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Le incredibili curiosità di Torino
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Le incredibili curiosità di Torino
E-book279 pagine3 ore

Le incredibili curiosità di Torino

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Aneddoti poco noti, aspetti insoliti e strabilianti di una città che non smette di affascinare

Torino, una città da svelare che continua a proporsi come fonte inesauribile di scoperte e incredibili vicende ancora poco note. Aspetti insoliti e strabilianti, aneddoti e appassionanti segreti che vanno oltre l’immaginario comune, valicando i confini cittadini e mostrando al lettore l’importanza di Torino nel mondo. Ripercorrendo la città attraverso i secoli, le curiosità si affastellano, rivelando il volto insolito della città. Ed ecco dunque spuntare fuori i resti di un balenottero che nuotava là dove oggi c’è la Pianura Padana, oppure vedere emergere tra le ruspe una basilica paleocristiana o un antico mosaico romano; un Savoia che va alla conquista del Karakorum o un pittore torinese che viene chiamato a decorare un palazzo di Bangkok; o ancora il caffè che va nello spazio a farsi degustare dagli astronauti o un noto liquore bevuto da un agente segreto. Siete curiosi? Le incredibili curiosità sono qui, pronte per essere “sfogliate”.

Come un inquisitore è diventato un beato
Il cappotto che tradì la spia di Cavour
Dall’Asia alla corte dei Savoia: storia di un elefante triste
Il primo pallone di cuoio di Torino
Melville da Philadelphia a Torino
Trovare un’area archeologica nella tazza di caffè
La prima storia d’amore romantico del regno d’Italia
Il salotto risorgimentale di Olimpia Savio
A Torino le spa sono arrivate nel 1800!
Come Torino ha salvato quattro teste di Notre Dame
Le regine alla conquista delle montagne

Daniela Schembri Volpe
è nata a Palermo nel 1963. Ha conseguito al Politecnico di Torino il titolo in Scienze e arti della stampa. Si è occupata di grafica come art director junior e da tempo lavora nell’editoria come correttrice di bozze e editor. Pubblicista, ha vissuto all’estero in diverse città del mondo. Con la Newton Compton ha pubblicato 365 giornate indimenticabili da vivere a Torino e Keep calm e passeggia per Torino.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2019
ISBN9788822737717
Le incredibili curiosità di Torino

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    Le incredibili curiosità di Torino - Daniela Schembri Volpe

    1. Ali di angelo

    o code di diavolo?

    indemoniata.tif

    Frate che esorcizza un’indemoniata, in una xilografia del xv secolo.

    La Torino che fu abitata dai nonni di papa Francesco

    La chiesa barocca di Santa Teresa, nell’omonima via e a pochi passi da piazza San Carlo, visitata dai turisti e vissuta dai cittadini, si distingue per essere stata frequentata, in passato, da una coppia di devoti che hanno dato origine a un personaggio noto oggi nel mondo intero. È anche vero che vi sono sepolti i resti di Cristina di Francia, dalla lunga e controversa vita politica, dedita prima agli eccessi e dopo alle espiazioni, ma questa è un’altra storia. Infatti, dopo la visita in città di papa Francesco nel giugno del 2015, in occasione dell’ostensione della Sindone, la chiesa di Santa Teresa è balzata in cima alla classifica dei luoghi che incuriosiscono i torinesi. Perché papa Bergoglio si è recato proprio in questo edificio religioso? Per rendere omaggio a un luogo fondamentale per il suo percorso, personale prima che religioso, in cui i suoi nonni paterni si giurarono eterno amore durante la cerimonia del loro matrimonio. I nonni si conobbero a Torino e qui si sposarono.

    Nella prima metà dell’Ottocento uno degli antenati di papa Bergoglio, probabilmente originario della zone che ruotano intorno a Castelnuovo d’Asti, acquistò l’unica dimora abitabile a Portocomaro. Lì nacque Giovanni Angelo, nonno Bergoglio appunto, il 13 agosto del 1884 e nel 1906 decise di trasferirsi a Torino, allontanandosi dalle campagne in un’epoca in cui la città era un forte richiamo per cercare una svolta economica, un riscatto e un’emancipazione di carattere sociale. E fu qui che conobbe Rosa Margherita Vassallo. Anche lei non era torinese di nascita, veniva da una frazione di Cagna, in provincia di Savona, oggi divenuta San Massimo, ed era nata anche lei nel 1884, il 27 febbraio. In realtà la ragazza era giunta in città all’età di otto anni e aveva risieduto dalla zia Rosa, da cui probabilmente aveva ereditato anche il nome: la sua famiglia era numerosa e in quell’epoca non era inusuale chiedere il supporto di altri parenti per crescere la propria prole. Rosa, la nonna Bergoglio, faceva la sarta quando conobbe Giovanni, il futuro marito.

    Si sposarono il 20 o il 21 agosto del 1907, le fonti sulla data sono imprecise anche se si conosce il numero di atto comunale, ovvero il 19! La chiesa fu quella di Santa Teresa, come già detto, che allora era solo una parrocchia e fu scelta probabilmente perché era proprio lì, in quella zona di Torino in cui i coniugi sarebbero andati a vivere, al numero 12 di via Santa Teresa, mentre la chiesa era collocata e si trova ancora adesso al civico 5.

    Proprio in quella abitazione nacque Mario Giuseppe Francesco, il padre di papa Francesco, che venne anch’egli battezzato nella chiesa dedicata a santa Teresa il 2 aprile del 1908.

    Prima del trasferimento in Argentina ci furono altri spostamenti da parte della famiglia Bergoglio, niente di inusuale per quell’epoca di migrazioni, ma appare tutto caratterizzante visto che si parla degli avi di un papa dinamico! Cambiarono più volte casa: abitarono in via Alfieri, in via Arsenale e poi anche in via Garibaldi. Pare che la vita torinese fosse stimolante per i due giovani, soprattutto per la signora Rosa che apprezzava molto l’impatto sulla società dei santi sociali, personalità molto attive sul suolo torinese che con le loro associazioni cattoliche, molte anche di carattere femminile, coinvolgevano i cittadini e le cittadine.

    Nel 1916 Giovanni venne richiamato alle armi per partecipare alla prima guerra mondiale. La sua visita di leva risale a quando aveva vent’anni, ed era il 28 giugno del 1904. Si hanno notizie ben precise sulla sua fisicità grazie a questi documenti: aveva capelli bruni ricci e gli occhi castani, alto un metro e sessantasei centimetri. Evitò i tre anni di servizio militare obbligatorio per una deficienza toracica, ma quando l’Italia entrò in guerra nel 1915 venne appunto richiamato alle armi. Si conosce anche il suo numero di matricola da soldato: 15.543. Dopo aver combattuto al confine con la Slovenia e aver fatto parte del 9° Reggimento dei Bersaglieri di Asti poté abbandonare il territorio di guerra.

    Nel 1918 si trasferì proprio ad Asti, fino al 1929, anno in cui la famiglia da Genova si imbarcò sulla nave Giulio Cesare e, dopo una lunga traversata, il 15 febbraio sbarcò a Buenos Aires. Si stabilirono inizialmente a Paraná, capoluogo della provincia di Entre Ríos, lavorando in un’azienda di pavimentazioni. Visto che i fratelli di Giovanni vivevano già in Argentina, passarono i loro primi anni in quella nuova terra a palazzo Bergoglio, un edificio di quattro piani in cui risiedevano quattro famiglie tutte imparentate sotto questo stesso cognome; la loro casa era stata tra le prime di Paraná ad avere un ascensore. Questa azienda, che lavorava i pavimenti ma si occupava anche di lavori stradali, fallì nel 1932 e così i coniugi si trasferirono a Buenos Aires, la città in cui Mario Giuseppe Francesco conobbe Maria Regina Sivori, sua futura moglie. I due convolarono a nozze il 13 dicembre del 1935 e un anno dopo, il 17 dicembre del 1936 nacque il loro primogenito: Jorge Mario, futuro papa Francesco. Insomma, galeotta fu Torino che regalò atmosfere romantiche ai nonni Bergoglio, e al loro sentimento dobbiamo la presenza di un papa la cui empatia va al di là di ogni credo religioso. Molti conoscono le origini italiane e torinesi del Santo Padre, ma pensare ai suoi nonni impegnati in vari traslochi in giro per la città, immaginarli uscire dalla chiesa di Santa Teresa vestiti da sposi e poi immaginare Rosa che aspetta trepidante e spera che Giovanni torni dalla guerra, magari già sognando un possibile futuro con più possibilità dall’altro lato della Terra… ci spinge a riflettere su quanto qualcuno che ci passa accanto, inosservato, potrebbe diventare un giorno fondamentale per le sorti dell’intero mondo! Viva papa Francesco!

    Come un inquisitore è diventato un beato

    Il tempo dell’inquisizione, che ricade nel Medioevo, è stato raccontato e rappresentato in numerosi libri, film, fiction, dove in alcuni casi gli inquisitori altro non erano che delle pedine delle più alte cariche ecclesiastiche, mentre le loro vittime venivano catalogate come streghe ed eretici, uccise in modo brutale e senza motivazione apparente, come probabilmente avveniva nella realtà; nessuno ormai tende più a nasconderlo, nemmeno la Chiesa stessa. Ma dietro a questo periodo storico così strettamente legato al mondo della Chiesa cattolica ci sono volti, nomi, persone che hanno dedicato l’intera loro esistenza a questa sorta di missione punitiva, con eccellenti e al contempo terrificanti risultati, come nel caso che stiamo per narrare adesso, con un epilogo prevedibile seppure ancora velato dal mistero.

    I domenicani, che altro non significa che i cani del Signore, sono stati a capo della Santa Inquisizione fin da quando questa istituzione è stata costituita, il loro ordine ha sempre rappresentato la totale intransigenza verso coloro che venivano definiti eretici. Ed è proprio dal loro ordine che prende il via questa vicenda.

    Pietro Cambiani da Ruffia, l’adesso beato Pietro Cambiani, nacque a Ruffia (Cuneo), all’incirca nell’anno 1320, da un’agiata famiglia. A sedici anni abbandonò le ricchezze e la prospettiva di una vita confortevole ma laica (al di là delle fatiche che poi vedremo non gli mancò mai nulla nemmeno nella sua carriera ecclesiastica!) ed entrò nell’ordine domenicano di Savigliano. Qui studiò la Teologia e il Diritto, oltre alle Sacre Scritture; i suoi confratelli, soprattutto quelli più esperti e influenti, notarono sin da subito il suo spirito tendente al sacrificio (più che altro il sacrificio degli altri), la sua virtù e le ottime doti da oratore, che lo portavano a elargire saggi consigli ai fratelli e al popolo, tutto questo unito a una lunga serie di caratteristiche che lo rendevano brillante di cuore ma anche di cervello. Perciò i suoi superiori lo obbligarono a prendere i gradi teologici. Fu così che le voci al riguardo di questo giovane domenicano così ricco di pregi e virtù giunsero a Roma e il papa Innocenzo vi non esitò a nominarlo Inquisitore Generale di Piemonte e Liguria. Fulgida carriera.

    28.tif

    Le torture dell’Inquisizione, in un’incisone seicentesca.

    Torino era già un’importante cittadina di quell’area del nord Italia oltre che sede del Tribunale, e fu proprio vicino alla chiesa di San Domenico, fra i pochissimi edifici gotici di Torino, tra via Bellezia e via San Domenico, che il virtuoso Pietro si stabilì, abitando alcune stanze che prevedevano una bizzarra appendice, ovvero delle carceri speciali! Oltre alle carceri c’erano un prima, l’antico Tribunale, e un dopo, cioè il cimitero. Le streghe nel 1326 furono equiparate agli eretici da papa Giovanni xxii e il lavoro che gratificava la sua cattolica professione non mancava affatto.

    Il suo operato fu in parte condizionato e arricchito dall’avvento dei valdesi, che si erano stabiliti nelle valli piemontesi, i quali, dopo un approccio rivolto alla crescita della loro comunità, iniziarono un vero e proprio attacco contro la Chiesa cattolica e le autorità ecclesiastiche. La missione era dunque quella di convertirli tutti, però in modo pacifico, si intende!

    Lo zelo che caratterizzava il temperamento del beato Pietro fu quindi fondamentale, visto che per i quattordici anni in cui ricoprì il ruolo di Inquisitore Generale riuscì con la sua arte oratoria a tramutare la fede di moltissimi eretici e lo fece anche girando in lungo e in largo proprio tra le valli piemontesi, senza stancarsi mai, irriducibile e solido nel suo ruolo. Fortificava il suo credo, che gli dava la forza per affrontare la fatica, con digiuni e penitenze, ma proprio questo suo modo di essere pare avesse un’altra faccia della medaglia: devoto e scrupoloso nel suo mandato, così come deciso e spietato contro chi si opponeva a questo impegno così forte e permeante della sua intera personalità.

    Nel 1365 venne ospitato dalla comunità francescana di Susa e il 2 febbraio, dopo la messa, due sconosciuti gli chiesero la possibilità di essere ascoltati in un’udienza privata, probabilmente per una ritorsione. I tre si appartarono e nel chiostro Pietro venne pugnalato a morte. Il fatto che l’omicidio fosse stato compiuto in un luogo sacro suscitò ancora più scalpore: difatti, successivamente, un vescovo dovette purificare quell’antro delittuoso.

    Gli assassini non vennero mai presi e poco tempo dopo un’effige in ricordo delle memoria di Pietro Cambiani li definì demoni. Il suo corpo restò a Susa fino al 7 novembre del 1516, quando venne trasferito proprio nella chiesa di San Domenico a Torino. L’affresco che lo ritraeva sparì, ma è ancora possibile, se proprio lo si desidera, pregare davanti alle sue reliquie nella navata di sinistra.

    Nel 1865, nel quinto centenario dalla sua morte, il papa Pio ix ne confermò il culto di beato.

    Cambiani fu in realtà il protomartire degli inquisitori piemontesi, visto che anche a due dei suoi successori, Antonio Pavoni e Bartolomeo de Cerveriis, entrambi ovviamente beati, toccò la stessa sorte.

    Il fatto è che la storia di Pietro rimase velata da un alone misterioso, legato anche a una leggenda che racconta di una donna forse autrice dell’omicidio, una supposta strega, decisa a vendicare l’infausta sorte di tante sorelle bruciate sul rogo. Un’altra tesi è quella che Ruffia avrebbe dovuto indagare su alcuni casi di eresia. Non lo sapremo mai, ma aggiungere questo velo noir rende ancora più appassionante la vicenda! E i Savoia? Ebbero comportamenti alterni. I principi di Savoia-Acaia, e i Savoia in seguito, non vedevano di buon grado che l’Inquisizione esasperasse un popolo tra cui era già diffuso il malcontento, ma all’opposto ci furono tra loro i soliti bigotti, che appoggiarono tribunali e roghi, felici di assistere a falò purificatori. Tuttavia la politica del casato non vedeva di buon occhio che il potere religioso travalicasse quello della corte sabauda, soprattutto quando i casi di possessione di donne presunte indemoniate vennero rilevati su donne in stretti rapporti con personaggi influenti della corte, e il Tribunale fu progressivamente depauperato dalle proprie funzioni, funzioni che in realtà, come noto, erano empie nefandezze. Giusto per dare un contenitore temporale, la bolla papale Super illius specula, che appunto equiparava le streghe agli eretici, fu emanata nel 1326, mentre solo il 23 gennaio 1799 il governo sabaudo abolì nel Piemonte i tribunali dell’Inquisizione! I tour torinesi che si occupano di questo lunghissimo capitolo oscuro della città spesso portano i turisti a osservare una lapide, posta sulla pavimentazione di piazza Castello, verso via Garibaldi, che il Comune di Torino pose in memoria del pastore valdese Goffredo Varaglia, impiccato e dopo arso in piazza il 29 marzo 1558. La Chiesa stessa con le figure dei papi Giovanni Paolo ii e papa Francesco ha ricordato l’Inquisizione come un errore teologico che ha portato a grandi sofferenze, chiedendo perdono per questa parentesi buia della propria storia.

    Il canadese che donò un luogo di culto alla comunità valdese di Torino

    Per i torinesi la presenza del tempio Valdese in corso Vittorio Emanuele ii è pura normalità. Sanno che è lì, qualcuno conosce l’evoluzione del credo e della comunità valdese, altri meno, qualcun altro forse non se n’è mai interessato. Con buona probabilità sono pochissimi i torinesi a sapere che quel tempio è lì perché un generale dell’esercito britannico, nato però in Canada, prese a cuore la questione valdese e fece sì che anche Torino e i valdesi residenti in città potessero avere finalmente il loro luogo di culto.

    Chi era questo personaggio? John Charles Beckwith nacque a Halifax, in Canada, città in cui la sua famiglia era emigrata partendo dall’Inghilterra. Il padre era un giudice e la sua famiglia aveva una notevole tradizione militare che anch’egli decise di seguire. Entrò nell’esercito, ritornando nella terra di origine, a soli quattordici anni combattendo contro la Grande Armata napoleonica e in realtà il suo destino fu beffardamente legato proprio a quello di Napoleone visto che nel 1815, durante la famosa battaglia di Waterloo, perse una gamba. Venne promosso a tenente colonnello e ricevette una medaglia, restò in carriera come militare a mezza paga e nonostante il suo handicap riuscì anche a diventare generale.

    La vita di Beckwith però sembrava aver subìto una battuta d’arresto, almeno fisicamente. Fu così che, guardandosi attorno e cercando qualcosa che lo appassionasse, nell’estate del 1827 lesse il testo di W. S. Gilly sui valdesi: Resoconto di una gita fatta nelle montagne del Piemonte nell’anno 1823 e ricerche sui valdesi o abitanti protestanti delle Alpi Cozie, restandone colpito e incuriosito tanto da volersi recare in visita presso i luoghi delle comunità descritte nel libro. Lo stesso anno si recherà in Val Pellice per conoscere le popolazioni e la valle, giungendo alla conclusione di volerne fare la propria ragione di vita. Conobbe così la Chiesa valdese con la sua storia e le sue vicissitudini iniziate con la Riforma protestante, che aveva visto – concentrandoci sull’area geografica di nostro interesse – relegati in un’area ben definita delle Alpi Cozie quei valdesi che si erano opposti alla religione del re (dunque quella cristiana cattolica) professata in Francia così come in Piemonte. Quest’area divenne per loro un vero e proprio ghetto, dove subivano discriminazioni sociali e legislative. Ci vollero le Lettere Patenti di Carlo Alberto, del febbraio del 1848, perché i valdesi potessero acquisire i diritti civili che a loro spettavano.

    Ma tornando indietro a John Charles Beckwith, egli visitò le Valli Valdesi per la prima volta nel 1827 e decise poi di soggiornarvi, in alternanza con periodi torinesi, per l’intero corso della sua vita, rientrando in Inghilterra solo nei mesi più caldi dell’anno, dalla primavera inoltrata fino all’autunno.

    Prese a cuore la causa con trasporto e devozione, intervenendo dal punto di vista economico con una serie di donazioni, ma anche dal punto di vista formativo e riformante di un’intera comunità. Si interessò al sistema scolastico valdese e in una ventina d’anni portò i luoghi d’insegnamento dalle stalle o da locali poco adatti a ospitare giovani e bambini in edifici adeguati, fornendo una serie di materiali didattici di importazione britannica. Volle fortemente che i docenti si formassero attraverso corsi di aggiornamento e che la lingua italiana venisse diffusa e insegnata ai docenti delle valli e fece in modo che i loro salari venissero aumentati. E come non citare la costituzione del Collegio Valdese di Torre Pellice, tuttora attivo e funzionante e della Scuola Superiore Femminile, sempre a Torre Pellice, che formò molte maestre e istitutrici.

    Questa sua frenetica attività di supporto alla comunità valdese riguardò proprio l’edificazione di strutture, che furono sì didattiche ma anche luoghi di culto, come i templi che sorsero sempre a Torre Pellice, così come a Rodoretto e Rorà e, nel 1853, anche a Torino.

    Fu il banchiere Giuseppe Malan a sostenere Beckwith nell’acquisto del terreno su cui sorse il tempio e all’inaugurazione parteciparono gli ambasciatori di Inghilterra, Svizzera, Paesi Bassi e Prussia. Questo passaggio infatti, la costruzione di un tempio per la comunità valdese, presente da secoli sul territorio piemontese, fu importante per la città di Torino: si guadagnava un posto di rilievo in un panorama internazionale, strizzando l’occhio a un’apertura verso nuovi culti e culture, andando di pari passo con altri Paesi.

    L’opera del generale di origini canadesi continuò per anni e anni, puntando sempre più anche sugli aspetti organizzativi e sulla formazione scolastica. A Beckwith sarebbe piaciuto poter introdurre dei tratti che derivavano dalla sua formazione anglicana all’interno del culto valdese, ma le sue proposte, seppur prese in considerazione, non vennero mai applicate e così, poco alla volta, venne a crearsi un distacco, che vide proprio nel tempio torinese e nella sua inaugurazione non solo il culmine – costruire un tempio non in un paese o in una valle, ma nella grande città – ma anche la fine della sua opera a favore dei valdesi.

    Il Tempio di corso Vittorio Emanuele ii, però, oltre a essere stato il punto massimo di devozione di un uomo verso una causa, detiene anche un altro primato: è stato il primo tempio valdese a essere stato scelto per una visita pastorale da parte di papa Francesco, il 22 giugno del 2015, ed è stata la prima volta che un pontefice si è recato in un luogo di culto di questo specifico credo.

    Quando la Sindone arrivò fino ad Avellino

    Tutti sono a conoscenza del fatto che la Sindone venne spostata nel 1578 da Chambéry a Torino, in pochi sanno che nel 1706 sostò per un breve periodo a Genova – per proteggerla dall’assedio francese – ma certamente non è noto ai più che fece anche un lungo viaggio, durante la seconda guerra mondiale, e che stette via dal capoluogo sabaudo per ben sette anni. Questa permanenza, con tanto di nascondiglio, del sacro lenzuolo non fu decisa solo per far sì che scampasse ai bombardamenti, ma soprattutto perché c’era qualcuno di potente che desiderava impossessarsene.

    Il viaggio della Sindone verso il sud dell’Italia avvenne nel 1939, prima che altre preziose opere venissero allontanate dalla città a causa dei pericoli del conflitto, per il fatto che

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