Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Polvere di stelle
Polvere di stelle
Polvere di stelle
E-book373 pagine5 ore

Polvere di stelle

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Hunted Series

Autrice del bestseller Tutte le stelle del cielo

Dopo aver scoperto di essere in grado di prevedere il futuro grazie al suo DNA ibrido, Abby Allen deve fare i conti con una delle peggiori visioni che le capita di avere: quella che le svela la morte di Kevan, l’alieno di cui è innamorata, che sembra si sacrificherà per salvare proprio lei. Sceglie quindi di stargli lontana, ma più lei si allontana, più Kevan le si avvicina, conscio ormai di non poter più fare a meno della “colorata” presenza di Abby. Riuscirà la ragazza a tenere fede ai suoi propositi, o le lusinghe dell’alieno avranno la meglio sulla sua volontà?
Nel frattempo, la lotta contro i Niviuxiani, la razza aliena a cui appartiene Kevan, prosegue senza esclusione di colpi. Abby, Kevan, Dakota e Jay, intraprendono un viaggio che dovrebbe portarli al sicuro. Ma le cose non andranno come previsto, perché si sa, il futuro riserva sempre delle sorprese. I ragazzi si ritroveranno al punto di partenza e l’incubo della cattura si abbatte di nuovo sulle loro vite. Abby e Kevan dovranno perciò incontrare il triste epilogo che è stato scritto per loro, o forse il futuro può essere ingannato?
Angela Contini
è nata in Germania ma è italianissima. Vive in un piccolo paesino con il marito e il figlio. Ama guardare serie TV, ascoltare musica e preparare dolci. La Newton Compton ha pubblicato Tutta la pioggia del cielo, Tutte le stelle del cielo e Tutto l'infinito del cielo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 set 2018
ISBN9788822726407
Polvere di stelle

Correlato a Polvere di stelle

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Polvere di stelle

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Polvere di stelle - Angela Contini

    Prologo

    Il mio nome è Abby Allen e sono un ibrido.

    Mi rendo conto che la maggior parte di voi non ha bene idea di cosa sia, un ibrido. Qualche tempo fa non avrei saputo dirvelo nemmeno io. A pensarci bene non saprei farlo nemmeno adesso. So solo che si tratta di un incrocio fra due specie con caratteristiche affini eppure differenti. Pensate a un cane e un gatto insieme: ne verrebbe fuori un catto o un gane. Oppure pensate a un incrocio molto sfortunato tra un ippopotamo e un cavallo: salterebbe fuori un ippovallo, una razza animale piuttosto complicata, soprattutto nell’aspetto.

    Ecco, io sono un ippovallo, anche se non bruco l’erba e non mi rotolo nel fango, e sono decisamente meno puzzolente, il che gioca a favore dei miei rapporti sociali.

    No! Non parlerò ora delle mie sventurate vicende amorose, quelle meritano uno spazio a parte.

    Intanto proverò a spiegarvi come sono andate le cose fino a qui e lo farò nel più breve tempo possibile, anche se chi mi conosce sa bene che non ho il dono della sintesi.

    Ero una ragazza normale una volta. Badate bene: pensate al concetto di normale in senso lato. La normalità in fondo è un’idea molto soggettiva, personale, ma dicevamo… Ero una ragazza normale una volta, non troppo tempo fa, in effetti, anche se ho l’impressione che siano trascorsi anni da quando lo sono stata perché quello che è successo, credetemi, ha dell’incredibile.

    Sapete quelle trasmissioni televisive in cui si parla di strani misteri, fatti inspiegabili, di case infestate da fantasmi e di… UFO? In tutta onestà, credo che i fantasmi non esistano, ma considerato quanto la vita mi ha sorpreso ultimamente, non ci metterei la mano sul fuoco. Però, posso dirvi con certezza che gli alieni, sì, gli stessi che fin da bambini a scuola dipingevamo piccoli, verdi e con le antennine sulla testa, quelli esistono sul serio. Ma dimenticate gli omini verdi con le antennine, dimenticate E.T.e pensate invece a Superman. Ecco, gli alieni sono esattamente come lui. Con un po’ più di gusto nel vestire.

    È ben nota la mia folle passione per il Kriptoniano sopraccitato. Ho visto tutti i suoi film, letto tutti i fumetti, ritagliato articoli di giornale incollandoli in modo certosino su alcuni quaderni. Questo fa tanto serial killer, ma vi giuro che non ho nessun altarino in casa dove mi inginocchio ad adorarlo. Ho tutti i DVD della serie di Smalville, credo di potervi citare a memoria le battute di ogni episodio, e ho sempre sognato, pur sapendo che si trattava di una banale utopia, di incontrare un giorno un eroe come lui.

    Bene.

    Non so chi ha detto: «Attento a ciò che desideri perché potresti ottenerlo», ma mai massima fu più azzeccata. I miei desideri si sono avverati. Un giorno – avrei voluto dire un giorno come tanti, ma in realtà parlo del giorno in cui è stato aperto il mio vaso di Pandora – sul mio cammino sono apparsi loro: Kevan e Dakota. All’apparenza due ragazzi normalissimi. Okay, proprio normali non lo erano. Se la perfezione avesse un volto, sarebbe stato di sicuro il loro. Ora, che lei fosse uno schianto non me ne importava molto, sebbene chiaramente la invidiassi con tutto il cuore per il suo aspetto, ma lui… Oh lui!

    Mi sembra che il cuore mi scoppi solo pensandolo. Mi galoppa nel petto, si impenna come un cavallo imbizzarrito, e la mia faccia si trasforma in una di quelle stupide emoticon con gli occhi a cuore che si usano sugli smartphone. Lui!

    Cosa posso dirvi di lui che non risulti assolutamente sciocco e pieno di astrusi concetti amorosi colmi di zuccherosa retorica? Che per me è bello in modo assurdo? Lo è. Che ha il cuore di un vero eroe? Ce l’ha. Che è capace di portarti in paradiso solo con un bacio. Può.

    Mi sembra di vedere le vostre facce dubbiose. Come biasimarvi? Vi starete chiedendo se io non sia una povera pazza o se per caso non soffra di una grave malattia psichica, perché un tipo così dovrebbe esistere solo in un’allucinazione o tutt’al più nei film, o nei romanzi, ma no, vi giuro su quello che ho di più caro, che lui è vero, è vivo, esiste.

    A mio parare, Kevan è e può tutto. È lui il mio Superman. Letteralmente. È un alieno. Un alieno vero, con annessi e connessi: forza superiore, poteri soprannaturali e bla bla bla…

    Rivedo le facce dubbiose. L’ho avuta anche io quell’espressione quando l’ho scoperto.

    Ma sarà bene che vi spieghi com’è andata. Sì, lo sto dicendo da dieci minuti, ma come sapete, non è facile per me essere concisa.

    Quando è arrivato a scuola accompagnato dalla bellona Dakota, aliena anche lei, il mio mondo è andato sottosopra, e i miei sogni mi sono sembrati finalmente alla mia portata. Insomma, sì, mi sono presa una cotta stratosferica per Kevan.

    Ma non è stato tutto. All’improvviso mi sono ritrovata in una delle mie serie preferite o in un romanzo di fantascienza. E non credo di esserne ancora uscita. A volte ho la sensazione che ci sia qualcuno dietro a tutto questo. Qualcuno di invisibile che muove i fili della mia vita. A quel qualcuno, se esiste, dico: se non fai finire questa storia come tutti si aspettano, ti perseguiterò per il resto dei miei giorni!

    Kevan si è avvicinato a me, ma non perché fosse affascinato dal mio bell’aspetto o dalla mia straordinaria capacità di stordire tutti con le mie assordanti chiacchiere. Lo ha fatto semplicemente perché ha ricevuto ordini superiori, ordini che provenivano dal mio professore di storia. Il professore con il nome da femmina: Lexi. Solo dopo ho scoperto che in realtà il suo vero nome era Lexion, e che il tizio di femminile non aveva proprio niente. Dovreste vederlo e capireste. Oh, già, è un alieno anche lui. Sì, a quanto pare ce ne sono più di quanti ce ne aspettassimo. Sembra che colonizzino la terra da tempo immemore.

    Il piano prevedeva che Kevan scoprisse la mia vera natura. Il sospetto era che fossi un ibrido puro, un incrocio tra un alieno e un umano, oppure un ibrido, un incrocio fra un ibrido puro e un umano. La vicenda è complicato anche per me. In realtà, la mia natura è sempre stata una certezza. Sono un ibrido. Da qui, la mia teoria sull’ippovallo.

    Lexion sapeva benissimo chi e cosa fossi, fin dall’inizio di questa storia, perciò ha pensato bene di affidare a Kevan il compito di starmi alle costole. Sapete, Kevan a quanto pare non è mai stato molto d’accordo con le fissazioni razziali degli alieni, né con lo sterminio degli ibridi, motivo per cui Lexion sapeva che non avrebbe mai potuto alzare un dito su di me. In realtà doveva proteggermi, doveva tenermi al sicuro dagli alieni perfidi della storia, da un certo Rhio, uno con un evidente problema a rapportarsi con gli altri, il cui vero scopo è quello di creare un esercito di esseri superdotati.

    Perché dovevo essere protetta? È la domanda che mi sono posta per gran parte del tempo. In fondo non ho nulla di speciale, a parte la rara capacità di fare pessime figure. La risposta è arrivata quando ho scoperto di essere imparentata con una specie di superuomo ibrido, uno capace di infilarsi nella tua testa e farti credere di tutto. Il nome di quest’uomo è Samuel Fitzgerald, ovvero il discendente dei Gadoriani, una qualche razza aliena lontana anni luce dalla Terra. Samuel è figlio della loro regina, che tempo fa si rifugiò sul nostro pianeta per sfuggire a un tiranno. E si sa come vanno queste cose, vero? Succede tutti i giorni. Aliena superpotente incontra umile minatore umano, scatta l’amore e toh, sbuca fuori l’ibrido geneticamente modificato. Che, a quanto pare, è mio padre. Già. E dire che ero convinta che i miei genitori fossero un tranquillo astrofisico e una cosmologa distratta con la testa fra le nuvole, sempre persi dietro allo spazio intergalattico. Ho anche una sorella, Greta, che, be’, non è mia sorella. È evidente a questo punto. Ho passato tutta la vita credendo che fosse la regina delle stronze che si preoccupava solo della manicure, e invece, capovolgendo tutte le mie convinzioni, si è rivelata una tosta, con le palle.

    Dopo il ballo di primavera della mia scuola, durante il quale il mio DNA ibrido ha deciso di maturare e impazzire del tutto, è stata proprio lei a prendere in mano le redini della situazione, affidandomi a Kevan. Da lì è cominciato il mio viaggio verso un mare di rivelazioni che è strano non mi abbiano fatto ammattire completamente. Probabilmente non è successo perché la vena folle è già insita nel mio essere.

    Alieni, enormi magioni in mezzo a un bosco, miniere adibite a basi segrete, ragazzi con poteri assurdi. Assurdi! Non scherzo. Parliamo di gente che genera il fuoco, che parla agli alberi, che smuove la terra con semplici gesti della mano. Questi sono gli ibridi. Esseri che, grazie al loro Dna mischiato a quello alieno, sono in grado di produrre con il loro corpo queste folli magie. Ed ecco perché Rhio li vuole. E io? Non lo so, dicono che ho dei poteri straordinari. L’unico che so di possedere è la capacità di creare casini, ma sembra che sia anche in grado di avere visioni sul futuro.

    Non è eccitante come credete. È una maledizione, è spaventoso conoscere quello che succederà, soprattutto se non è come te lo aspetti. Quindi non sarebbe meglio ignorarlo e godersi il presente?

    Sì, certo, ma non è che questo potere io me lo possa strappare di dosso come un antiestetico capello bianco. No, fa parte di me, mi scorre nelle vene come il sangue.

    La mia prima visione è stata molto confusa, ancora oggi non so bene cosa ho visto, ma la seconda… la seconda ha spento quel sorriso che con tanta fatica cerco di tenermi sulle labbra ogni giorno, a dispetto del mondo schifoso in cui vivo, a dispetto di tutto il male che mi circonda. Ma sorridere dopo questo… be’, è difficile anche per me. Il mio proverbiale ottimismo ha ricevuto un colpo decisamente forte. Il cedimento è dietro l’angolo.

    Ho visto il mio eroe morire. La visione mi ha mostrato Kevan che crollava davanti a me. Il ragazzo di cui sono pazzamente innamorata se lo prendeva la morte. Questo mi ha detto la visione. Se non avessi avuto questo maledetto potere, forse ora sarei ancora attaccata a quell’albero, l’albero dove Kevan ha dichiarato un inaspettato interesse per me, e dove mi ha baciato come se non ci fosse un domani. Ma il domani arriva sempre, che tu lo voglia o no, e io posso addirittura vedere cosa mi porterà. Così ho deciso di allontanare Kevan da me. Follia! Ci riuscirò? Così si è svolta la mia vicenda, almeno fino a qui. Non lamentatevi, vi avevo avvertiti che sarebbe stata una cosa lunga.

    Ora devo solo riprendermi la mia famiglia che al momento è nelle mani di quel sociopatico di Rhio e poi proverò ad affrontare il resto.

    Il mio nome è Abby Allen e sono un ibrido, o un ippovallo, decidete voi. E se non ci avete capito niente, abbiate pazienza. Non ci ho capito niente neanche io.

    Capitolo 1

    Abby

    Ecco le nuvole. Pensavo che non sarebbero mai arrivate in questo piccolo angolo di paradiso, invece eccole. Un classico. Proprio oggi. In fondo me le aspettavo. Cos’è un funerale senza nuvole minacciose che si stagliano all’orizzonte?

    Sono cupe, basse, cariche di pioggia. La scenografia perfetta per questo momento. Se stessi guardando un film, direi che è la cosa più scontata che potessero inventarsi. Diciamocelo… la pioggia sta a un funerale come i Muse stanno al rock. La sintesi della perfezione.

    Non ci sono né un prete, né un reverendo, né un rabbino, né un qualsiasi rappresentante di una qualsiasi religione. Qui non sembrano credere molto in Dio. Mi sembra di partecipare più che altro a una di quelle cerimonie funebri indigene che si facevano tanti anni fa.

    Una catasta di legna è raggruppata al centro della radura; dietro di noi, la casa ancora distrutta. Macerie che testimoniano una vita ormai sepolta. Molti occhi sono puntati sul corpo. Non si riesce a staccarli dalla figura inerme piegata in posizione fetale sul cumulo di legna. Emily sembra dormire placidamente, come un bambino nella sua culla, su centimetri e centimetri di morbida, calda lana. Le hanno messo il vestito migliore che aveva: una gonna lunga fino alle ginocchia con un’orrenda fantasia floreale e una camicia giallo ocra. Sono sicura che mi perdonerà, ma aveva gusti orribili nel vestire.

    I capelli biondi sono sciolti, distesi sulle spalle esili. Dio, sembra una bambina troppo cresciuta e strappata alla vita troppo presto. Eppure riesco a vederlo, un piccolo segno di serenità. Forse è solo la mia immaginazione, oppure è la voglia di credere che in fondo, pur se distaccata da questo mondo, la sua vitalità sia ancora qui, dipinta su quella specie di sorriso che piega le sue labbra fredde.

    Non sono più rosee come le ricordo e, all’improvviso, ho l’impressione di aver dimenticato com’era davvero. È un po’ come se questa immagine fosse l’unica che abbia visto di lei. Mi sforzo di ricordarla la prima volta che l’ho incontrata, quando, svegliandomi, mi sono ritrovata ficcata in una sorta di gigantesco acquario colmo di un liquido che è servito a guarirmi dalle ferite inferte dagli scorpioni alieni che ci avevano attaccato. Emily è stata la prima persona su cui ho posato gli occhi quando sono tornata a essere lucida. Indossava un camice bianco e ricordo che non mi aveva rassicurato per niente, nonostante fosse gentile e deliziosa. Diffido di chiunque indossi un camice.

    A ogni modo, fu carina, tanto che riuscì in parte a far crollare il muro di diffidenza che avevo alzato intorno a me. In parte, ma non del tutto. D’altronde ero appena finita nel peggior incubo della mia vita, popolato da creature aliene e curiosi ragazzi geneticamente modificati.

    Non posso dire di averla conosciuta a fondo, ma di sicuro era una di quelle persone a cui ti affezioni con estrema facilità. Pur avendo trascorso pochissimo tempo in sua compagnia, non posso rimanere indifferente davanti alla sua morte. Davanti alla morte non si rimane mai indifferenti, è per questo che fatico a trattenere le lacrime.

    Ve la dico tutta: mi strazia che una ragazza così deliziosa abbia lasciato questo mondo, ma è ben altro che mi tortura e mi lacera il cuore. È la vista dell’uomo che si ostina a tenerla per mano, mentre le sue dita la accarezzano come se lei potesse sentire ancora il suo tocco. Sono le labbra di lui che continuano a sussurrare parole silenziose, cariche di un dolore assordante. Come farò senza di te, è l’unica frase che riesco a cogliere. Piccoli spilli che si conficcano nel mio cuore. La catasta di legna è piuttosto alta, eppure Lexion si è arrampicato sui ciocchi e non accenna a voler scendere, anche se difficilmente riusciranno a reggere a lungo il peso di un alieno alto un metro e novanta circa. Il suo volto è fisso su quello di lei. Nonostante le lacrime, nonostante il dolore che lo trasfigura, sembra essere in adorazione di una dea.

    È questo l’amore. Assoluta devozione. Qualcosa di così potente che il mondo intorno a te potrebbe anche non esistere più e tu nemmeno te ne accorgeresti. È l’unica luce che ti guida e, quando quella luce si spegne, è inevitabile rimanere al buio, ciechi come cuccioli appena nati e abbandonati.

    Ecco cosa mi tormenta davvero. Perché, in fondo, il dolore è sempre di chi resta, mai di chi se ne va. E il dolore di Lexion, suo marito, è immenso. Sembra straripare dai suoi occhi arrossati per il pianto. Non so come riuscire a esprimere al meglio quello che vedo. Direi che è una valanga che si stacca da una montagna per seppellire ogni cosa troverà sul suo cammino, è una frana di massi che scivola via da una parete rocciosa, è un’onda anomala che spazza via tutto, lasciando dietro di sé il nulla più assoluto.

    È la prima volta nella vita che mi capita di vedere cos’è davvero il dolore.

    Avril si accosta a Samuel, gli fa un piccolo cenno con il capo. Ha un lenzuolo bianco fra le mani, lo stringe convulsamente. Me ne accorgo perché le nocche delle sue dita sono sbiancate. Vedo Samuel sospirare pesantemente, leggo nei suoi occhi un dolore antico, il riflesso di un’angoscia simile. Tentenna mentre si avvicina a Lexion. Allunga una mano verso di lui. L’alieno si volta e annuisce. Lo sa. Sa che deve lasciarla andare, ma la sua mano resta attaccata a quella di lei. Vorrei raggiungerlo, tenere unite le loro mani e allontanare chiunque tenti di separarli, ma non posso. Sono piccola e impotente davanti a tutto questo, lo siamo tutti. Siamo niente.

    Non possiamo fare altro che assistere in un silenzio, rotto solo da qualche singhiozzo e qualche gemito, all’appuntamento che si sono dati Amore e Morte.

    È inevitabile chiedersi il senso di certe situazioni. Mille domande ti frullano nella testa: perché? Come? Dove? Proprio a me? E le viscere si attorcigliano, il cuore sembra scoppiarti e pensi che non potrai sopravvivere, perché, diamine, come puoi riuscirci? Ma alla fine si sopravvive… quasi sempre.

    E Lexion lo farà. Lui sopravvivrà. È forte come uno di quegli eroi che ho sempre immaginato, anche se a vederlo ora non si direbbe. Adesso è più simile a un bambino lasciato solo in una stazione ferroviaria, fra la gente che indifferente lo spintona, senza nemmeno accorgersi di lui.

    Un ciocco di legno cede e lui scivola sulla catasta di legna. Perde la presa sulla mano di Emily, ma con sorprendente rapidità la riafferra, come se sua moglie potesse sfuggirgli. Si accosta ancora di più. Ora il suo viso è vicino a quello di lei. Le loro due espressioni sono l’equivalente di una martellata al cuore. Quella di lei, serena nel riposo della fine. Quella di lui, torturata nel tormento della disperazione e nella consapevolezza di una vita senza il suo amore. E poi comincia a parlarle.

    La voce trema, è scossa dai singhiozzi mentre dice: «E adesso? Adesso che cosa ne sarà di me? Eh? Te ne sei andata così… te ne sei andata e basta. Perché tu? Perché proprio a noi?». Le sue frasi hanno un che di incoerente, non seguono una linea logica, sono emozioni sparse. «Perché non mi rispondi? Non è possibile che tu mi abbia lasciato davvero». Scuote il capo, come se realmente non ci credesse ancora. «Mi si sta spaccando il cuore, mi sto fracassando in mille pezzi. Ogni parte di me è rotta, Emily. Torna… torna a riaggiustarmi, per l’amor del cielo. Io senza di te non sono altro che un fantoccio privo di vita».

    Torna a riaggiustarmi. Parole che mi risuonano in testa come un campanaccio. Come si riaggiusta un uomo rotto?

    «Lexion… amico mio, è ora di andare». Samuel lo esorta un’altra volta ad allontanarsi dalla moglie. Lexion annuisce di nuovo, una volta, due volte, tre volte, fino a che non muove un paio di piccoli, indecisi passi all’indietro. Stringe la mascella, coperta da una barba incolta, allunga il viso verso Emily e le sue labbra si posano su quelle di lei. Non lo fanno con delicatezza, come accade nei film, come è nell’immaginario collettivo di tutti. No, non è un bacio delicato, per niente. Sono sorpresa dal vigore che ci mette. Le sue labbra si imprimono con forza su quelle di Emily, gli occhi sono stretti nel vano tentativo di trattenere lacrime troppo copiose per poter essere arginate, poi Lexion sussurra un tormentato: «Ti amo. Ti amerò sempre».

    È questo il momento in cui nei film la scena viene accompagnata da una colonna sonora straziante. È il momento dell’addio, il momento in cui la pioggia comincia a cadere fitta, tuttavia qui non accade niente di tutto ciò. Solo il silenzio accompagna la discesa di quest’uomo dalla catasta di legna, nessuna goccia di pioggia si mischia alle lacrime. Non ancora. Ma pioverà, ne sono certa, anche se dentro di me piove da un bel pezzo.

    Il mio sguardo corre sugli altri. Osservo Dakota. Ha la testa rivolta verso l’alto. Sembra guardare il cielo, misurare l’ampiezza delle nuvole o, più semplicemente, sta evitando di farsi scivolare lacrime sfrontate e imbarazzanti sul viso.

    La sua gola fa su e giù poiché sta deglutendo a vuoto, il che dalle mie parti significa solo una cosa: sto tentando di mantenere una calma che non provo affatto e, dannazione, mi viene da piangere, ma non devo.

    Dakota è così, la ami e la odi. È forza e fragilità allo stesso tempo, e sembra che solo lei non lo abbia capito. È innamorata di Lexion e non oso immaginare quanto vederlo ridotto in questo stato la faccia soffrire.

    Mark, il ragazzo che comanda la terra, è una maschera di lacrime. Ha solo quindici anni, è giovane, ma fisicamente è un ragazzone notevole, eppure ora sembra un pulcino spaurito appena uscito dal guscio.

    Birdy, la ragazza che parla alle piante e che le guida, non è qui, è nella miniera a tenere occupati i bambini: sette piccoli ibridi di cui Samuel si prende cura.

    Sul volto di tutti gli altri è dipinta la medesima espressione di sconcerto e sconforto. È la scena di un quadro del Caravaggio: scura, inquietante, cupa. Mio malgrado, lo sguardo mi corre nell’angolo più lontano, a circa tre metri da noi. Appoggiato al tronco di un albero, nel bosco illuminato dai primi bagliori di un tramonto che tenta di farsi spazio tra le nuvole, c’è lui: Jay. Il ragazzo del fuoco. Il fratello di Emily. Se ne sta seduto sulla terra umida con le ginocchia sollevate e la testa piegata, mentre giocherella indifferente con alcuni fili d’erba. Il volto è coperto dal cappuccio della felpa, ma quando, nel sentirsi osservato, solleva per un attimo lo sguardo, riesco a scorgere il suo volto rigato di lacrime. Le vuole nascondere, non vuole far vedere quanto soffre, perché il ragazzo ha l’insana idea di dover sembrare forte a tutti i costi. Lo diceva anche Emily. Ma non puoi essere forte quando l’ultima persona che ha il tuo stesso sangue ti ha lasciato. È solo.

    Provo a mettermi nei suoi panni. Per un attimo, solo un attimo, poiché di più non ce la farei. Provo a immaginare come sarebbe rimanere completamente soli e soltanto l’idea mi fa mancare il fiato. Eccole, le ho viste, le labbra gli tremano. Jay al momento è tutto meno che forte, e il fuoco che gli scorre dentro sembra essersi spento.

    Samuel accoglie Lexion fra le braccia quando finalmente scende dalla catasta. Lo stringe a sé e gli dà poderose pacche sulle spalle, infine le mani dell’alieno si stringono a pugno e la mascella si contrae.

    Lexion si volta a guardare di nuovo l’altare di legna su cui è deposto il corpo della moglie; Avril distende il lenzuolo, onde di stoffa bianca levitano in aria guidate dalle sue mani. Già, la telecinesi. Sembra essere uno dei tanti poteri alieni e ibridi.

    Il lenzuolo si posa sul corpo di Emily nascondendolo alla vista di tutti. La circonda come un caldo bozzolo, proteggendola. Samuel afferra una tanica che, a giudicare dall’odore, contiene della benzina. Sta per versarla alla base della catasta di legna quando un «Fermo!», lo costringe a bloccarsi. Lo sguardo di ognuno di noi si sposta su Jay che, sollevatosi dal terreno, si avvicina.

    «Lo farò io», dice con voce incerta. Samuel lo fissa dubbioso, ma Jay sostiene il suo sguardo con una fiera determinazione. «Sarò io ad accompagnare mia sorella nel suo ultimo viaggio. Saremo io e il mio fuoco».

    Samuel fa un passo indietro. Jay rivolge una muta domanda a Lexion, che annuisce stringendo i pugni. Il ragazzo abbassa il cappuccio della felpa e scopre il volto. È pallido, gli occhi infossati lo fanno sembrare più grande. È stanco, distrutto, eppure rimane in piedi. Non vacilla. Ma la mano trema quando si allunga verso la legna. Rivolge lentamente il palmo verso il cielo. Il tremore si estende a tutto il braccio. Un respiro profondo gli scuote il petto, chiude gli occhi, respira ancora, come se si stesse preparando alla sua più grande impresa. Li riapre di scatto e nello stesso istante una scia di fuoco liquido sgorga dal suo palmo e si abbatte come una scure sulla legna, che prende immediatamente fuoco. Le fiamme si alzano ed è come se stessero ballando intorno al bozzolo bianco, si chinano, si rialzano, piroettano e poi lo abbracciano. Piccole scintille di luce si irradiano tutto intorno, il lenzuolo si muove in piccole onde e un leggero pulviscolo danza nell’aria. Lexion lancia un’occhiata a Mark e il ragazzo interviene. Sa qual è il suo compito. Le sue mani si alzano ad abbracciare lo spazio, le muove come un maestro che guida la sua orchestra, e isola le ceneri di Emily da quelle della legna. Non so come faccia, ma ci riesce. È come se la riconoscesse, come se capisse la differenza, come se la sentisse.

    La cenere si alza in un piccolo vortice man mano che il bozzolo si consuma. Balla… balla come se possedesse ancora un riflesso di vita, balla come se il cielo le appartenesse, balla con il fuoco. I due elementi si abbracciano come se fossero parte della stessa materia. Poi esplodono in un caleidoscopio di arancio, bianco e oro, fino a che le scintille volano come piccole lucciole. L’anima di Emily viaggia, vive, è tutto tranne che spenta. Resto affascinata a guardare la meraviglia che si sta compiendo davanti ai miei occhi. All’improvviso, con la stessa rapidità con cui tutto è cominciato, le ceneri si riuniscono in un unico mucchio e si tuffano in un’urna ai piedi della piccola montagna di legna. Jay chiude il palmo, il fuoco ubbidiente si piega al suo comando e si ritira fino a scomparire.

    Lexion richiude l’urna e rimane a osservarla senza dire nulla. Jay fa lo stesso, ma all’improvviso le sue gambe sembrano cedere e cade in ginocchio sul terreno. Le mani stringono i fili d’erba in modo convulso e la testa si piega fino a toccare la terra con la fronte. Un suono straziante proviene dalla sua gola. È un pianto angosciante. Lexion gli è subito accanto, lo abbraccia e piange insieme a lui.

    Non reggo. Mi manca il respiro e la tensione che fino a ora mi ha permesso di rimanere in piedi, mi abbandona. Mi tremano le ginocchia e vacillo all’indietro. Cadrei se non ci fosse lui accanto a me. Le mani forti di Kevan afferrano le mie deboli braccia e con gentilezza guida il mio corpo verso il suo. Mi appoggia al suo petto e mi circonda nel suo abbraccio. Le sue mani mi accarezzano le braccia, come se stesse provando a scaldarmi, come se volesse fermare

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1