrà sulle ragioni della forza.

    PREFAZIONE

    Crimine di stato è l’espressione che meglio sintetizza la vicenda che ha portato allo scioglimento del Consiglio comunale di Misterbianco. Vicenda che, attentamente analizzata, mette in luce come talune disposizioni volute dal legislatore per contrastare la presenza della criminalità organizzata nelle amministrazioni locali possano divenire, nell’interpretazione, strumento del potere politico per liberarsi di amministratori scomodi sino a provocare effetti paradossali. Può, così, accadere, per restare nell’ambito della vicenda misterbianchese, che lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose obbedisca alla logica del potere mafioso ed appaia strumento per spegnere una voce istituzionale, l’unica che in tutte le sedi ha manifestato costantemente l’intransigente opposizione del Comune di Misterbianco alla discarica situata nel territorio di Motta Sant’Anastasia.

    I prefetti, com’è noto, sono organi periferici che esprimono la linea del potere centrale ed è notorio che dalla Lega sono state esercitate pressioni per lo scioglimento del Consiglio comunale di Misterbianco. Alle pressioni della Lega si sono associate quelle di un senatore pentastellato che si è chiesto cosa avrebbe fatto il Prefetto di Catania, parente di un deputato regionale che dell’ex vicesindaco Carmelo Santapaola era stato in Misterbianco il costante punto di riferimento.

    Fortemente condizionato dalle pressioni della Lega e dall’esigenza di apparire imparziale, il Prefetto si è determinato per la proposta di scioglimento del Consiglio,

    realizzando in tal modo l’interesse di quanti miravano a tale obiettivo per la finalità messa sopra in evidenza. Così operando, ha finito oggettivamente con il realizzare anche l’interesse di due parlamentari che avevano mostrato sempre arrendevolezza nei confronti degli interessi dei titolari della discarica.

    Questa in sintesi la tesi che emerge dal lavoro di Nino Di Guardo, il quale descrive in modo chiaro e vivace i condizionamenti che hanno indotto il Prefetto a condividere le conclusioni della relazione della Commissione prefettizia di indagine, senza alcuna valutazione critica delle affermazioni in essa contenute.

    Le disposizioni, spesso, nonostante la loro chiarezza, costituiscono fragili barriere dinanzi alla volontà prevaricatrice del potere politico volta a piegarle a finalità diverse da quelle rese manifeste dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore.

    La chiarezza delle disposizioni nella materia de qua è fuori discussione: i collegamenti e i condizionamenti devono essere tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, sicché deve ravvisarsi in atti da indicare in modo analitico la giustificazione dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali (in Sicilia consortili) conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare.

    Se così non fosse, ci troveremmo dinanzi a procedimenti che ricordano i processi alle streghe di alcuni secoli fa. E tuttavia, non sempre c’è nei prefetti la convinzione della necessità di individuare nell’esame delle situazioni concrete gli atti dai quali, al di là di ogni ragionevole dubbio, possa evincersi l’influenza della mafia nella vita degli enti. E, ove manchi la prova di tale influenza, non ci può essere scioglimento.

    Nino Di Guardo, nel suo libro, analizza i fatti posti a fondamento della proposta del Prefetto di sciogliere il Consiglio comunale di Misterbianco e, sulla base di una critica serrata, ne mette a nudo in modo sobrio ed efficace l’assoluta inconsistenza. L’eccesso di potere nella forma dello sviamento appare evidente. Si è tratto spunto da una vicenda che nessuna influenza aveva avuto nella vita del Comune di Misterbianco al fine di scioglierne il Consiglio per una finalità del tutto estranea a quella di legge.

    Carmelo D’Urso

    INTRODUZIONE

    Il 21 dicembre del 1991 il Consiglio comunale di Misterbianco veniva sciolto per infiltrazioni mafiose.

    Quell’atto intervenne in un periodo particolarmente triste della vita del nostro Comune, ma l’evento decisivo che portò all’emanazione di quel grave provvedimento fu senz’altro l’efferato omicidio dell’influente segretario politico della locale Democrazia Cristiana, Paolo Arena, vero dominus dell’attività amministrativa di quegli anni. L’omicidio avvenne significativamente davanti al Comune e vide all’opera un commando di malavitosi spietati quanto determinati.

    Quel delitto, il cui terrificante fermo immagine è rimasto a lungo stampato nei miei occhi, mi fece capire una cosa sola: la mafia era entrata nel palazzo comunale.

    Sfidando diffidenze, invettive, accuse di sciacallaggio, in quasi perfetta solitudine mi spesi con tutte le mie forze per far valere quella verità. La mia intervista a Giorgio Bocca, pubblicata su la Repubblica, fu incredibilmente oggetto di un rogo di sapore medievale su una pubblica piazza per opera di un noto prelato. Alla fine, a distanza di molti anni, recenti risultanze della magistratura hanno sigillato come vere quelle mie intuizioni. Mi esposi parecchio con le mie denunce. Per le minacce ricevute le autorità di pubblica sicurezza ritennero necessario proteggere la mia incolumità assegnandomi una scorta che per alcuni anni divenne la mia ombra.

    Ebbene lo Stato, con lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, mostrò di ritenere consistenti le mie denunce di allora ed una nuova fase effettivamente si aprì, all’insegna della legalità, del buon governo e della crescita civile.

    A distanza di vent’otto anni, il 26 settembre 2019, il nostro Consiglio comunale è stato nuovamente sciolto per mafia.

    L’amministrazione cittadina da me guidata, diretta emanazione di quel sentimento di ribellione all’ordine imposto dalla mafia, viene così condannata senza appello, per una sorta di legge del contrappasso, alla più umiliante delle condanne.

    Cosa è successo in questi anni di così clamoroso, di così grave da indurre lo Stato ad una nuova sospensione degli organi democratici del Comune? Come va letto questo estremo provvedimento?

    Da qui la ragione del mio scritto. Dal bisogno cioè di trovare un ordine, un senso ad un atto che appare privo di consequenzialità e di senso.

    Il lettore vi troverà una cronaca degli accadimenti che hanno scandito la crisi che la nostra comunità sta vivendo; ma vi troverà pure le ragioni – forti ed incontrovertibili – che fanno ritenere lo scioglimento del Consiglio un provvedimento sciagurato e scandaloso.

    Già, cosa è successo di così eclatante a Misterbianco?

    Ho atteso, prima di dare alla stampa queste pagine, le motivazioni del Prefetto di Catania, fatte proprie dal Consiglio dei Ministri.

    Le ho lette e rilette. Fisiologicamente, si sa, la colpa cerca la pena: la insegue con bramosia come a placare un ineludibile bisogno di espiazione. Analizzando quelle pagine, invece, il rapporto sembra essersi capovolto: è come se una pena coscientemente prestabilita – lo scioglimento del Consiglio – cercasse affannosamente qualcosa da esibire come colpa.

    Infatti, i commissari nominati dal Prefetto – dopo mesi di faticose indagini che hanno passato a setaccio anni e anni di attività amministrativa – hanno potuto isolare solamente fragili ed incoerenti elementi con cui imbastire l’accusa.

    Hanno cercato di dare dignità di prove ad illazioni; hanno sottoposto a torsione i fatti nello sforzo di farne uscire il tanfo sulfureo della contaminazione mafiosa.

    Si mettano a confronto i due provvedimenti di scioglimento, quello di allora e quello attuale, i contesti in cui sono nati, le necessità che ne stanno alla base: le sproporzioni risulteranno stridenti.

    Va ricordato che il solo dichiarare di agire in nome della lotta alla mafia non è garanzia di alcunché. Vi sono fin troppi dolorosi esempi che mostrano come sotto la copertura della crociata antimafia sia alla fine proprio la legalità a riportare le maggiori ferite.

    Purtroppo il provvedimento che muove dalla relazione prefettizia si può annoverare fra questi: nessun vero contrasto al potere mafioso ed al malaffare è stato posto in essere. Ed un solo clamoroso obiettivo è stato raggiunto: fermare una

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