Poesie d'amore
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A cura di Anna Reali
Testo tedesco a fronte
Al più universale e celebrato dei sentimenti, alle sue gioie e alle sue pene, al fascino ora sensuale ora intellettuale della donna, il grande autore del Faust ha dedicato opere indimenticabili, come I dolori del giovane Werther o Le affinità elettive. Ma è in queste poesie che Goethe ci trasmette nei toni più semplici e immediati la sua visione dell’amore e della figura femminile, immortalando sotto pseudonimo donne realmente conosciute e amate: creature che egli evoca con acceso desiderio o con struggente nostalgia. Inizialmente influenzate da modelli tradizionali, le liriche goethiane si liberano a poco a poco dei cliché letterari, raggiungendo esiti di rara originalità compositiva.
Johann Wolfgang Goethe
nato a Francoforte sul Meno nel 1749 e morto a Weimar nel 1832, è il massimo scrittore tedesco e uno dei padri della letteratura moderna. Poeta, drammaturgo e narratore grandissimo, oltre al Faust, suo capolavoro, scrisse quattro romanzi (Le affinità elettive, I dolori del giovane Werther, Anni di apprendistato di Wilhelm Meister e Anni di peregrinazione di Wilhelm Meister), divenuti modelli per la narrativa europea dell’Ottocento e del Novecento. Di Goethe la Newton Compton ha pubblicato Poesie d'amore, Le affinità elettive e I dolori del giovane Werther.
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Poesie d'amore - Johann Wolfgang von Goethe
268
Traduzione di Anna Reali
Prima edizione ebook: aprile 2011
© 1997, 2008 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-3043-2
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Johann Wolfgang Goethe
Poesie d'amore
A cura di Anna Reali
Introduzione di Giorgio Manacorda
Testo tedesco a fronte
Newton Compton editori
Lontano da Lili
1.
Goethe ha intitolato la sua autobiografia Poesia e verità, che è come dire «poesia e biografia». E difficile, quindi, sfuggire alla tentazione di chiedersi quanta «verità» cè nella sua poesia. Goethe ha anche scritto «Ho seguito la tendenza a trasformare in un'immagine, in una poesia, e di portare così a conclusione dentro di me, quello che mi dava gioia o tormento, o in qualche modo occupava il mio spirito». Altrimenti detto: «Tutto ciò che si è venuto a conoscere di me sono soltanto frammenti di una grande confessione». Siamo, quindi, autorizzati a tentare di cogliere la «verità» che sta dietro (che alimenta o ha alimentato) le sue poesie. Biografie, studi e ricerche hanno scavato in ogni episodio, dissepolto epistolari, recuperato diari, raccolto testimonianze, registrato colloqui, verificato l'attendibilità della sua autobiografia... Insomma, chiunque voglia saperne di più ha a disposizione tutto ciò che si può desiderare per capire cosa muove una poesia, quale è stata l'occasione, l'emozione, che ne ha provocato la nascita. Aver ordinato i testi secondo le «muse» che li hanno ispirati va incontro all'esigenza (che è anche goethiana) di «far vedere» che la poesia non è nulla di astratto, che non è una strana cosa di difficile comprensione, ma niente altro che una delle manifestazioni della vita.
Sappiamo, dunque, tutto ciò che si può sapere sulle donne di Goethe, su come le ha conosciute e come le ha lasciate, sappiamo tutto ciò che si può sapere (tutto ciò che i documenti, che non sono pochi, ci consentono di sapere) sul tipo e sulla qualità dei suoi rapporti amorosi... Ma tutto ciò è finito: è storia, anzi cronaca. E nessuno ne parlerebbe più se non ci fossero le poesie, se non ci fossero questi oggetti che vanno al di là della storia e della cronaca, e sono validi per noi come per i suoi contemporanei - e per i nostri discendenti. Non si tratta qui adesso di spiegare (ammesso che sia possibile) come avviene questa sorta di miracolo. Non possiamo, però, non interrogarci su cosa succede nel passaggio dalla cronaca alla poesia.
Quale era la «verità»: come era Goethe con le donne? «Voi non sapete quanto quest'uomo amabile e seducente potrebbe riuscirvi pericoloso - scrive il dottor Zimmermann a Charlotte von Stein. - Una donna di mondo che lo ha visto spesso mi ha detto che era l'uomo più bello, più vivace, più originale, più ardente, più impetuoso, più dolce, più seducente e più pericoloso per il cuore di una donna ch'essa avesse mai visto in vita sua». Il giovane Wolfgang non si è certo risparmiato. Si può dire che era un tombeur de femmes, insomma un «dongiovanni»? Probabilmente sì, e non solo per il fascino che emanava o per la quantità di donne di ogni ceto sociale con cui ha avuto rapporti ma per la qualità di questi rapporti: si ha spesso l'impressione che più parla d'amore e meno amore ci sia. Si è portati a pensare che, come spesso i giovani, sia innamorato dell'amore, ci si accorge che si tratta di «esperienze», ci si sente, appunto, il distacco del dongiovanni; poi, però, affiora qualcosa di più complesso e più inquietante; si tratta ci un distacco particolare: è come se Goethe vivesse per scrivere o forse, meglio, vivesse per costruire la propria personalità in funzione della letteratura. Herder dirà che Goethe considera anche i suoi amici «come un semplice pezzo di carta sul quale scrivere». Le donne non sono che accessori. Certo, questo non sarà vero in assoluto, ma Charlotte Buff (e forse anche Maxe Brentano) si sono trasformate nella Lotte del Werther, Anna Elisabeth Schönemann è presente in Stella, Gretchen, quanto meno, ha dato il proprio nome ad uno dei personaggi più famosi del Faust. E le altre sono state immortalate, con vari pseudonimi, nelle poesie raccolte in questo volume.
Soffermiamoci per un momento sul romanzo d'amore per eccellenza, su I dolori del giovane Werther. Solo una poesia della nostra antologia documenta del rapporto con Lotte Buff. Si tratta di una bella poesia, benché tirata giù per accompagnare l'invio della propria silhouette alla donna amata; una poesia apparentemente sbilanciata, visto che dedica le prime due strofe al primo termine del paragone che regge tutto il testo. Ma è proprio questo sbilanciamento, e la lontananza dal paragone, che fa funzionare la sorpresa e la poesia in chiave ironica e lievemente autodenigratoria. Ma, in fondo, c'è poco da scherzare, Goethe si paragona all'immagine di un morto. Al di là del messaggio apparente («dalla mia immagine non puoi vedere il mio amore») il sottotesto di questa poesia vagamente scanzonata, in realtà è tragico, e lo è in chiave tutta wertheriana: sto morendo d'amore.
Queste poesie, che cantano il sentimento vitale per eccellenza, nascondono qualcosa di «insano»? Se è vero che il personaggio Werther rispecchia una fase della vita del giovane Goethe, se è vero che Goethe ha sempre detto di essersi salvato, di essere guarito, scrivendo il Werther, quel romanzo svela l'atteggiamento profondo di Goethe verso l'amore: «Le mie sofferenze non sono mai state molto lontane dalla pazzia». Perché Goethe arriva a mettere in bocca alla sua «controfigura» una frase in cui coincidono amore, sofferenza e follia? «Il Werther fu scritto», come osservò il critico americano K.R. Eissler «per una sorella assente e persa», che era una controfigura fantasmatica della madre - la quale, peraltro, non era donna da sopportare passioni. Goethe è esplicito nel parlare del suo grande amore per la sorella Cornelia, che era «persa» per lui esattamente come Lotte. Infatti, nel 1773 (l'anno prima della stesura del Werther,) il 4 aprile si sposa Lotte e il primo novembre si sposa Cornelia.
Werther è, si direbbe oggi, un depresso: «Cosa mai significa, amico, quest'orrore che ho di me stesso?» Ma, contemporaneamente, si ritiene un eletto, benché non sappia a quali destini. Allora investe in amore, e sceglie un amore impossibile, in modo da avere la sicurezza di essere sconfitto in una nobile impresa irrealizzabile. Il suicidio è la logica conseguenza. Ma quello che ci interessa notare qui è che il suicidio non è un atto d'amore verso la donna «amata», bensì (per quanto paradossale possa sembrare) verso se stesso. Suicidandosi Werther si trasforma in un eroe, un eroe negativo, ma pur sempre un eroe - e infatti il suo esempio fu seguito nella realtà da molti «sventurati giovani», che si vestivano come Werther, «soffrivano» come lui, e alla fine si immolavano sull'altare di quella sofferenza. Era diventato un problema sociale, tanto che le istituzioni intervennero per condannare, frenare, limitare. Passata la bufera dello Sturm und Drang, e superata la depressione del primo periodo weimariano con il viaggio in Italia, superata l'idea del suicidio (la rinuncia assoluta) come unico meccanismo per raggiungere la serenità, non resta che la rinuncia alla vita, come è evidente nelle Affinità elettive. Il romanzo dell'amore impossibile. Goethe, con rigore geometrico, dimostra che sul piano dell'amore non ci si incontra mai. E questa impossibilità genera mostri. Sembra notevolmente perversa un'immaginazione che partorisce l'idea che il figlio di Carlotta ed Edoardo, concepito mentre Carlotta pensava di fare l'amore con il Capitano e Edoardo con Ottilie, somigli, appunto, a Ottilie e al Capitano. La mostruosa irrealtà che questo figlio rappresenta viene, però, rapidamente soppressa: il frutto del peccato mentale muore. Eppure Le affinità elettive sembra un libro pacato. Ma la serenità è solo apparente. Le passioni vengono rimosse, non vissute e superate. Ottilie è una sorta di Werther: si ammala di anoressia (la forma fisica della rinuncia) e muore.
2.
Scrivere poesie d'amore è difficile. Contrariamente a quello che si crede, è la cosa più difficile. Goethe era Goethe, cioè uno dei maggiori poeti di tutti i tempi, eppure non sempre le sue poesie d'amore sono belle. Per la semplice ragione che, appunto in quanto poesie d'amore, sono convenzionali. Anna Reali, che le ha tradotte, dice giustamente che «nelle prove poetiche dedicate ad Annette non ci sono tracce di autentica originalità, il loro interesse sta piuttosto nel sapere esse abilmente ricalcare i moduli stilistici della tradizione poetica dominante, quella rococò diffusa dalle opere di Wieland, Gleim e Hagedorn». E vero, ma è anche vero che Goethe aveva sedici anni, e ricalcare con grazia moduli stilistici è già molto ed è, comunque, una necessaria fase di apprendistato. Ma l'armamentario dei luoghi comuni della poesia d'amore segue Goethe anche al di là del libro dedicato al suo primo amore. Si potrebbe vedere quante volte compaiono parole come «cuore», «primavera», «amore», «autunno», «fuoco»; e la fanciulla che porta pace e serenità, e la retorica delle separazioni e degli addii, e le descrizioni corrusche, e la figura dell'innamorato descritta come eroica, guerriera, insomma «maschia» contrapposta a fanciulle angelicate, serene e, soprattutto, ingenue nel loro candore naturale.
Tutto questo dura almeno fino alle poesie dedicate a Lili (Anna Elisabeth Schönemann), nelle quali cambia qualcosa. Negli ultimi versi di A Belinda, con una mossa a sorpresa, Goethe svela, rende espliciti, i moduli poetici acquisiti. E con questo forse liquida, o avvia a liquidazione, il registro delle analogie di maniera legate alla natura, cioè un intero mondo figurativo e mentale. La fanciulla amata non è più come la natura: è lei stessa la natura. Se questo è vero la natura non significa più di per sé («Nei campi il fiorire di primavera / ora non mi eccita più»), né è più la natura a dare significato all'amore, ma è il contrario: la natura esiste nella misura in cui esisti tu («Dove sei tu, angelo, è bontà e amore, / dove sei tu, natura»). Non vorrei enfatizzare più del necessario questo passaggio di A Belinda, ma mi sembra significativo del superamento delle convenzioni figurative perché mette a nudo tutta una serie di similitudini tra la donna e la natura. Con alcune conseguenze importanti per la produzione poetico-amorosa di Goethe, che comincia così ad avviarsi sul sentiero dell'originalità, ma con conseguenze addirittura inquietanti sul piano personale. Goethe, infatti, anche nella vecchiaia, parlerà di Lili come del suo unico vero grande amore (a parte il caso particolare della von Stein). Anche il rapporto con Lotte Buff come abbiamo visto, era stato importante per la sua formazione, anche lei (anzi lei più delle altre) era stata una donna dello schermo letterario, proprio perché è stata la prima a porsi come irraggiungibile in quanto fidanzatissima e già nel ruolo di madre (ricordiamo almeno la scena in cui distribuisce il pane ai fratellini che, appunto, accudisce come una madre).
Subito dopo l'esperienza «edipica» del matrimonio di Lotte e di Cornelia, Goethe si innamora di Lili, fanciulla raggiungibile e di fatto raggiunta: si fidanza ufficialmente e si intravede il matrimonio. Sembra che Goethe possa accettare un rapporto d'amore secondo le regole della società. Sembra avviato a fare ciò che hanno fatto Lotte e Cornelia, l'una felicemente e l'altra in modo infelice - come era, peraltro, nel suo carattere.
A me sembra che il rapporto con Lili abbia valore di spartiacque. Fino a quel momento Goethe si era innamorato di fanciulle che non erano del suo stesso livello sociale, fanciulle che, effettivamente, non ponevano nessun problema - e se ne era liberato con una certa facilità e, forse, incoscienza, se è vero che a proposito di Rikchen dirà «dovetti lasciarla in un momento che a lei costò quasi la vita».
Il punto è che Lili non poteva essere trattata come tutte le altre: era figlia di un importante banchiere di Francoforte. Goethe era in qualche modo costretto a prendere il legame molto sul serio. Le famiglie erano contrarie, ma si arrivò a un fidanzamento ufficiale (l'unico della sua vita). I biografi si spiegano la rottura del rapporto con l'impossibilità per lo scrittore poco più che venticinquenne di legarsi definitivamente, e con una donna di un milieu troppo alto, tale da relegarlo in un ruolo da principe consorte - e, comunque, di frenare i suoi impeti stürmisch (ma anche la sua voglia di divertirsi con le donne, cui darà ampio sfogo a Weimar in compagnia del giovane duca). Tutto questo è plausibile e fondato, ma Lili, con molta probabilità, è stata veramente amata da Goethe più di ogni altra donna: infatti lei, e solo lei nell'esperienza goethiana, riassumeva in sé caratteristiche «materne» (o sororali), insomma caratteristiche di elevata purezza (legate anche alla collocazione sociale) caratteristiche, quindi, di «inavvicinabilità», pur essendo, di fatto, avvicinabile. Lili era in qualche modo troppo
, perché Lili non poteva essere «usata», Lili, con il matrimonio, non poteva che diventare un «fine». Egli avrebbe dovuto piegare la propria vita ad un incontro, ad un vero incontro. Non per caso la rottura è avvenuta (e in modo inspiegabile) subito dopo l'avvicinamento ufficiale, subito dopo il fidanzamento. Goethe fugge da Lili, e da chi va? Va da sua sorella Cornelia. Goethe, cioè, va dalla vera rivale di Lili. Ricordando il matrimonio di Cornelia, Goethe scrive: «Mi accorsi solo allora che ero geloso di mia sorella: un sentimento che non potei nascondere a me stesso, perché dopo il mio ritorno da Strasburgo, i nostri rapporti si erano fatti tanto più intimi». E Italo Alighiero Chiusano, nella sua biografia ai Goethe, nota come «all'idea che il suo Wolfgang sposi Lili (o una donna purchessia) l'umor malinconico di Cornelia diventa aggressivo».
L'amore e l'intesa tra i due fratelli è tale che il rapporto con Cornelia è il modello del rapporto di Goethe con le donne. Goethe scinderà nettamente il livello dell'intesa intellettuale dal rapporto fisico. Questi due estremi sono rappresentati nella sua vita dall'amicizia amorosa con Charlotte von Stein (che era sposata) e dal matrimonio (a cinquantanni) con un'ex operaia, Christiane Vulpius. Il rapporto con Lili rischiava di fondere questi due momenti in un'unione piena e completa - cosa che Goethe