Anime occulte
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Anteprima del libro
Anime occulte - ALESSANDRA GIULIANI
ANIME OCCULTE
di Alessandra F. Giuliani
a cura di Leonardo Di Lascia
Prima edizione: febbraio 2020
Tutti i diritti riservati 2020 BERTONI EDITORE
Via Giuseppe Di Vittorio 104 - 06073 Chiugiana
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.
Alessandra F. Giuliani
ANIME OCCULTE
A Maria Luigia e Piero
"Quando non sarai più parte di me,
ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle,
allora il cielo sarà così bello
che tutto il mondo si innamorerà della notte."
William Shakespeare
I
La guardava di nascosto mentre era assorta a leggere i suoi appunti. Gli procurava un brivido pensare che lei ignorasse la sua presenza nel buio mentre, come un ladro, rubava istanti della sua intimità, della sua solitudine.
E più la osservava, più desiderava ucciderla squarciandole la gola di netto, fissarla in silenzio nel suo stato inerme e lasciare che quell’immobilità gli appartenesse anche solo per pochi istanti.
Desiderava che i lembi lacerati della sua pelle rimanessero aperti come finestre sul cielo, mentre rivoli scuri di sangue, rosso come i suoi lunghi e bellissimi capelli, avrebbero solcato la terra, le rocce. Ricongiungendosi alla polvere da cui veniva.
Lei era polvere, lei era niente, lei era il frutto di un male nascosto e perverso che da sempre gli uomini si portano dietro come un fardello, cercando di contenerlo dentro azioni prive di senso, in nome di Dio o del diavolo.
II
Ginevra aprì gli occhi e, d’istinto, allungò una mano verso il lato vuoto del letto. Un debole fascio di luce illuminava il cuscino, nella penombra e nel silenzio avvertiva ancora più netta l’assenza di Giorgio. Si alzò svogliatamente, ogni mattina sembrava ripetersi lo stesso rituale stanco: ormai da tre anni le sembrava faticoso vivere non appena apriva gli occhi. Baghera, ancora arrotolato sopra il piumone, non mosse nemmeno la testa quando lei si alzò, sembrava una ciambella di pelo nera. Per lei era rassicurante trovarlo ai suoi piedi ogni mattina, le ricordava una vita vissuta in cui era stata felice e tutto sembrava essere perfetto, un idillio che Giorgio si era portato via, una notte, senza preavviso. Ogni mattina lo stesso pensiero, lo stesso ricordo le ripercorreva la mente come una lama che si insinuava tra la carne, poteva ancora sentirne il dolore netto e deciso mentre le affondava nell’anima. Il rimorso di non avere avuto tempo per dire a suo marito tutto quello che avrebbe voluto, la faceva sentire soffocare; la domanda insistente sul perché proprio a loro fosse capitato tutto questo le riempiva la testa come un’onda anomala che annega il desiderio di speranza e di vita che non sentiva più batterle nel petto come un tempo, ma solo a metà.
Dopo essersi lavata la faccia con dell’acqua fredda, si soffermò a guardarsi allo specchio. Due deboli pieghe creavano solchi leggeri sui lati della bocca: quando era invecchiata?
Poteva immaginarlo senza troppo stupore. Dovrò abituarmi anche a voi due
, pensò. Aveva già preso confidenza col paio di piccole rughe di espressione che aveva sulla fronte, proprio in quel punto in cui aggrottando il volto si formavano lievi solchi verticali sul finire delle sopracciglia. Il pensare troppo si era impresso sul suo viso negli anni, la concentrazione silenziosa che la caratterizzava da quando era solo una bambina. Aveva imparato a volere bene a quei due piccoli e severi segni che si erano radicati in modo sempre più profondo e le ricordavano che la vita non le era mai scivolata addosso, ma le era penetrata nella pelle, nelle vene e nelle ossa. C’era ancora qualcosa di bello nel portare addosso le tracce del tempo, del dolore e dell’esperienza. C’era ancora qualcosa di bello in fondo ai suoi occhi verdi e al viso ovale, incorniciato da una cascata di capelli color rame.
Dai, rossa, è ora di carburare
, si disse sorridendo allo specchio. Guardò il tavolo in noce nel silenzio del salone, il computer spento e tanti fogli sparsi, doveva riuscire a terminare quel progetto e smetterla di crogiolarsi in pensieri vuoti e negativi. Quel libro poteva essere la sua chiave di salvezza, il suo ritorno alla vita professionale che cominciava a mancarle.
Era un debole segnale ma indicava che qualcosa in lei si stava muovendo per tornare a fare ciò per cui era nata: scrivere.
Mentre era assorta in quei pensieri e sorseggiava il suo caffè nero, Baghera le si strusciò contro le gambe e un miagolio lamentoso la richiamò alla realtà.
«Buongiorno, pigrone.»
Affondò la mano minuta nel suo pelo morbido, sentiva le fusa tremare attraverso il mento del gatto e arrivarle come una strana energia fino alle dita: quel tremore affettuoso le sembrava la testimonianza più bella di un buongiorno. Gli riempì la ciotola, lo vide avanzare velocemente con la coda dritta e mettersi a mangiare di gusto, ma sempre con il garbo e l’eleganza che lo caratterizzavano. Sembrava una bellissima pantera.
Dopo una doccia calda e una frugale colazione, si rimise davanti al computer per rileggere le informazioni prese riguardo all’uomo senza identità.
Tra tutti gli omicidi irrisolti che aveva analizzato, quello era il caso che l’aveva appassionata di più. La lunga esperienza di giornalista di cronaca nera l’aveva fatta entrare in contatto con realtà inconcepibili, ma i casi trattati nel libro che stava scrivendo erano tutti precedenti alla sua carriera. Erano avvolti nel mistero, come nubi che non si erano mai dissipate nel corso del tempo, pesando, col loro carico di oscurità, sulla vita di chi era stato coinvolto in quelle vicende o su chi, come lei, ne ripercorreva i tragici e macabri eventi. Accese il computer, aprì la cartella contenente il materiale che aveva raccolto e cominciò a rileggere la storia riguardante il misterioso uomo.
"Marzo 1984: un cadavere fu ritrovato sulla spiaggia di Ostia. Un uomo di circa sessantacinque anni, vestito di tutto punto, fu notato da una coppia di innamorati che lo scambiarono, inizialmente, per un ubriaco. Soltanto dopo si resero conto che il corpo rigido e immobile, appoggiato alle cabine, era senza vita.
Chiamarono la polizia: l’uomo aveva i polpastrelli delle mani trinciati, impossibile risalire all’identità anche perché completamente sdentato. Una volta effettuata l’autopsia emerse che la morte era stata causata da scompenso cardiaco con sospetto di avvelenamento, poiché nello stomaco, oltre al suo ultimo pasto, fu trovata un’ingente quantità di sangue. Tuttavia i ripetuti test, effettuati da chimici esperti, non riuscirono a rilevare la minima traccia di un qualche tipo di veleno, non trovando così nessuna causa precisa per la morte. Non c’era nessun portafogli né contanti e naturalmente alcun documento identificativo. Nessuno degli indumenti aveva etichette, erano state accuratamente tagliate via. Unici indizi: un biglietto del treno e un pacchetto contenente due sigarette che l’uomo conservava in tasca. Inoltre, il cadavere presentava delle peculiarità insolite come le pupille stranamente più piccole del normale e della saliva scesa lungo un lato della bocca, il che suggeriva che non era stato in grado di ingoiare nei suoi ultimi istanti di vita. Infine, la sua milza era sorprendentemente grande. Le autorità si trovarono così un vero e proprio puzzle tra le mani.
L’unica spiegazione della morte rimase l’uso di veleni molto rari che non lasciano nessuna traccia. Si ipotizzò, dunque, che l’uomo fosse stato ucciso tramite l’utilizzo di un veleno estratto dalla pianta Digitalis. La FUI indica che le foglie di Digitalis purpurea non possono contenere meno dello 0,3% di eterosidi cardioattivi, espressi come digitossina (marker della droga).
Si stima che soli 40 grammi di foglie fresche di Digitalis purpurea possano uccidere un uomo: la dose mortale scende a 10 grammi per la droga essiccata.
Una foglia fresca, contenente circa l'80% di acqua, può essere costituita da una quantità variabile di eterosidi, in genere compresa tra 1,6 e 4,8 mg, oltre a molecole saponosidiche (in grado di alterare l'assorbimento degli eterosidi a livello intestinale).
Solo in seguito all’autopsia fu ritrovato, in una tasca interna dell’abito dell’uomo, un biglietto contenente una macabra poesia:
"Verrà la morte, a cavallo della luna
e sarà rapida se avrai fortuna.
Verrà la morte a cavallo del mare,
si porterà via il tuo nome, la tua vita
il tuo disperare."
L’identità della vittima restò ignota. Nessuno ne richiese mai il cadavere né denunciò la sua scomparsa restando così un caso irrisolto.
Rimase assorta a riflettere su chi potesse essere quell’uomo: si chiese come si chiamasse, di quale nazionalità fosse, se avesse una moglie e dei figli o fosse solo al mondo e soprattutto si interrogò sul perché fosse stato ucciso in quel modo.
Le mancava ancora materiale, doveva continuare a indagare nei meandri del web e trovare altre informazioni o fotografie e, mentre era assorta in questi ragionamenti, il cellulare cominciò a vibrare così forte da far tremare il tavolo, distogliendola completamente da tutti questi pensieri.
«Buongiorno rossa!» si sentì dire.
Era la voce calda e allegra di Andrea che la riportò a una realtà che poteva ancora dare un significato alla sua vita e riempire la sua solitudine.
«Buongiorno a te» rispose.
«Hai già deciso cosa indosserai stasera? O devo portarti a fare shopping più tardi?»
«Non me lo ricordare ti prego. Non ho molta voglia di partecipare a questa cena. Dopo la lunga assenza dal giornale, non so se mi sento ancora pronta.»
«Non voglio sentire storie Ginni, dobbiamo andarci e lo sai. Devi ricominciare a vivere!» la esortò Andrea.
«Immagino quanto saranno felici di vedermi alcuni miei ex colleghi…» incalzò lei.
«I tuoi colleghi ti adorano, il tuo capo anche e pure io ti adoro, ti basta? E poi è una cena di beneficenza molto importante.»
«Lo so - ammise - Hai ragione. E poi chi se ne frega di quella strega di Susanna Falci.»
«Oh! Ecco la mia Ginni, bella battagliera! Fregatene di lei e fatti più bella che mai!»
«Possibile che tu debba dare sempre tutta questa importanza al look?» gli chiese Ginevra divertita.
«Io sono un esteta mia cara, lo sai. E tu sei sempre bellissima. A più tardi, passo a prenderti verso le 19» la salutò lui.
Ginevra non riusciva a smettere di sorridere, Andrea era stato una ventata di aria fresca nella sua vita, riuscendo a farsi spazio nel suo dolore per la perdita di Giorgio.
Non sapeva ancora se avrebbe potuto amarlo come aveva fatto con suo marito ma, certamente, non poteva fare a meno di lui e della sua positività. Non era sicura se fosse giusto collocare Andrea tra il desiderio e la salvezza ma la sua presenza le faceva bene e l’aveva aiutata a continuare a vivere.
Baghera la stava fissando, arrotolato sul tavolo di fronte al computer. Ginevra allungò un braccio per accarezzarlo e lui si lasciò coccolare, come sempre. I suoi occhi gialli, solcati da quelle particolari striature verdi che li rendevano ancora più intriganti, si chiusero piano piano, mentre di nuovo il tremito delle sue fusa raggiunse le dita di Ginevra, penetrandole fin nelle ossa.
«Accompagnami a scegliere un vestito per stasera» gli ordinò.
Baghera ubbidì, saltando giù dal tavolo. Le sue zampe toccarono il pavimento senza produrre nessun suono, come se il peso del suo corpo fosse inesistente.
Ginevra aprì la cabina armadio, toccò con leggerezza i suoi abiti da sera e l’occhio le cadde sul tubino nero che le aveva regalato Giorgio qualche anno prima.
Con questo, sarò elegante e non eccessiva. Con questo sarai con me anche stasera
pensò, accarezzando il vestito.
III
Entrando nella sala del Palace, Ginevra sentì su di sé lo sguardo di tutti i presenti, provando un profondo senso di